Everything has
changed
Stavo camminando
in mezzo alla
strada. Io ero in pigiama, ma tutte le persone attorno a me erano
coperte con
giubbotti pesanti; doveva essere inverno, probabilmente verso gennaio.
Decisamente, stavo sognando di nuovo: nella vita reale – si
può dire così? –
era il 19 ottobre. Non riuscivo a capire cosa ci facessi lì,
in una strada come
le altre della mia città, all’ingresso del parco.
Provai a fare un passo, ma
una figura bionda mi tagliò la strada. Per poco non mi presi
un infarto, non
l’avevo proprio vista arrivare. La seguii con lo sguardo e mi
resi conto di
quanto fosse familiare, nel modo di muoversi e
nell’abbigliamento. La seguii
per curiosità e, quando si lasciò cadere sulla
panchina, mi resi conto del
motivo della sua familiarità: ero io. Mi diedi della
stupida. “Complimenti,
ragazza, non ti sai nemmeno riconoscere” pensai
sarcasticamente. Osservai
attentamente la me di quella notte, cercando di capire se fosse un
ricordo o
no. Non riuscivo a capire il motivo, ma stava piangendo.
“La
protagonista. Sei tu” disse solo. Non era una domanda. Annuii
piano. “Cosa ne
pensi? Ti ho praticamente consegnato tutto quello che sono su pagine e
pagine
di sogni infranti e storie impossibili. Devo sembrarti abbastanza
patetica”
commentai. Lui mi guardò qualche secondo. “In
realtà mi sembri dolcissima”
sussurrò.
Mi allontanai di
scatto dalla
panchina, come se scottasse, capendo dove ero finita. Ero appena
scappata da
quel bar della nostra prima uscita di gruppo al completo. Mi guardai
intorno,
ma tutto era sfocato, tutto tranne la panchina e la Coralie del sogno,
come se
dovessi concentrarmi solo su quello. Poi sentii un’eco
lontana di una voce
inconfondibile. Con un colpo al cuore mi voltai e vidi in lontananza
Luke, che
parlava al telefono. Anche lui era a fuoco. Mi avvicinai a lui
lentamente, come
se avessi paura che potesse accorgersi di me. Mi avvicinai abbastanza
per
distinguere il sorriso sulle sue labbra.
“Sì,
sono fuori con i ragazzi e le tre di ieri. Sì,
c’è anche
la ragazza di Calum. Come si chiamano le altre? Una è Carol,
la nuova fiamma di
Ashton. Non credo che durerà molto fra loro, sai? Poi
c’è Manuela; Michael già
ci sbava dietro, figurati. Non aspetta altro, quello, era in astinenza
da un
po’; credo che se la porterà a letto entro poco,
conoscendolo, oppure la
lascerà perdere. Poi, questa te la devo proprio raccontare,
piccola… ce n’è una
che è assolutamente fissata con me. Pazzesco, no? E crede
anche di avere
qualche possibilità! Pensa che Carol mi ha dovuto stalkerare
per suo conto! È
proprio fissata… e poi è strana forte, sai?
Bella? È accettabile, diciamo. Di
sicuro non bella come te, amore. Sai che nessuno può
competere con te. E
comunque quella è completamente matta. Il nome? Coralie,
credo. Forse Coraline.
Che nome assurdo, però quella è tutta assurda.
Pensa che ha insistito per farmi
leggere il libro che ha scritto… sì, scrive, ma
non è brava. Credo glielo
abbiano pubblicato per pietà. E io, per pietà, ho
dovuto leggerlo. Avrei
preferito mettermi due dita in gola, davvero. Poi, per farla felice, le
ho
detto che da quel libro mi sembrava una persona dolcissima…
ed è scappata!
Adesso la sto cercando… solo per non fare la parte
dell’insensibile… sì, credo
che abbia qualche problema mentale, come Carol… sono tutti
matti in famiglia…
Oh, aspetta, eccola. Sta piangendo, Diana, ti
rendi conto? È patetica, quella bambina. Senti,
devo andare, fammela riportare sana e salva dagli altri. Vediamo se le
lezioni
di teatro sono servite a qualcosa. Ti scrivo più tardi, va
bene? Sì, lo so, ti
amo anche io.” Dicendo questo, chiuse la chiamata,
guardò la mia copia
esasperato e mi superò senza nemmeno vedermi. Io, intanto,
dovevo lottare per
non scoppiare a piangere.
Luke
chiamò il mio nome e si sedette di
fianco alla me del sogno. “Coralie, cosa succede?
Perché sei scappata così?”
chiese con falsa confusione. Le sollevò il viso con un dito.
“Perché stai
piangendo? Coco, cosa c’è?” fece, dolce.
Io scossi la testa, piangendo, mentre
la mia copia tirava su col naso e rispondeva: “È
che ho paura. Tutti quelli a
cui ho permesso di conoscermi davvero sono scappati. Ho aperto loro il
mio
cuore e loro mi hanno lasciata da sola. Ho paura che possa essere
così anche
con voi. Ho paura che possa essere così… con te.
