Capitolo 6 –
Invasione
Il rum è una bevanda sana e ricca di sostanze nutrienti, con
un potente effetto rinvigorente, che non può mancare nella dieta di ogni buon pirata che ci tenga alla propria salute.
Presenta purtroppo anche alcuni spiacevoli effetti collaterali. Uno di questi è
una leggera alterazione delle normali percezioni che può indurre lievi stati
allucinatori. Perciò non è molto raro sentire i marinai di più lunga esperienza
sproloquiare di incontri con fantomatici mostri marini
lunghi cinquecento metri (quando è risaputo che, come riportato
dall’Enciclopedia Universale dei Mari, anche gli esemplari più grandi non
superano i trecento). Non tutto il male, comunque,
viene per nuocere: questo piccolo inconveniente ha dato origine a una
competizione sportiva tra le più in voga nel Grande Blu, ossia la gara a-chi-la-spara-più-grossa.
-
Era, ve lo giuro, un Re dei Mari spaventoso, con due file di denti in bocca,
ogni fila almeno cento denti, ottocento denti in tutto!
-
No,
scusa: in una bocca ci sono due file sopra, due file sotto, cento
denti ciascuna, fa quattrocento denti, giusto?
-
Ma lui aveva due bocche!
Erano le finali dell’isola quelle che si stavano svolgendo alla
taverna “Il buon diavolo”, al molo tre del porto di Eden.
Con il suo racconto, Greg il Sincero aveva appena
mandato a segno un colpo micidiale. Soddisfatto, si rinfrescò la gola con una
sorsata di liquore.
-
Allora,
Fisher? Tocca a te!
Fisher annuì e fece cenno di aspettare un
momento, lasciare che raccogliesse le idee. Si scoprì a sudare freddo. La
terribile verità, che tutti ignoravano, era che Fisher
era perfettamente astemio. Quello nel suo boccale non era rum,
ma semplice succo di mango. La sua fantasia, senza aiuti alcolici, non
riusciva a sostenerlo più di tanto in quelle competizioni; ma non poteva fare
brutta figura davanti ai suoi compagni di equipaggio,
o tanto meno permettere che capissero come stavano davvero le cose. Disperato,
in cerca di uno spunto qualsiasi, girò lo sguardo intorno a sé. Guardò il
bancone, la gente, i tavoli. Guardò fuori dalla
taverna, verso il mare.
-
Ricordo
quella volta – disse – in cui vidi una tartaruga gigante.
Era grande quasi quanto un’isola, e c’era una specie di palazzo costruito
sopra, con le insegne della Marina. E dalle porte di
questa casa sciamavano fuori animali di tutti i tipi, uccelli, leoni, cavalli,
che si muovevano in formazione, come un piccolo esercito.
Gli altri restarono ammutoliti. Fisher
sorrise imbarazzato e prese un sorso di succo di mango. Gli applausi partirono
solo dopo qualche secondo, ma in un istante crebbero e diventarono un’ovazione
scrosciante.
-
Bravo!
Bis!
-
E’
un campione! Un vero campione!
-
Sono
un impresario, ragazzo! Ho un contratto pronto per te!
Fisher fece un inchino e si godette quel
trionfo senza precedenti. Non poteva però evitare di sentirsi un po’
preoccupato. Perché dalle finestre della taverna lo si
vedeva ormai chiaramente, la tartaruga gigante si stava avvicinando sempre di
più. E aveva davvero le insegne della Marina, che non portano
mai niente di buono. E gli animali aumentavano.
“Speriamo che se ne vada senza farsi notare da nessuno, altrimenti
addio vittoria” sperò Fisher.
E proprio in quel momento, a sottolineare
quanto stupida fosse quella speranza, da una delle feritoie del palazzo che si
ergeva sul guscio della tartaruga partì la prima cannonata.
Il suono della prima cannonata scosse le pareti della casa
di Flea, che si svegliò di soprassalto, spaventata.
Le ci volle qualche secondo per riprendere lucidità e cercare di capire cosa fosse successo.
-
Sparano?
– mormorò tra sé e sé, ancora assonnata.
Come risposta, una seconda cannonata rimbombò sull’isola. Flea saltò giù dal letto e corse alla porta della stanza.
Passando accanto al trespolo di Paradosso, notò che il pappagallo era sparito.
Probabilmente era volato via spaventato. Chiamalo fesso.
-
Papà!
– chiamò la ragazza, aprendo la porta – Papà, che succede?
Stai bene?
Nessuna risposta. Né sì, né no, né gnarr. Madera non era in casa. Poteva essere già andato al
lavoro? Ma il sole non era ancora sorto, era un po’ troppo
presto per andare al cantiere. Flea ebbe una
bruttissima sensazione. Prese in fretta una cintura di borracce da mettersi a
tracolla e corse giù, fuori di casa, in strada. La gente arrivava da tutte le
parti, tutti stavano abbandonando le abitazioni mentre
continuavano a piovere cannonate. Alcuni edifici erano già crollati. Erano
scoppiati degli incendi.
-
Papà!
– chiamò ancora Flea, ma la sua voce si perse nel
fragore delle esplosioni e nel tumulto della folla che scappava da ogni parte.
Sentì un fischio più vicino dei precedenti, l’esplosione
invece non riuscì a sentirla, perché fu così vicina che le tolse l’udito per
qualche istante. Si vide solo circondata da una nuvola di luce, si sentì spinta da una mano invisibile, ebbe l’impressione di stare
cadendo, cadendo verso una sagoma umana, nera, che tendeva le braccia verso di
lei.
Il suono della prima cannonata arrivò leggermente smorzato
attraverso le pareti di legno della Going Merry, ma era comunque
inconfondibile per degli esperti pirati.
-
Mi
suonano come guai. – disse Zoro.
