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Autore: MardukAmmon    13/08/2015    1 recensioni
"Ahriman così, sporco dalla barba fino ai piedi di sangue umano, uscì fuori, presentandosi al suo popolo come un orso, che con la preda tra le fauci si esibisce davanti alla sua prole.
Alzò la lancia al cielo e disse: Non esiste Deywos , ne Dei del cielo, che può avvicinarsi alla mia potenza, non esiste forza che non può incarnarsi in me."
Queste furono le parole dette dal Re senza scettro, signore della pianura solcata dai tre fiumi. Il suo sangue era nobile, ma non il suo animo, che ambizioso e scellerato lo portò a mettere in ginocchio la terra dove lui stesso nacque, soggiogandola con eserciti stranieri alla ricerca di gloria. Solo due luminose stelle, protette dallo sguardo degli Dei, potranno ridare agli uomini la speranza perduta, in quella lunga notte, alla fine dell'età dell'Argento.
Genere: Fantasy, Guerra, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza
Capitoli:
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Un Re ed un principe Nero.

 

Il giorno dell'incoronazione, tutte le grandi famiglie della pianura, gli Enarei, discepoli dei Bhagavadi chiusi nel tempio in attesa, le armate a cavallo, ferme davanti al fiume con i visi rivolti verso la strada sacra diretta a Levca, attendevano la venuta del principe andato nella caccia rituale insieme ai sei Mahavir, ora visti arrivare da nord ovest a cavallo.

Il rosso Ohrmazd, nudo con solo una pelliccia d'orso sul capo lunga fino alla schiena, in sella al suo amato cavallo pezzato, bianco e marrone, attorniato dagli altri principi delle sei città ritornarono a vedersi vicini all'orizzonte, a fianco, alla sua destra v'era l'anziano Vohu Manah degli Ariomadi principe di Ekwhburg, vestito di bianco e arancione, dalla grigia barba e dagli occhi color del mare accompagnato da mastini fedeli, il secondo; Asha Vahistaa dei Bacchiadi, reggente di Yamhpur, alla destra del primo principe ma indietro, fungendo da angolo in quell'esagono ideale formato dai Nobili a cavallo, anche lui anziano canuto dagli occhi celesti , vestito di pelli pitturate di rosso e nero, teneva nella mano mancina uno scettro di legno dalla testa equina, alla sinistra di Ohrmazd, indietro, all'altezza del secondo Mahavir, v'era il terzo, il più giovane dei principi, Xshathra dei Boiari, il biondo barbuto dagli occhi di cielo, coperto di lana e pelli vaccine, signore di Kuhburg città dai numerosi buoi, cognato dell'aspirante Re; dietro al terzo a cavallo c'era la quarta principessa, Signora di Ecsapils, città delle sei torri, lei era Armaiti dei Ghermanni, anziana ma bellissima, dal capo coronato di fiori azzurri e dai capelli bianchi color argento, gli occhi del medesimo colore dei fiori emanavano pace e gioia; ancora più indietro, lungo la retta che legava il vertice dell'esagono composto da Ohrmazd e Vohu Manah affiacati a formare il polo opposto v'era la quinta principessa, Ameretat dei Luciensi, la Signora della forte e iraconda Kwetupur sempre pronta a prendere le armi, lei dai capelli rossi e dalle iridi cerulee, vestita di porpora e decorata di fiori viola e gialli, con la sinistra teneva un pugnale d'osso; la sesta principessa, alla stessa altezza della quarta, a cavallo di un equino bianco come il latte era Haurvatat dei Galageni, dai capelli biondi, giovane e radiosa, Signora di Levca, conoscitrice degli oracoli, studiosa dei moti delle acque lacustri, mistica sublime e custode dei misteri segreti di Demeter. Al centro di quel nobile esagono c'era la fiera catturata nelle praterie, una giumenta bianchissima con sei corde al collo, tenute da tutti i Principi con la mano destra. Il nobile popolo in armi vedendoli ormai vicini, incominciò ad esultare dicendo: Yanu Triumpe!