Non voglio che succeda come
con tutti gli altri.” Luke non fece niente per un attimo, poi
la abbracciò. “Io
non voglio essere come tutti gli
altri. Non ti lascerò andare, promesso” disse. Io
aggirai la panchina per
vederlo in faccia, e vidi che stava alzando gli occhi al cielo,
scocciato. Poi
sollevò lo sguardo e incrociò il mio, lasciandomi
sorpresa: non credevo che
potesse vedermi. Fece un sorriso cattivo e indicò la schiena
della me del
sogno. Io seguii la direzione indicata dal suo indice e vidi, proprio
come
nell’altro sogno, che i capelli biondi stavano diventando
rosso ciliegia e
lisci. Quando si separarono dall’abbraccio, non fui sorpresa
di vedere Diana al
posto di quella che ero io. Luke le posò una mano sulla nuca
e l’avvicinò a sé,
in un bacio bagnato e famelico, quasi animalesco. Mentre la baciava, mi
guardò.
Sentii il gorgoglio inconfondibile di quella che era una risata,
soffocata
nella gola di Diana. Si separarono e lui si voltò verso di
me. “Facci
l’abitudine, bambolina. Presto lo vedrai anche nella
realtà” disse solo,
facendo scivolare una mano sotto la gonna di Diana.
***
Mi svegliai
quando ormai doveva
essere molto tardi. Non guardai nemmeno l’ora: a occhi chiusi
staccai la spina
della sveglia, per non sapere quanto era durato il mio stato comatoso.
Dovevo
tenere le palpebre serrate ad ogni costo, o sarei scoppiata a piangere.
Non
potevo lasciar vincere le lacrime.
Spero
ti
sia piaciuto il buongiorno.
No,
nemmeno un po’. Mi alzai e finalmente riuscii ad aprire gli
occhi, ricacciando
indietro tutti i sentimenti che premevano per uscire. Uscii da camera
mia in
fretta, alla ricerca dell’unica persona che sembrava farmi
stare meglio:
Manuela. In camera sua non c’era, ma trovai il suo cellulare,
sbloccato e fermo
su una schermata di whatsapp. Era la chat con Luke. Non riuscii a
trattenermi e
lessi i messaggi: risalivano alla sera prima, ed erano tutti di Manuela.
"Luke,
guarda che sei in ritardo, io mi muoverei se fossi in te!"
"Luke?
Non sto scherzando. Sono passati venti minuti."
"Luke,
dove minchia sei?"
"Testa
di cazzo, è passata un'ora. Ti muovi?!"
"Giuro
che se entro dieci minuti non sei da lei ti castro."
"È
IMPORTANTE QUESTA CENA, LUKE, PORCA MISERIA!"
"Coco
è qui. È appena arrivata, sta piangendo. Giuro
che appena torni ti
ammazzo."
"Se
non torni entro dieci minuti esco, ti trovo e ti riporto a casa io al
mio modo:
ti attacco alla macchina per il piercing e ti faccio correre."
"Luke,
cazzo, è mezzanotte. Dove sei finito?!"
"Mi
stai facendo preoccupare."
"SENTI
UN PO', BRUTTA TESTA DI MINCHIA, O VIENI QUI SUBITO, O TI CACCIO DI
CASA."
"Ho
parlato con Coralie. Ti conviene venire subito qui e spiegarle
perché non ti
sei presentato."
"Luke,
non sto scherzando."
"NON
STO FOTTUTAMENTE SCHERZANDO. PORTA IL TUO CULO FLACCIDO IN QUESTA CASA
ENTRO
CINQUE MINUTI, O TE LO TAGLIO A MO' DI PROSCIUTTO E TE LO FACCIO
MANGIARE."
"Sono
le due. Coco si è addormentata. Spero tu sia soddisfatto."
"Ultima
cosa, poi non ti rompo più i coglioni, anche se mi stai
ignorando
tranquillamente. Prima di tutto, quando torni a casa ti arriva uno
schiaffo che
ti fa tornare di corsa da dove sei venuto, e non sto scherzando.
Seconda cosa,
spero tu sia soddisfatto: Coco ha pianto tutto questo tempo."
"Ah
e, divertiti pure con Diana, ma la prossima volta comprati un'agenda,
così sai
quando organizzare gli appuntamenti."
"Ultimissima
cosa: vaffanculo."
Se
non fossi stata così a terra, sarei anche scoppiata a
ridere. Sentii il rumore
di una maniglia alle mie spalle e mi voltai, vedendo la porta del
bagnetto che
si apriva. “Amore, non mi risponde ancora al ce- Ah, Coco,
sei tu” fece
Michael, sedendosi di fianco a me. Era ancora in pigiama. Vide i miei
occhi
rossi e inclinò la testa. “Va tutto
bene?” chiese, cauto. Io scossi la testa.
“Senti, non voglio fare lo gnorri come tutti gli altri. So
che c’entra Luke.
Non capisco cosa stia succedendo, Coco. Manuela e lui non mi vogliono
dire
niente, ma io voglio aiutare, mi sento inutile a stare qui a guardare,
mentre
tu stai sempre peggio e lui non si rende conto di nulla. Cosa sta
succedendo?”
chiese, incrociando le gambe. Io scossi la testa. “Non lo so
nemmeno io”
mentii. “Beh, allora cosa ti sta succedendo?”
