The
moment I
knew.
“Non
saltiamo a conclusioni affrettate, va bene?!” fece Manuela.
Io annuii,
abbassando lo sguardo. Lei mi fissò, prima di dire:
“Senti un po’, conosco
quello sguardo, e tu stai decisamente saltando a conclusioni
affrettate. Stai
facendo bunjee jumping in un mare di ipotesi, salto con
l’asta fra quelle
peggiori, e tutte le altre discipline che comprendono un salto. Mi hai
capito?”
Questo mi fece scappare un mezzo sorriso.
Io
e Manuela eravamo rimaste fuori tutta la sera: non avevo voglia di
vedere
nessuno. Eravamo andate a mangiare in piazza, in una piadineria che era
stata
nostra alleata durante tutto il periodo scolastico: trovandosi di
fianco alla
biblioteca e a un tiro di schioppo dalla scuola, era il posto perfetto
per
mangiare fuori e poi mettersi a studiare. Eravamo sedute ad un tavolino
rotondo
molto in disparte, con le sedie arancioni che sprizzavano
un’allegria che non
avevo voglia di condividere.
Avevo
raccontato tutto a Manuela: dai miei sospetti, iniziati appena Diana
era
arrivata, alle voci, fino ad arrivare a quella telefonata. Lei non
aveva detto
molto durante tutto il racconto, ascoltandomi, come faceva sempre.
Quando avevo
finito, avevo ancora le lacrime agli occhi.
Lei
si
sporse sul tavolino e mi prese le mani. “Coco, lo so che il
doppio gioco può
sembrare l’unica spiegazione, ma io davvero non riesco a
credere che Luke si
stia comportando così. Non è il tipo,
capisci?”
“Lo
pensavo anche io.”
“E
non iniziare a parlare così, che se no ti raddrizzo il
profilo a furia di
sprangate sulle gengive. Che ne so, magari Diana è solo una
stronzetta
frustrata sessualmente che si inventa una storia del genere per far
rodere
d’invidia la sua migliore amica, anche lei
frustrata.”
“Tu
lo faresti con me?”
“Mai.
Sei la mia migliore amica, non si fanno queste cose!”
“Allora
non riesco a capire come Diana sia davvero la migliore amica di questa
Evie.”
“O
forse è lei che ha frainteso tutto. Magari Luke è
uscito con lei da amico, chi
lo sa. Magari dovevano dirsi qualcosa di importante e
privato.”
“E
allora perché inventarsi quella scusa?” chiesi io,
sempre più avvilita. Manuela
sospirò, cercando una soluzione. “Senti, io chiamo
Lucian. Vediamo se Luke era
davvero lì.”
“Hai
il numero?”
“No,
ma ce l’ha Calum. Me lo faccio inviare in un
baleno.”
Così
fece, e in poco era al telefono con l’amico di Luke. Mise il
vivavoce.
“Pronto?”
“Ciao
Lucian, sono Manuela.”
“Manuela…?”
“La
ragazza di Michael Clifford, abbiamo cantato Sad Song alla tua
festa.”
“Ah,
ecco! Scusami, conosco tante persone e i nomi non sono proprio il mio
forte.
Pensa che continuavo a sbagliare il nome della tua amica
Corinne.” Io e Manuela
ridacchiammo. “Sì, abbiamo notato che non sei
esattamente un asso di memoria.
Potresti farmi un piacere?”
“Certo,
di cosa si tratta?”
“Potresti
impiegare il tuo cervello smemorino in un relativamente immane sforzo
mnemonico
per ricordare se oggi Luke è passato da te?”
"Ehi,
quanti paroloni, mi metti in confusione. Comunque sì,
è stato qui una
mezz’oretta. Anzi, è appena andato via”
fece lui, quasi… evasivo?
“Quindi
non era con te, oggi pomeriggio?”
“No.”
“D’accordo, grazie mille. Ah, ti saluta Coralie.”
“Coralie?”
“Corinne.”
“Ah.
Ops.”
“Lasciamo
perdere, guarda” feci io sogghignando.
“Scusa!” disse lui, prima di salutarci e
mettere giù.
Io
e Manuela ci guardammo. “E va bene, era con Diana”
cedette lei.
***
Tornammo
dopo un’ora. Manuela continuava a lanciare occhiate tese al
cellulare,
armeggiava un attimo e lo rimetteva in tasca; ormai lo aveva fatto una
trentina
di volte, prima di decidere che era ora di tornare a casa. Non avevo
assolutamente voglia di affrontare la realtà, ma Manuela mi
aveva costretta,
minacciando di correre a casa e bruciare tutti i miei libri. A partire
da Harry Potter e Raccontami
di un giorno perfetto. Eh no, accidenti.
Entrammo
in casa che erano le dieci. I ragazzi erano seduti sul divano e
guardavano una
partita di calcio. “Wow, guardate chi si fa vivo! Non pensavo
di rivedervi
oggi!” fece Calum sarcastico. “E io che speravo di
non rivedere il tuo muso
fino a domani, pensa” fece Manuela con lo stesso tono. Calum
ci rimase male e
tornò a guardare la partita, mentre Manuela gli scompigliava
i capelli. “Sto
scherzando, amico” disse ridendo. “Luke
è in doccia se ti interessa, Coco. È
tornato poco dopo che ve ne siete andate” fece Michael. Io
annuii e Manuela mi
lanciò uno sguardo, indicando poi con un gesto il piano di
sopra.
Non
andare.
Ignorai
quella vocina fastidiosa e, anzi, mi ripromisi di chiamare Emmaline
più tardi,
come le avevo promesso di fare nel caso l'avessi sentita ancora.