-
Mi
sa che qualcuno sta attaccando l’isola. Chissà di chi si tratta! – sospirò Nami.
-
E’
un cannone della Marina. – fece Usopp,
concentrato, con gli occhi chiusi – Calibro
I suoi due compagni lo guardarono con gli occhi sgranati,
incapaci di spiccicare parola.
-
Che c’è? – ribatté piccato il cecchino – Mica posso
sapere proprio tutto!
-
Sappiamo
abbastanza. – affermò Zoro – Se si tratta della
Marina, dobbiamo stare in guardia. Vado a dare un’occhiata fuori.
Lo spadaccino uscì. Nami e Usopp restarono in attesa. Dopo
qualche istante, dal ponte esterno si udì un gran chiasso. Ruggiti, ringhi,
soffi e sibili di spade.
-
Si
direbbe – osservò Usopp, impassibile – che Zoro sia stato attaccato da un
leone.
-
Già,
hai proprio ragione, deve essere un leone. – confermò Nami,
serena.
-
Povera
bestia.
-
Davvero.
Un attimo dopo, Zoro rientrò.
Aveva una delle sue katane in mano ed era coperto di sangue e peli di felino.
-
Ehi!
– gridò – Qua fuori c’è una torma di animali selvaggi!
Sbrigatevi ad uscire! Prendono d’assalto la nave!
Nami e Usopp
scattarono in piedi e corsero fuori. Scavalcarono con prudenza la carcassa del
leone ormai pronto per la dispensa e si affacciarono al parapetto.
-
Mio
Dio. – mormorò la ragazza – Al confronto, la vecchia fattoria
di zio Tobia non è niente.
Davanti a loro si stendeva una folla infinita di animali di ogni razza, che avevano occupato l’intera
pianura desertica a perdita d’occhio. Nella luce ancora pallida dell’alba era
difficile distinguerli tutti bene, ma certamente diventavano
sempre di più. Ne arrivavano continuamente di nuovi,
in colonne, da un punto imprecisato vicino al villaggio. Manifestavano anche
degli strani comportamenti, osservò Usopp. Come gli elefanti che salivano in equilibrio sui colli delle
giraffe per raggiungere il ponte della Going Merry.
-
Attento!
– gridò Zoro.
Scattò in avanti e con un fendente fulmineo tagliò la
proboscide ad un pachiderma che stava per aggredire il cecchino. Alla vista di un naso tanto lungo accorciato così bruscamente, Usopp ebebe un brivido.
-
Anche qui! – urlò Nami.
Gli elefanti si erano organizzati, e si appoggiavano con le
zampe anteriori contro lo scafo della Merry,
spingendo per rovesciarla. Il legno cigolava. La nave non sarebbe resistita a
lungo.
-
Saltiamo
giù! – propose Zoro – Facciamoci
seguire e combattiamo lontano da qui, altrimenti questa bagnarola finirà in
pezzi!
Gli altri due annuirono e, tutti insieme,
si lanciarono dal parapetto. Cominciarono a fuggire verso l’entroterra,
inseguiti dagli elefanti, che erano innaturalmente veloci, per la loro stazza.
Cercarono di approfittare del buio e della confusione per seminarli, ma
sembrava che l’unica cosa che gli riuscisse di fare
fosse attirare altri inseguitori. Adesso avevano alle calcagna tigri, struzzi,
cavalli, pipistrelli, coccodrilli e un paio di ornitorinchi.
I pirati provarono a scappare secondo traiettorie insolite, a
infilarsi tra i rinoceronti, a passare tra le zampe delle giraffe; inutilmente,
perché gli animali continuavano a individuarli senza errore.
-
Ma si può sapere come fanno a seguirci così bene? – gridò Zoro.
-
I
pipistrelli. – mormorò Usopp – I
pipistrelli ci possono localizzare con gli ultrasuoni.
Continuarono a scappare. Ma erano circondati, la costa era
affollata di animali ostili, e quindi vennero spinti
sempre di più verso l’unica via di fuga, verso l’entroterra, lontano dalla
nave.
Il suono della prima cannonata venne
amplificato fino a divenire un fragore intollerabile dentro la piccola cella di
agalmatolite.
-
Bene,
direi che siamo sbarcati di sicuro. – disse Nico Robin.
-
Davvero?
– fece Luffy – E come fai a
esserne certa?
-
Non
ricordi? Magia.
-
Ah,
già.
Il capitano stette a pensare per un
po’.
-
Ehi!
– esclamò poi – Ma questo significa che è il momento
per il nostro piano!
-
Sì.
– mormorò Robin, rassegnata – E’
proprio quel momento.
Sospirò e tese le braccia, pronta a fare la propria parte,
eroicamente, con sacrificio.
Il suono della prima cannonata causò un brusco spostamento
d’aria; l’onda di pressione si infilò tra i vicoli,
perdendo via via potenza man mano che si allontanava
dalla propria origine. A qualche centinaio di metri di distanza era già
abbastanza debole da non fare niente di più che sollevare gonne e scompigliare
capelli; a circa un chilometro, era appena sufficiente a spegnere un
fiammifero.
-
Merda.
E adesso che succede?
O una sigaretta.
Sanji si tolse dalle labbra il mozzicone
spento. Guardò i tre Giardinieri che rantolavano distesi a terra, ormai pronti
per la rottamazione, poi sollevò lo sguardo nella direzione da cui era
provenuta l’esplosione. Una colonna di fumo si alzava tra le case; c’erano voci
confuse, qualcuno gridava.
-
Notte
piena di avvenimenti, questa. – commentò con un mezzo
sorriso.
