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Autore: Relie Diadamat    16/08/2015    8 recensioni
Merlin, ventenne suonato, si ritrova costretto a lavorare al fianco del suo inseparabile Asino, nel bar aperto da quest'ultimo. Con loro c'è Freya, la dolce ed ingenua fidanzata di Merlin, che Arthur detesta.
Tutto cambia un giorno, quando il giovane Pendragon rivela ai suoi colleghi un cambio di programma.
*
[Dal Cap. 1]
«Non saremo i soli a gestire il bar.» continuò Arthur, serrando lievemente la mascella, evidentemente quella non era stata una scelta del tutto condivisa dal biondino «Mia sorella Morgana ed il suo fidanzato Mordred saranno dei nostri.»
Il cervello del corvino si resettò in un lampo.

*
[Cap. 6]
«Io non voglio condividere proprio niente con te, Aridian.» sibilò, serrando lo sguardo.
«Strano…» Unì tra loro le mani, aggrottando la fronte «La droga la dividevi volentieri.»

*
[Cap. 13]
«Quella stronzata che sono attratto dal tuo ragazzo. Come ti è venuta in mente una cosa simile?»
«Perché io ti ho visto, Arthur. Ho visto cosa diventano i tuoi occhi quando lo guardi».

*
[Cap 11]
«Io ti avrei amata per sempre».
*
*
[Freya/Merlin/Arthur] [Mordred/Morgana/Merlin] [Freya/Merlin/Morgana] [Merlin/Arthur/Mithian] [Elyan/Mithian/Arthur] [Kara/Mordred/Morgana] [Freya/Gwaine]
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Freya, Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù, Merlino/Morgana
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Nda: Salve a tutti!
Inizio scusandomi in anticipo: il capitolo era di nuovo lunghissimo, così sono stata costretta nel dividerlo in due parti - ancora!
In questo nuovo capitolo entreranno in scena due personaggi importanti, teneteli bene a mente!
Secondo: per chi non lo sapesse, ho pubblicato una fanfiction pre-Pendragon's, dove appunto potrete leggere di come sia nata la love story tra Merlin e Morgana e questa sorta di attrazione di Arthur nei confronti del suo... Merlin.
Ringrazio davvero di cuore tutte quelle splendide persone che hanno aggiunto la storia nelle preferite/ricordate/seguite. Grazie a chi legge in silenzio, ed un ringraziamento particolare a Eresseie93 - ti adoro! -, Elisaherm, Nox (*-*), pendragon_11 (persona magnifica!), sfiorisci per aver recensito il capitolo precedente.
Vi lascio alla lettura del nuovo capitolo, sperando di non deludere le aspettative di nessuno.
A voi la parola.
Buona, spero, lettura.
Ps. Ah, l'immagine che vedete è un parallelismo Marco&Eva/Merlin&Morgana. In realtà, potete capirlo solo se conoscete "I Cesaroni", ma vabbeh, lo capirete leggendo xD
 

XII. Aromi inaspettati e sapori segreti
 
 
“Ma lo sai cosa ci è successo a noi due? Che siamo stati adottati da tutti i nostri sogni.
Da tutti tranne uno.”
- I Cesaroni
 
 
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Sette secondi.
Si dice che prima di morire tu abbia sette secondi di attività celebrale. Solo sette secondi, col cuore fermo.
A cosa avresti pensato in quei sette secondi?
Forse… alla macchina che sfrecciava impazzita ad una velocità assurda, nelle strade raffinate di Londra; forse ai tanti semafori rossi ignorati. Pensandoci bene, avresti potuto pensare anche ai singhiozzi di Morgana o alla sua guida pericolosa, oppure a Gaius… Cielo, Gaius.
Per un decimo di secondo il suo cuore si è fermato insieme ai tuoi occhi.
Ti ha steso sul tavolo in legno, quello della cucina. C’era odore di viole fresche e puzza d’ansia dappertutto.
Sette secondi, Merlin, sette secondi.
Gaius ti ha girato la testa di lato, pulendoti il sangue dalla bocca. «Ti farà male», aveva sussurrato dopo un po’.
Quanto tempo era passato?
Sette secondi, solo sette secondi.
Il countdown era iniziato.
Un dolore lancinante, ecco cosa avevi sentito.
Sette secondi.
D’improvviso hai rivisto gli occhi chiari e belli di tua madre, poi il viso misterioso e affabile di tuo padre.
Stavano zitti, manco ti guardavano.
Alice premeva la sua mano confortante sulla spalla di Gaius, mentre una bionda, bella come il Sole, carezzava le onde spettinate della corvina, baciandole i lividi.
Solo una persona si è accorta di te, si è seduta al tuo fianco e ti ha guardato negli occhi: «Non fare la femminuccia, Merlin, te la caverai. Mi fido di te».
Sai cosa c’è dopo quei sette secondi? Niente.
 
 
 
 
 
 




Poteva sentire l’aria fresca carezzarle la pelle diafana; i capelli corvini mossi dal vento. Le mani salde sul volante.
L’era venuto d’istinto: era entrata nella sua auto – quella senza vetri rotti e lacrime amare -, ignorando le parole che suo fratello e Gwen si erano scambiati in cucina qualche ora prima, coprendosi stizzita i lividi col fondotinta e gli occhi verdi con due lenti scure.
Il tono di voce di Arthur era freddo, quello della sua amica preoccupato, ma a lei non importava: un uomo le aveva picchiato due volte il viso, aveva rubato i suoi soldi; Merlin aveva perso molto sangue e ne sentiva ancora l’odore sulla sua pelle. Le aveva mentito, ancora.
La droga non faceva parte del passato. Lei era stata picchiata e derubata per questo.
Merlin si era beccato una pallottola nella pelle. Gaius s’era sentito mancare per un secondo non appena aveva visto il volto sconvolto di Morgana, che intanto sosteneva malamente un corvino ferito e sanguinante.
Non voleva più ricordare. Voleva solo sentirsi il vento sulla faccia e gli occhi sulla strada, mentre le spiagge di Brighton facevano il loro ingresso all’orizzonte, aldilà dei finestrini abbassati.
Non voleva pensare più a niente.
 