Davvero
credi che questa sia la priorità,
mentre il ragazzo di cui sei innamorata ti tradisce con la sua migliore
amica,
che è mille volte meglio di te?
Sentii
un peso allo stomaco, mentre ero costretta a dargli ragione. Salii le
scale
lentamente, quasi stessi andando al patibolo, e arrivai in camera mia.
Luke era
appena uscito dal bagno, con un asciugamano attorno alla vita, mentre
si
asciugava i capelli con un altro. Mi vide dallo specchio e si
voltò
sorridendomi. “Ehi, piccola, eccoti! Dov’eri
finita?”
Se
si fosse preoccupato di chiamarti, lo
avrebbe saputo.
“Avevi
lasciato qui il cellulare, lo sapevi?” mi disse.
Avrebbe
potuto chiamarti su quello di
Manuela.
“Non
potevi chiamare su quello di Manuela?”
“Ci
ho provato, ma continuava a darmi segreteria telefonica. Sembrava quasi
che
rifiutasse la chiamata ogni volta. Ho tentato una cosa come trenta
volte, stavo
iniziando a preoccuparmi” disse lui. Improvvisamente capii il
motivo delle
occhiate furtive di Manu al cellulare: stava rifiutando le chiamate di
Luke. La
voce nella mia mente non disse nulla, chiaramente sconfitta, e la cosa
mi diede
sollievo.
Luke
si avvicinò a me e mi stampò un bacio sulle
labbra, allegro. “A cosa devo tutta
questa spensieratezza?” chiesi con un mezzo sorriso. Lui fece
spallucce. “Una
bella giornata” disse, vago e sorridente. Ah, già.
Chissà
come si è divertito con Diana.
“Basta,
ti prego…” sussurrai, mentre Luke tornava in
bagno. “Hai detto qualcosa,
piccola?” mi chiese. “No” dissi subito.
Non volevo che sapesse delle voci, anche
se forse parlarne con lui sarebbe stata la cosa giusta.
Lui
ha i suoi segreti, tu tieniti stretti
i tuoi.
Non
potei che dar loro ragione.
***
Il
mattino dopo, mi svegliai che erano le undici. Non avevo dormito bene,
nemmeno
un po'. Aprii gli occhi e sentii il braccio di Luke attorno ai miei
fianchi. In
un mattino normale, quel tocco mi avrebbe fatta sorridere, ma in quel
momento
no. Sapevo che era tutta una bugia. Mi chiesi quanto a lungo
mi avesse
preso in giro, mentre mi sentivo soffocare da quella stretta. Gli presi
il
braccio e lo spostai piano, per non svegliarlo, prima di alzarmi e
andare in
bagno. Mi stavo lavando la faccia, quando sentii delle mani
sui miei
fianchi. Sussultai, mentre Luke sussurrava alle mie spalle:
"Buongiorno,
piccola."
"Giorno"
dissi io, laconica.
Si
diverte a prenderti in giro.
"Posso
proporti una cosa?" mi chiese lui. Io annuii, senza guardarlo in
faccia,
concentrandomi invece sull'acqua che c'era ancora nel lavandino.
"Stasera,
io e te, cena fuori. Da soli. Ti porto alla Rosa
dei Venti. Ti piace l'idea?" mi chiese lui, abbracciandomi da
dietro.
Non
accettare, è un inganno.
"Ne
devo parlare con Manuela" dissi io. Lui mi guardò sorpreso:
era la prima
volta che non accettavo un suo invito all'istante. "Perché?"
"Ieri
mi ha chiesto di mangiare fuori con lei stasera, sai... Voleva andare a
trovare
sua sorella Teagan" mentii. Lui fece una faccia confusa. "Ma Manuela
è figlia unica" disse. Azz. "Cugina, volevo dire cugina."
"Va
bene. Se vuoi glielo chiedo io. Non ti avrà stasera, sei
mia" disse con un
sorriso, lasciandomi un bacio sul collo.
"Manuela
è un osso duro. Non cederà."
"Fidati,
sfodero gli occhi dolci. È un overkill."
"Overche
cosa?"
"Overkill.
Significa fare più di quel che serve per sconfiggere
l'avversario, fino a
sfiorare l'umiliazione."
"E
sei sicuro che con gli occhi dolci puoi sconfiggerla?"
"Al
centouno per cento."
Chissà
quanta altra gente ha sconfitto
con i suoi occhi dolci... Chissà con quante persone li
sfodera...
"Le
parlo io, ad ogni modo" decisi. Lui scosse la testa e
scappò.
"Vedrai!" fece. Io rimasi paralizzata. Sperai che Manuela capisse al
volo.
***
"Coco,
posso parlarti? Riguardo alla visita a Teagan" disse Manuela dopo venti
minuti. Io annuii e Manuela chiuse a chiave la porta, lasciandoci sole
in
camera mia. "Solo una domanda: chi è Teagan?" mi chiese
ridendo.
"Ho dovuto improvvisare!" mi giustificai. Lei si sedette accanto a
me. "So come ti senti. Cioè, non lo so, lo immagino.
Però prendi questa
cena come un bivio: se va bene, non dovrai temere nulla. Se invece va
male...
Beh, forse due domande inizierei a farmele."
"Cosa
intendi per 'andare male'?"
"Che
so, lui che parla spesso di Diana, lui che sembra distratto, lui sempre
al
telefono... Dai, hai capito."
"Sì,
sì, ho capito."
"Ci
andrai?"
"Non
lo so."
"Perché?"