“Eh?”
“Non
sono uno stupido, Coralie. So che sembra che ormai le tinte mi siano
arrivate
al cervello e mi abbiano rincoglionito del tutto, ma sotto i capelli
colorati
c’è ancora una testa in grado di pensare,
c’è ancora un diciassettenne che
vuole aiutare una delle sue migliori amiche. Ti sto osservando e ti
vedo sempre
più assente, come se ormai vivessi solo nella tua testa.
Voglio sapere cosa c’è
lì dentro che ti tiene così lontana da qui
fuori.”
Non
dirglielo.
“Non
c’è nulla” dissi soltanto, guardandolo.
Brava.
Lui
sospirò. “Vuoi sapere qual è una delle
tue caratteristiche?” mi chiese. Io lo
guardai in attesa e lui continuò: “Non sai proprio
mentire. È pazzesco, riesco
a rendermene conto anche io, il che è un record. Quando dici
che stai bene e
invece non è vero, soprattutto. Sai come me ne accorgo,
anzi, ce ne accorgiamo
tutti? Mentre lo dici guardi dritto negli occhi, e hai uno sguardo che
urla
quanto tu abbia bisogno di aiuto, come se sperassi che qualcuno si
accorgesse
che è una bugia. Credo che tu ci abbia trasmesso un
po’ della tua capacità di
leggere gli occhi, Coco, e tu sei estremamente facile da leggere. Lo
vediamo
tutti che non stai bene, ma nessuno si intromette. Lo fa solo Manuela,
e ora
io. Gli altri sperano sia solo un periodo no, sai, magari è
dovuto al fatto che
fra poco andremo via e non ci vedrete fino a Natale. Accidenti,
sarà lunga,
quasi due mesi… Non lo avevo realizzato fino a questo
momento. Comunque, tornando
a noi: io non voglio che tu stia male. So che non lo dimostro spesso,
ma voi
sette siete le persone a cui tengo di più al mondo, al primo
posto Manuela.
Voglio aiutarti, Coco. Ti prego, permettimi di capire cosa sta
succedendo.
Possiamo parlarne tutti insieme, oppure puoi parlarne solo con me, o
con Manu,
o scriverlo da qualche parte. Ma non tenerti tutto dentro,
perché so quanto fa
male. Quando devi sfogarti e non puoi, e senti male alla gola, senti
come se
qualcosa volesse uscire ad ogni costo, e gli occhi ti bruciano, e fai
fatica a
respirare, e hai le lacrime agli occhi perché quei
sentimenti vogliono uscire
ad ogni costo. Se non li tiri fuori ti soffocano.” disse lui,
stringendomi una
mano. Io rimasi in silenzio qualche istante, mentre la precisione di
quella
descrizione mi sorprendeva. “Come fai a sapere tutte queste
cose?” chiesi
stupidamente. “Diciamo che ho vissuto in apnea per qualche
mese” fece lui.
“Cosa ti è successo?”
“Non
è il momento, ora.”
“Invece
sì, magari devi ancora…”
Lui
mi interruppe mettendomi due dita sulla bocca. “Posso farti
una domanda?” mi
chiese poi. Io annuii e lui proseguì: “Se potessi
salvare una sola persona in
questa casa, chi salveresti?” Io lo guardai, confusa da
quella domanda fuori
luogo. Poi abbassai lo sguardo, mentre la mia risposta si faceva strada
fra le
labbra quasi con ovvietà. “Lui.”
Lui
ridacchiò e io lo fissai. “Vedi qual è
il tuo problema?”
“Non
ti seguo.”
“Fra
tutte le persone in questa casa, hai scelto lui. Non Manuela, non
Carol, non
Ashton, nemmeno me – grazie mille, tra l’altro, me
ne ricorderò – o Calum o
Maddy. Hai scelto lui. E hai trascurato te stessa. È questo
quello che volevo
dimostrarti. La mia domanda è, quindi: perché non
ti ami abbastanza da essere
la tua prima scelta?”
Perché
non sei la prima scelta di
nessuno.
“E
tu, chi avresti salvato?”
“Manuela.”
“Allora
vale la stessa cosa per te. Perché non ti ami abbastanza da
essere la tua prima
scelta?”
“No,
tesoro, non funziona. Io mi amo abbastanza, anzi, mi idolatro. Sono
esattamente
la persona che da piccolo sognavo di essere. Non potrei essere
più soddisfatto
di me stesso. Però amo di più lei. Mi capisci,
no? Mi ha salvato da quello che
ero e mi salva ogni giorno. È la mia scelta naturale,
salvare lei. E adesso non
osare dire che ti ami, ma ami di più lui, perché
non mi fai fesso, tesoro.