 
La sera prima…



«Cristo santissimo!»
Non ci aveva neanche pensato: le sue labbra invecchiate si erano mosse da sole.
Si sarebbe aspettato di tutto, realmente: Alice che gli tendeva la mano, la signora Morte con la sua falce ed il cappuccio nero calato, ma non questo. Gaius non si sarebbe mai aspettato di aprire la porta e ritrovarsi, dinanzi agli occhi, una tremante Morgana con vistosi lividi sul viso che sorreggeva un sanguinante Merlin. Merlin.
Non Alice, non la Morte. Merlin.
E glielo lesse in quell’azzurro smarrito e supplicante, il nome del problema: Aridian.
«L-Lui era in piedi, un attimo dopo e-era a terra. S-Sanguina dappertutto!» Morgana era sotto shock, terrorizzata, non avrebbe neanche dovuto guidare; tutta l’adrenalina che aveva in corpo le permetteva di sorreggere il corvino e non lasciarlo cadere.
Gaius si precipitò sul ragazzo, poggiandosi il braccio di lui sulle proprie spalle indolenzite.
Corse – quel tanto che la sua età glielo consentisse – in cucina, togliendo immediato quel vaso di viole dal tavolo, per poi adagiarci il ventenne. Gli alzò la maglia bagnata di sangue, sentendo il proprio cuore indurirsi come il cemento. «Dobbiamo portarlo in ospedale», sussurrò tra i denti, per poi voltarsi verso la giovane. «Dovreste andare entrambi all’ospedale!»
Uno sforzo doloroso, una piccola fitta lacerante e Merlin cinse debolmente la mano del suo tutore. «Puoi farlo tu, Gaius. Mi fido di te», gli aveva sorriso stanco, «mi hai già salvato una volta».
Non sono Dio, brutto zuccone. Sono un anziano ed ho tanta paura.
Il corvino lo guardava con quei suoi occhi azzurri, così innocenti, così supplichevoli.
Ti prego, Gaius, ti prego.
Il vecchio si morse la lingua, convinto che quella non fosse la cosa giusta da fare, ma la fece lo stesso: «Aiutami a spostarlo».
Morgana aveva ubbidito spaesata quanto scioccata: lei non ci stava capendo nulla. Non capiva perché Gaius avesse girato Merlin di schiena, non capiva perché l’anziano fosse sollevato nel non vedere un foro d’uscita.
Il vecchio borbottava tra sé e sé, scandendo bene i passaggi da seguire, le mosse d’attuare… Tante cose che la ragazza udiva e non capiva; lei pensava solo al volto velenoso di quell’uomo, ai pugni sulla sua faccia… Quell’uomo aveva chiamato Merlin per nome…
«Prendimi delle pezze, un paio di guanti… e una pinza.» Gaius continuava a tenere premute le sue mani sul corpo di Merlin, mani che diventano rosse come il sangue…
Helios. Merlin lo aveva chiamato per nome. I soldi…
«Presto, Morgana!»
La giovane si scosse al richiamo dell’ex medico militare, muovendosi automaticamente in quella casa che, tempo addietro aveva imparato a memoria. Prese tutto l’occorrente di fretta e furia, esitando solo nel prendere un paio di guanti: il cassetto dov’erano riposti, era quello il problema.
Non credeva che Gaius la custodisse ancora, eppure era lì, come un cimelio di famiglia: l’ultima foto, quella scattata al compleanno dell’anziano.
Si paralizzò, Morgana, col fiato mozzato ed il cuore pesante; la ricordava bene quella foto. La loro ultima foto.
Fosse stata più lucida, la giovane Pendragon non l’avrebbe neanche presa tra le mani, non ne avrebbe osservato la cornice curata, non avrebbe carezzato quel vetro freddo.
“Qualsiasi cosa accada, ovunque le strade ci porteranno, noi saremo sempre noi. Siamo destinati a stare insieme, ricordalo sempre. Ovunque e comunque.”
Avesse aperto quella cornice, avrebbe trovato quella scritta sul retro della foto. Ma a Morgana bastò chiudere per un secondo gli occhi verdi ed impauriti.
Ricordalo sempre. Ovunque e comunque.
Siamo destinati a stare insieme. Ricordalo sempre.
Ovunque.
Comunque.
Sollevò le sue palpebre chiare, prendendo un bel respiro. Aprì quel maledetto cassetto, prese quei maledettissimi guanti, poi abbandonò sia la foto che lo sgabuzzino.
Gaius la vide rientrare nella stanza con gli occhi verdi di vetro ed i vari oggetti richiesti tra le mani. Era pallido quanto buio, il suo volto.