"Ho
paura, Manu. Ho paura che possa andare male. Se... Se fosse distante,
se fosse
sempre al telefono, se non si presentasse nemmeno... Significherebbe
che
davvero non gli interessa, e che mi ha presa in giro. E io non sono
pronta a
sopportare un'altra beffa." Manuela mi abbracciò.
“Andrà tutto bene, Coco.
Vedrai che è solo un grande malinteso. E se qualcosa va
male, c’è la vecchia
Manu che ti difende, va bene? Se davvero va male, si pentirà
di aver anche solo
pensato al doppio gioco.” Io ridacchiai mentre la mia vista
si appannava per
via delle lacrime. Nonostante sapessi che qualcosa non andava, e che
Luke mi
tradiva con Diana, non riuscivo a fare a meno di aver bisogno di lui.
Patetica.
***
Durante
il primo pomeriggio non sembrava essere cambiato nulla e, anzi, facevo
fatica a
credere di aver scoperto davvero il segreto di Diana e Luke. Alla fine,
avevo
accettato la cena con lui, che mi era sembrato piuttosto entusiasta.
Eravamo
seduti sul divano a guardare un film, quando sentimmo un urlo dal piano
di
sopra. “Carol?!” chiamò Ashton,
allarmato, dato che la sua ragazza era l’unica
a non guardare il film con noi. “L’ho visto mille
volte, devo mettere a posto
camera mia” si era giustificata.
La
vedemmo correre giù per le scale con una scatola in mano,
trafelata. “Ragazzi,
guardate cosa ho trovato!” disse esaltata, mostrandoci la
confezione del
Twister. “Dov’era?! Pensavo lo avessi
perso!” fece Manuela. “Era
nell’armadietto di fianco alla scrivania, quello che non apro
mai!” spiegò
Carol. “Ci giochiamo? Vi prego!” aggiunse poi.
“Fra cinque minuti finisce il
film!” disse Calum. Carol si voltò.
“Muoiono tutti” disse solo. “Ma
è una
commedia romantica!” protestò lui, sconvolto.
“Muoiono tutti lo stesso.”
“Spero
tu stia scherzando.”
“Forse
sì, forse no, la verità io la so e tu
no” cantilenò lei. “È una
frase di Koda fratello orso 2?”
“Forse
sì, forse no, la verità io la so e tu
no.”
“Sì,
è una frase di quel cartone, la dice un procione”
disse Ashton ridendo. “La
prociona qui presente vuole giocare! Possiamo? Per favore!”
“Ci
lasci finire il film?!”
“Uff,
va bene” fece Carol con il broncio. Ashton – che
era di fianco a me, e teneva
un braccio attorno alle mie spalle – le porse una mano.
“Vieni qui, prociona”
disse ridacchiando. Lei obbedì e si sedette sulle sue gambe,
accoccolandosi
contro di lui e lasciando la scatola a terra. Lui le
circondò la vita con un
braccio, le stampò un bacio sulla fronte e
appoggiò il mento sulla sua testa.
Appena
il
film finì, Carol balzò in piedi, sbattendo contro
il naso di Ashton, che
gemette. “Scusa!” fece subito, mentre lui si
portava le mani sul viso. “Mi
sciono morscio la lingua, ascidenti!” esclamò
dolorante. “E come va il naso?”
“Fa
male pure quello.”
“Scusami
tanto!” disse Carol mortificata. Quando Ashton si riprese,
lei tornò a farci
vedere la scatola del Twister. “Ora giochiamo, per
favore?” fece impaziente e
trepidante come una bambina.
Mezz’ora
dopo, eravamo in sei su un tappeto per quattro. Io e Manuela eravamo
una cosa
sola, non si capiva più dove iniziava una finiva
l’altra. Dal groviglio,
sbucava una mano o una gamba, e nessuno avrebbe saputo dire a chi
appartenessero. Michael era il più tranquillo di tutti:
piede sinistro sul blu,
piede destro sul verde, mani staccate; in poche parole, era in piedi a
braccia
incrociate e ci guardava divertito, mentre io e Manuela cercavamo di
non
cadere. Diana era relativamente comoda, appoggiata di fianco a me su
tutti e
quattro gli arti e a pancia in su. Calum aveva una gamba che scivolava
sotto la
schiena di lei e la mano da qualche parte sotto di noi: nemmeno lui se
la stava
passando bene. Carol, la più furba, si era messa in un
angolo, così da non
venirci addosso, ed era in equilibrio su due mani e un piede. Ashton,
Madison –
che era stata eliminata - e Luke si godevano la scena dal divano,
mentre il
bandanaro girava l’ago sul tabellone. “Ashton,
muoviti, non mi sento più la
gamba” disse Carol sofferente. “E
perché? È così bello vedere
l’ago che gira!”
“Datti
una mossa, o ti infilo le bacchette tu sai dove e te le faccio uscire
dalla
bocca” lo minacciò, con la solita grazia, Manuela,
che aveva appoggiato la
testa sul mio ginocchio, stremata. “Carol, mannaggia a te e
alla tua idea di
giocare a Twister” disse. “Ti vuoi ritirare,
tesoro?”
“Io?!
Ma sei matta?! Col cavolo che lascio vincere te!”
“Allora
risparmia fiato e energie, ne hai bisogno a quanto vedo.”
“Giuro
che prima o poi ti ammazzo nel sonno.”
“Coco
– le interruppe Ashton, divertito – Mano sinistra
sul rosso.” Io mi guardai
intorno. “Sono tutti occupati!” mi lamentai.
