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Autore: Cygnus_X1    16/08/2015    1 recensioni
Un trono usurpato. Una ragazza in cerca di se stessa. Una maledizione mortale.
~~~
Myrindar ha diciassette anni e un marchio nero sul petto. Una maledizione che l'accompagna da sempre, che le dà il potere di uccidere con il solo tocco. Salvata dal Cavaliere Errante Jahrien dai bassifondi di una città sconvolta dalla guerra, Myrindar ha vissuto in pace per cinque anni, dimenticandosi dei conflitti, con una famiglia che l'ha accolta con amore.
Tutto cambia quando nel villaggio dove abita giungono i guerrieri dell'Usurpatore a cercarla. Myrindar è costretta a fuggire, guidata da una misteriosa voce che le parla nei sogni, alla ricerca dell'esercito dei Reami Liberi e dei Cavalieri Erranti. Ma il nemico più pericoloso non è l'Usurpatore, né il suo misterioso braccio destro; è la maledizione che la consuma ogni giorno di più e rischia di sopraffarla.
Tra inganni, tradimenti e segreti del passato, tra creature magiche e luoghi incantati, Myrindar si ritroverà in un gioco molto più vasto di quanto potesse immaginare; perché non è solo una guerra per la libertà, quella che sconvolge i Regni dell'Ovest. Non quando antiche forze muovono le loro pedine sul campo di battaglia.
[High Fantasy]
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 20

Tessere piani



 

G



li uomini di Temeh si erano divertiti a perquisirla, dopo averle tolto arco, faretra e pugnali: si era trovata le loro rudi mani dappertutto, e non era una stupida. Sapeva che se le avevano palpato i seni e strizzato il sedere non era per controllare se avesse nascosto delle armi.
Purtroppo però erano in troppi perché potesse allontanarli con la magia senza farsi scoprire; l'unica cosa che poteva convincere otto uomini a non osare sfiorarla nemmeno era un incantesimo tutt'altro che discreto, e Keeryahel non poteva permettere che Temeh sapesse delle sue capacità magiche, erano l'unica arma che le restava. Così aveva stretto i denti e si era isolata dall'ambiente circostante scendendo in profondità dentro di sé, come le aveva insegnato sua madre per sopportare gli insulti di suo padre.
Gli uomini l'avevano poi portata, legata e bendata, dentro una casa, le avevano fatto salire delle scale e l'avevano chiusa in una stanza completamente vuota per un po'. Lei si era seduta a gambe incrociate sul pavimento di legno e aveva semplicemente aspettato, concentrandosi sulle presenze che avvertiva intorno a sé: c'erano gli uomini fuori dalla casa, che aspettavano il loro capo e che scommettevano tra di loro su quanto si sarebbe divertito con lei, e poi una donna che stava preparando qualcosa per lei.
Quest'ultima, infine, dopo aver girovagato per la casa per qualche tempo, si avvicinò alla sua porta e l'aprì. Lo stupore era palpabile in lei, ma senza fare una piega le si avvicinò e le tolse la benda.
«Dei del cielo, ragazza» le disse, gli occhi grandi dalla sorpresa. Era una donna sulla sessantina dai modi spicci, minuta e rinsecchita, abbigliata con una veste semplice color terra, i capelli ingrigiti raccolti in uno chignon. «La maggior parte della gente nella tua situazione strepita e strilla. Ma soprattutto non ho mai visto nessuno come te.»
«Mi hanno detto che sono strana» confermò lei, alzandosi in piedi e voltandosi perché le slegasse i polsi. Le stava simpatica, ma non voleva rivelare la sua identità. La donna la liberò dalle strette corde e mentre lei si  massaggiava i polsi arrossati le indicò la porta. Keeryahel si trovò in un corridoio dal pavimento di legno e il soffitto a spiovente; sulle pareti intonacate si aprivano altre porte.
«Quel maiale di Temeh meriterebbe le peggiori torture per tutto ciò. Se penso a quante ragazze mi è toccato preparare...» sputò la donna con astio. Keeryahel si sforzò di restare lucida e al contempo apparire intimorita.
«Cosa mi succederà?» L'Elfa si sentì fiera del fatto che la voce le era uscita con un lieve tremito da ragazza spaventata. La donna la spinse leggermente verso una delle porte.