Seconda esplosione, stavolta più vicina. La gente cominciò
ad uscire in strada e a infilarsi ovunque, in fuga,
spingendo e dimenandosi per le strette vie del villaggio. Un fiume di gente si
riversò anche nel vicolo dove si trovava Sanji, e il
cuoco fu costretto a seguirne il flusso, trascinato dalla massa. Cercò con lo
sguardo i corpi inerti dei Giardinieri, ma non li trovò. Quei disgraziati
dovevano avere la pelle dura, si erano rialzati e se ne erano
andati. O forse erano ancora lì, mescolati alla folla,
ma sarebbe stato impossibile vederli, la confusione era troppa. Senza nemmeno capire come, Sanji si ritrovò
in una piazza, in cui finalmente la massa di persone in fuga si diradò un poco
grazie al maggior spazio disponibile. Le esplosioni continuavano,
c’era fumo dappertutto. Poi accadde tutto in un istante assurdamente
lungo. Lo scoppio fu vicinissimo, mancò poco che Sanji
perdesse i sensi; nella luce vide una sagoma che correva e poi cadeva
abbandonata a sé stessa come una bambola di pezza; si
gettò in avanti, tese le braccia, la raccolse. Il tempo ricominciò a scorrere
normalmente.
-
Flea! – gridò, scuotendo la ragazza, che aveva l’espressione inebetita e il
volto coperto di fuliggine – Flea, stai
bene?
-
Io
sì. – disse lei, sorridendo e osservando il proprio salvatore, e in particolare
le sue sopracciglia, con sguardo vacuo – Sto bene.
Grazie per avermelo chiesto, Coniglietto Spiralino!
-
Coniglietto…
Spi…? - balbettò Sanji.
Evidentemente la ragazza era ancora un po’ intontita.
Normalmente un’onta simile si sarebbe dovuta lavare col sangue,
ma visto che lei era così adorabile, con quel visino un po’ smarrito
dovuto allo shock post-traumatico, Sanji accettò di
buon grado di passarci sopra. Strinse la ragazza per essere sicuro che non potesse cadere a terra e cominciò a scappare, sperando di
portarla al sicuro. Le esplosioni continuavano ovunque, illuminavano
a giorno l’intera scena.
-
Dobbiamo
andarcene da qui. – disse Sanji a
denti stretti – Di questo passo, il villaggio finirà raso al suolo.
-
Guarda,
caro Coniglietto! – esclamò Flea, ridendo estasiata e
abbandonando la testa al dondolio della corsa – Ci sono
le tue amiche paperelle!
-
Sì,
certo, le mie amiche paper…
Si fermò. Le paperelle, scoprì con
una rapida occhiata, c’erano davvero; era sul fatto che fossero amiche che si
potevano avere dei legittimi dubbi. Si presentavano come pennuti assetati di
sangue che avevano becchi e ali decorati con teschi e altri simboli minacciosi.
Cinque di loro si lanciarono, in formazione, contro Sanji,
che dovette saltare di lato per scansarli. Tre degli assalitori riuscirono a cambiare rotta all’ultimo minuto riprendendo il volo,
mentre gli ultimi due, trascinati dal proprio impeto, si schiantarono al
suolo, sfracellandosi, con un misero “quack!”, in un
tripudio di piume bianche.
-
Ma a che razza di deficiente può mai passare per la testa di addestrare
delle oche kamikaze? – si chiese Sanji, riavutosi
dalla sorpresa.
La risposta non tardò molto ad arrivare. Oltre alle papere,
molte altre specie di animali popolavano ormai le vie
del villaggio, che avevano perso ogni parvenza di normalità. Tra macerie,
esplosioni, scene di panico, crolli, urla e giraffe con indosso caldi maglioni
a collo alto, Eden era diventata l’apoteosi del caos. In mezzo a questo inferno, Sanji scorse
qualcuno che avanzava lungo la strada circondato da un piccolo corteo. Un uomo su una portantina sostenuta da due ippopotami con tanto di
cappellino da baseball. Accanto alla portantina, una squadra di oranghi in tenuta da banditori reggeva grossi megafoni
che ripetevano in continuazione un messaggio registrato:
-
NON
FATEVI PRENDERE DAL PANICO! QUESTA E’ UNA SEMPLICE OPERAZIONE DI POLIZIA!
STIAMO DANDO
La parola “panico” si perse in un nuovo rumore di crolli. A
poca distanza dalla portantina, una piccola casa a due piani stava bruciando, e
un balcone era appena precipitato, in fiamme, davanti all’ingresso.
-
Il
mio bambino! – gridava disperata una donna – Aiuto! Aiutatemi!
La portantina si avvicinò e l’uomo scese, informandosi
premuroso:
-
Signora,
che succede? Mi dica!
-
Il
mio bambino! – ripeté quella, piangendo – E’ appena
rientrato in casa! Eravamo riusciti a fuggire, ma lui insisteva a voler salvare
il suo gattino, e mi è scappato di mano, e adesso…
La donna non riuscì a proseguire, sopraffatta dalle lacrime.
L’uomo le poggiò una mano sulla spalla:
-
Signora,
non si preoccupi. Noi siamo qui solo per proteggere la
pace e l’ordine. La aiuterò.
-
Davvero?
Oh, grazie, grazie! – disse la donna, illuminata dalla speranza
– Ma lei chi è?
-
Sono
un ufficiale della Marina, signora. Viceammiraglio Whip,
al suo servizio. Rullo! – chiamò poi, con tono autoritario, rivolgendosi a uno degli oranghi del suo seguito – Pensaci tu!
La scimmia scattò sull’attenti e,
con un’agilità formidabile, saltò su un palo di legno, quindi su un cornicione
e infine dentro una finestra della casa in fiamme. La madre in lacrime restò
per pochi, lunghissimi secondi a fissare l’ingresso, dove non si vedeva nulla,
ancora nulla, poi un’ombra, una sagoma che si stagliava sulle fiamme, che
teneva qualcosa in braccio…
-
Ce l’ha fatta! – gridò felice.