Ohrmazd!Triumpe!Triumpe!Triumpe!

E quando i nobili Cacciatori arrivarono davanti al corteo, ai suoni dei flauti partirono verso le imponenti porte della cittadella Tempio. Ai lati dell'ampia strada sacra i cittadini in armi, arrivati dalle regioni della pianura vicine, riversatisi a frotte, salutavano principi e principesse gettando ghirlande di fiori sul terreno e gridando: Toutadivos!Triumpe!Triumpe!Triunpe; all'unisono, anche il Sole alto nel cielo, insieme alle numerose famiglie nobiliari armate e gaudenti, salutava l'aspirante Re, diretto fin sotto le ampie porte delle mura a pianta trapezoidale con i due lati obliqui della stessa lunghezza.
La città Templare, rivolta fin dalla sua fondazione verso la levata mattiniera del sole, spalancò le ampie porte al corteo reale, davanti a loro si aprì la vista di quel tempio gigantesco, unico edificio che, costruito in una città con quella forma, ne prese tutto lo spazio necessario. Sorretto da ben trentasei pilastri, composti da tronchi di legno altissimi, la sua pianta era circolare; il tetto era una c una cupola con un foro al centro, coperta da sterpaglia, canne secche e rami; dietro le colonne, l'edificio possedeva una palizzata circolare che faceva da scheletro alle mura di fango e pietra su cui erano pitturati dei punti color rosso fuoco, posti a formare le dodici costellazioni della volta celeste . Le entrate erano due, sempre aperte, ma chiuse durante i periodi di guerra da due ampie porte di faggio: una si affacciava all'entrata della città e l'altra opposta, era rivolta all'uscita, dove ogni mattina il Sole faceva il suo ingresso irradiando la polverosa rossa terra sacra, pavimento incorrotto.
Arrivati alla soglia del portone cittadino v'erano, rispettivamente, ai lati della porta una fila di dodici guerrieri, armati di lancia e scudo, che a terra alzando la lancia verso il cielo li salutavano con fierezza e fedeltà, poi raggiunto lo spiazzo antistante al luogo sacro, i principi scesi da cavallo aiutati dagli scudieri e lasciate a loro le cavalcature presero a camminare verso il grande ingresso del Tempio, da dove si potevano vedere ben cinquecentosettantasei Bhagavadi, seduti intorno al fuoco rivolti verso l'entrata, intenti ad osservare i nobili signori ormai all'interno delle sacre mura.
L'aspirante Re prima di tutti fece il suo ingresso, ignudo se non per la sua pelliccia d'orso e si inchinò agli uomini santi e dicendo: Sono qui umile davanti a voi! O' Vati della Pianura giudicatemi, accetterò le vostre parole, come un umile figlio fa con l'anziano padre.
I principi, nel frattempo entrarono ponendosi dietro Ohrmazd, senza lasciare le corde con cui tenevano la cavalla nervosa, ora anche lei all'interno. Dietro al fuoco secondo la prospettiva dell'aspirante Re v'era una ampia coperta con sotto nascosto chiaramente un ampio cratere con altri recipienti.
Seduto tra i Bhagavadi si alzò una figura altissima, coperta da un mantello bianco e rosso, dal viso celato da un velo quasi trasparente: Oh! Ohrmazd degli Euriviri, conosciamo tutti la Lealtà che hai impersonato sui campi di Battaglia a Nord-est, contro i fratelli Turani, O' figlio di Yanu, Re della pianura sappiamo bene che conosci le leggi degli antichi, che io ho visto manifestarsi in Eoni di vita, Tu sei stato colui che ha calmato i nostri alleati a sud ovest, tu sei stato colui che ha fatto trattati commerciali con i popoli alle pendici dei monti che coltivano e combattono, tu hai sapientemente unito diplomazia e guerra, non sei stato crudele con i nemici ne sei stato loro alleato o amico, non sei stato avido con gli amici, ne sei caduto nel divenire prodigo e succube, quindi o figlio di Yanu perchè non darti questo titolo che ti spetta di diritto?.
E con queste parole, andando con entrambe le mani ad alzare il velo davanti agli occhi, mostrò il suo sguardo millenario, dai due diversi colori, il sinistro verde ed il destro azzurro, circondato da un viso dai tratti taglienti, gli zigomi erano alti e dalle gote scendeva una folta barba bianca.
