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Autore: MCR_24_9    12/08/2015    2 recensioni
Daimonas è un bambino speciale. Non è un bambino come tutti gli altri. Lui è figlio di un demone e riesce a vedere i demoni che ogni persona ha dentro di sé. La sua vita è molto dura e ben presto si renderà conto che non esistono santi, ma solo malvagità da estirpare. E questa è la sua storia.
Genere: Horror, Sovrannaturale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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                                        Capitolo 3



 
Buio, ecco cosa gli dava compagnia. Solo il buio e una piccola luce trovenire dalla finestra. Daimonas era rimasto rinchiuso li per due giorni. L'unica cosa che poteva fare era girare per la piccola cella. Era stato punito per qualcosa che non aveva fatto. Marcus,  uno dei bambini, aveva detto alle suore di essere stato picchiato da lui e tanti altri bambini lo avevano incolpato. Le suore credettero a loro e rinchiusero Daimonas, senza cibo nè acqua. E lui purtroppo non si è nemmeno potuto difendere. Nemmeno Albert poté fare molto, convinse le suore ad alleggerire un po' la punizione. Se non fosse stato per lui, Daimonas sarebbe rimasto lì per più di una settimana, alla mercé del buio, patendo la fame e la sete. Ma ciò che attanagliava il bambino non erano i morsi della fame, c'era abituato a quelli. Era la solitudine,  odiava rimanere da solo nel buio. Solo, con i suoi sentimenti, i poteri e i pensieri che lo tormentavano. Attimo dopo attimo sentiva l'odio e la rabbia crescere, ma non voleva che si manifestavano. Non sopportava quel dolore lancinante, come se bruciasse dall'interno e poi le corna, le odiava. Quando erano piccole, lui riusciva a nasconderle sotto il cappello,  ma quando cambiavano era impossibile. Lunghe e appuntite, affilate come due rasoi, le odiava. Voleva tanto poter uscire e affrontarle, quelle maledette suore! Ecco cosa voleva. Inculcavano odio negli altri bambini e non il bene del loro Dio che tanto pregavano. Dio.... probabilmente neanche esisteva. Tutti a pregarlo, tutti a credere in sciocchezze, in false parole scritte da mani corrotte. 'Non c'è niente di buono in esse, solo pregiudizi infondati!' pensava. Era l'unica cosa che poteva fare, che ancora non gli era stato tolto: pensare con la propria testa. Nessuno poteva sentirlo, nessuno poteva punirlo per ciò in cui credeva. Con Albert aveva imparato la storia, sopratutto della Chiesa e di quello che tutti chiamavano Dio. C'era sempre stato del marcio in tutto quello e nella gente che professava quelle parole. Ma nessuno riusciva a vedere ciò che l'animo nasconde. 'Solo io posso'. Ma non era facile e oltretutto era doloroso. Scosse la testa e si alzò dal letto andando verso la finestra. Guardò fuori cercando di calmarsi un po'. Non doveva farsi sopraffare dal dolore, dall'odio e dalla solitudine. Lui non era solo, c'era Albert. Lui lo avrebbe aiutato.  Ma in quel momento si sentiva in trappola. Non poteva neanche usare la chiave per uscire dalla finestra. Le suore la tenevano d'occhio. Suor Brunilde era al piano di sopra che girava per i corridoi vuoti, la poteva sentire camminare. Suor Agatha era in cortile con i bambini. Daimonas la poteva vedere, si era messa in un punto dove poteva controllare la sua finestra. E poi c'era suor Ada, massiccia come suor Brunilde. Si aggirava anche lei nei corridoi. L'unica che non c'era era suor Cecilia, l'aveva vista andarsene qualche ora fa. Daimonas non poteva fare nulla. Doveva aspettare che loro se ne andassero per poter uscire. Così decise di guardare dalla finestra attendendo il momento giusto.