“Ce n’è uno libero dietro di
me!”
disse Diana. Io presi un gran respiro per farmi forza, districai la
mano
sinistra dal groviglio di corpi che eravamo io e Manu e scavalcai
Diana, che si
abbassò per permettermi di fare meno fatica. “Ahi,
la gamba!” disse Calum. Fu
un attimo: lui ritrasse in fretta la gamba, nello slancio
andò a sbattere
contro Manuela, lei travolse Carol e me e io crollai su Diana,
assestandole una
gomitata in pancia.
In
mezzo alle risate generali e all’esultare di Michael, che
aveva vinto, vidi
Luke venirmi incontro. Gli rivolsi uno sguardo felice… prima
che lui mi
scavalcasse e raggiungesse Diana. Il mio sorriso morì
all’istante.
Che
ti aspettavi? Non sei più la sua
priorità. Hai fatto male alla ragazza di cui è
innamorato. La ragazza con cui
ti tradisce.
“Stai
bene?” lo sentii chiedere a bassa voce. “Mi fa
male” rispose Diana. Non potevo
vederla, era nascosta dietro Luke, ma sentii allarme nella sua voce. Ci
fu un
istante di silenzio, poi: “Vieni” fece lui,
aiutandola ad alzarsi e portandola
in cucina, nel silenzio attonito di tutti quanti. Io avevo lo sguardo
perso nel
vuoto. Improvvisamente, una mano pallida, con un tatuaggio a X sul dito
medio,
occupò la mia visuale. “Ti sei fatta
male?” mi chiese Michael. Io scossi la
testa e afferrai la sua mano, mentre lui mi issava. “Ma che
succede fra quei
due, si può sapere?” chiese Calum, confuso.
Origlia.
Fatti ancora del male.
No.
Non lo volevo sapere.
Forse
avevo fatto davvero male a Diana, chissà. Magari aveva una
rara malattia alla
pancia di cui solo Luke era a conoscenza, e così si era
preoccupato subito.
Questione di priorità, no? La salute viene prima di tutto,
giusto?
Ma
chi vuoi prendere in giro? Sei
patetica.
Già.
“Mettiamo
via, ragazzi” disse Madison a bassa voce. Noi obbedimmo e
Calum e Ashton si
misero a piegare il tappeto colorato, mentre Carol porgeva a Manuela la
scatola. In meno di trenta secondi, eravamo tutti seduti sul divano,
tesi, con
il Twister sul tavolino. Poco meno di un minuto dopo, i due uscirono
dalla
cucina, frettolosi. Diana si diresse al piano di sopra, mentre Luke
prendeva il
giubbotto dall’appendiabiti e diceva: “Ragazzi,
esco un attimo, ho una
commissione da fare.” Commissione? Cosa doveva fare a
quell’ora?
Non
ti vuole vedere, genio.
Non
riuscii a trattenermi: mi alzai e lo raggiunsi in anticamera, dove non
eravamo
visibili da tutti gli altri. “Ho fatto qualcosa di male? Sei
arrabbiato con
me?” chiesi insicura. Lui mi rivolse un sorriso visibilmente
forzato. “No,
piccina, no. Tranquilla. Non sono arrabbiato. Perché
dovrei?” Io non dissi
nulla, poi guardai il giubbotto che si stava infilando.
Guardalo,
come scappa! Metterà un bel po’
di chilometri fra di voi. Tutto pur di non esserci stasera.
La
cena! Me ne ero quasi dimenticata… sperai che la vocina
nella mia mente si
sbagliasse. “Stasera… Stasera ci sarai,
vero?” chiesi titubante. Lui mi sorrise
e mi stampò un bacio sulla fronte. “Tranquilla,
piccola – mi disse – ci sarò.
Non so a che ora torno, okay? Però ti vengo a prendere alle
otto qui. Ho
prenotato per le otto e mezza a La rosa
dei venti. Se alle otto non arrivo, inizia ad andare
lì. Ti prometto che ti
raggiungerò” Fece con lo sguardo fisso nei miei
occhi. “Ci conto, eh?”
scherzai. Lui ridacchiò e annuì.
“Tranquilla, tranquilla. Verrò. Non
permetterò
a nulla di mettersi fra me e questa cena.”
È
una bugia.
***
Erano
passate quattro ore, di nuovo, e ormai erano le otto. Io ero pronta da
mezz’ora, ormai: mi ero messa un vestito nero senza maniche e
con la gonna che
arrivava fin poco sopra il ginocchio, un paio di parigine nere, un paio
di
stivaletti che arrivavano alla caviglia, un cappello e un giaccone,
tutto
rigorosamente nero. Continuavo a giocherellare con la mia collana, una
chiave
dorata appesa ad una lunga catenella dello stesso colore. Carol era
sdraiata di
fianco a me, sul divano. “Sono le otto, Coco. Ti porto
lì, va bene?” disse
guardando l’orologio. Io annuii, con le lacrime agli occhi.
Fino all’ultimo
avevo sperato che si presentasse alla porta, scusandosi
dell’attesa. Carol mi
guardò e mi abbracciò. “Coco, stai
tranquilla. Andrà tutto bene.”
“Perché
non riesco mai a tenere vicino a me le persone a cui tengo?”
chiesi con voce
tremante. “Non dire cretinate, Coco. È solo un
periodo no. State insieme da
quasi un anno, avresti dovuto sapere che prima o poi sarebbe arrivato
un
momento difficile. Passerà.”