Voglio sapere cosa c’è nella tua testa che ti
impedisce di vederti per come
davvero sei, e di amarti. Voglio sapere cosa scatta nella tua mente
quando ti
guardi allo specchio; voglio sapere cosa ti fa rimanere zitta quando
invece
vorresti parlare; voglio sapere cosa ti fa credere di non essere
all’altezza di
qualcun altro. So che non dovrei essere io a farti questo discorso,
dovrebbe
essere lui, ma io non intendo lasciarti andare alla deriva solo
perché Luke è
così svampito da aver allentato la presa. Sai, voi non
c’eravate, ma abbiamo
deciso qual è la politica da tenere con voi due: non
intromettersi e aspettare
almeno che vi parliate. Abbiamo fatto a voti; quattro favorevoli, due
sfavorevoli. Indovina chi erano quei due?”
“Tu
e Manuela?”
“Esatto.
Comunque, eravamo in minoranza, ma io e lei siamo troppo testardi per
non fare
di testa nostra. Quindi, eccoci qui.”
“Siete
incorreggibili, sai?”
“E
per fortuna. Avresti preferito che nessuno ti parlasse, ti lasciassero
marcire
nel tuo brodo?”
Io
scossi piano la testa, prima di dire: “Tanto ci
marcirò lo stesso. Questa è
solo una piccola pausa.”
“E
allora ringraziami, perché le pause sono rare.”
Ridacchiai, e lui con me.
“Coralie, tu non conosci la mia storia. Sai solo come sono
ora. Il Michael di
qualche anno fa non l’hai mai incontrato, non hai idea di
quanto fosse simile a
te. Non hai idea di quanto quel periodo mi abbia fatto stare male. Sai
qual è
stata la mia fortuna? Andarmene da casa mia, per vivere con i ragazzi,
e poi
venire a vivere qui con voi. Siamo in otto – ora in nove
– e si sta stretti,
accidenti, ma è proprio questa la nostra fortuna. Siamo
tutti un po’ rotti, è
normale; ma siamo così stretti, in questa casa, che ci
teniamo uniti a vicenda.
Senza di voi sarei caduto a pezzi da un po’. Sai al mattino,
quando ci
stringiamo attorno al tavolo per fare colazione, e siamo tutti con le
spalle
attaccate perché il tavolo è troppo piccolo, e a
volte siamo in due su una
sedia? Ecco, quei momenti sono i miei preferiti. Mi ricordano che senza
di voi
io non sarei come sono ora. Mi ricordano la fortuna che ho avuto. Mi
ricordano
che, se ho bisogno di qualcosa, posso prendere il primo che passa in
questa
casa e sfogarmi con lui, perché siamo una famiglia.
Sgangherata, e un po’ fuori
dalle linee, ma siamo una famiglia. Certo, ci saranno le preferenze: se
mi è
possibile, preferirei sfogarmi con Manuela che con Madison;
però la mia
certezza è che Maddy ci sarebbe comunque. È
questo che mi fa sentire al mio
posto. Quindi, ora so che non sono la tua prima scelta in caso di
sfoghi,
perché magari sono pochi i momenti in cui siamo da soli a
parlare senza fare i
cretini – ora che ci penso, credo che questo sia il primo
– però è una
questione di priorità; la tua priorità e trovare
qualcuno che ti ascolti e la
mia priorità è che non ci siano fratture nella
mia famiglia. È un bene che si
incontrino, no? E non osare dire di no. Io ora voglio sapere cosa ti
sta
succedendo.”
Io
rimasi in silenzio qualche secondo, e lui andò avanti:
“Non sai da dove
cominciare. Bene. Allora, facciamo così: un pezzetto alla
volta. Io ti faccio
una domanda, e tu rispondi, e vediamo se bisogna sistemare qualcosa.
Iniziamo,
ti va?” Io annuii.
Vattene.
No,
non me ne sarei andata. Forse Michael aveva ragione, forse avevo solo
bisogno
di qualcuno con cui parlare, qualcuno che mediasse. Presi un gran
respiro.
“Devo dirti una cosa.”
“Cosa?”
Rimasi
in silenzio qualche istante.
Non
osare dirglielo. Non ti aiuterebbe.
“Luke
mi sta tr-” fui interrotta dal suono del citofono, che ci
fece trasalire. Ci
guardammo. “È lui” dissi solo, mentre le
lacrime salivano agli occhi. Lui annuì
e mi abbracciò. “Ne parliamo dopo, va
bene?” fece. Io annuii sulla sua spalla e
ci alzammo, per andare al piano di sotto. Intanto, qualcuno aveva
risposto, e
Manuela era alla porta. La sua espressione non prometteva nulla di
buono.
“Manuela?” chiesi, dalle scale. Lei mi
ignorò e aprì la porta a Luke, che fece
per entrare, ma fu fermato. Il rumore dello schiaffo si
sentì in tutta la casa
e io rimasi allibita, ma mai quanto Luke. “Ma
che…?!”
“Ti
avevo detto che ti sarebbe arrivato uno schiaffo” rispose
Manuela duramente. “Non
mi avevi detto niente! Sono entrato ora!” fece lui,
sconvolto. “Ah, e vuoi
dirmi che tutti i messaggi di stanotte non sono nulla, eh?”
“Non
ho letto i tuoi messaggi, va bene?! Ho spento il telefono!”
“Bene.”