Non dovette aspettare al lungo. Qualche ora dopo, il cancello si aprì e una macchina si fermò vicino. Da lì scesero suor Cecilia e una bambina. Aveva i capelli scuri, tenuti insieme da un fermaglio. Aveva un vestito turchese a spalline. Ai piedi due piccole scarpe malconcie. Ma la cosa che colpi Daimonas fu il suo sguardo così triste. Di colpo senti un'energia risvegliarsi e pervaderlo. Non si oppose, anche se faceva male. I suoi occhi divennero completamente blu. E alla fine lo vide. Era un demone di un blu scuro, era attaccato al suo cuore e, come un parassita, ne succhiava la linfa vitale. Era uno dei demoni del dolore, uno dei più tenaci a non lasciare il suo ospite. Per un attimo la bambina alzò lo sguardo e i loro occhi si incontrarono. Daimonas si nascose alla sua vista. Non per imbarazzo, ma perché non riusciva a guardarli. Quegli occhi, erano lo specchio della solitudine e della tristezza.  Chiedevano disperatamente aiuto. Daimonas si calmò e i suoi occhi ritornarono normali. Si avvicinò di nuovo alla finestra, adesso la bambina era ferma, lo sguardo rivolto verso il basso. Le suore erano tutte in giardino. Era arrivato anche il solito prete con due chirichetti e c'era anche la Madre Superiora. Parlarono per un po' poi si avviarono nella piccola cappella, per celebrare messa. Era il momento. Daimonas uscì la chiave e aprì la finestra. Se la mise in tasca, si aggrappò alla grondaia e si fece scivolare verso il basso senza farsi vedere. Molti dei bambini erano andati con le suore, in giro per il giardino c'erano solo lui due bambini muti e la bambina nuova. Daimonas voleva andare da Albert per dirgli quello che aveva visto, ma invece andò dalla bambina. Era in un angolo, con la schiena appoggiata al muro. Daimonas si avvicinò e si sedette vicino a lei.
"Ciao, come ti chiami?" le chiese. La bambina alzò lo sguardo e lui le sorrise. "Mi chiamo Sara. Sara Milton" rispose sorridendo debolmente.  "Tu come ti chiami?".
"Sono Daimonas,  solo Daimonas" disse sorridendo.  "Rimarrai qui con noi?". La bambina abbassò lo sguardo annuendo più volte.
"Sai, io abito qui da quando ero in fasce..." le disse.
"Come mai eri lì sopra?" chiese Sara indicando la finestra rimasta aperta. Daimonas non sapeva se dirle il vero, così lasciò che le parole scorressero da sole. "Quella è la mia stanza, sto lì dentro quasi sempre. Mi lasciano uscire poco".
"Quindi sei rinchiuso in trappola, proprio come me". Sara abbassò di nuovo lo sguardo, tornando di nuovo triste. Daimonas si alzò e le fece alzare lo sguardo. Sorrise mentre parlava: "So io come risollevarti il morale". Cominciò a fare capriole, salti e altre acrobazie.  Fingeva di cadere per poi rialzarsi di nuovo. Sara si mise a ridere, una risata dolce e scoppiettante. Daimonas si mise a testa in giù,  camminando sulle mani avanti e indietro. Ad un tratto il cappello gli cadde a terra mostrando a Sara le corna. La bambina smise di ridere, ma rimase a guardarlo.  Il bambino perse l'equilibrio e cadde. Riuscì a riprendere il cappello e così coprire le corna, ma ormai il danno era fatto. 'Le ha viste, adesso avrà paura di me e mi odierà'. Si mise a sedere tenendo lo sguardo sull'erba. "M-mi dispiace" cercò di dire. Sara si avvicinò, lo fece alzare e gli tolse il cappello. "Ti prego, no. Non le guardare" le disse, ma la bambina continuava a fissarle. Daimonas si costrinse a guardarla, notò che nel auo sguardo non c'era paura e nemmeno odio. Era un misto di sorpresa e curiosità.  'Non le faccio paura?' si chiese incredulo. 'Tutti hanno paura di me, perché lei no?'. Sara avvicinò un dito sfiorandole. "Sono vere?" chiese. A quel tocco, Daimonas si ritrasse, indietreggiando di qualche passo. "Io..." cercò di dire qualcosa, ma il suono delle campane lo allarmò. Doveva tornare nella sua cella, e in fretta. Fece per andarsene, ma la bambina gli prese il braccio, vedendo le lunghe cicatrici. Il bambino si girò e le afferrò le mani. "Ti prego, non glielo dire" la implorò. "Non dire loro che io ero qui". Non aspettò risposta. La lasciò e si mise a correre verso il muro. Si arrampicò sul tubo e come un gatto rientrò dalla finestra chiudendola dietro di lui. Nascose la chiave e si sedette sul letto. Si prese la testa tra le mani e pianse. Lacrime silenziose e calde gli rigarono il viso. 'Non voglio che lei mi odi' si ripeteva. 'Non voglio che anche lei mi odi. Non voglio più tutto questo odio. Basta! Non voglio essere più solo!'. Così si lasciò andare alle lacrime, aspettando che venissero per infliggergli altro dolore.


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