«Temeh ti terrà con sé per un po', finché ti troverà interessante. Poi ti affiderà a me e io dovrò rimettere insieme quello che resta di te e trovarti un lavoro in città» sospirò. Keeryahel, in qualche modo, simulò un brivido di terrore, ma nella sua mente si era accesa una furia infuocata. Non gli permetterò di rovinare altre vite, si diceva, sperando che nulla di tutto questo trasparisse sul suo viso. «Preferisco che tu sappia a cosa vai incontro, per questo sono stata così dura» riprese la donna, aprendo la porta e facendo entrare l'Elfa, e così lei comprese che la recita le era riuscita discretamente bene.
«Ad ogni modo, io sono Ellana» si presentò, tendendo una mano con sguardo triste.
«Cailis» si inventò su due piedi Keeryahel, stringendole la mano.
La stanza era calda e colma di vapore. La maggior parte dello spazio era occupato da una tinozza riempita di acqua calda.
Keeryahel iniziò a spogliarsi, abbandonando uno dopo l'altro gli abiti da guerriera in un angolo: prima il mantello, poi il corsetto e i parabracci, i pantaloni di cuoio, la tunica e la camicia. Aveva sempre vissuto con indosso abiti da combattente, tanto che poteva considerarli alla stregua di una seconda pelle, e ora le toccava fingere di essere una ragazzina spaurita. Ma avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di impedire a quel mostro di trattare come giocattoli tutte le ragazze che attiravano la sua attenzione.
L'acqua era bollente e le scottava la pelle, ma la ragazza non emise un gemito. Uscì dalla tinozza dopo una decina di minuti con la pelle arrossata dal calore e i capelli ancora più ingarbugliati. Ellana la asciugò con un drappo e poi la condusse nella stanza accanto, un minuscolo locale in cui troneggiava un grande armadio; lì la squadrò con occhio critico prima di aprire una delle ante e tuffarsi tra gli abiti. L'Elfa nel frattempo aveva avvolto il drappo intorno alla testa per far asciugare i capelli, e quando vide gli abiti che le porgeva Ellana Keeyahel non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto.
«Non dovrò davvero mettere quelle cose, vero?»
La donna la guardò triste. «Mi dispiace, questi sono gli ordini.»
«E perché continuate tutti a obbedirgli, anche se è un tale mostro?» sbottò l'Elfa. «Uccidetelo, rinchiudetelo, mettetegli del veleno nel cibo, fate qualcosa!»
«Non possiamo» sospirò Ellana. «Ancora tempo fa si è assuefatto a tutti i veleni più noti, e ha sempre intorno a sé guerrieri fedeli che imprigionano o torturano chiunque osi ribellarsi. Io ho provato a rifiutarmi di lavorare per lui, ma ha minacciato di legarmi e costringermi a guardare mentre lui e i suoi uomini stupravano le mie figlie.»
Keeryahel dovette concentrarsi per mantenere la calma. Prese un respiro profondo prima di rispondere.
«Ma dovete fare qualcosa. I suoi crimini non possono restare impuniti.»
Ellana fissò per qualche secondo le mani che torcevano la stoffa della gonna.
«In città» sussurrò, abbassando il tono di voce fino a renderlo impercettibile da chiunque oltre a Keeryahel «dicono che Anser stia organizzando qualcosa. Era il figlio del capo che Temeh ha ucciso per prendere il potere, sai. Lui vuole vendicare suo padre, e molti altri vogliono eliminare Temeh. Se vuoi, stanotte, quando lui» Ellana deglutì «avrà finito con te, posso farti parlare con Anser.»
Keeryahel annuì. Forse si azzardava a vedere una via d'uscita. Se questo Anser avesse sollevato un'insurrezione contro Temeh, lei avrebbe potuto sfruttare il caos per liberare gli altri e insieme avrebbero cercato il Craidhal.
La giovane sospirò. Senza riuscire a cancellare l'espressione di disgusto dal volto, indossò un corsetto striminzito di cuoio bianco, pieno di nastri, che la stringeva terribilmente – e aveva l'unico scopo di spingerle i seni più in alto – e una gonna di veli pressoché trasparente.
Bene. E ora devo solo riuscire a lanciare l'incantesimo in tempo, si disse con un lieve brivido, mentre seguiva Ellana nella camera di Temeh.