Il Principe Ohrmazd si inchinò nel silenzio più totale, sotto lo sguardo del popolo riversatosi nel tempio, l'anziano capo spirituale dei Bhagavadi annuì e continuò: Principi portatemi la giumenta, Bhagavadi voi prendete il miele, la larga coperta di lana ed un cratere con il forte idromele fermentato.
E così fu, il cavallo venne portato davanti al fuoco al fianco di Ohrmazd, ora a ben otto passi dai principi, dodici Bhagavadi presero la grande coperta, uno solo portò nelle mani del Santo Anziano la terracotta piena di miele e l'ultimo spostò il pesante recipiente con l'idromele davanti al cavallo che prese a bere quel pesante intruglio, ingannato dal sapore troppo zuccherato e da varie sterpaglie gettate nella mistura.
L'altissimo Anziano dagli occhi bicromi prese la terracotta e mettendovi dentro le decrepite dita cominciò a passarsi il miele tra esse, poi attraversato il fuoco a piedi scalzi senza bruciare ne nella carne ne nelle vesti, si pose davanti al futuro Re dicendogli:Sorgi!.
Ohrmazd allora si alzò in piedi, uguagliando quasi in altezza l'anziano dallo sguardo Divino e con queste parole cominciò a passare la mano destra sul viso barbuto dal crine rosso come le fiamme scendendo poi lungo il collo, con estrema lentezza, intingendo nuovamente le falangi nel miele ad ogni passata per non far seccare l'unguento, ne tra le proprie dita ne sulla pelle del nobile ora divenuta lucida fin sopra le clavicole, continuando poi anche sulle spalle ampie, alle forti braccia ed alle mani possenti, passando dopo sul petto, facendo attenzione a spargere il miele sopra la sede del cuore, fulcro, insieme al capo, nell'essere umano originario.
Ohrmazd tenendo sulla testa e sulla schiena ancora la pelliccia d'osso non si mosse lasciandosi passare il nettare sacro preso dai fiori di Levca, consentendo al Signore di scendere sul ventre scolpito da numerose battaglie; il miele diventato ora nutrimento dell'anima preparava il corpo al superamento della sua forma umana più bassa e mortale. Nessun segno di disappunto venne detto dall'aspirante Re in silenzio quando le dita arrivarono fin sotto la cintura, consacrando così anche la sua progenie, poi il Vate prima di abbassarsi per arrivare con gli arti al bacino arrivò a dire: Prendi il recipiente tra le mani. L'aspirante Re pose le mani chiuse a coppa all'altezza dello sterno dove il Sacro anziano mise il piccolo vaso, intingendo la mano sinistra ancora asciutta, la mancina andò sopra la coscia destra e la destra sopra la coscia sinistra scendendo fino alle ginocchia. L'Anziano, abbassatosi fino a rivolgere il viso al recipiente, poggiato sui palmi del possente Ohrmazd passò le falangi sulle gambe scendendo fino ai polpacci, arrivando alle caviglie e li dopo aver intinto per l'ultima volta i polpastrelli in quel vaso ormai quasi svuotato dell'inguento, continuò dal collo del piede alle falangi. Il cavallo mentre, finito di bere quell'intruglio venne liberato dai principi che gettarono a terra le corde, l'anziano signore rialzatosi, togliendogli il vaso tra le mani, disse al principe: Ora puoi unirti alla tua sposa, lei ti sta attendendo.
Un Bhagavadi, barbuto e vestito di pelli d'equino prese un'ascia di pietra con un filo di rame, la diede al signore Antico con ancora le mani sporche di miele che si avvicinò una cavalla e alzando l'ascia al cielo, gridò: Woranos accetta il Sacrificio!.
E detto ciò colpì con forza il collo della giumenta, facendola crollare a terra in un mare di sangue, restituì l'arma al Bhagavadi e spingendo con forza il Re sopra l'equino in fin di vita ordinò: Gettategli il telo di sopra!.
E così fecero, coprendo ai presenti la vista di quel coito tra la cavalla albina ed il Re, trascinatosi per diversi minuti lungo i quali i presenti cantavano a bassa voce canti antichi verso gli Dei, troppo sacri da poter raccontare. Quando uscì da sotto il telo la figura nuda, sporca di sangue, di terra. dalla pelle lucidata dal miele, dai chiarissimi occhi azzurri, brillanti sul volto infiammato dal sangue e dal lungo crine fulvo, il popolo tutto esultò fragoroso:
 