L’orango Rullo uscì dalla casa, illeso e sorridente,
contento di aver salvato una vita e compiuto la propria missione.
Tra le braccia teneva il gattino.
-
Bravo,
Rullo! Ben fatto! – si complimentò Whip.
-
E il mio… bambino… ? – balbettò la donna, accanto a lui.
In quel momento, qualcosa scappò fuori da
una delle finestre del piano terra. Il piccolo, un po’ sporco di fuliggine, tossendo
e sfregandosi gli occhi corse in lacrime dalla mamma,
che finalmente sollevata lo abbracciò. Quanto a Whip,
aveva occhi solo per il gattino.
-
Che magnifico animale! Come si chiama, signora? – domandò, carezzandolo
deliziato.
-
SEI
UN MOSTRO! MIO FIGLIO SAREBBE POTUTO MORIRE!
-
Eh?
Accidenti, che permalosa. Era una semplice domanda. Bella gratitudine, per aver
salvato il suo gatto.
Il viceammiraglio scosse la testa e si allontanò, pensando
che certe volte la gente era davvero strana.
Purtroppo, doveva constatare, gli capitava spesso di non essere ben accolto nei
posti che visitava. Quest’isola non faceva eccezione.
Adesso, per esempio, la sua portantina era stata circondata e bloccata da una
decina di abitanti dal comportamento ambiguo: avevano
espressioni furibonde ma continuavano a urlargli lusinghe e complimenti,
chiamandolo “bestia”, “cane” o anche “maiale”.
-
Stronzo!
– gridò uno dei facinorosi.
Va bene, questo non era un complimento.
-
Vi
prego, ricomponetevi. Esponetemi le vostre rimostranze
in modo il più possibile civile. – disse Whip,
cercando di calmare i bollenti spiriti. Non ci riuscì.
-
Civili?
Tu sei quello che ci sta bombardando le case! Stai radendo al suolo il nostro
villaggio, e noi dovremmo essere CIVILI? DICCI IL PERCHE’ DI
TUTTO QUESTO! BASTARDO!
Whip ebbe un moto di sdegno. Come si
permettevano, quei bifolchi, di offenderlo a quel
modo? Fece cenno ai propri ippopotami di avanzare. I due bestioni spinsero e
sfondarono il muro umano, mandando a gambe all’aria gli oppositori, la cui
resistenza fu del tutto inutile.
-
Prima
di tutto – ribatté Whip, mentre la sua portantina si
allontanava – il mio pedigree è immacolato, e vi sfido
a provare il contrario. Secondo, se desiderate saperne di più sulle ragioni del
mio arrivo qui, vi invito a presentarvi come tutti
all’incontro che si terrà tra un’ora nella piazza centrale. Lì vi spiegherò
ogni cosa. Terzo, e con questo chiudo il discorso, io non vi sto bombardando le case. Temiamo la presenza
di pirati in questo villaggio e i miei cannonieri stanno colpendo solo, e sottolineo solo, gli obiettivi strategici chiave. I civili
non subiranno alcun danno. Addio, signori.
Bonga e Conga erano
due scimpanzè cannonieri incaricati della manovra del pezzo di artiglieria
numero 15 della Turtle-o-pia. Bonga
era incaricata della carica, Conga del puntamento.
-
Uwaah – wah – waah?!?
(Traduzione: Conga, perché hai appena fatto
saltare quell’asilo nido?)
-
Owaah! Wah – gah, rahha? Waah!
(Traduzione: Era segnato sulla mappa degli
obiettivi strategici chiave, vedi? Proprio qui!)
-
Mugaaah! Ahw – ah! Yaah
– gah – wahhah!
(Traduzione: Quella non è la mappa degli
obiettivi strategici chiave! Quello è il mio sedere!)
Scuotendo la testa con disapprovazione, Bonga
raccolse un altro proiettile di piombo e lo fece rotolare nella canna del pezzo.
Pestò tutto per bene con lo scovolino. Conga aveva cominciato a ruotare il
dispositivo di mira quando si sentì un fragore sordo,
diverso da quello delle cannonate. Sembrava più il suono di una porta di agalmatolite che viene sfondata
da un uomo di gomma.
-
Ugaaah! Wah – wah
– meeh?
(Traduzione: Bonga, e
questo cosa è stato?)
-
Gaahgagh! Gah! Gah!
(Traduzione: Zitto e pensa a sparare, cretino!)
-
Attenzione
a destra! Rondini assassine!
Luffy scartò bruscamente di lato,
scansando i pennuti che saettavano con incredibile agilità, puntandolo con
becchi cui era stata aggiunta una punta di metallo. Robin
correva accanto a lui, ma sembrava affannarsi di meno. Era come se quella fuga
la divertisse sottilmente.
-
A
sinistra, Luffy! – avvisò – Talpe cecchino!
Partirono tre spari, che colpirono rispettivamente la parete
del corridoio, una luce sul soffitto e una delle rondini di prima. Luffy e Robin passarono oltre
senza problemi, mentre le talpe si scambiavano versi perplessi cercando di
capire come avessero fatto a sbagliare.
-
Questa
nave non finisce mai! – si lamentò Luffy – Ma quando
ne usciamo?
-
Dovrebbe
mancare poco. Attento ai topi paracadutisti!
Uno squadrone di sorci scavezzacollo si lanciò sui
fuggiaschi da una presa d’aria del soffitto. Le mani di Robin
sbucarono dal tetto e ne acciuffarono i paracadute,
lasciandoli a penzolare e a squittire miseramente.
-
Questo
posto è uno spasso! – esclamò Luffy, ridendo – Voglio proprio vedere chi ci si parerà davanti adesso!