Lo spinse fuori e lo seguì, chiudendosi la porta alle
spalle. Io e Michael ci
guardammo. “La finestra di Carol dà
sull’ingresso” dissi solo. Lui annuì e
corremmo su per le scale, facendo irruzione nella camera che Ashton e
Carol
condividevano. Fortunatamente, era vuota. Aprimmo la finestra, facendo
attenzione a fare silenzio, e ci sporgemmo di quel poco che bastava per
sbirciare senza essere visti.
Luke
e Manuela erano sui gradini dell’ingresso. Lui stava
guardando il cellulare,
probabilmente stava leggendo i messaggi di Manuela.
“Non
capisco.”
“Nemmeno
io, Luke. Non capisco nemmeno io.”
“Io
non ho fatto niente!”
“Esatto!
Non hai fatto niente, e lei aveva bisogno che tu facessi qualcosa!
Qualsiasi
cosa, Luke! Aveva bisogno di parlarti!”
“E
allora fammi entrare! Fammi parlare con lei!”
“Sai,
di solito non faccio così, ma tu risvegli
l’omicida che c’è in me. Dimmi dove
sei stato stanotte.”
“Ero
a casa mia, va bene?! Non volevo imporre la mia presenza a
Coralie.”
“E
Diana?”
“Diana?
Mi dici cosa c’entra?! Mi dici perché
c’entra sempre?!”
“Diccelo
tu.”
“Non
la sento da ieri. L’ultima volta che l’ho vista,
era in mezzo alla strada, con
l’auto in panne. Probabilmente avrà trovato un
hotel in cui passare la notte.”
“Dove
eravate?”
“Non
sono affari tuoi.”
“Bene.”
Così dicendo, Manuela ritornò in casa e si chiuse
la porta alle spalle,
lasciando Luke fuori. Sentii la chiave che girava nella toppa, mentre
Luke era
troppo basito per fare qualsiasi cosa. Poi, si buttò contro
la porta e ci
sbatté contro i pugni. “Perché siete
tutti contro di me?!” urlò, prendendo a
pugni il legno. Continuava a gridare, ad ogni pugno corrispondeva un
urlo.
“Ehi,
tu” disse una voce anziana dal cancello. Io, Michael e Luke
ci voltammo: era
uno dei vicini. “Senti, ragazzo, devo chiederti di andare
via.”
“Cosa?”
“Non
so cosa tu sia, se uno stalker o una cosa del genere, ma non ti voglio
nel mio
quartiere.”
“Io
qui ci abito!”
“Ah,
davvero? Perché dal citofono sembra che questa sia la casa
di tre ragazze.”
“Andiamo,
lei mi vede ogni giorno, non…”
“Se
non abiti qui, e la padrona di casa non ti vuole far entrare,
è meglio che te
ne vada.”
“Io…
io non…” non riuscì a finire la frase:
scoppiò a piangere, un pianto isterico,
sconfitto, di chi non aveva più parole. “Devo
chiederti dei andartene,
giovanotto, se non vuoi che chiami la polizia”
continuò l’altro, perentorio.
“Coco, dobbiamo fare qualcosa” disse Michael. Io
non risposi, mentre Luke
iniziava a incamminarsi, a testa bassa, lungo il vialetto. Michael mi
fece
voltare verso di lui. “Andiamo, Coco. Hai appena detto che,
fra tutti noi,
salveresti lui. Sii coerente!” fece. Quando vide che non
rispondevo, sbuffò e
si alzò in piedi, mostrando la sua figura dalla finestra.
“Aspetti, signor
Smith! Luke abita qui per davvero!” urlò.
“Non mi sembri una delle tre ragazze
che vivono qui.”
“Sì,
ma…”
“Se
una di loro tre mi dirà che può rimanere, me ne
andrò.”
“Coralie
è in casa?” chiese Luke, ancora con voce rotta.
Alzai lo sguardo e vidi che
Michael annuiva, per poi indicarmi con un gesto del capo.
“Non odiarmi, Coco”
sussurrò poi. Io mi sedetti contro il muro, mentre le
lacrime mi rigavano il
viso. Luke dovette capire che ero lì, perché con
voce spezzata disse: “Coralie…
so che puoi sentirmi. So che non vuoi vedermi. Ma mi dispiace. Te
l’ho già
detto. Non volevo lasciarti lì. Non avrei mai voluto, te lo
giuro! Io non… Ieri
sera non sono tornato a casa perché…
perché quell’abbraccio mi ha fatto capire
che non avresti voluto. Non volevo costringerti a stare con me. per
questo non
sono tornato. È solo questo il motivo, te lo posso giurare
qui e ora, su tutto
quello che vuoi. Però a quanto pare ho sbagliato. Ho
sbagliato ancora, Coralie.
Mi dispiace. La verità è che ultimamente non
riesco a farne una giusta, e più
cerco di rimediare ai miei errori, più ne commetto. Scusami
se non sono in
grado di rimediare ai miei sbagli, scusa se ti stai sentendo male per
colpa
mia. Scusami di tutto. Ti prego, permettimi di parlare con te. Voglio
chiarire,
non ce la faccio più a stare così. Mi sento
inutile, mi sento sbagliato. Ti
prego. Sai che non ti avrei mai fatto del male, sai che non ne sono
capace!
