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Autore: haev    19/08/2015    4 recensioni
«Sono uscita.» rispose accarezzandogli i capelli.
«Per fare cosa?» domandò e aprì finalmente gli occhi.
«Per salvarti.» sussurrò Rion, ma era certa che il fratello l’avesse sentita e come sempre non aveva detto niente, così gli lasciò un bacio sulla fronte e uscì dalla camera.
[...]
Il castano si sorprese ad ammirarla e sentir nascere dentro di sé un senso di calma che non aveva mai provato. Aspirò il fumo e scosse la testa: non doveva affezionarsi a lei. Il suo compito era quello di renderla più loquace, di scavare dentro di lei e capire il motivo per cui amasse così tanto la solitudine.
[...]
Greta non si definiva una ragazza depressa, semplicemente aveva smesso di vivere e non sapeva nemmeno se a vent’anni si potesse dire di aver iniziato a vivere per davvero, aveva ancora davanti una vita piena di cose da fare, scoprire e lei aveva già rinunciato a tutto.
Peccato che il suo tutto fosse su un letto con una bandana in testa per la chemioterapia.
Completa.
Genere: Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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And then I found out how hard it is to really change.
Even hell can get comfy once you’ve settled in.
I just wanted the numb inside me to leave.
No matter how fucked you get, there’s always hell when you come back down.
The funny thing is all I ever wanted I already had.
There’s glimpses of heaven in everything.
In the friends that I have, the music I make, the love that I feel.

I just had to start again.
-Oliver Sykes.
 
XI
 
Greta aprì lentamente gli occhi, la stanza in cui si trovava era buia, non riusciva a vedere pressoché nulla a parte un luccichio in un angolo. Non riuscì a metterlo a fuoco perché nel giro di pochi secondi la testa iniziò a martellarle e un conato di vomito le salì alla gola.
Si alzò di scatto e forse per istinto trovò una porta, si fiondò fuori illuminando la stanza, traballò e si portò una mano alla bocca, si accorse che non si trovava in casa sua e nemmeno in una dimora che conoscesse. Cercando di tenere a bada i conati si guardò in giro, sempre l’istinto le indicò un lavandino, ci si fiondò.
Vomitò sino a che non le rimase altro che la bile, aprì l’acqua in modo tale che ciò che aveva buttato fuori andasse nello scarico, successivamente pulì il lavandino con del sapone da cucina.
Sentì un brivido freddo per la schiena e si accorse di essere nuda, non indossava nemmeno le mutandine.
I ricordi della sera prima le avvolsero la mente, ma si rese conto che non rimembrava praticamente nulla, solo lei che si lasciava andare e un paio di mani calde. Un altro conato la avvolse, ma non per via dell’alcool, bensì per quello che aveva fatto. In una sera aveva perso tutto il suo pudore.
Si sorprese della facilità con cui una persona potesse distruggere, in men che non si dica, la sua personalità. Greta era sempre stata una ragazza rispettabile, quelle all’antica, e ora, eccola lì: in casa di uno sconosciuto, nuda.
Vide la sua dignità di donna caderle addosso, represse le lacrime.
A quanto pare il suo piano di dimenticare Rich non aveva avuto successo, si era fatta prendere dalla rabbia e ora si sentiva sporca.
Dato che non sapeva in che zona del quartiere si trovasse, optò per dare un’occhiata alla casa.
Non era tanto grande, comprendeva una sala con un cucinino, una camera da letto e la porta chiusa doveva essere il bagno. La ragazza ipotizzò che era un ragazzo universitario, vide appeso a un porta degli abiti, un grembiule, il ragazzo con cui era andata a letto, doveva essere un cameriere o qualcosa del genere.
Si rese conto di non aver visto ancora nessuno, per ciò si diresse alla camera da letto.
Un ragazzo, nudo, era sdraiato sul letto a pancia in giù; la coperta gli copriva il fondo schiena e le gambe, ma lasciava in bella vista la schiena su cui erano tatuate due ali, con sua sorpresa Greta notò che erano chiuse, quasi come se il ragazzo volesse volare via da un momento all’altro. I capelli erano spettinati, mori, di una lunghezza media. La sua schiena si alzava e abbassava in modo regolare, la ragazza capì che era ancora nelle braccia di Morfeo.
Entrò nella camera e cercando di non fare rumore, recuperò le mutandine e il reggiseno, si chiese se dovesse rimettersi il vestito e i tacchi, ma non sapendo cosa fare, li lasciò sul pavimento. Richiuse la porta della camera per permettere al ragazzo di continuare a dormire, e frastornata da tutto quello che era successo, si diresse verso il bagno.
Forse una doccia le avrebbe schiarito le idee.
 