L’ex medico per un attimo poté rivederla, la piccola ragazzina entrata nel suo studio, sotto volere del padre. Non parlava con lui, non sapevano nulla l’uno dell’altra: Morgana gli diceva di aver avuto un altro incubo e Gaius le porgeva un nuovo rimedio per il sonno. Il resto era silenzio.
C’era una cosa, però, che Morgana amava fare quando entrava in quella casa: vedere una foto dimenticata su un mobile mogano, vicino ad un quadro. La foto di una bionda bella come il Sole e dagli occhi di Agosto, la foto di sua madre.
«Tieni premute le pezze sulla ferita», le disse, mentre si sciacquava le mani nel lavabo, indossando poi i guanti in lattice. «Dobbiamo fermare l’emorragia».
La ragazza premette forte, forse un po’ troppo, tanto da far gemere Merlin dal dolore. Non le importava: era stata colpa sua, lui conosceva quella gente. Morgana non voleva che lui morisse, ma poteva soffrire liberamente.
«Non così forte, Morgana», le spiegò l’anziano, mentre sterilizzava la pinza.
La Pendragon poteva vederli, gli occhi limpidi del ventenne su di sé; sapevano che lei non lo aveva perdonato, sapevano che Morgana stava tessendo le sue tele, traendo conclusioni.
«Non è come pensi», soffiò impercettibilmente, mentre le pezze sovrapposte al foro d’entrata diventavano rosse e zuppe.
«Sei un traditore, Emrys».
Mai sussurro tanto lieve fu così tagliente.
Gaius s’avvicinò al corpo supino del ragazzo, tenendo in mano l’oggetto sterilizzato: «Bene, procediamo».
Morgana si scostò, lasciando campo libero all’ex medico. Ricordava ch’era sceso l’inverno in quella cucina.
«Ti farà male.» Il mare, negli occhi del vecchio, era mosso. Tremavano quelle isole sicure.
Merlin vide solo Gaius prendere tra le mani una bottiglia di Whiskey, poi solo ombre. Serrò gli occhi violentemente, emettendo continue grida di dolore.
 «Cielo, Morgana, non farlo urlare.» Gaius era nervoso, e le urla di Merlin non aiutavano: e se qualcuno li avesse sentiti?
«Morgana, non posso continuare in questa maniera» le disse, cercando di mantenere un tono pacato, disturbato dall’ennesimo gemito del ragazzo.
Morgana non sapeva cosa fare. Le pezze erano unte di sangue; quel traditore avrebbe morso le sue mani senza esitare, vinto dal dolore. Le urla di Merlin erano asfissianti, insopportabili: sarebbe ammattita se lo avesse udito ancora gridare.
Ricordalo sempre.
Ovunque.
Comunque.
Erano esattamente come se le ricordava, le sue labbra. Soffici, un po’ umide e gentili. Morgana si sentì mancare il fiato, le proprie mani a sorreggergli il volto. Un gemito le morì sulla bocca, poi le sembrò addirittura che il corvino avesse schiuso le labbra. Non si muoveva più, non s’agitava più. Aveva gli occhi chiusi, pareva incantato.
Merlin, dal canto suo, si sentì morire, appagato. Avesse avuto più forza in quel momento, avrebbe portato una mano dietro la sua nuca, poi l’avrebbe tenuta stretta a sé, tutto il tempo.
E invece, di forza non ne aveva.
Quando Morgana si staccò dalle sue labbra, tutto sembrava stesse per essere inghiottito dall’oscurità, dal nulla.
Vide ombrato per un po’ e credette di essere morto: al fianco di Gaius c’era una donna con una treccia color caramello. Gli sussurrava che poteva farcela, lo rincuorava con un amore sconfinato. Accanto alla corvina c’era una donna. Era bionda, bella come il Sole. I suoi occhi erano spruzzi del cielo d’Agosto, la sua bocca una rosa adagiata sui lividi della ventunenne.
Poi, in un angolo della stanza, c’erano sua madre e suo padre.
Balinor baciava la fronte di sua moglie, Hunit pareva preoccupata. Non lo stavano guardando.
Capì di essere vivo solo quando vide lui.
Aveva sciolto le sue braccia, incrociate, dal petto e si era seduto al suo fianco.
Merlin era così felice di vederlo…
«Non fare la femminuccia, Merlin, te la caverai», gli aveva detto, occhi negli occhi. «Mi fido di te».
Quel blu accesso delle sue iridi, fu l’ultima cosa che vide.
Poi, il nulla.
 