“Parla
quella che al primo litigio è stata mollata” dissi
fredda. Mi accorsi solo dopo
di quello che avevo detto, solo quando Carol mi lasciò
andare e mi guardò
ferita. “Scusami, io… non so cosa mi sia preso. Ti
chiedo scusa” dissi
mortificata. Non capivo, era come se le voci nella mia mente avessero
parlato
al posto mio… non avrei mai detto una cosa del genere, men
che meno a Carol…
Lei
annuì, assente. “Senti, ti dispiace se chiedo ad
Asthon di accompagnarti?” fece
poi con voce flebile. Fu come una porta in faccia, sapere di averle
fatto tanto
male.
Visto?
Nessuno ti vuole con sé. Sei buona
solo a far male alle persone. Presto rimarrai da sola.
***
Ashton
mi lasciò all’ingresso dell’isola
pedonale, stampandomi un bacio sulla guancia.
“Chiamami se qualcosa va storto, va bene? Lo conosco da una
vita, non ho
problemi a prenderlo a pugni.” Io ridacchiai e lo ringraziai
per il passaggio.
Lo guardai ripartire e mi incamminai verso il ristorante, al centro
dell’isola
pedonale. “Andiamo, Luke… dove sei?” mi
chiesi.
***
Ero
seduta al tavolo che aveva prenotato Luke quella mattina, da sola. Mi
chiedevo
dove fosse lui. Gli avevo inviato già tanti
messaggi…
8.10:
“Luke, io sono fuori dal ristorante. Non arrivavi a casa,
quindi ho
pensato che magari fossi già qui. Sei dentro?”
8.12:
“No, non sei dentro. Beh, ti aspetto qui davanti.”
8.40:
“Luke, sono dentro, avevo troppo freddo. Dove sei finito?
Avevi detto
che saresti stato qui dieci minuti fa…”
8.55:
“Luke… puoi rispondermi al telefono?”
8.59:
“Guarda che se non volevi venire bastava dirmelo,
anziché farmi stare
qui tanto tempo…”
9.01:
“Luke, mi stai facendo preoccupare… dove sei
finito? Perché non
rispondi?”
Li
rilessi tutti, mentre sentivo gli occhi farsi lucidi. “Avevi
detto che saresti
venuto” sussurrai, come se potesse sentirmi.
Aveva
detto che ci sarebbe stato. Mi sentivo così stupida,
lì, da sola, seduta a un
tavolo per due, con il cameriere che mi lanciava occhiate scocciate ad
ogni mio:
“Aspetto ancora un pochino.” Speravo che arrivasse.
You should’ve
been here,
Should’ve burst
through the door with that “Baby, I’m right
here” smile
And it would’ve
felt like a million little shining stars that just aligned
And I would have
been so happy...
Christmas lights
glisten
I’ve got my eye
on the door, just waiting for you to walk in,
But the time is
ticking, people ask me how I’ve been
As I come back
through my memory
How you said
you’d be here,
You said you’d be
here…
Lanciai
un’ultima occhiata al cellulare. Intanto, il cameriere si
avvicinò a me.
“Signorina, devo chiederle di andarsene. Non può
occupare il tavolo senza
ordinare” fece. Io abbassai lo sguardo e mi alzai.
“Mi scusi per il disturbo”
dissi con voce tremante, mentre uscivo dal ristorante. Il vento freddo
di
inizio inverno mi investì e io mi strinsi nelle spalle,
mentre mi infilavo il
giubbotto lungo e nero. Cercai di stringermi il più
possibile nel tessuto
pesante, mentre le mie gambe rabbrividivano, coperte solo da parigine
nere.
Inviai l’ultimo messaggio a Luke:
9.03:
“Luke, sono qui fuori. Mi hanno fatta uscire dal ristorante.
Ho
freddo. Starò qui ancora dieci minuti, poi
tornerò a casa.”
Ci
pensai un attimo, indecisa se sbilanciarmi o no, poi aggiunsi:
9.04:
“Ti prego, vieni. O almeno scrivimi, o chiamami. Vanno bene
anche i
segnali di fumo. Qualsiasi cosa. Ti prego.”
Mi
sedetti sul marciapiede di fronte al ristorante, dato che non
c’erano panchine.
La gelida roccia mi fece rabbrividire, ma strinsi i denti. Ancora dieci minuti, mi dissi.
And it was like
slow motion
Standing there in
my party dress,
In red lipstick,
and with one to impress…
And they’re all
laughing as I’m looking around the room
But there’s one
thing missing…
And that was the
moment I knew.
***
Venti minuti
dopo…
Sentii
una lacrima scivolare sul mio viso, lasciando una riga gelata. La
asciugai in
fretta e mi alzai. Di Luke, ancora nessuna traccia. Scrissi
l’ultimo – stavolta
per davvero – messaggio:
9.22:
“Me ne vado. Grazie della serata.”
Mi
stavo incamminando, quando il cellulare squillò. Era lui.
Rifiutai la chiamata,
ma pochi istanti dopo il cellulare squillò ancora. Andammo
avanti così per
qualche secondo, fino a quando non mi decisi a rispondere. Non dissi
nulla,
avvicinai solo la cornetta all’orecchio. Lui,
però, dovette capire che ero in
ascolto. “Coralie, grazie al cielo hai risposto…
Ti prego, perdonami, mi
dispiace tantissimo, è che… È successo
un casino assurdo, il cellulare era
morto, la macchina era in panne…”
“Con
chi eri?”
“Eh?”
“Ti
ho chiesto con chi eri. Con che macchina eri?”
“Con
Diana, ma…”
“Mi
basta sapere questo.”
“No,
Coralie, aspetta! Te lo giuro, sto arrivando…”
“Ho
aspettato più di un’ora, Luke. È
tardi.”