 
***
 
Quando l'eco del suono del chiavistello si spense nel buio, Myrindar capì di essere perduta. La cella era un pozzo circolare, la cui unica apertura – senza considerare la spessa porta di metallo, solida e senza nemmeno una fenditura – si trovava all'altezza del suolo, ad almeno cinque metri dal pavimento delle prigioni, ed era una stretta finestrella rettangolare chiusa da solide sbarre metalliche. La fievole luce plumbea che proveniva da là illuminava le sagome di Jahrien, Dane e Torg, ma presto il sole sarebbe calato e la prigione sarebbe sprofondata nell'oscurità.
La giovane tossì, coprendosi il volto con una mano, istintivamente, per ripararsi dall'odore di putrefazione che ammorbava l'aria della cella, invano; spinse via degli oggetti spigolosi e viscidi sulla cui natura non voleva indagare e si sedette con la schiena addossata alla porta, per percepire meglio eventuali rumori dall'esterno che potevano essere un indizio sul loro destino futuro. Cercava di restare lucida e non farsi prendere dallo sconforto, ma le risultava davvero difficile non scoppiare in lacrime, e dal silenzio di tomba che gravava sulla cella sapeva che anche gli altri erano nella sua stessa situazione.
Tranne forse Torg, si disse. L'uomo sembrava imperturbabile, niente lo sconvolgeva. Myrindar si appuntò mentalmente di chiedergli, una volta usciti da là, quale fosse il rapporto tra lui e quel giovane che avevano trovato sulla spiaggia.
«Dobbiamo fare qualcosa» sussurrò Jahrien in quel momento, spezzando il silenzio carico di disperazione. La cella era così piccola che anche se parlavano a bassa voce riuscivano a comprendersi perfettamente.
«Dovevamo combattere sulla spiaggia, abbiamo sbagliato là» intervenne Dane con voce cupa. «Ora non possiamo fare niente... non senza la magia di Keeryahel o un aiuto dall'esterno.»
«Non potevamo sperare di sopravvivere contro Temeh e una ventina dei suoi uomini migliori» ribatté Torg, aspro. «L'ultima volta che ci siamo affrontati io e lui mi ha quasi ucciso, e avevo ancora entrambi gli occhi. Jahrien è un ottimo spadaccino e Keeryahel ha la magia, è vero, ma Myrindar non può usare Aleestrya senza esserne soggiogata, a  me manca un occhio e tu non sei stato addestrato. Ci avrebbero uccisi senza pensarci due volte.»
«La nostra situazione attuale non è molto migliore» replicò il ragazzo.
Myrindar chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi. Era già difficile trovare uno spiraglio di luce in quella situazione melmosa senza discussioni inutili.
«Fermi, non ha senso perdersi così. Non importa cosa sarebbe successo se avessimo combattuto, ora siamo qui e dobbiamo risolvere questo
«Esatto, Mir. Hai qualche idea?» le disse Jahrien.
La ragazza prese la testa tra le mani. Un abbozzo di qualcosa sembrava emergere dalla palude di pensieri negativi, ma ancora non riusciva a visualizzarlo.
«Ci sto arrivando» rispose. Una delle prime regole che insegnavano agli apprendisti Cavalieri Erranti era che anche nei momenti più disperati c'è una soluzione, basta pensare con lucidità.
«Anser ci aiuterà» intervenne Torg.
«Ne sei sicuro?» chiese il Cavaliere Errante.
«Sì.» Il guerriero sospirò. «È per lui che ho deciso di venire. Crede che sia suo padre... e dovrei dirgli la verità.»
Jahrien distolse lo sguardo; Torg lo osservava con incredibile intensità e nella penombra il suo occhio luccicava. Myrindar, se non sapesse con chi aveva a che fare, avrebbe detto che fosse invaso di lacrime.
«Quindi dobbiamo solo aspettare?» chiese. Aveva sempre odiato le attese snervanti.
«Esatto» rispose il guerriero, tornato l'inflessibile uomo che si era sempre dimostrato. «Non è una delle regole dei Cavalieri Erranti? “In alcuni casi non fare niente è l'unica cosa da fare”.»
 
***

Aveva annodato i capelli in un'infinità di treccine, li aveva sciolti di nuovo e li aveva intrecciati ancora, gli occhi chiusi, mentre scrutava i dintorni con i suoi poteri. Ellana se n'era andata subito dopo averla accompagnata in camera e aver chiuso la porta a chiave – “Questi sono gli ordini”, aveva detto con lo sguardo colmo di dispiacere – e nessun altro si era avvicinato alla casa.