Kevin deglutì rigirandosi la lettera tra le mani, la sigaretta incastrata tra le labbra, il sonno ancora impresso nei suoi occhi.
Era agitato, cercava di non pensare al futuro, ma nonostante il suo continuo ‘non pensarci, non pensarci’, non poteva fare a meno di immaginarsi Rylee aprire la lettera, che ormai sapeva di fumo, leggerla e ridacchiare dei suoi futili errori cancellati con il correttore o una riga, non riusciva a non pensare a Rylee che suonava alla sua porta e gli gettava le braccia al collo, trascinandolo dentro.
Al contempo si immaginava Rylee che strappava la lettera, la bruciava e gli rideva in faccia, rinfacciandogli tutto ciò che era.
Non sapeva più niente della ragazza che amava, gli ultimi cinque mesi li aveva passati cercando di evitarla, ma al tempo stesso trovandosi dove lei si trovava quasi per caso. Solo nell’ultimo periodo l’aveva seguita di tanto in tanto, perché voleva vedere se era cambiata, oppure se era sempre la ragazza solare di sempre.
Kevin, dai suoi appostamenti lontani, non aveva notato nessun cambiamento, sembrava sempre la stessa. Sorrideva e scherzava con tutti, alcune volte gli occhi le divenivano vacui, colmi di una tristezza e di una preoccupazione strani per la ragazza, ma Kevin poteva immaginare da cosa dipendesse. Ricordava che quando si erano lasciati, suo fratello Rich stava iniziando a rifiutare le cure, non lo sorprendeva affatto se ora il ragazzo malato le avesse rifiutate categoricamente.
Kevin aveva conosciuto Rich alle medie e nonostante non fosse un suo grande amico, ricordava che il ragazzo era molto determinato durante le partite di basket, e se era determinato durante un gioco non osava immaginare durante la vita reale.
Tamburellò suoi piedi e iniziò a guardarsi intorno, era lì da quasi mezz’ora, nel cortile sul retro della scuola, con la speranza che Rion si facesse vedere.
Il ragazzo iniziava a pensare che la mora non arrivasse, quando la vide sbucare dal cancello, tirò un sospiro di sollievo, confidava in Rion, non voleva consegnare di persona la lettera.
La ragazza gli si avvicinò senza degnarlo di uno sguardo, ma Kevin sapeva per certo che l’aveva visto, Rion era così: notava tutto, ma cercava di rendersi invisibile.
«Rion.» chiamò Kevin, come sospettava, la ragazza non ebbe il minimo sussulto quando venne chiamata, rivolse uno sguardo indecifrabile al ragazzo.
Kevin era quasi sicuro di non essere tra le persone preferite di Rion, infondo aveva spezzato il cuore di sua sorella, ma non sapeva nemmeno se Rion avesse delle persone preferite.
Dato che la ragazza non dava segno di voler parlare, gli porse la lettera: «Potresti darla a Rylee?» chiese con un nodo in gola.
Rion passò lo sguardo da lui alla lettera per ben cinque volte, evidentemente non se lo aspettava, poi le comparve un sorriso smorfioso: «Avevi le palle per mollarla e ora non le hai più per darle una lettera?»
Kevin si sentì punto nel vivo, ma non demorse: «Hai ragione, sì. Potrei diventare un eunuco.»
Rion lo incendiò con lo sguardo, Kevin si pentì subito di quella battuta, ora era evidente che la ragazza non provava simpatia per lui.
«Gliela lascerò sul letto.» e se andò con la lettera.
Kevin dovette appoggiarsi al muro per riprendersi, per un momento aveva pensato che Rion rifiutasse la sua richiesta, il suo sguardo celava tutto il suo disprezzo per lui, ma ora Kevin era tranquillo, emozionato, si ritrovò a pensare a Rylee che leggeva la lettera, che si commuoveva, che tornava da… No, non doveva pensarci.
Si picchiettò gli indici sulla fronte per distogliere i suoi pensieri futuri, non doveva pensarci, ma non riusciva a nascondere l’euforia. Si precipitò in classe proprio mentre suonava la campanella.
 