“Ma…”
“A
domani.”
“No,
Coco, ti prego…”
“Non
venire nemmeno. S-sto tornando a casa.”
“Coralie,
piccola… ti prego, non piangere…”
“Te
l’ho detto, è tardi.”
Così
dicendo, mentre le lacrime rigavano il mio viso, interruppi la
chiamata. Il
telefono squillò di nuovo, subito dopo, così
tolsi la batteria. “Mi basta così”
sussurrai, facendola scivolare in tasca, mentre camminavo lentamente
lungo il
viale alberato verso casa.
Avevo
fatto poco più di cento metri, quando sentii un clacson
suonare all’impazzata
poco lontano da me. Mi voltai e vidi la macchina di Ashton fermarsi in
mezzo
alla strada. Come aveva fatto ad arrivare fino a lì? Era
un’isola pedonale…
Mi
voltai di nuovo e affrettai il passo, mentre sentivo la voce di Luke
chiamarmi.
Lo ignorai fino a che lui non mi fermò, parandosi davanti a
me. Aveva il fiatone
e i capelli arruffati, sembrava che avesse corso una maratona. Notai
che era a
maniche corte e il mio primo pensiero fu quello di dirgli di tornare in
macchina per non prendersi un accidente, ma dalle mie labbra serrate
non uscì
nulla, mentre gli occhi tornavano a riempirsi di lacrime.
“Coco, piccola, mi
dispiace così tanto di non essere riuscito ad
arrivare…”
“Dispiace
anche a me” dissi amaramente, tirando su col naso.
“Ti
giuro che non volevo lasciarti qui…”
“Avresti
potuto chiamarmi.”
“Avevo
il cellulare scarico, e anche Diana!”
“Spero
almeno vi siate divertiti.”
“Ma
che… Coco, io non…”
“Lasciami
sola, per favore.”
“No.”
“Per
favore, Luke.”
“No.
Non ti lascio qui.”
“Arrivi
solo ora con questi pensieri galanti, eh? Ripeto, è troppo
tardi.”
“Ma
che cosa ti prende, Coco? Era solo una cena!”
Gli
rivolsi un’occhiata che lo fece ammutolire.
Perché, per me, quella non era solo
una cena. E forse, non avrei avuto quella reazione, se avessi saputo
che era da
solo; però era con Diana.
Era
quello che faceva male.
“Come
ci si sente, secondo te, ad aspettare una persona, e sapere che quella
non
verrà?” chiesi duramente. Lui non fece in tempo a
rispondere, che io continuai:
“E come ci si sente, secondo te, a sapere che
l’unica persona con cui vorresti
sfogarti, che vorresti stringere, che vorresti di fianco, è
proprio la persona
che non si è presentata?”
“Coralie,
puoi sfogarti con me, lo sai…”
“Non
capiresti.”
“Ma…”
“Ti
ho detto che non capiresti, va bene?! Non capisco nemmeno io. Non so
cosa stia
succedendo nella mia testa, non so perché stia reagendo
così male. Tanto era
solo una cena, no? Forse ho sbagliato io ad aspettarti così
tanto. Forse ho
sbagliato io a sperarci fino alla fine. Forse sono stata io a sbagliare
a
considerarla un’occasione importante. Era solo una cena.
Avremo tanto tempo per
farne un’altra, no? Oh, aspetta, dimenticavo: fra undici
giorni sarai su un
aereo. Scusa se speravo di stare un po’ con te. Scusa se so
che mi mancherai da
morire. Scusa se so che starò male senza di te. Scusa se
sono così debole, così
dalla lacrima facile. Scusa se do importanza alle piccole cose.
È colpa mia.
Come sempre.” Mentre dicevo questo, le lacrime tornarono a
solcare il mio
volto. Vidi che anche Luke stava piangendo silenzioso e questo mi fece
stare
ancora peggio.
“N-Non
è colpa tua, Coralie. Non devi dire così, va
bene? Non è colpa tua. Ho
sbagliato io. Sono stato stupido a non presentarmi, e ti giuro che
sarei
venuto. Era importante anche per me, sai? Era fottutamente importante.
Ci
tenevo davvero ad essere lì. Accidenti, da stamattina non
vedevo l’ora.
Continuavo a pensare a come fare per non sfigurare di fianco a te,
perché non
te l’ho ancora detto, ma sei bellissima. Anche mentre piangi.
E ci tenevo così
tanto ad essere qui, a fare questa cosa insieme a te… Mi
dispiace, Coralie, mi
dispiace. Sono un idiota. Ti prego, scusami” fece con voce
rotta.
And the hours
pass by, now I just wanna be alone
But your close
friends always seem to know when there’s something really
wrong
So they follow me
down the hall
And there in the
bathroom, I try not to fall apart
And the sinking
feeling starts
As I say
hopelessly “He said he’d be
here…”
Scossi
la testa lentamente. “Voglio solo andare a casa, ora. Va
bene? Ne parleremo
domani” feci. Lui abbassò lo sguardo.
“Va bene. Però torna a casa con noi.”
“No.
Preferisco fare la strada da sola.”
“Ma,
Coralie, fa freddo…”
“Ho
passato fuori un sacco di tempo, sopravvivrò ancora
mezz’oretta.”
Lui
rimase in silenzio un attimo, prima di dire: “So che non vuoi
stare con me,
ora, e ti capisco. Nemmeno io vorrei stare con me stesso. Vai tu con
Ashton. Vi
raggiungo a casa.”