“Reges! Triumpe!Triumpe!Triumpe!

 

Ohrmazd!Triumpe!Tiumpe!Triumpe!

 

Toutadivos!Triumpe!Triumpe!Triunpe!”

 

E lo dissero alzando la destra verso l'alto con le dita della mano unite, protese in avanti e anche i guerrieri armati elevarono la lancia come proiezione del braccio; tutto il popolo, dai fieri soldati, ai principi, ai Bhagavadi, all'anziano Vate immortale fino al vecchio padre cieco ormai senza potere gli resero omaggio. fu in quel momento solenne che, acclamato Re dalla tribù, Ohrmazd vide avvicinarsi il padre Yanu con in mano lo scettro tenuto precedentemente da Asha Vahistaa e porgendoglielo disse: Ora tu sei Re.
Quel giorno di gioia venne celebrato in un lauto banchetto fuori le porte della città, le ampie tavole preparate per l'avvenimento vennero allestite per tutti i presenti e coloro che erano rimasti fuori durante il rito per la troppa calca si sedettero al fianco del Re e dei capi anziani delle famiglie nobiliari, e davanti a loro venne servita la carne divina della Cavalla bianca, diventata per qualche attimo compagna del Re, buoi, maiali e tante altre pietanze riempirono per due interi giorni le tavolate di quella festa passata all'insegna della gioia e della vita.