 
 
 
 





Il dolce profumo dei primi cornetti si diffuse nel locale con piacevole velocità, incontrando come sempre le narici in attesa del giovane biondino.
La teglia ripiena di croissant era invitante, tra le mani del ragazzo appena uscito dal laboratorio.
«George», canzonò Arthur afferrando il vassoio, «il mio pasticciere preferito».
Un leggero sorriso, poi le labbra piccole e sottili di George tornarono ad una solita linea retta; il Pendragon non ci fece neanche caso, ci era ormai abituato.
George Cookies, un metodico venticinquenne, era uno stakanovista riservato e perfettino; amava essere impeccabile, sempre pronto con il suo caschetto nero.
Arthur lo aveva sempre ritenuto noioso, ma in fin dei conti sapeva svolgere al meglio il proprio lavoro. La stessa cosa non poteva certo dirla per quell’idiota, rincretinito, imbranato e smemorato di Merlin.
Merlin.
Rimuginò a lungo su quel nome, sentendo uno strano nodo alla bocca dello stomaco.
Era una bella giornata, il sole illuminava fiero e deciso tutta Londra con i suoi raggi. Eppure c’era l’inverno nella mente di Arthur Pendragon.
I suoi occhi blu erano gelati, quella mattina.
Freya comparve dallo stanzino, ancora intenta ad aggiustarsi la sua coda bassa. Strinse per l’ultima volta il codino, poi si passò una mano sul grembiule, distendendo eventuali pieghe.
I suoi occhi di terra umida incontrarono lo sguardo invernale del biondo.
Il ragazzo seduto sul suo sgabello, dietro la cassa, e la cameriera si fissarono costruendo silenzi segreti; le parole della sera precedente pizzicavano ancora sulla pelle, come spilli dispettosi.
«Posso aiutarti con i clienti», Ginevra esordì, puntando gli occhi scuri sul viso di Arthur. «Non è un problema, per me».
Il proprietario del bar guardò la bruna con diffidenza, staccando l’ultimo scontrino per porlo al cliente. «Non serve» disse solo, sorridendo educato all’avventore, per poi tornare ad un’espressione seria. «Me la cavo benissimo da solo».
Gwen incassò il colpo, abbassando lo sguardo sul bancone. Sapeva perfettamente quanto il suo ex fosse orgoglioso ed era sicura che non l’aveva ancora perdonata.
«Mi piace qui.» confessò, sistemandosi meglio sullo sgabello. «Tu e Merlin avete fatto un buon lavoro».
«Già».
Era sulla difensiva, era palese. Ginevra si ritrasse a riccio, cominciando a torturarsi le mani tra le cosce. La corazza del Pendragon era inespugnabile e lei… aveva ormai perso quel potere che riusciva ad abbatterla. Oramai, erano solo due ex compagni di liceo che si ritrovavano in un bar.
«Ho saputo che presto cambierete le divis-»
«Come mai Morgana è rientrata così tardi, ieri sera?» domandò a bruciapelo il biondo, accavallando la voce della bruna.
L’altra ingoiò della saliva, fingendo un tono calmo e naturale: «Era passata da Uther. Doveva prendere alcune cose…»
«Strano», incalzò ancora lui, manco fosse Sherlock Holmes uscito da un romanzo di Conan Doyle, «mia sorella non si ferma mai così tanto a casa, poi non mi sembra di aver notato scatoloni in giro…»
Gwen prese una bella boccata d’aria, ispirando col naso. Adesso poteva persino vederla, una pipa costosa che riposava tra le labbra di Arthur, mentre sul suo capo compariva un berretto con tanto di visiera.
Morgana non era tornata a casa di Freya, né tanto meno lo aveva fatto Merlin. Così Ginevra si era sentita obbligata – non vedendo arrivare nessuno – a ripresentarsi nell’appartamento della ragazza.
Era tardi. Arthur non aveva battuto ciglio, anche se ferito nell’orgoglio nel farsi riportare a casa dalla sua ex, eppure aveva una strana luce negli occhi, quasi fosse diverso da prima. Quasi, fosse più amareggiato e deluso. Aveva lo sguardo di chi era stato calpestano con gli scarpini da calcio.
«Sai com’è fatta. Morgana ama perdersi nella contemplazione della sua immagine allo specchio…» scrollò le spalle, mordicchiandosi il labbro. «Avrà perso tempo nello scegliere un vestito, che poi neanche avrà ripreso».
La mano del Pendragon a sorreggersi il mento in un’espressione fissa e ferma. Avesse assunto alcolici, Ginevra l’avrebbe sentito chiaro e tondo, dirle: «Elementare, Watson».
«Anche Merlin ha fatto tardi», finse di metterla lì il biondo. Che stesse cercando di entrare nel cast di un giallo?
La ragazza assunse un’aria incuriosita, sforzandosi di sembrare attendibile: «Ah, sì?»
«Già!», stavolta quegli occhi freddi erano dritti in quelli color caffè della mulatta. «Credo non sia neanche tornato a casa. Che strane coincidenze, no?»
Gwen sorrise, convinta di non saper tacere a lungo: doveva inventarsi qualcosa, e alla svelta, o Arthur Holmes l’avrebbe scoperta!
«E’ proprio buono questo caffè!» inventò, facendo cadere gli occhi sul bicchierino di vetro davanti a lei. «Come hai detto che si chiama?»
«Marocchino».
«E’ favoloso. Ne prendo volentieri un altro!»
 



Brighton, 11.44
 





Mezz’ora passata al volante per un cielo d’argento, un vento rinfrescante ed una spiaggia deserta: Brighton.
Morgana aveva parcheggiato la sua auto sulla soglia del marciapiede, poi si era diretta verso la spiaggia. Le piaceva, quel posto, e lo odiava allo stesso tempo. Per questo e per altri motivi le ricordava Merlin; per questo e per altri motivi, Morgana compativa e comprendeva Catullo.
Il vento le muoveva quelle onde nere, cullandola come una bambina in pigiama, pronta a trascinarsi le coperte colorate fin sotto il naso.
Il sole splendeva appena dietro tutto quel grigio, la ragazza ne sorrise. Poteva sembrare qualcosa di cupo e sinistro, ma a Morgana il sole non l’era mai piaciuto: amava il freddo, il grigio, la pioggia.
Non da sempre, solo da quando sua madre era morta. Davanti ai suoi occhi.
Igraine era come il Sole, amava le belle giornate. Uther era sempre stato un uomo enigmatico, misterioso. La Pendragon sapeva perfettamente di essere più simile al padre che a sua madre.
Si sedette sulla rena chiara, mentre la luce del mattino le schiarì gli occhi verdi. Quella spiaggia era stata l’inizio e la fine di tutto.
Respirò la brezza marina, lasciandosela entrare nei polmoni.
Quella, era stata l’ultima cosa che aveva respirato tra le braccia di Merlin. Il sapore di salsedine, era stato l’ultimo che aveva gustato sulle sue labbra.
Guardò all’orizzonte, proprio dove mare e cielo sembravano toccarsi. Tra le mani stringeva una foto, quella che aveva rubato da casa sua due anni fa, appena prima di partire per Parigi.
Quella spiaggia era stato il luogo dell’inizio. L’inizio della fine.
 