Se Keeryahel non fosse stata nella situazione in cui si trovava, avrebbe apprezzato la camera, con il tetto a spiovente di legno chiaro, il pavimento ricoperto di folti tappeti colorati e il grande letto a baldacchino – che occupava quasi interamente lo spazio della stanza – circondato da cortine color prugna e ingombro di cuscini. Ma ora avrebbe preferito essere in qualsiasi altro posto.
Sorrise lievemente mentre il cuore accelerava i suoi battiti e le mani continuavano imperterrite a intrecciare. Temeh stava salendo le scale, e non le serviva la magia per capirlo: i suoi passi pesanti facevano tremare il pavimento su cui l'Elfa era seduta – aveva scelto l'angolo più lontano possibile dal letto, e da lì aveva una perfetta visuale della porta senza le fastidiose cortine in mezzo.
Aprì gli occhi e si alzò in piedi, lasciando perdere le ultime ciocche che le scendevano informi sulle spalle. Era arrivato il momento.
La magia ribolliva dentro di lei, pronta ad esplodere, si condensava in sporadiche scintille candide che vorticavano intorno alle sue dita. L'incantesimo era complesso e richiedeva la maggior parte delle sue forze, per cui doveva riuscirle. Non c'erano altre possibilità.
I passi rimbombarono strascicati e si fermarono dietro la porta chiusa. Keeryahel si concesse un respiro profondo – per quanto l'odioso corsetto le permetteva. L'incantesimo sembrava sul punto di prendere autonomamente vita dalle sue mani, ma mancava una componente fondamentale: il contatto visivo. E quello era il problema. Non poteva prendere il controllo dei sogni di Temeh senza aver sondato le profondità dei suoi occhi.
Lo sferragliare del chiavistello che veniva sbloccato la riportò alla realtà; per concentrarsi normalizzò il respiro cercando di scacciare l’ansia, anche se il suo cuore sembrava voler esplodere fuori dalle costole.
La porta si spalancò di colpo e andò a sbattere contro la parete opposta. La sagoma torreggiante di Temeh apparve sullo stipite, barcollando. I suoi occhi assenti la individuarono dopo qualche istante, scorsero sul suo corpo seminudo accendendo il volto di un fuoco irrazionale e quasi bestiale. Keeryahel non aveva mai rimpianto tanto il suo arco; la voce dell’istinto le perforava la mente gridando di piantargli una freccia in un occhio.
Temeh mosse un passo barcollante all’interno, e Keeryahel esultò dentro di sé: era ubriaco fradicio. Sarebbe stato ancora più facile.
Se solo mi guardasse gli occhi. Alza lo sguardo, bestia, guardami negli occhi, ringhiò mentalmente.
«Sei ancora più bella di quanto sembravi. Sei una Fata?» articolò a fatica, ingarbugliandosi nelle sue stesse parole. Senza attendere risposta, le si fiondò addosso molto più rapidamente di quanto l’Elfa potesse aspettarsi. D’istinto frappose le braccia tra se stessa e l’uomo, e si trovò schiacciata tra il muro e il suo corpo. Temeh puzzava di alcol e sudore; Keeryahel trattenne un conato di vomito quando cominciò a sentire le sue mani sulle gambe, sui fianchi e poi sempre più su, mentre la protuberanza ingombrante della sua erezione le premeva sul ventre.
L’ansia cominciava a invaderle il petto. Doveva lanciare quell’incantesimo, non si sarebbe lasciata usare, ma Temeh non sembrava voler schiodare gli occhi dai suoi seni.
Le sue mani la afferrarono sui fianchi, e all’improvviso si trovò distesa tra i cuscini, immobilizzata dal peso di Temeh. Non riusciva a respirare, soffocata dall’uomo, dall’ansia e dal corsetto troppo stretto.
L’uomo cominciò ad armeggiare con i lacci del corsetto e l’Elfa si ritrasse schifata. Non poteva aspettare ancora. In un moto d’orgoglio liberò le braccia da sotto il petto di Temeh, e prima che i suoi riflessi insonnoliti dall’alcol lo allarmassero e lui si accingesse a bloccarla, gli afferrò la testa e la sollevò, incrociando i suoi occhi annebbiati e confusi.
Senza perdere un istante, Keeryahel rilasciò la magia: un lampo di luce argentea si sprigionò dalle sue mani e circondò la testa di Temeh. I suoi occhi si spensero e si chiusero nel sonno magico, il suo corpo si afflosciò contro la ragazza con tutto il peso.