Una settimana dopo l’incoronazione, il Re Ohrmadz si concesse un attimo di riposo sui camminamenti delle mura di Yamhpur , maestose, alte, con alla base grandi tronchi di faggio separati l'uno con l'altro da fango essiccato, coronate da otto torri dai tetti quadrati a piramide coperti da giunchi secchi e orgoglioso della propria terra, ponendo le mani sul parapetto cominciò a guardare le numerose tende degli artigiani, stallieri ed allevatori, sorte intorno alla mura, divise in sette quartieri concentrici, di cui il più esterno era protetto dal' alto terrapieno circolare e circondato da un canale pieno d’acqua segnava il termine del confine cittadino, interrotto dalla via sacra ed altri sette tratti di terra posti a raggiera e ad essa orientati. Gli occhi azzurri, fieri presero a guardare la via sacra che partendo dall’entrata arrivava oltre l’alto fossato; proprio lungo l’ampio viale v’era una fila di tre tronchi appuntiti per ogni lato, che risalenti fin dai periodi della fondazione primigenia erano adornati con ossa di animali sacrificati e condannati a morte perennemente mosse dal vento, esi servivano ad intimorire gli animi malvagi ed ad offrire agli Dei il sangue scaturito dalle loro carcasse, divenuto secolare vernice e tintura di quei tronchi imponenti e dall'aspetto oscuro, dove i corvi divini trovavano una casa. 
Il Sole ormai s'adagiava sull'orizzonte stanco del suo cammino lungo l'arco della giornata, quando proveniente da ovest, lungo la strada che portava dal fiume Dnepr alla via sacra, una figura nera a cavallo venne avvistata dalle sentinelle della città, anche Ohrmazd la vide, mutando di colpo l'espressione del viso, ora preoccupata.
Una delle sentinelle infatti osò dire: Mio Rege, quel cavallo e quel mantello è del principe Ahriman!
Il sovrano annuì e gli rispose : E' mio fratello, merita quanto me di sedere vicino a mio padre.
La voce sicura del Re calmò la sentinella che diede l'ordine di non bloccare l'uomo.
Ad ogni parte del Sole che scompariva nel cielo, la figura funerea del fratello si faceva più vicina, fino a quando, ormai alla soglia del crepuscolo, davanti agli occhi del Monarca si pose quella del principe che non era solo, ma teneva con se una bellissima donna dai capelli neri e dagli occhi color di prato. le prime parole che il Re Ohrmazd gli rivolse davanti alle porte furono: Ben tornato a casa Fratello e la donna che ti sei portata con te è la nostra benvenuta. Ma il tono risultò quasi stupito nel vedere quella donna così bella e giovane insieme a suo fratello, già gravida e persino prossima al parto, data la grande ampiezza del suo ventre. Ahriman allora guardò il fratello, scese da cavallo e aiutò i movimenti dalla compagna, rispondendo così alle parole del sovrano: Ti ringrazio della tua ospitalità, ma perchè mi guardi così? Non pensavi che sarei ritornato? Come sta la nostra famiglia? Saranno sei mesi che non ci vediamo, insomma da quando nostro padre mi ha mandato a Tur per sistemare la discordia che ha portato con la sua guerra; ma tranquillo porto messaggi di pace.
Le guardie aprirono le porte nel momento in cui, Ohrmazd dall'alto dei camminamenti, rispose: Sono stupito, perché non hai mandato nessun messaggero ad avvertirci, ma comunque sia, sei venuto in un momento delicato, nostro padre è caduto da cavallo, ha perso la vista.
Il giovane alzato lo sguardo verde e fiero verso il fratello rispose con voce stupita, arrestando il passo davanti alle porte spalancate: Perchè il senato non ha mandato dei messaggeri? Nessuno è venuto ad avvisarmi, ed ora chi ne ha preso il posto?
Il Re senza farsi attendere gli rispose: La pianura non poteva rimanere senza Monarca, hanno dato a me il compito di Reggere le sorti dei Vyr, ed Asha Vahistaa ha continuato a servire la città governando con me, proprio come prima faceva con nostro padre.