Coralie, tu mi conosci, io… non ci riuscirei. Non potrei,
sarebbe come fare del
male a me stesso. Se non mi vorrai più vedere me ne
andrò. Tornerò a casa mia,
anche se ormai questa era casa mia. Tornerò dove ho dormito
stanotte. Se non mi
vorrai più vedere, non mi vedrai più. Ma ti
prego, ti prego in ginocchio.
Permettimi di rimediare.” Ormai né io
né lui ci curavamo di fermare le lacrime.
Rimasi ferma qualche secondo, non sapendo cosa fare.
“Coralie” fece la voce
ferma di Michael. Alzai lo sguardo e incontrai il suo, un po’
lucido. Si stava
mordendo le labbra. “Coralie, fallo entrare” fece
perentorio. Io non risposi e
lui alzò gli occhi al cielo. “Andiamo, non
aspettavi solo questo?!”
“Ho
paura.”
“Anche
io ho paura!” Michael si accovacciò accanto a me e
iniziò a sussurrare per non
farsi sentire da Luke. “Cosa credi, che io sia tranquillo?!
Che non mi senta
male mentre vi vedo fare così?”
“Perché
dovresti sentirti male?”
“Tu
come ti sei sentita quando Carol e Ashton hanno litigato?”
“Volevo
fare qualcosa per rimediare.”
“Bene.
Io sono come te, chiaro? Dannazione, Coralie, è qui sotto!
Ti vuole parlare!
Tutto quello che ha detto adesso, l’ha detto col cuore in
mano! Non l’ho mai
visto così, accidenti! Dagli una
possibilità!”
“Se
ne vada, figliolo” intimò ancora il signor Smith.
“Sì, sto andando” sentii Luke
rispondere, sconfitto. “Sai, Coco, questo sarebbe il momento
perfetto per uno
slancio di eroismo. So che c’è una persona
coraggiosa dentro di te. Tirala
fuori, sii abbastanza coraggiosa per affrontarlo. Hai detto che lo
salveresti,
no? E allora fallo. Perché sono sicuro che lui farebbe lo
stesso” disse
Michael.
Non
starai davvero pensando di farlo,
vero?
Al
diavolo. Mi alzai in piedi di scatto, voltandomi verso la finestra.
Luke stava
già chiudendo il cancello dietro di sé.
“Luke!” lo chiamai. Lui si voltò e
sembrò che il tempo si fermasse, mentre mi guardava con gli
occhi rossi. Sentii
le lacrime montare, mentre dicevo: “Non andare, per
favore.” Suonò più come una
supplica, ma non m’importò. Lui non mi sorrise:
annuì soltanto e abbassò lo
sguardo, tornando dentro. “È tutto a posto,
signorina?” chiese il signor Smith,
dubbioso. Io annuii in fretta e lui sembrò rilassarsi.
“Allora buona giornata”
fece, incamminandosi lontano lungo la sua strada. Intanto, Luke era
arrivato
sotto la porta. “Mi apri, per favore?” chiese ad
alta voce, per farsi sentire
da me. Io annuii e feci per scendere al piano di sotto, ma Michael mi
fermò,
tenendomi per un polso. “Coco?”
“Sì?”
“Grazie.”
Io rimasi sorpresa mentre lui mi abbracciava. “Sai, ho avuto
il terrore che lo
avresti lasciato andare.”
“Anche
io” dissi solo, senza pensarci.
Avresti
fatto bene.
***
Aprii
la porta e mi ritrovai Luke davanti. “Ciao” disse
solo. Io lo salutai a mia
volta e ci guardammo per un po’. “Intendi farmi
entrare, o deve tornare il
vicino?” chiese dopo quello che mi sembrò un
secolo. Io scossi la testa e mi
scansai, mentre lui superava la soglia. “Hai già
fatto colazione?” chiese. Io
scossi di nuovo la testa. “Bene, perché non
l’ho fatta nemmeno io. Andiamo?” si
sforzò di rivolgermi un mezzo sorriso, come se volesse
fingere che fosse tutto
normale, anche se non era così.
Andammo
in cucina e io mi lasciai cadere sulla sedia, mentre lui apriva la
credenza.
Sentii il rumore di una busta di plastica aperta e in pochi secondi mi
arrivò
addosso una zaffata di profumo di lampone. Non dovetti nemmeno voltarmi
per
capire da dove veniva: Luke stava preparando un infuso che sapeva
essere il mio
preferito. Ricordai con un mezzo sorriso un episodio in cui lui me ne
aveva
preparato una pentola intera, solo per tirarmi su il morale. Era il
nostro tè
del buonumore.
In
qualche modo, quel piccolo gesto riuscì davvero ad avere un
effetto positivo su
di me.
Dopo
otto minuti esatti, si sedette di fronte a me, porgendomi la tazza di
vetro che
sapeva piacermi tanto. “Zucchero?” chiesi.
“Già messo. Tre cucchiaini.”
“Grazie.”
Era esattamente la mia dose solita. Non sapevo perché, ma
quel suo
comportamento mi scaldava il cuore. Come se davvero ci tenesse a me.