L’Elfa spinse con tutta la sua forza l’uomo da sé, facendolo rotolare scomposto tra le coperte. Respirando affannosamente, Keeryahel si alzò: tremava, dovette sorreggersi alla parete per non cadere. Restò ferma, la schiena appoggiata contro il muro e il corsetto mezzo slacciato, con i nastri che pendevano disfatti intorno alla vita.
Un po’ alla volta normalizzò il respiro, e sulle sue labbra apparve un sorriso. Aveva vinto, ce l’aveva fatta. Ora doveva parlare con Anser, ma era molto più tranquilla.
Sistemò alla bell’e meglio il corsetto, senza però stringerlo all’impossibile, in modo che la coprisse; estese le sue percezioni al circondario, avvertendo due presenze. Una era Ellana, nel piano inferiore della casa che cucinava per la cena, la mente un'unica matassa di pensieri intrecciati, tra preoccupazione, angoscia e rabbia. L’altra persona era fuori dalla casa da qualche parte, Keeryahel era sicura di averla incontrata prima ma non avrebbe saputo dire dove. Senza perdere tempo, la ragazza uscì dalla stanza, aprì la porta del corridoio che Temeh aveva lasciato semichiusa e si avventurò a passo felpato giù dalle scale. I folti tappeti, dalle fantasie geometriche e colorate, le permettevano di essere silenziosa; alla sua destra, finite le scale, si apriva una stanza annebbiata dal vapore entro cui Ellana si muoveva sicura.
Le si avvicinò da un lato ma la donna non se ne accorse finché Keeryahel non le sfiorò una spalla; a quel punto Ellana cacciò uno strillo soffocato e quasi rovesciò la pentola colma d’acqua bollente che teneva in mano.
«Cailis, sei tu!» esclamò, gli occhi grandi dallo stupore e il respiro accelerato. «Credevo fosse uno di quegli animali con chissà che richiesta… ma» si bloccò, realizzando chi aveva davanti. Buttò un’occhiata fuori dalla finestra, oltre la quale si vedeva un cielo dai colori smorzati dal quale il sole era appena tramontato «come mai sei qui… ora? Temeh non ha…»
«Era ubriaco» tagliò corto lei, evitando di sbilanciarsi. «Appena arrivato in camera è crollato addormentato. Devo parlare con Anser, ora che ne ho l’occasione.»
Ellana si guardò intorno in apprensione.
«Non posso farti uscire, per cui gli dirò di entrare da una delle finestre sul retro» sussurrò. «Torna alla stanza della tinozza e apri finestra e imposte.»
Keeryahel obbedì senza pensarci due volte. Non sapeva per quanto tempo l’incantesimo si sarebbe mantenuto: il fatto che Temeh fosse ubriaco l’aiutava, ma non poteva permettersi perdite di tempo.
Sovrappensiero, seduta sulla tinozza rovesciata in modo da avere sotto controllo sia la porta che la finestra, si accorse dell’arrivo di una persona solo quando colse un movimento all’esterno con la coda dell’occhio. Dandosi della stupida scattò in piedi ed estese le sue percezioni.
L’Elfa si rese conto che la presenza che si stava arrampicando sul davanzale era la stessa che aveva percepito dopo aver addormentato Temeh. Dunque Anser stava tenendo sotto controllo la casa già da un po’.
Bene.
La presenza si materializzò in un uomo ammantato e vestito con gli abiti scuri di chi non vuole essere individuato nell’oscurità del crepuscolo. Accucciato sul davanzale della finestra le ricordava un lupo a caccia, sul punto di balzare addosso alla preda.
Prima che Keeryahel potesse proferire parola, lo sconosciuto entrò e chiuse nuovamente le imposte e la finestra, sprofondando la stanza nelle tenebre. Se prima la tenue luce blu della sera filtrava nella stanza, ora l’oscurità era fitta. Keeryahel avvertì un brivido lungo la schiena.
Non aveva acceso la lampada perché dall’esterno non si capisse dov’era, provocando sospetti, ma ora si trovava chiusa in una stanza immersa nelle tenebre con uno sconosciuto. Allungò la mano verso la lampada e la accese con una scintillina magica, sperando che l’uomo non facesse caso al dettaglio. La luce irregolare della lampada si posò dorata sulla stanza e sulla sagoma dello sconosciuto. Era davvero alto, ma non massiccio come Temeh: aveva il fisico asciutto di un giovane, le braccia che spuntavano dalle maniche erano un fascio di muscoli nervosi.
«Sei tu Anser?» chiese la ragazza a bassa voce.