Ma Il fratello non prese bene ne la prima notizia ne la seconda, l'espressione del suo viso, bianco color latte, era furente, sconvolta e dopo aver attraversato l'entrata in rispettoso silenzio sbottò a gran voce contro Ohrmazd,: Non mi avete avvisato e neanche aspettato, che ho fatto a te fratello ed al consiglio del senato per essere trattato così da te e da loro?
Ohrmazd, vestito con pelli di lupo, ferito nell'animo scese dai camminamenti, arrivando a pochi passi di distanza dal consanguineo e dalla sua donna, prese aria e guardandolo negli occhi verdi esordì: Quando decisero di farmi divenire Re io neanche ne ero a conoscenza, lo volle il senato, sotto consiglio di nostro padre e del nobile popolo, ora Ahriman fratello caro e ingrato, non solo tu eri lontano per divertirti con questa donna, invece di stipulare una pace, dato che non vedo con te nessun legno che sancisca questo, quindi Ahriman, con che criterio rivolgi a me queste lamentele.
Sentito ciò il giovane fratello divenne furente più di prima, alzando la mano destra aperta: Ma non vedi, Re dal capo più duro d'un bufalo, non riconosci la donna che è qui con me? Non vedi che è Paukasta, figlia di Andrico, cugina di tua moglie Savitri? O sei stato così preso dalle lotte volute dal nostro scellerato padre, da dimenticarti una donna della nostra tribù, tenuta prigioniera in terre ora straniere e prima nemiche? Non hai sentito che prima ho detto che portavo notizie di pace?.
A quelle parole però il Re non seppe rispondere se non con una sola frase: Scusami fratello, ho molti pensieri per la mente, andiamo nella tenda di nostro padre, sarà felice di sapere la tua impresa.
Ahriman allora sentito ciò sorrise al fratello Ohrmazd e si strinsero l’un l’altro in un forte abbraccio, ed anche se stretti il Monarca continuò a dire: La tua donna è incinta dovrai sposarla al più presto se non vuoi che l'infamia possa raggiungere ingiustamente la tua prole.
Paukusta che stava li ferma a guardarli ascoltò quella frase e corrugando la fronte osò dire: Che infamia? L'Amore si può macchiare d'infamia? Quando mi unì a tuo fratello ero una prigioniera senza libertà di Turashid che mi scambiò come merce con tuo fratello, solo dopo scoprimmo entrambi la rispettiva identità.
Ma Ohrmazd staccandosi da quella stretta per salvarsi a quelle parole dette con stizzia rispose: L'infamia non è legata all'atto ma al nato, il matrimonio sancisce il ruolo sociale della madre e del padre rispetto alla prole e siccome la giustizia per definizione è giusta, allora un tuo matrimonio con mio fratello davanti alle sacre fiamme non porterà altro che ulteriore benevolenza dei nostri antenati, nel vedere la vostra progenie progredire secondo le loro sante prescrizioni, inoltre quando mio fratello sarà tuo sposo i vostri figli godranno della protezione dell'intera tribù, se nel disgraziato caso il mio testardo fratello decidesse di ripudiarti non sarai mai sola a doverli crescere.
Davanti a questa saggia spiegazione la donna non seppe rispondere senza annuire al Re di Yamhpur, solo Ahriman aprendo le labbra circondate dalla castana barba rispose: Fratello, non oserei mai ripudiare la mia donna, che è anche l'esempio della pace che ho conseguito, queste sono le leggi ed io le seguirò, non voglio che i mei figli siano bastardi.
La voce della donna era chiaramente fiera e altera, lei infatti proveniva da una delle più antiche e nobili famiglie della pianura, figlia dell’eroe guerriero Andrico, a pieno titolo, signore degli eserciti di Kuhburg, anziano appartenente alla più nobile genia fin da quando gli antenati scesero dalle bianche lande, cugina di Savitri come lei era promessa ad uno dei figli del Re Yanu, quindi entrambe erano candidate a diventare le Regine della pianura, le due cugine pareggiavano in bellezza, in animo nobile, in gentilezza e grazia, Paukusta, alta, dai capelli neri e dagli occhi verdi, sembrava l’opposto cromatico della cugina, invece biondissima e dagli occhi di un celeste glaciale e immenso.