“Ma…”
“Ti
prego, Coco. Sono stato abbastanza pessimo, per oggi, per permetterti
di fare
tutta quella strada da sola” fece risoluto, con quella
tranquilla
determinazione che arriva dopo le lacrime e grida lontano un miglio che
non hai
nulla da perdere. Io non risposi più, e lui prese il mio
silenzio per un
consenso. Così, lui mi riaccompagnò
all’auto, da Ashton, che aspettava
paziente. Ci fermammo davanti alla portiera del sedile del passeggero e
Luke,
prima che potessi fare altro, mi abbracciò. Mi strinse a
sé più forte che
poteva e lo sentii singhiozzare. E anche nel calore che mi offriva il
suo
corpo, quello fu l’abbraccio più gelido che
condivisi.
What do you say
when tears are streaming down your face
In front of
everyone you know?
And what do you
do when the one who means the most to you
Is the one who
didn’t show?
“Coco,
ti amo. Ti amo con tutto me stesso. Lo sai, vero?” chiese con
voce tremante. Io
annuii solamente e lui mi lasciò un bacio sulla fronte. Non
si spinse oltre e
in qualche modo gliene fui grata. “Ci vediamo dopo, va
bene?” fece. Annuii di
nuovo, mentre lui mi apriva la portiera e io entravo in macchina.
Quando la
richiuse, Ashton aspettò che anche Luke salisse, ma
l’altro gli fece cenno di
andare. Ci fu una muta conversazione di sguardi, e alla fine, Ashton,
sospirando, aprì la portiera. Si tolse il giubbotto che
aveva addosso e lo
lanciò a Luke, che lo ringraziò a bassa voce.
Ashton gli fece un mezzo sorriso,
prima di tornare in macchina e mettere in moto. Prima di partire, mi
prese una
mano e la strinse forte. Gli fui grata per quel gesto, mentre le
lacrime
tornavano a rigare le mie guance. “È come se lo
stessi perdendo, Ash” dissi
solo a bassa voce. Lui sospirò. “O forse
è lui che sta perdendo te” sussurrò,
guardandomi qualche istante. Io non risposi e guardai fuori dal
finestrino,
nello specchietto retrovisore, la figura di Luke che si faceva
più piccola mano
a mano che ci allontanavamo.
You call me
later, and say “I’m sorry I didn’t make
it”,
And I say “I’m
sorry too”.
And that was the
moment I knew…
***
“Non
so più cosa pensare, Coralie” mi disse mesta
Manuela. Io scossi la testa.
Eravamo sul letto in camera sua; Michael se n’era andato
appena mi aveva vista
con le lacrime agli occhi sulla soglia della porta.
“Senti,
parlagli. Non fare come al solito. Se sta succedendo qualcosa,
è giusto che tu lo
sappia da lui. Parlagli ora, appena arriva a casa. Vedrai che si
risolverà
tutto, va bene?” aggiunse la mia migliore amica.
Non
è vero.
“Va
bene, gli parlerò” dissi solo. Manuela mi
catturò in uno dei suoi abbracci
spacca-ossa, che quasi riuscì a tirarmi su il morale, come
se, stringendomi
così, riuscisse a tenere insieme i pezzi che si stavano
sfaldando poco a poco.
Fummo
interrotte da Calum, che entrò in camera.
“Ragazze, avete sentito Diana, per
caso? Non si fa vedere da tutto il pomeriggio” disse. Io mi
irrigidii e Manuela
se ne accorse. “No, non l’abbiamo vista,
né sentita” disse frettolosa. “Va
bene” fece Calum dubbioso, prima di volatilizzarsi. Lo sentii
comunque dire:
“Adesso è sparito pure Luke…”
Sono
insieme, cosa ti aspettavi? Sei
stata tu a spingerlo fra le sue braccia. L’hai rifiutato
stasera, e lui si è
rifugiato dalla sua migliore amica. È colpa tua.
Cercai
di ignorare quel pensiero, nonostante fosse l’unica cosa a
cui riuscivo a
pensare. “Senti, vado in camera mia. Lo aspetto
lì, va bene?” dissi,
sciogliendomi dall’abbraccio. Lei mi squadrò un
secondo, prima di annuire e
lasciarmi andare. “Arriverà, Coco” mi
disse con fare rassicurante.
No,
non arriverà.
“Basta…”
feci, mentre i miei occhi si riempivano di lacrime. Entrai in camera
mia e mi
cambiai, infilandomi nel mio solito pigiama, ovvero la maglietta di
Luke.
Sentivo un peso sullo stomaco, ma mi costrinsi ad ignorarlo. Mi sdraiai
sul
letto, preparandomi un discorso nella mente e aspettando che Luke
tornasse.
Aspettai
così tanto, che alla fine mi addormentai.
***
Stavo
camminando in un corridoio. Non era casa mia, ma era comunque
conosciuta.
Riconobbi i quadri appesi alla parete e cercai di fermarmi, capendo
dove avevo
già visto quella scena. Doveva essere un sogno, lo era per
forza. “Dai,
svegliati” pensai, sapendo che non avrei retto la vista di
ciò che sarebbe
successo dopo. Avevo già vissuto tutto quello, e mi era
bastato per cento vite.
Passai
davanti ad uno specchio e vidi il mio riflesso di quando avevo sedici
anni,
quasi diciassette. Non ero cambiata molto, nessuno avrebbe potuto
indovinare la
differenza; ma io sapevo bene quando quella scena si era svolta.
“No,
no, ti prego” pensai, mentre il panico mi invadeva. Sapevo
bene cosa avrei
visto: sarei entrata in camera mia, in camera nostra, e lo avrei visto
nel
letto insieme ad una ragazza. Non volevo rivederlo.