Brighton, dicembre 2012
 





«Morgana!», la richiamò il corvino dietro il volante, vedendola uscire dall’auto indispettita. «Possiamo parlare come due persone normali?»
Morgana continuava a tenere il muso restando a braccia conserte, continuando ad allontanarsi senza dare conto a Merlin, che intanto era sceso dall’auto e si era poggiato alla portiera.
«Mi ascolti almeno?»
«No!», sbottò acida, incamminandosi verso la rena fredda e dorata.
Il vestito viola, sotto il sole pigro d’inverno, lasciava intravedere l’intimo nero della ragazza. Merlin sentì la gelosia impossessarsi di lui. Richiuse la portiera con un tonfo sordo, raggiungendo la corvina sulla sabbia.
«Guarda che quello arrabbiato dovrei essere io!» le gridò alle spalle. «Il tuo ex ti ha invitato al drive-in e tu ti sei gettata nelle sue braccia!»
«Io faccio quello che mi pare!» sputò fuori, voltandosi fugacemente verso di lui. «Idiota».
Eh no! Pure “idiota”, no!
Il ragazzo serrò le labbra arrabbiato, bloccando Morgana per il polso, riuscendo a rigirarsela davanti agli occhi. Non gliene fregava niente che quei due smeraldi fossero furiosi: era il suo ragazzo, diamine, non il suo servo!
«Ascoltami», guardò fisso e deciso quel volto adirato, «io sono innamorato di te. Ti amo, anche se sei una bambina capricciosa, ma questo non posso sopportarlo: non posso sempre rincorrerti, non posso sempre chiedere scusa anche quando ho ragione!»
La ragazza rilassò per un momento i muscoli in tensione, abbassando – solo per un secondo – la difesa. «Vieni a Parigi con me, allora».
«Morgana… Ne abbiamo già parlato».
«No, Merlin, affatto!» ringhiò indispettita, ritraendo con forza la propria mano dalla sua stretta, improvvisamente più fastidiosa. «Io ho mandato al diavolo mio padre, per te! Sono andata via dalla mia casa, ho usato i miei risparmi per vivere insieme. Sono stanca di nascondermi, stanca di vivere questa storia nell’ombra nemmeno fossimo due criminali!»
Merlin prese lentamente fiato, deglutendo. Cercava nel palato le parole giuste da dirle, sicuro di non poterle dire la verità: non poteva raccontarle di Aridian, della droga o dei ricatti di Agravaine. No, non poteva.
«Ma cosa faccio io a Parigi, eh?», azzardò, cercando di nascondere il tremore della propria voce. «Qui ho tutto. E… poi come farei con la scuola, con Gaius, con Arthur…»
«Avresti me.» Morgana serrò la mascella. Merlin l’aveva delusa, e molto. Aveva voglia di urlare, picchiarlo e andare via da lì. Lei aveva rinunciato a tutto per loro e invece lui se ne stava impalato sulla sabbia ad inventare scuse. Voleva sparire. «Ma, a quanto pare, per te non è abbastanza».
Il vento cominciò a soffiare un po’ più forte, facendo danzare le sue ciocche corvine.
Era arrabbiata e per giunta non sapeva neanche dove andare; accecata dalla rabbia si era avvicinata alla riva, capendo di essersi chiusa da sola la strada.
«Morgana…»
Poco importava. Avrebbe continuato ad ignorarlo, anche al costo di bagnarsi i piedi!                     
«Morgana, ti prego!»
Accigliata, continuò ad ignorarlo, volgendo lo sguardo al mare mosso di dicembre. Ecco, quello era uno dei tanti motivi per cui era arrabbiata con lui: Perché cavolo l’aveva portata al mare, in pieno inverno?!
Merlin sospirò, comprendendo che ormai la sua ragazza era entrata nella fase ti-odio-e-non-ti-rivolgo-più-la-parola che tanto odiava – e lo faceva impazzire, allo stesso tempo.
Sollevò incerto una mano dal fianco, sfiorandole piano il braccio: anche se ormai Morgana era sua, anche se condivideva un appartamento con lei, provava sempre uno strano brivido lungo la schiena toccandola, avendola vicino.
Lei si ritrasse dispettosa, allontanandosi di qualche passo, fermandosi solo quando sentì il mare bagnarle le scarpe – nuove, per giunta!
«Non mi toccare!» lo redarguì con quella smorfia da ragazzina viziata.
Merlin non si diede per vinto – anche se stare con lei era una bella sfida! Una guerra, ogni sacrosanto giorno.
Il ragazzo si avvicinò cauto, quasi Morgana potesse voltarsi improvvisamente verso di lui e lanciargli contro un incantesimo. Si accostò alla sua schiena lasciando, tra i loro corpi, quel microscopico spazio utile a non toccarsi. Odorava di pesca, la sua Morgana.
Profumava più del mare.
Accorciò le distanze tra la propria bocca e l’orecchio di lei, sussurrandole piano: «Possiamo trovare un altro modo». Le onde del mare sembrarono intonare una melodia solo per loro due. «Non deve per forza finire così».
Si avvicinò, peccaminosamente, con le labbra al suo collo chiaro. «Non voglio perderti, Morgana.» La baciò nell’incavo, soffiandole sulla pelle: «Mai».
Forse era diventato pazzo, ma per un momento gli sembrò che anche lei avesse ceduto.
Morgana si voltò verso il suo viso, poi lo baciò. Forte, senza fiato. Merlin era diventato un burattino nelle sue mani, un piccolo servitore al suo comando. Si lasciò trascinare verso riva, sfilare la giacca… e farsi gettare nell’acqua ghiacciata.
«Sei pazza?!», imprecò, tremando come in uno di quei cartoni animati dove il personaggio rabbrividisce, vibrando come un cellulare, colorandosi la faccia di blu.
Morgana lo guardò soddisfatta, ghignando trionfante: «Ti avevo avvertito, Emrys».
Era bagnato fradicio ed alzarsi era stato anche più traumatico: si gelava!
«D’accordo», finse innocenza avvicinandosi pacificamente alla corvina.
Lei gli lanciò uno sguardo assassino, capendo al volo le sue intenzioni. «Non ti azzardare!»
Fu difficile afferrarla, soprattutto una volta caduti sulla sabbia, ma alla fine Merlin riuscì nel suo intento: se la caricò sulle braccia – mentre lei minacciava di ucciderlo, prendendolo a pugni e dimenandosi come una pazza -, riuscendo appena in tempo a gettarla in acqua.
La vide strabuzzare gli occhi in modo buffo, puntandogli un dito contro: «Io ti ammazzo!»
Rideva Merlin, rideva di buon gusto. A pensarci bene, Morgana in quello stato pareva davvero una strega cattiva.
 