 

Ormai calata la scura sera sul cielo limpido e terso di Yamhpur, La bella e fiera Paukusta, messo piede sulla piazza adiacente al portone d'ingresso rimase a guardare ferma quella città mai vista, i suoi occhi si posarono prima sul tempio di legno circolare, dove suo zio Bhagavad amministrava i sacramenti antichi, mirò i vari visi votivi messi sulle travi delle entrate, i vari volti umani e non, che imperterriti scrutavano e giudicavano chi oltrepassava la soglia del luogo casa del fuoco imperituro, passando poi con lo sguardo alla maestosa tenda reale, posta di fronte al tempio, davanti al ceppo, il trono dei Re, la tenda del sovrano era circolare, aveva ben otto pilastri di legno che sorreggevano il tetto basso coperto di fasciame essiccato e raccolto lungo il fiume Dnepr, i cui steli proteggevano il telo sottostante dall'umidità estiva e primaverile, i muri legati tutti intorno agli otto pilastri erano di dura pelle marrone, spessa e simile a quella delle alci, l'entrata era ornata di teschi animali, corna di cervo, cavalli e bisonti, ogni dettaglio di quell'ampia tenda faceva ricordare il ruolo del Re della pianura, quello di essere il capo caccia della tribù, il suo sostentare, il suo pilastro. Gli occhi color smeraldo non si fermarono li, lasciò perdere i due uomini che abbracciati entrarono dentro l'ampia tenda del sovrano e prese a studiare l'intera capitale, disposta in un ordine geometrico prestabilito, con ampie stalle e tende di pelli e legno abitate, tutto avvolte da quell'alone semplice e rigoroso, tipico della razza dei Vyria, abituati ai freddi inverni del nord. Ad ogni angolo dell'ottagonale muraglia v'erano raggruppate quattro capanne di fango e legna a formare un triangolo, lungo il lato adiacente alle torri di guardia ve ne erano tre, al centro la più grande ornata con teschi di cavallo, usata come stalla, le altre due più piccole vicine erano le tende delle giovani famiglie e l'ultima posta davanti alla stalla ne eguagliava l'ampiezza, ma l'uso era diverso, quella era la capanna del capo famiglia. Gli occhi della giovane continuarono a scrutare il luogo, vide tra ogni raggruppamento di capanne agli angoli delle mura un altra piccola struttura circolare, bassa, con il tetto coperto di canne secche e dalle mura pitturate con volti umani e animali tutti disegnati intorno, quasi a formare una catena, le entrate sempre aperte di queste capanne particolari erano rivolte verso l'interno del villaggio, verso il cippo reale e guardando li dentro la donna riuscì a vedere delle luci prodotte da piccole fiammelle alimentate da piccole lampade di ceramica con vicino delle statuette di fango più o meno grandi, l'unico punto dove non erano sorti questi tempietti familiari era lungo il solco nordest-nordovest sopra il quale solo la capanna Reale e la capanna del Fuoco potevano poggiare le loro basse fondamenta.
Persa tra i suoi pensieri e afflitta dalla nostalgia di casa rimase ad osservare quei tempietti familiari spiando inconsapevolmente due anziani prodighi a donare i loro sacrifici agli antenati, solo la voce di Ahriman la destò da quel torpore rivolgendosi a lei tenendo ancora parte del corpo fuori dalla tenda reale: Vieni, c'è mio padre che vuole parlarti, tranquilla, non è pericoloso, non ti farà nulla.
Allora la donna prendendosi coraggio entrò dopo il suo uomo, facendosi strada in quella tenda maestosa e vasta, arredata con gigantesche ossa di animali sconosciuti dalle ampie e lunghissime zanne, da giacigli caldi e puliti e con al cento una tavola ampia di legno circondata da cippi coperti di pellicce su cui erano seduti cinque anziani, dalle lunghe barbe bionde, Ohrmazd, ed il fu Re, canuto e barbuto diventato ora anche cieco, che esordì verso Ahriman: Ci hai messo troppo tempo e non hai mandato neanche un messo, come ti giustifichi?