Sai
che ti sta illudendo.
Allora
avrei accettato l’illusione. Tutto, pur di dimenticare quello
che stava
succedendo.
“Ti
va di parlare?” mi chiese a bassa voce. E tanti saluti al
piano di dimenticare.
Perché mi voleva parlare? Aveva fatto tutto quello per dirmi
che in fondo ero
meglio io di Diana?
Assurdo.
Già.
Probabilmente aveva intenzione di dire che aveva sempre preferito lei,
e mi
stava lasciando.
Vedo
che inizi a ragionare come
dovresti.
“Va
bene. Ma non so di cosa dovremmo parlare.”
“Che
ne dici di iniziare da ieri sera?”
Mandalo
via. Dagli ragione, liquidalo. Umiliati.
Tanto sei abituata.
“Non
c’è niente da dire. Sei arrivato in ritardo, non
è colpa tua. Sono io che
probabilmente sono vicina al ciclo, e ho poca pazienza. Forse era il
freddo, o
il fatto che quel cameriere mi aveva proprio scocciata. Ma davvero, non
hai fatto
nulla.” Dire quelle cose faceva un male cane. “Ieri
non eri di questo parere.”
“Sì,
beh… si cambia idea.”
“Coralie…”
si sporse sul tavolo e mi prese le mani. “Non fare finta che
non ti importi. Ti
prego. Mi ricordo quello che hai detto. So anche io che mancano solo
dieci
giorni. Davvero credi che io non ci stia male?”
Bugiardo.
“No,
non credo questo” mi sforzai di dire. Ricordai quello che mi
aveva detto
Michael e evitai di guardarlo negli occhi. Lui rimase in silenzio
qualche
istante. “Ti amo. Lo sai, vero?” chiese poi.
No,
non è vero.
“Anche
io” mi costrinsi a non piangere. Luke si alzò e mi
raggiunse. Mi fece alzare a
mia volta e mi abbracciò, stringendomi e affondando il viso
nel mio collo. Io
ricambiai automaticamente, ormai abituata a restituire quel gesto.
Tutto era
così familiare, con lui… come avrei fatto a
rinunciarci?
Dovrai
farlo.
Sì,
lo sapevo. Ed era quello che mi faceva male.
“Mi
dispiace, Coco. Cercherò di essere migliore, la prossima
volta, okay?” fece. Io
annuii senza dire nulla e lui tornò ad abbracciarmi.
“Grazie per aver capito”
sussurrò solo.
***
Era
passata qualche ora, e di Diana ancora nessuna traccia. Nessuno
l’aveva vista o
sentita, in casa.
Diciamo
che non avevano visto o sentito nemmeno me. Il motivo? Mi ero nascosta.
Avevo
detto a Manuela che sarei andata a fare un giro, mentre in
realtà ero sdraiata
sul tetto. Ero piuttosto scomoda, a dire il vero, con la schiena
appoggiata
alle tegole, e avevo freddo, ma non ci volevo fare caso: mi stringevo
nel
giubbotto pesante e pensavo ad altro. Di fianco a me, ormai, il
cellulare si
stava scaricando, mentre ripeteva per l’ennesima volta le
note di Everything has changed, di
Taylor Swift
e Ed Sheraan. Quando avevo trovato per la prima volta quella canzone,
ero
sicura che qualcuno volesse uccidermi. Insomma, mettere insieme due dei
miei
cantanti preferiti? Brutto scherzo, davvero un brutto scherzo per le
mie
emozioni instabili.
Come back and
tell me why
I’m feeling like
I’ve missed you all this time
And meet me
there tonight
And let me know
it’s not all in my mind…
Quella
canzone parlava di un cambiamento in meglio, ma io riuscivo solo a
sentire il
lato negativo delle tre parole che componevano il titolo.
Everything
has changed.
All’improvviso,
sentii il rumore da dentro casa di un citofono che suonava. Che fosse
tornata?
Mi
voltai sulla pancia e strisciai fino al bordo del tetto, spiando la
scena sotto
di me. Sì, i capelli rossi erano inconfondibili. Qualcuno
aprì il cancello e
lei entrò. A metà strada, però, la
porta si aprì e qualcuno corse fuori. Diana
si ritrovò fra le braccia di Luke. “Eccoti,
finalmente! Non hai idea della paura
che mi hai fatto prendere… perché non rispondevi
al telefono? Stai bene? È successo
qualcosa?” chiese Luke apprensivo. Diana non disse niente, ma
indicò con un
gesto un punto dietro di lei. Io seguii il suo sguardo e mi sentii
quasi male
alla vista: lei era lì, in piedi, in tutto il suo metro e
sessanta di
cattiveria arcigna.
Gargoyle.
“Hellen,
che… che piacere vederti!” fece Luke, chiaramente
contento di vederla quanto
me. “Anche io sono molto felice di vederti, Lucas. Oh, vedo
che tu e Diana
andate ancora molto d’accordo…
dov’è la tua ragazza? La tipa stramba?”
Digrignai i denti, mentre sentivo la voglia di staccare una tegola e
tirargliela in testa. Ahimè, non avevo mai avuto buona mira.