Aveva appena finito di parlare che si trovò
costretto a inchiodare i piedi a terra per frenare; la figura che era appena
emersa da dietro l’angolo era molto più grossa di quella degli animali che li
avevano attaccati fino ad allora. Era, inoltre, quasi umana.
Un grosso omaccione peloso e pieno di muscoli, con in
testa un familiare cappello rosa. Robin si mise sulla
difensiva. Luffy deglutì.
-
Chopper… - mormorò.
La renna, lentamente, si avvicinava.
La piazza centrale di Eden era
gremita quando Whip arrivò, seguito dal suo bravo
corteo di bestiole assortite, per tenere il proprio discorso. Il villaggio non
era nella sua forma migliore, ma, dopo che il cannoneggiamento era cessato, gli
incendi erano stati spenti, i feriti portati in ospedali provvisori e si era
fatta una conta degli abitanti trovando che tutti erano,
più o meno, vivi. Certo, la gente radunata in piazza
non era nel proprio umore migliore. Essere costretti ad alzarsi alle sette del
mattino per partecipare a una riunione d’emergenza
all’aperto già non è il massimo della vita; quando poi la sveglia arriva a suon
di cannonate e versi di animali selvaggi mai sentiti prima, l’umore precipita
drasticamente. Quindi, molte persone non si erano
presentate in piazza col proposito di ascoltare e comprendere le ragioni del
viceammiraglio Whip. Piuttosto l’avevano fatto
pensando che sarebbe stata un’esperienza eccitante
partecipare a un vero linciaggio.
-
E’
lui?
Flea indicò la curiosa figura del
viceammiraglio, stringendosi a Sanji per un braccio.
Era ancora un po’ indebolita, ma quanto meno aveva
recuperato le proprie facoltà mentali. I due si erano messi in un angolo al limite della piazza, dove c’era un po’ più d’aria e un
muro a cui la ragazza poteva appoggiarsi in caso di mancamenti.
-
Sì,
è quel tipo. – confermò Sanji – Quello della Marina.
Intuendo il malcontento del suo pubblico, Whip aveva avuto la prudenza di portarsi dietro una buona
scorta. Al suo fianco aveva Sylvia, la tigre dai denti a sciabola, i suoi due
gorilla e qualche grosso felino, per ogni evenienza. La folla assetata di
giustizia, meglio se sommaria, dovette rassegnarsi ad attendere migliore
occasione e limitarsi, al momento, ad ascoltare.
-
Buongiorno
a tutti, abitanti di Eden! – cominciò il
viceammiraglio – Come già saprete, io sono il
viceammiraglio Whip. Sono arrivato qui
con l’incarico preciso, datomi dal Quartier Generale
della Marina, di indagare sull’incresciosa vicenda dell’arrembaggio alla nave
trasporto “Walrus Pride”. Alcuni
giorni fa questo vascello, di proprietà del Governo Mondiale, è stato assaltato
e depredato di tutto il suo carico da ignoti pirati. Abbiamo ragione di
sospettare che alcuni di questi criminali possano
trovarsi su quest’isola, perciò ho ricevuto il
permesso di assumere formalmente il governo di Eden finché le indagini non
saranno portate a termine. Quindi d’ora in poi io sono
il vostro nuovo padrone! Siete contenti?
Il silenzio che seguì fu più eloquente di
qualsiasi risposta. Da qualche parte, nascosto tra la folla, doveva esserci
anche il sindaco Lopez, perché a
un certo punto lo si sentì esclamare “I miei elettori non saranno affatto
d’accordo!”. Whip cercò di assumere un’aria
sorridente e cordiale:
-
Sentite, non dobbiamo cominciare così il nostro rapporto. Vedrete che vi
tratterò benissimo, non avrete di che lamentarvi! Intanto vi aiuterò a
sostituire queste case malridotte…
-
Sei
tu che ce le hai ridotte male, STRONZO! – gridò
qualcuno.
-
…queste
case malridotte, dicevo, con ottime cucce ergonomiche.
Avrete tutti i comfort. La pappa sarà alle dodici e alle otto di sera. E mi dedicherò anche alla vostra preparazione e al divertimento.
Vi insegnerò dei bellissimi giochetti! Imparerete a
riportare i bastoncini e a saltare il cerchio. Per quanto riguarda la
riproduzione, poi, sceglierò gli esemplari migliori e organizzerò gli
accoppiamenti in modo che…
C’era un gelo crescente nella piazza. Gli abitanti già
sospettavano di avere a che fare con un tiranno, un idiota o un incapace; ora
si rendevano conto di essersi imbattuti in un pazzo. E legittimato dal Governo, per di
più. Quando
-
Ma
come fai a essere sicuro che i pirati che cerchi siano
proprio qui? – chiese una voce, guidata dalla folle speranza di dirottare
quella sciagura umana su qualche altra isola.
-
Oh,
molto semplice. – rispose Whip – Me
lo ha detto un uccellino…
-
CHE COSA? – ruggì un omaccione in prima fila – Vuoi dire
che c’è un traditore tra noi? Una spia?
La tensione si tagliava con il coltello. Era un momento
delicatissimo. Nella piazza si intrecciavano sguardi e
sospetti, tutti dubitavano di tutti. Solo Whip
avrebbe potuto, con una risposta accorta e ponderata, smorzare la tensione e
scongiurare lo scoppio di una colossale rissa.
-
Beh,
sì. – disse il viceammiraglio, sorridendo ingenuamente – E’
proprio quello che intendo.