Lui annuì e tolse il cappuccio con un gesto lento, probabilmente per non allarmarla.
Keeryahel dovette  trattenere un’espressione di sorpresa. Ricordava i lineamenti spigolosi, la mascella pronunciata, gli zigomi alti di quel volto, ricordava gli occhi scuri coperti da ciuffi di selvaggi capelli corvini in parte trattenuti in una coda: quel ragazzo era la sentinella che li aveva accolti alla spiaggia, prima che arrivasse Temeh con i suoi uomini a catturarli.
Dunque era lui Anser.
«Io sono Keeryahel» gli rispose, tendendo una mano. Decise che con lui era meglio rischiare ed essere sincera. «Non credo di avere molto tempo prima che Temeh si svegli.»
Il ragazzo annuì. «Sarò breve, allora. Ellana mi ha parlato di te, ha detto che sosterresti un’insurrezione.»
La fissò di sbieco come per chiedere conferma.
«Io e i miei compagni la sosterremo» rispose, decisa. «Ma i miei compagni non potranno fare nulla finché sono in prigione. E inoltre» riprese prima che il giovane cominciasse a parlare «ricorda che abbattere Temeh non è la nostra priorità, né ciò per cui siamo qui. Quello che sta accadendo nei Regni dell'Ovest non può aspettare.»
Anser ascoltò senza battere ciglio o mostrare alcuna emozione. Non era uno sprovveduto, notò l'Elfa. Sembrava del tutto certo di quello che faceva.
«Torg è mio padre» disse, fissandola da sotto quel ciuffo di capelli mossi. «Sono certo che se ha fatto credere di essere morto a Temeh e a me per quattordici anni ci sia un motivo serio, e se ora ha deciso di sprecare tutto questo per aiutarvi a trovare il talismano dev'esserci una ragione.»
Si interruppe il tempo necessario a prendere un respiro profondo, poi si volse a fissarla negli occhi. Le sue iridi nere erano infiammate di determinazione.
«Il talismano di cui ha parlato la tua amica è uno dei tesori più preziosi di Temeh. Lo rubò a mio padre quando tentò di ucciderlo... e ora, a quanto ne so, lo tiene in un luogo segreto della sua stanza.»
Keeryahel sentì il cuore accelerare. Forse una soluzione c'era.
«A molti in città farebbe comodo che Temeh cadesse. Ho parlato con alcuni di loro, e siamo pronti. Domani, se il cielo lo permette, lui e alcuni dei suoi partiranno per una razzia; a quel punto libererò i prigionieri e prenderemo il controllo del porto. Sfruttando il caos, tu dovrai frugare la stanza per trovare il gioiello, raggiungerai i tuoi compagni sulla spiaggia e ve ne andrete pressoché inosservati.»
L'Elfa annuì e non rispose. Era un buon piano, ma lo stesso distrusse il suo entusiasmo in briciole e le causò un brivido lungo la schiena: fino all'ultimo aveva sperato che Anser le consentisse di andarsene dalle grinfie di Temeh, e invece non era stato così.
«Ce la farai a sopravvivere un altro giorno?» le chiese Anser, lo sguardo intenso puntato sui suoi occhi.
Keeryahel deglutì, ma si fece coraggio e annuì ancora. Questa volta il sogno magico avrebbe fatto credere a Temeh qualsiasi cosa avesse voluto fare di lei, ma era riuscita a lanciare l'incantesimo per miracolo. Cosa sarebbe successo se Temeh fosse stato un po' meno ubriaco e lei non fosse stata in grado di usare quella magia?
«Mi dispiace» riprese Anser, e sembrava davvero rattristato «ma credo che non ci sia altro modo.»
«Lo so» sussurrò lei mentre il giovane apriva le imposte e spariva nel buio, dopo averle gettato un'ultima occhiata. «Ce la farò» promise a se stessa.







 

******* Famigerato Angolino Buio *******

In questo capitolo avrebbero dovuto esserci anche un sacco di altre cose, ma per chissà quale motivo mi sono trovata oltre le 3.500 parole solo con questo O.O
Per cui niente da fare, tutto quello che avevo in mente finirà nel prossimo capitolo, spero questo non sia stato noioso - by the way, almeno ora si è spiegato il perché del cambio di rating XD
Come sempre, la pagina di fb: Di mezzelfi, muffin e fucili laser - Cygnus_X1
Ciau! :3

Vy

   
 
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