Avrei potuto
colpire Diana, o Luke. O Diana.
Improvvisamente,
l’idea era molto allettante.
“Coco
è uscita, non so quando tornerà” fece
Luke, fingendo un tono gioviale per
mascherare il suo nervosismo. “Oh, ma davvero? Allora credo
proprio che quello
sul tetto sia un ladro” fece con nonchalance Hellen. Mi
scappò un’imprecazione,
mentre mi tiravo indietro velocemente; troppo tardi; Luke e Diana mi
avevano
già vista. “Coralie? Che ci fai
lassù?” chiese Diana.
Sei
ancora in tempo per lanciare una
tegola, sai?
“Non
tentarmi”, pensai solo. “Aspettate, vado a
prenderla” sentii Luke dire.
Forse
se ti butti tu fai prima.
Già.
Passò
qualche secondo, poi la finestra della mansarda si aprì,
mostrando Luke. “Coco?
Perché sei quassù, piccola? Non avevi detto che
saresti uscita?” mi chiese. “Non
voglio tornare in casa se c’è anche
l’arpia” dissi decisa, mettendomi a sedere.
“Nemmeno io la vorrei intorno, ma non possiamo farci
più di tanto. Spero solo
che se ne vada in fretta.”
“Lasciando
qui Diana?”
“Beh,
possibilmente.”
“Già”
feci, abbassando lo sguardo.
Che
ti aspettavi?
“Piccola,
vieni dentro, si gela” mi chiamò Luke.
“No, sto bene” feci perentoria. Luke
sospirò mi raggiunse. “Non mi convincerai a
rientrare” lo ammonii. “Io non
voglio convincerti, voglio trascinarti” fece lui tranquillo,
prendendomi un
polso. “Non è esattamente il posto migliore per
giocare, sai?”
“E
allora non opporre resistenza, no?” fece con un sorrisetto.
Alzai gli occhi al
cielo. “Andiamo, piccola, hai le mani gelate. Sei stata fuori
un’ora e mezza,
come fai a non essere ancora congelata? Vieni dentro, devi scaldarti.
Sei in
pigiama, hai solo un giubbotto!” protestò. Io non
mi mossi e lui si sedette di
fianco a me. Mi mise una mano sulla guancia e mi costrinse a guardarlo.
“Piccola,
io… aspetta un momento” fece, spostando
velocemente la mano dalla guancia alla
fronte. Scosse la testa e appoggiò le labbra dove un attimo
prima c’era la sua
mano. “Adesso tu vieni dentro senza fare storie,
d’accordo?” disse, senza l’inflessione
giocosa di prima. “Perché?”
“Perché
spero di sbagliarmi, ma credo tu abbia la febbre.”
“Oh,
grandioso” sbottai.
***
Luke
mi aveva praticamente portata di peso fino in camera mia, mi aveva
tolto il
giubbotto e mi aveva infilata sotto le coperte. “Non
muoverti, va bene?” aveva
detto, mentre andava a cercare un termometro. In quel momento, eravamo
entrambi
ad aspettare, mentre io tenevo stretto il termometro sotto il braccio.
“Perché
sei salita sul tetto?” mi chiese lui. Feci spallucce.
“Non avevo voglia di
vedere gente.”
“E
perché non ci hai detto che eri sul tetto?”
“Perché
avreste saputo dove trovarmi.”
“Touché”
fece lui. Aspettammo ancora qualche secondo, poi lui mi
scostò gentilmente la
mano dal braccio e prese il piccolo termometro rosso. Lo
guardò con fare
critico qualche secondo, prima di dire, scocciato: “Perfetto.
Sei proprio un
fenomeno, sai?”
“Quanto
ho?”
“Quasi
trentanove.”
Sbuffai
sonoramente. “È inutile che sbuffi, te la sei
cercata” disse lui, mettendo via
il termometro. “Non è colpa mia!”
“E
di chi è, allora?”
Io
non risposi e incrociai le braccia. Lui si voltò verso di me
e mi vide così. “Piccola,
dai, non fare così… scusa se mi sono
arrabbiato” disse dolcemente, prendendomi
una mano e stringendomela. “Vedrai che ti passerà
in fretta. Però promettimi
una cosa.”
“Cosa?”
“Niente
più escursioni pomeridiane sul tetto quando
c’è vento freddo.”
“E
se fossero mattutine?”
“Coralie!”
“Okay,
okay. Prometto.”
“Brava.”
Lui mi sorrise e mi lasciò un bacio sulla fronte, prima di
uscire. Mi lasciai
sfuggire un piccolo sorriso. Il fatto che si stesse comportando in quel
modo mi
faceva quasi sentire come prima. Come se fossi importante, per lui.
Ma
non è così.
*Angolo
autrice*
Mhm,
okay, capitolo corto e tutto quello che volete, però sono
stata veloce, no? Non
ho molto da dire, se non una cosa: qualche teoria su come andranno a
finire le
cose? RAELEEN E MISS ONE DIRECTION, SAPETE GIÀ COSA STO PER
DIRVI.
Non
ho nient’altro da dire. Poco loquace, alle due meno venti di
notte.
Alla
prossima!
Ranya