Ci fu un rombo, ci fu un’esplosione di collera, insulti e
rabbia, ci furono cazzotti che volavano da ogni parte, polvere sollevata,
sangue e denti rotti, nel giro di pochi secondi. La piazza si trasformò in
un’arena gladiatoria. Sanji e Flea,
appena fuori dalla mischia, si videro costretti a un
po’ di acrobazie per schivare i corpi dei primi sconfitti, che volavano via dal
mucchio andando a schiantarsi contro il muro.
-
ORA
BASTA! GNARR!
Con il suo brusco intervento, Madera portò istantaneamente
la calma. Tutti gli occhi erano puntati su di lui quando
si fece avanti, andando a piantarsi proprio davanti a Whip,
che lo osservava curioso.
-
Lascia
in pace questa gente e vattene dall’isola, gnarr. –
disse il vecchio – Il colpevole che cerchi sono io.
-
Papà!
No! – gridò Flea slanciandosi in avanti, ma venne trattenuta da Sanji, che le
coprì la bocca con una mano e la tirò indietro.
-
Flea – le bisbigliò all’orecchio – è vero, è stato
lui. Sono tutti pirati, sia lui che i Giardinieri.
-
Ma che accidenti dici? – mormorò la ragazza, piangendo – Anche tu sei un pirata! Lasciami!
-
Flea, loro volevano ucciderti. Oggi.
-
Cosa? No, ti stai sbagliando, no, no! Loro mi vogliono bene!
-
Li
ho sentiti, stanotte. Complottavano in un vicolo con quella palla di lardo di
sindaco. Hanno arrembato loro la “Walrus Pride”. Parlavano di fare qualcosa che ti riguardava, che
doveva essere fatta per oggi. Dicevano che non dovevi
sospettare nulla.
-
Sanji – disse Flea, liberandosi
dalla stretta dell’uomo – oggi è il
mio compleanno.
Scappò via, e Sanji non poté fare
altro che restare, inebetito, a fissarla mentre si
allontanava. Tutto ciò che aveva sentito cambiava di significato. Ma Madera
aveva anche detto che gli sarebbe dispiaciuto non
vederla più. Quello che significava?
-
Papà!
-
Flea, gnarr, stattene lontana! – gridò Madera, e poi, rivolto a Whip – Lei
non c’entra, gnarr! Non provare a torcerle un
capello!
-
Non
mi è mai passato per la testa. La prego, continui il
suo discorso.
Madera prese un profondo respiro.
-
Sono
stato io a derubare la “Walrus Pride”.
Solo io. Gli altri erano… mercenari che ho assunto qua e là, gnarr, non so più dove siano. Se
vuoi una prova ti dirò una cosa che solo il colpevole
può sapere, gnarr. Il carico della “Pride” non è stato reso pubblico: ma io so, gnarr, che si trattava di duemila lingotti di agalmatolite marina destinati
alla costruzione di celle ad Impel Down. Visto? Sono
stato io, gnarr! Voi l’agalmatolite
la usate come nulla fosse, ma noi ne avevamo bisogno! Senza quella,
gnarr, il desalinatore non
avrebbe mai potuto funzionare! Voi del Governo ne avete
a mucchi, gnarr, e noi qui a crepare di sete perché
non possiamo pagarcela! Gnarr! Perciò
l’ho rubata! Contento? Sei contento? EH? GNARR?!?
Tutti gli abitanti di Eden
restarono paralizzati a sentire quelle parole. Non avrebbero mai sospettato
fino a che punto Madera avesse rischiato di persona per il bene dell’isola; ed
ora ecco che si sacrificava ancora per il bene di tutti. Whip,
intanto, ascoltava con un’espressione di vivo interesse.
-
Dunque, c’era dell’agalmatolite sulla “Walrus Pride”? – chiese.
Madera restò interdetto.
-
Razza
di imbecille, gnarr! –
sbottò – Vieni qua ad indagare, gnarr,
e non sai nemmeno questo?
-
Per
niente. Trovo estremamente noioso leggere tutti i
dossier prima di una missione.
-
Allora!
– gridò il vecchio, furibondo – Allora, gnarr,
vorrai sapere almeno questo! Riprenditi il bottino e vattene da questo
posto! L’agalmatolite è nascosta nel…
-
Eh
no, basta così! – esclamò il vice ammiraglio, facendo un rapido gesto.
Un orango scattò alle spalle di Madera e gli coprì la bocca
con una mano. Il vecchio si dimenava e urlava ancora, ma riusciva a produrre
solo suoni inintelligibili.
-
Mi
dispiace, ma sarebbe poco conveniente per me se lei
proseguisse questa frase. Vede, io non ho alcun
interesse nel sapere dove si trova la merce rubata.
-
Che
diavolo intendi, pazzo criminale? – gridò un uomo
nella folla, esprimendo i sentimenti di tutti.
-
Quello che ho detto. In realtà, l’unica ragione per
cui ho accettato questa missione era che volevo l’occasione di lavorare
per un po’ su questa meravigliosa isola. Diciamo che
la faccenda della “Walrus Pride”
è stata un ottimo pretesto. Certo, dovrò risolvere il caso, o ne andrebbe del mio prestigio presso il Quartier
Generale, ma non voglio farlo troppo in
fretta. Il mio vero interesse è puramente scientifico, e riguarda il vostro bellissimo Giardino e la nascita ventennale del
Frutto del Diavolo. Proprio in questo momento, la mia spia lo avrà certamente
già localizzato e presto me ne comunicherà la posizione. Quando
lo avrò, potrò condurre i miei esperimenti.
La folla fu scossa da un brivido a sentire quelle parole,
vedendo il fantasma di altri vent’anni
di miseria nel proprio futuro. Flea fu l’unica a
restare smarrita. Lei non sapeva nulla di Frutti del Diavolo nel Giardino.
Cos’era quella storia?
-
Chi
è questo traditore? – urlò qualcuno – Che razza di uomo
può essere tanto infame?