 



Più tardi, quando il sole cedette il posto a nuvole cariche di pioggia, i due ragazzi si rifugiarono nell’auto, zuppi ed infreddoliti, riscaldandosi con la stufa.
Morgana, quel giorno, scoprì che le labbra di Merlin ricoperte dal sale erano più gustose; accentuavano la sua sete, rendendola pazza. Pazza di lui.
Si staccarono l’uno dall’altra solo per riprendere fiato. La corvina restò a fissare la sua bocca, rosea e schiusa. Sentì uno strano formicolio allo stomaco, qualcosa che non aveva mai provato prima in vita sua. «Ti amo».
Il cuore di Merlin si ribaltò nel suo petto. Gli fracassava l’addome. «Cosa?»
Lei non glielo aveva mai detto prima.
Fu più forte di lui: le labbra si allungarono in un buffo e infantile sorriso, emozionato come un bambino. Fosse passato qualcuno in quel momento a dirgli che gli asini volvano per davvero o che Babbo Natale esistesse, lui ci avrebbe creduto. «Cosa hai detto?»
Morgana poggiò due dita sul labbro inferiore del ragazzo, mentre fuori la pioggia cadeva furiosa sul tetto dell’auto. «Vieni con me a Parigi, Merlin».
 
 


Londra, Maggio 2015






Freya prese tra le mani un blocchetto di carta ed una bic nera, avvicinandosi al tavolino rotondo, quello vicino ad un quadro del Colosseo, appeso al muro da Arthur Pendragon in persona – apparteneva a sua madre, aveva detto.
«Buon giorno.» disse poco allegra, mantenendo lo sguardo basso. «Cosa posso portarle?»
Il suo cliente, un moro con i capelli in disordine, le sorrise dietro la sua barba appuntita posando i suoi occhi scuri su di lei. «Io potrei anche dirtelo, ma poi sembrerei sfacciato… Non è possibile avere il tuo numero?»
Freya rimase a guardarlo impassibile, leggermente infastidita: ci mancava solo un cretino Don Giovanni dopo quella pessima nottata!
«Suppongo sia il solito», tagliò corto lei posando la penna sul foglio. Adesso che ci pensava, quel ragazzo lo aveva già visto qualche volta, il più delle volte quando Merlin non era di turno: era solito entrare nel bar, scambiare quattro chiacchiere con Arthur e ordinare – o meglio, scroccare – una birra.
La bruna scrisse frettolosamente il nome della bevanda, per poi congedarsi: «Arriva subito».
«La birra oppure un invito a cena fuori?»
Sorrise per un brevissimo istante perché “il cliente ha sempre ragione”, poi sparì dalla sua vista diretta verso il bancone. «C’è il tuo amico scroccone».
Arthur accennò una risata di chi la sapeva lunga, mentre Freya prendeva una Heineken dal frigo e la stappava. «Accertati che paghi», le raccomandò prima che Ginevra, ancora seduta sullo sgabello, non lanciasse un’occhiata all’avventore in questione.
«Gwaine! Anche lui viene qui?» chiese – più a se stessa che ai due baristi -, sentendo una strana nostalgia farsi spazio in lei. «Quanto tempo è passato…»
«Sette mesi, quindici giorni e dodici ore», precisò il Pendragon freddo, alludendo certamente ad altro.
Freya guardò di sottecchi i due ex, prima di avvertire nuovamente l’oppressione della notte precedente sulla pelle. «Io vado dal cliente…» Non sapeva nemmeno perché lo aveva detto.
Solo una volta arrivata al tavolo, col vassoio rosso tra le mani, si accorse che il giovane non le aveva tolto gli occhi di dosso.
«Dicono che le ragazze più belle abbiano le lettere “a” ed “e” nel proprio nome», iniziò lui, mentre la cameriera gli serviva bottiglia e bicchiere. «Il tuo nome deve essere per forza…»
«Europa», rispose piatta, ripensando a quel triangolo assurdo che ormai faceva da padrone alla sua vita: Italia/Inghilterra/Francia e… Dio, se lo odiava!
«Europa?» chiese, vagamente divertito.
«Sì, Europa. Esistono ragazze che hanno nomi maschili come Jo, Alex, Ronnie… Non vedo cosa ci sia di male nel nome “Europa”. In fondo la “a” e la “e” ci sono».
«Europa…», stavolta il moro parve assaggiarlo quel nome, vedere che sapore aveva nel palato. «Beh, mi sembra giusto».
«Desidera altro?»
«Senti… Credi suonerebbe strano invitare “Europa” ad una festa, stasera?»
«Sono fidanzata», rispose in automatico, fingendo dispiacere.
Gwaine bevve un bel sorso dalla bottiglia di vetro, per poi sorriderle con quel suo fascino barbaro. «E’ qui?»
«N-No».
«Deve essere un vero idiota, allora. Io non lascerei mai una ragazza così bella da sola».
Freya non era ingenua – almeno non al punto da credere che quel donnaiolo non facesse così con tutte -; eppure le aveva dato fastidio, come se anche quel moro sciupafemmine le stesse ricordando che Merlin non era tornato a casa quella sera ed era rimasto con lei, Morgana, la sua ex.
«Ad ogni modo», Gwaine frugò nella tasca dei suoi jeans larghi estraendone un foglietto di carta stropicciata, «questo è l’indirizzo».
La cameriera lo guardò diffidente, decidendosi però a prenderlo. Freya lo vide sorridere ancora, anche dietro il vetro verde della Heineken – che aveva già terminato.