Il figlio rimasto in piedi avvicinandosi al padre s'inchinò e cercò di prendergli le mani raggrinzite dal tempo: Le trattative sono durati mesi, quel Re, Turashid mi ha offerto pace, donne e schiavi a patto che con la scorta che mi hai dato lo avrei aiutato a soggiogare gli Altainarj che lo minacciavano ad est e che grazie a me ha soggiogato...
Ma prima che Ahriman continuasse il padre disse con rabbia: Schiavi? Li hai accettati? Perché vuoi rompere l'armonia che questa pianura ha da secoli! E perché lo hai aiutato a soggiogare i suoi nemici, rendendolo più forte, stai in silenzio ed ascolta, mi hai deluso, non vedi che ti ha usato come una loro pedina? Avrei dovuto mandare Ohrmazd, ma sarei rimasto da solo, dato che come figlio tu sei quasi inesistente!. Il giovane Ahriman replicò con la voce rotta dal pianto, scaturito dalle offese dette dal cieco padre: Non ho preso nessuno schiavo, come tu bene mi hai insegnato, ho seguito il vento della guerra come tu mi hai insegnato ed ho portato a casa i prigionieri, proprio come tu mi hai detto di fare, Padre, mi dispiace di non aver capito la losca trama dietro a quella richiesta di Turashid, ho errato a ritardare il mio ritorno, ora ti prego di perdonarmi.
Yanu, ascoltato il dolore uscito da quelle parole colme di vergogna strinse a sua volta le mani del figlio dicendogli: Hai fatto ciò che hai potuto, l'importante è che la pace sia ritornata.
Quel perdono fece sorridere il giovane dagli occhi verdi e dal crine castano, che muovendo le labbra sussurrò all'orecchio del nobile e potente padre: Gli ostaggi li ho lasciati nelle loro città, tranne uno, Paukusta di Kuhburg, la conobbi quando era schiava e non conoscendo la sua identità la possedetti più volte, ora lei è gravida, inoltre lei, insieme a Savitri sua cugina potrebbe rinforzare il legame tra le nostre due città. Il padre annuì al figlio: La dovrai sposare al più presto, ora fammela conoscere.
Sentendo l'anziano ceco, Paukusta si avvicinò abbassandosi in un inchino, prendendo il posto dell'amato ora al suo fianco: Oh Maestà Yanu, figlio di Jorwig e dagli antenati santi, eccomi sono Paukusta la donna di vostro figlio. Il Vecchio barbuto e dalla chioma rada e canuta non rispose, con le mani andò a toccarle il viso, poi il collo ed infine il ventre ormai gonfio, coperto come il corpo da lunghe vesti: Figlia mia, ancora tu non sei la sua donna, ma sono felice di vedere che abbia scelto te, mi ricordo quando alle feste Dionisiache tuo padre Andrico ti metteva sulle mie gambe, mi hai fatto sempre simpatia, i cuori buoni li vedo fin da quando sono ancora giovani, questo è quello che contraddistingue la tua Genia, uomini puri, donne buone, hai il mio permesso di stare con Ahriman,. E ridendo esordì ancora: Ed aiutalo a farlo tirare dritto. Ma l'anziano non era calmo in viso, l'angoscia era palpabile e tutti ne erano a conoscenza, cambiamenti repentini infatti, erano stati previsti dai saggi, l'ordine era stato rotto. Quando Ahriman e Paukusta si allontanarono per andare nelle tende della famiglia reale adiacenti alla Tenda del sovrano, Yanu esordì ai pochi Bhagavadi li presenti e verso il proprio figlio: Turashid non è riuscito a convincerlo a rimanere la.. ma perché?!! Avrebbe avuto un posto da Re, con figli e servitù, un principe di una terra sconfinata, nostra alleata, che dobbiamo fare? Ormai le mie membra cadono a pezzi, non passerò l'anno e tremo nel pensare di dare parte del mio potere, ad un anima così malvagia, o sommi Bhagavadi solo una cosa posso fare, dividere la mia mandria in due parti diseguali, cinquecentotré capi di bestiame li darò a te, Ohrmazd, mentre a tuo fratello ne darò quattrocentonovantasette , così, mio figlio prediletto, Ahriman non potrà governare su tutta la città, o ancora peggio su tutta la pianura, tu o mio figlio luminoso dovrai avere sempre l'ultima parola.

E nel cuore della notte i Bhagavadi, Yanu e Ohrmazd fecero un giuramento solenne.

   
 
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