-
Temo
che lei si stia sbagliando, signore… - cominciò Whip.
Da qualche parte si sentì un frullare di ali.
-
…io
non ho mai detto che fosse un uomo.
Un grande uccello verde volò sulla piazza. Flea alzò lo sguardo e sentì una stretta al cuore.
-
Paradosso…
– mormorò.
-
Buondì,
capo! – starnazzò l’uccello – Ci si rivede! Che sollievo tornare a parlare normalmente!
Whip lo salutò con ampi gesti.
-
Paradosso,
vecchio mio, mi sei mancato! Vieni qui!
Il pappagallo atterrò con precisione sulla spalla del
viceammiraglio.
-
Allora,
capo, come procede?
-
Tutto
bene. Se tu hai trovato il Frutto…
-
Ho
visto dov’è! Ti ci posso portare anche subito. E’ un po’ lontano, però.
-
Nessun
problema. Ci muoviamo subito, stabilirò la mia base
nel Giardino. Piuttosto, dimmi…
Whip e Paradosso continuarono
a chiacchierare amabilmente. Nel frattempo, Flea era
distrutta. Quanto era stata ingenua, quanto era stata stupida, pensava, stringendo i pugni.
Aveva accolto in casa quella spia di un uccellaccio, l’aveva introdotto proprio
nei luoghi in cui voleva arrivare. Al cantiere, nel Giardino. Per forza quel
pennuto se ne andava sempre per i fatti propri, faceva
le sue ricognizioni! Nessuno avrebbe potuto immaginare una cosa del genere
trovando un uccello un po’ spennacchiato davanti alla propria casa, ma questo
non aiutava la ragazza a sentirsi meno in colpa.
Un nuovo essere apparve sulla scena, all’improvviso,
troncando il filo dei suoi pensieri e attirando l’attenzione dei presenti. Un
omaccione peloso e nerboruto con un curioso cappello calcato in testa spuntò da
una viuzza e corse al fianco di Whip. Un’apparizione
che sorprese tutti, nella piazza, tranne una persona, che quell’essere
lo conosceva bene.
-
Chopper!
– esclamò Sanji – Sei vivo!
La renna non gli prestò la minima attenzione. Invece si mise
sull’attenti e batté i tacchi (anche se scarpe, a dire
il vero, non ne aveva) davanti al viceammiraglio.
-
A
rapporto, signore! Le cavie sono fuggite!
-
Fuggite, dici? – fece Whip, sorpreso – E come hanno fatto?
-
L’uomo
di gomma ha sfondato la porta della cella, signore. Hanno messo KO molte delle
nostre truppe speciali. Ho cercato di fermarli, ma la donna dalle molte braccia
mi ha immobilizzato e sono riusciti a scappare.
Sanji era corso vicino per sentire
meglio, ma quello che sentiva non gi piaceva per
niente.
-
Chopper!
– gridò – Che stai dicendo? Parli di Luffy e Robin? Sono vivi anche
loro? Se fai finta di essere così obbediente per paura di quel pazzo e delle
sue bestiacce sta’ tranquillo, ci penso io a
stenderlo!
Lo sguardo di Chopper era vuoto.
Rispose con voce piatta:
-
Non
so chi lei sia, ma la prego di non intralciarci.
Questa è un’operazione di polizia.
-
Chopper…
Lo sguardo di Sanji passò dalla
renna a Whip.
-
BASTARDO!
– gridò, saltando contro l’uomo a gamba tesa, dritto contro il suo volto – CHE
COSA GLI HAI FATTO?
Whip restò immobile al proprio posto,
tranquillo. Dalle pieghe del suo ampio mantello di pelliccia guizzò fuori
qualcosa che puntò dritto alla gamba di Sanji. Il
pirata gridò di dolore e mandò il suo calcio a vuoto, per poi rotolare a terra,
stringendosi il polpaccio tra le mani. Un serpentello
minuscolo guizzò via e tornò ad annidarsi tra le vesti di Whip.
-
Brava,
Lilly. – disse lui, sorridendo – Brava ragazza.
-
Stronzo…
– balbettò Sanji, che già perdeva le forze a causa
del veleno.
Conosceva quell’animale, il serpente giallo del deserto.
Ricordava che, ai tempi di Alabasta,
Bibi li aveva messi in guardia contro quei rettili. Diceva che erano la cosa più pericolosa che avrebbero
incontrato nel suo paese, dopo le tempeste di sabbia, il sole cocente, gli
scorpioni giganti, i coccodrilli banana, un altro centinaio di animali dotati
di veleno, zanne o entrambe le cose, gli scagnozzi della Baroque
Works e ovviamente Crocodile stesso. Comunque, come ciascuna delle cose sopra citate, anche il
morso di quel serpente poteva essere mortale.
-
Le
cavie sono scappate, eh? – fece Whip, pensieroso – E
adesso che faccio?
-
Prendi
quella ragazza, capo! – esclamò Paradosso, accennando con un’ala a Flea – Anche lei andrà benone. Fidati.
-
Paradosso!
– gridò Flea, incredula a quel nuovo tradimento.
-
Davvero?
Bene, signorina, venga con me, allora. Suvvia.
-
Neanche
per sogno, MOSTRO! – gridò Flea, e corse, in lacrime,
da suo padre Madera, ancora tenuto immobile dall’orango di prima.
-
Oh.
E’ un problema. Come posso fare a convincerla? Ah, ecco! Signorina, la prego di
seguirmi, o sarò costretto ad abbattere il vecchietto a cui sembra affezionata.
Che ne dice?
L’orango che stringeva Madera si portò una mano alla gola e
fece un gesto molto eloquente. Flea, incredula, chinò
la testa e acconsentì a seguire Whip senza più dire una parola.