«Ci becchiamo alla festa, Europa.» Le strizzò l’occhio per poi alzarsi dal divanetto. «Porta anche il tuo amichetto, se vuoi». Il giovane si fermò ad un passo dal suo volto, penetrandola col suo sguardo caldo e ammiccante. «Anche se vorrei tanto non lo facessi».
Gli occhi di Gwaine erano scuri e parlanti, odoravano quasi. Sembravano moka pregiata, caffè pressato al punto giusto: un aroma inaspettato. La ragazza non se ne capacitò mai del perché, ma in quel momento non lo riprese e non si scansò nemmeno quando lui le sfiorò volontariamente la mano. Non fece nulla neanche quando, irritato dietro al bancone, Arthur gli gridò di pagare il conto – che, ovviamente, Gwaine non pagò.
La cameriera sarebbe rimasta impalata se non fosse che, dal bagno del locale, un urlo disperato avesse attirato simultaneamente l’attenzione di tutti.
Arthur, ignorando ogni consiglio medico e rimprovero da Ginevra, prese tra le mani le sue stampelle, arrancando come un condottiero – anche se, la figura più idonea sarebbe stata quella di un soldatino con la gamba mozzata – verso la toilette.
Quel posto era il suo locale, i clienti erano i suoi clienti ed ogni problema lo riguardava in prima persona: gestire un bar era poco diverso che gestire un regno.
 
 
 
 





Cercò di rimettersi in piedi, mentre fuori dalla finestra il sole continuava a picchiettare su Londra.
Sentì un bruciore all’altezza del ventre, scoprendosi ancora disteso sulla tavola in legno della cucina; l’unica differenza dalla notte precedente erano un cuscino dietro il capo ed una coperta di lino sul corpo. Gaius, pensò intenerito e riconoscente Merlin.
Non ricordava molto di come ci fosse arrivato fin lì, ma ricordava alla perfezione il proiettile nel suo corpo, Aridian ed il pianto di Morgana… Già, Morgana.
Per sua sfortuna ricordava anche cos’era successo appena dopo aver ripreso conoscenza…
 


*




 
Merlin riaprì piano gli occhi, attendendo che le sfumature opache dinanzi a sé tornassero ad avere una forma chiara e precisa. E la prima cosa che vide furono due smeraldi irati, pronti ad incenerirlo; anche se, doveva ammetterlo: per un attimo gli parve gli confonderli con due occhi blu e sereni di vederlo ancora vivo, e altezzosi come sempre.
«Risparmia il fiato, Emrys. Ti servirà». La voce pungente di Morgana scacciò quei suoi pensieri dalla mente, lasciandolo solo nel fronteggiare quel viso crucciato. «Mi fai schifo.»
Un graffio, sottilissimo e letale, sul cuore.
«Ed io che speravo tu fossi cambiato, Merlin.» Scosse la testa, col suo viso che gli sputava addosso il ribrezzo che provava verso di lui.  «Sei il solito traditore. Tu non cambierai mai».
«Non è come pensi», si difese, tentando di alzarsi dalla posizione supina in cui era costretto.
«Smettila con questa cazzate!» La corvina si aggiustò stizzita la borsa sulle spalle, saettando verso la porta.
«Neanche tu sei stata sincera!» la rimproverò alzandosi dal tavolo, per poi poggiarsi alla sedia di legno chiaro, barcollando per un po’. «”Non credo al matrimonio, Merlin.” “Il matrimonio è la gabbia dell’amore”, e poi vengo a sapere da Arthur che ti sposerai con Mordred».
Morgana posò i suoi smeraldi furiosi sul volto di Merlin. «Questi non sono affari che ti riguardano. Hai una ragazza? Bene, pensa a lei».
«No, invece mi riguarda!» le disse, mantenendo comunque le distanze. Sentì gli occhi appesantirsi, un po’ come il cuore nel petto. «Tu… Tu non sai cosa vuol dire stare senza te, non hai idea di cosa significhi non averti accanto. Io sono stato una merda senza di te!»
Un nodo gli stringeva forte la gola, gli occhi si erano velati lacrime. Morgana era rimasta pietrificata da quelle parole mentre dentro di sé, proprio nei meandri più profondi, una vecchia ferita si era riaperta e ricominciava a sanguinare.
«Credi che per me sia stato facile? Credi che io sia stata bene, Merlin?» La voce di Morgana era rotta, fredda, ferita. «Io ero terrorizzata! Ero sola, senza nessuno. Non sapevo cosa fare, non sapevo di chi fidarmi per colpa tua! Io mi sono fidata di te, ho rinnegato mio padre e mentito a mio fratello, poi un giorno torno a casa e trovo della maledetta droga nel tuo zaino! Hai fatto crollare tutte le mie certezze e no, Merlin, tu non sai quanto sia stato difficile per me! Ero sola, impaurita e tu cosa hai fatto, eh? Niente».
Facevano male i suoi sguardi lucidi, forse ancora di più delle sue parole di ghiaccio. La corvina si voltò in fretta, per poi asciugarsi stizzita una lacrima dal volto.
«Mi sei mancata.» Fu un sussurro a voce spezzata, niente di più. «Non deve per forza finire così», Merlin prese coraggio avvicinandosi alle spalle di lei – gli sembrò quasi un buffo déjà-vu -,  «possiamo trovare un altro modo».
Morgana sentì la sua presenza dietro la propria schiena. Avrebbe potuto fare di tutto, di tutto… e invece chiuse gli occhi, asciugandosi le lacrime. «Non c’è un altro modo».
 