Eppure
non riuscivo a fermarmi.
Entrai
in stanza e li vidi: erano sotto le coperte, lei a cavalcioni di lui,
con i
capelli ricci e neri attaccati alla schiena e le mani di lui sui suoi
fianchi,
mentre lui la incitava a fare più in fretta. Lui, che mi
aveva segnata, che in
quel momento aveva i capelli tinti davanti agli occhi, appiccicati alla
pelle
dal sudore. Sentii le lacrime agli occhi. Era esattamente uguale a
ciò che
avevo già visto.
Appena
pensai quelle parole, però, qualcosa cambiò. I
capelli di lei sembrarono farsi
lisci, di un rosso ciliegia, mentre la sua pelle diventava diafana e
lattea.
Sotto di lei, i capelli rossicci di Matt divennero biondi e si alzarono
dal suo
viso, fino a creare un ciuffo disordinato. Davanti a me, ora,
c’erano Diana e
Luke. Lui mi guardò con lo stesso sguardo di Matt, vedendo
le mie lacrime. E si
mise a ridere. “Oh, andiamo, non dirmi che non te lo
aspettavi!” disse solo.
***
Mi
svegliai di soprassalto e mi scoprii in lacrime. Non riuscii a
trattenere un
singhiozzo: mi portai una mano alla bocca, per soffocarlo, e non
svegliare
Luke. Eppure, era stato così vero, così reale,
che avevo bisogno di sentirgli
dire, come faceva sempre, che era solo un brutto sogno. Avevo bisogno
che lui
mi dicesse che non era vero. Così, mi voltai verso di lui.
E
non lo trovai.
Le
coperte erano ancora tirate sopra il cuscino ed erano fredde; non ci
aveva
dormito nessuno.
Ricordai
con estrema precisione tutto ciò che era successo quella
sera. Forse non era
ancora arrivato, forse si era perso. Ogni scusa per me era buona. Mi
voltai
verso il comodino e diedi un’occhiata alla sveglia. Erano le
4:17.
Non
verrà, che ti avevo detto?
Sentii
altre lacrime scorrermi lungo il viso e tornai a sdraiarmi. Mi chiesi
dove
fosse.
È
con lei, stupida. Esattamente come in
quel sogno.
Speravo
ardentemente di sbagliarmi.
Hai
sempre saputo di non essere nulla in
confronto a lei.
Tirai
su col naso. Volevo ignorare quella voce, ma non ci riuscivo.
Andiamo,
lo sapevi. Nemmeno tu ti
sceglieresti, tanto.
E
aveva ragione.
*Angolo
autrice*
Ecco
qui l’inizio della fine, signore e signori. Ecco a voi il
nuovo personaggio: le
voci nella testa di Coco. Non se ne andranno mai più,
sapete? E non è un bluff,
lo giuro. Cosa ne pensate??
Vi
prego, fatemelo sapere. Ditemi cosa ne pensate. Vi prego.
Una
cosa devo dirla, mi è piaciuto un sacco scrivere questa
parte:
“Ehi,
piccola, eccoti! Dov’eri finita?”
Se
si fosse preoccupato di chiamarti, lo
avrebbe saputo.
“Avevi
lasciato qui il cellulare, lo sapevi?” mi disse.
Avrebbe
potuto chiamarti su quello di
Manuela.
“Non
potevi chiamare su quello di Manuela?”
“Ci
ho provato, ma continuava a darmi segreteria telefonica.
Sembrava quasi che rifiutasse la chiamata ogni volta. L’ho
chiamata una cosa
come trenta volte, stavo iniziando a preoccuparmi” disse lui.
Improvvisamente
capii il motivo delle occhiate furtive al cellulare: stava rifiutando
le
chiamate di Luke. La voce nella mia mente non disse nulla, chiaramente
sconfitta, e la cosa mi diede sollievo.
È
stato fantastico fargli azzittire quelle voci. Facevo il tifo per lui.
Quasi mi
vedo la faccia delle voci, una cosa tipo: “Ah.” Il
disappunto. Buahahahah.
Comunque
Luke è il cretino che è, perché per
colpa di un suo errore sta succedendo tutto
questo. Uff.
Okay,
facciamo un gioco. Scrivetemi ciò che fareste se foste in
una stanza da soli
con:
-
1.
Coco
-
2.
Manu (personalmente
le farei una statua, anche per come si comporterà nei
prossimi capitoli)
-
3.
Diana
-
4.
Luke
-
5.
Le voci (facciamo
finta che abbiano un corpo e che questo non sia in relazione con quello
di
Coralie)
Sono
curiosa, duh.
Momento
spoiler? Ma sì, non fa mai male.
Fra
qualche capitolo entrerà in gioco un altro personaggio (una
ragazza) ma ci
rimarrà per davvero poco, e non combinerà nulla
di male, ANZI. E poi, si
faranno vedere e rivedere due personaggi già citati (un
maschio e una femmina).
Si aprono le scommesse. RAELEEN E MISS ONE DIRECTION, NO SPOILER PER
FAVORE,
VOI LO SAPETE GIÀ. SAPETE TUTTO. Scommetto che la femmina
non la indovina
nessuno, eheh.
Momento
spoiler due? Ma sì.
Luke
le prende. Indovinate da chi.
Vi
prego, ho bisogno di sapere il vostro parere. Ne ho bisogno fisico.
Dopo
questa... Ehm... Supplica, vi saluto, alla prossima! Ciauu
Ranya