-
Col
cazzo che ti lascio portar via anche lei, stronzo!
Sanji, furibondo, saltò contro il
viceammiraglio con le sue ultime forze, ma venne
aggredito e azzannato dalla tigre Sylvia. In condizioni normali si sarebbe
sbarazzato di lei facilmente, ma il veleno gli stava
togliendo tutte le forze. Altri animali gli saltarono addosso, sempre di più.
-
Flea! – gridò – FLEA!
-
Bravi,
ragazzi, continuate così. – disse compiaciuto Whip – Tenetelo buono.
-
Sai,
capo, - cominciò Paradosso – mi stupisce sempre vedere
quanto tu possa essere crudele con la gente. Con noi sei
molto gentile e comprensivo.
Il viceammiraglio rise cordialmente.
-
Beh,
mi sembra ovvio! – rispose – In fondo sono solo esseri umani.
Il suo piccolo corteo si allontanò, con Chopper,
Madera e Flea. Sanji
continuò inutilmente per qualche minuto a lottare contro la massa di animali che tentava di sopraffarlo, poi le ultime forze
lo abbandonarono e lui cedette. Smise di resistere al dolore e perse
conoscenza.
-
Uh?
Devo solo mangiare questo… coso?
In uno dei terrazzi più alti del Giardino, un’incredula Flea era stata messa di fronte a
una scelta curiosa. Mangiare un buffo frutto con la buccia a ghirigori o
lasciare che suo padre venisse ucciso. Beh, non
credeva che salvarlo sarebbe stato così facile.
-
Lo
faccio subito. – disse – Poi tu però lascerai andare
mio padre, vero?
-
Naturalmente,
signorina. – annuì Whip – Per un ufficiale, ogni promessa è debito.
Flea si accinse ad
addentare il frutto. Insomma, pensava, perché aveva dovuto costringerla con
quelle maniere a fare una cosa tanto semplice? Sicuramente, mangiare un
semplice frutto non poteva comportare alcun
rischio. Il fatto che Whip l’avesse coperta di elettrodi e misteriosi strumenti di misura e che fosse
immediatamente corso al riparo non appena lei aveva accennato a dare il primo
morso non scuoteva questa sua solida convinzione.
-
Non
farlo, Flea! – gridò improvvisamente Madera.
Dimenandosi furiosamente, era riuscito a inciampare
trascinandosi dietro il suo orango carceriere, e quindi si era temporaneamente
liberato – Quello è un, gnarr, Frutto del Diavolo!
-
Vuol
dire che se lo mangio acquisterò dei poteri speciali?
– disse Flea, squadrando il frutto – Forte!
-
No,
Flea! Gnarr! Non devi
mangiarlo! Chi ha già mangiato un Frutto esplode se ne
mangia un altro, gnarr!
-
Stia
zitto, razza di… vecchiaccio! – intervenne Whip, allarmato.
-
Beh,
che vuol dire? – fece Flea – Io mi
trasformo in albero, è vero, ma sono sicura
di non aver mai mangiato un Frutto del Diavolo, quindi…
-
TU
HAI MANGIATO UN FRUTTO DEL DIAVOLO, GNARR, RAZZA DI CRETINA! COM’E’ CHE HAI
VENTIDUE ANNI E ANCORA NON L’HAI CAPITO, GNARR?
Flea restò sbigottita e lasciò cadere il
Frutto. Più della morte orribile che aveva appena sfiorato la lasciava di
stucco quella rivelazione del tutto inaspettata.
-
Io…
cosa…? – mormorò – Papà, perché non me lo hai mai…
-
E’
una lunga storia, gnarr. – sospirò Madera, sfinito –
Tu hai mangiato il Frutto di Woo Woo, che permette, gnarr, di trasformarsi in albero. E’ successo vent’anni fa… gnarr…
L’orango che stava per afferrare
Madera e tappargli nuovamente la bocca si fermò senza una ragione precisa. Anche Whip, stranamente, non disse più nulla. Mentre
il vecchio cominciava a raccontare, il bordo delle vignette si fece nero e
partì il solito, immancabile, flashback.
Spero di non essere stato troppo
sbrigativo in questo capitolo – c’erano un sacco di fatti da raccontare e il
limite del concorso mi imponeva di non superare le
dieci pagine, che ho raggiunto proprio giuste giuste.
Quindi qua e là ho dovuto sintetizzare. Grazie, come al solito, a chi ha letto e a chi ha commentato!
X Smemo92: le tue ipotesi non le confermo né le smentisco, scoprirai tutto nel prossimo
capitolo che, come penso sia ormai chiaro, svelerà tutti i retroscena e la vera
storia di Madera. Notate le tre frasi, eh XD? Oda si diverte sempre a giocare
con le parole, e spesso si tratta di giochi purtroppo intraducibili; ho voluto
fare qualcosa di simile anch’io.
X lale16: bentornata e grazie
moltissime dei complimenti. Il dialogo con la sigaretta era un pezzo da veri
intenditori XD. Sinceramente, quello che mi è piaciuto di più
scrivere nel quinto capitolo. Mentre in questo sesto mi sono divertito praticamente con tutto. Comunque,
buona fortuna col campionato… di qualunque cosa si tratti… XD
E torna
l’angolo della pubblicità: sono online una drabble su Naruto (a proposito, Senboo,
se leggi, grazie per i tuoi commenti alle mie drabbles.
Se fai il cosplay annunciato, mandami una foto XD),
comica, dal titolo “La vera ragione – Pain’s
version”, seguito ideale de “La vera ragione”,
pubblicata più di un anno fa, e soprattutto le prime due poesie della raccolta
(sempre dedicata a Naruto) “Ma il silenzio urla sempre più forte”, raccolta
ispirata addirittura alla “Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters. Ciao a tutti, alla
prossima!