 
*
 






Merlin si mosse lentamente in quella casa, che ormai conosceva bene. Sporse lo sguardo oltre la porta semiaperta della stanza dell’anziano. Gaius era seduto sul letto, con la foto di Alice tra le mani e… le parlava.
Talvolta, diceva di vederla.
Il ventenne deglutì, incamminandosi poi verso la stanza di Vivian – che in quei tre anni era diventata la sua camera. S’intenerì nel notare che Gaius aveva lasciato tutto com’era: il letto era ancora rivestito da quelle lenzuola arancioni che tanto adorava, sulla scrivania c’erano ancora vecchi cd di Lucio Battisti e Charles Aznavour. Sull’armadio, alla sua sinistra, se ne stava ancora indisturbato l’adesivo della Cupola di San Pietro – o, come direbbero i romani “del Cupolone”.
Merlin ne aprì le ante, prendendo una maglia qualsiasi e indossarla, per poi andare via.
 
 






Girò la chiave nella toppa come da routine, richiudendosi la porta alle spalle. Era tutto così silenzioso… Freya doveva essere ancora al bar.
Poggiò le chiavi sul mobile, accorgendosi solo allora di una foto sul pavimento, qualche passo più avanti. Strano, pensò.
Il corvino si avvicinò, stringendo i denti in una smorfia di dolore una volta abbassato; eppure, in quella posizione, ci rimase per un po’. Quella foto… era la loro foto. Come ci era finita lì?
«Non può finire così».
Merlin si alzò di scatto, notando solo in quel momento la ragazza in piedi nel corridoio. «Non è finita», disse decisa.
Emrys rimase impalato come una statua di marmo, col cuore paralizzato nel petto – o forse, batteva troppo forte?
Morgana Pendragon si era mossa verso di lui, rendendo quasi nulla la distanza tra i loro corpi.
Gli occhi azzurri di Merlin erano fissi su di lei, il resto del corpo era come congelato. Poi, sentì il tocco della sua mano sul suo addome e fu come sporgere la testa oltre un precipizio. Le labbra della corvina sfiorarono le sue e Merlin si vide oscillare verso il basso, pronto al salto nel vuoto.
Fu lui ad annullare quello spazio inutile che li teneva lontani, prendendole il viso tra le mani e baciandole la bocca. Cadde, nel vuoto.
Non voleva respirare, voleva solo assaggiarla, riscoprire il suo sapore. La baciava senza fiato, come se fosse piombato nelle profondità dell’oceano.
Fu lei a staccarsi dalla sua morsa e Merlin sentì la corda dell’imbracatura tenerlo sospeso nel nulla.
Il corvino si accorse di tremare, proprio come la sua prima volta. Sentiva l’urgenza ed il bisogno di averla e la paura di attenderla, proprio come quando si aspetta di riprendere lo slancio e tornare verso l’alto.
Perché si era staccata? Aveva sbagliato qualcosa, doveva chiederle scusa?
«M-Morgana…»









** Relie's Corner**
- Il personaggio di George compare nella quarta stagione di Merlin, precisamente nella sesta puntata.
- Alcune frasi tipo "Non deve per forza finire così, possiamo trovare un altro modo", sono state strappate letteralmente dalle labbra di Merlin e riportate qui.
- Il Marocchino può essere considerato come un piccolo capuccino con aggiunta di polvere di cacao.
- Igraine, la madre di Arthur e Morgana, era originaria di Roma, ecco perché questo accanimento con la nostra capitale ^^
- Merlin possiede cd di Battisti perché, per corteggiare Morgana, ne aveva avuto bisogno. 
- Se a qualcuno interessa leggere il pre-Pendragon's eccovi il link--> Destinati ad essere Champagne
- Sì, ho la fissa per il nome "Europa", che male c'è? (Senza volerlo fare intenzionalmente, ho citato i Jolex - Jo, Alex... Pensare che manco mi piacciono insieme)
- Sicuramente avrò dimenticato qualcosa quindi, se avete qualche dubbio, non esitate a chiedere!



 
   
 
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