Greta uscì dalla doccia, si rese conto che non era come nelle migliaia di libri che aveva letto: una doccia non ti schiariva per niente le idee. Il getto dell’acqua ti lavava via solo i problemi, ma poi ritornavano, perché i problemi non erano macchie, erano parte di te.
Durante la doccia, oltre ad aver maledetto ogni singolo libro in cui il protagonista facendosi una doccia trovava soluzione ai propri problemi, si chiese come avesse fatto a tornare a casa.
Prima di tutto avrebbe dovuto scoprire dove si trovava, il ragazzo la scorsa sera l’aveva portata lì dalla discoteca, nella sua mente offuscata dall’alcool il tragitto non era stato molto lungo, quindi doveva essere nei margini della periferia, dove vi erano principalmente ditte.
La ragazza uscì dal bagno, legandosi i capelli bagnati e andò in cucina, si ritrovò davanti il ragazzo assonnato.
«’Giorno.» mormorò con voce roca e accennò un piccolo sorriso.
Greta notò che non era uno di quei sorrisi smorfiosi che ti facevano i ragazzi, anzi, sembrava un sorriso innocente. Lo guardò meglio: i capelli mori gli ricadevano in ciocche arruffate sulla fronte, nascondendo un paio di occhi marroni cioccolato.
Aveva un’aria così innocente che Greta si chiese se davvero avessero fatto sesso.
«Scusa, volevo farmi una doccia e ho pensato di…»
«Sì, tranquilla, ho sentito che partiva la caldaia, sai è vicino alla camera da letto. Se vuoi asciugarti i capelli ho un phon.»
La ragazza rimase sorpresa dalla sua gentilezza, si chiese se il ragazzo si comportasse così perché pensava di arrivare ad altro con lei. Greta scosse la testa, era solo stata una serata diversa dal normale, aveva avuto una nuova esperienza e sicuramente non l’avrebbe ripetuta, ora come ora voleva solo andare a casa e mettersi a piangere.
«Io vorrei andare a casa.» mormorò guardandosi i piedi, iniziava ad avere freddo.
Il ragazzo la fissò per diversi secondi, immobile, la scrutò a lungo.
«Senti, non so nemmeno come ti chiami e se me l’hai detto, non me lo ricordo. Ma voglio che tu sappia che non c’è nulla, non voglio nemmeno nulla, ieri sera a momenti non sapevo nemmeno io cosa stessi facendo e mi dispiace tanto. Non so niente di te, ma si vede lontano un chilometro che stai male, forse perfino per quello che hai fatto stanotte con me, ma era uno sbaglio, no? Tutti sbagliano, è umano. Certo, quando i ragazzi si comportano così non penso ci sia molta umanità, anzi io sono pieno di ribrezzo, ma non perché tu non sia una bella ragazza, perché proprio fa schifo quest’idea di divertirsi portandosi a letto qualcuno che non conosci.»
Greta lo guardò con gli occhi strabiliati, non se lo aspettava, «Da cosa sfuggi?»
«Io? Da questa vita di merda. Davvero, non riesco a trovare niente che mi faccia stare bene, o almeno, l’ho perso. Avresti dovuto vederla, era una ragazza così bella, ma non di quelle bellezze da copertina, no, perché era pura, semplice, bella. Non era una di quelle ragazze che la giudichi bellissima, no, era quella a cui gli attribuisci l’aggettivo carina o bella, era lei. Era così semplice, buona. Adorava tutte le piccole cose, non dovevo nemmeno sbizzarrirmi, pensa che una volta come regalo le ho fatto un abbraccio. Mi disse che era il regalo migliore che avesse ricevuto. Era così solare, aveva un sorriso da illuminare tutto il mio mondo. Adorava la musica, quella lenta, che parla d’amore, ma non era molto romantica, lei. Ti dava tutto con poco, lei non ti porgeva una mano, bensì tutto il braccio. Aveva due occhi spettacolari, nascondevano tutti i sogni che aveva. Lei sognava ad occhi aperti. Mi manca da star male, non ha più un cazzo di senso la mia vita.»
Greta non sapeva cosa dire, si era commossa davanti alle parole del ragazzo, era un po’ quello che lei pensava per Rich, «Cosa le è successo?»
«Niente, credo che stia bene. Ora ha un altro, me l’hanno portata via. La cosa assurda è che io avevo preso ogni singola cosa di lei e me l’ero appiccicata addosso, ma non con una colla normale, bensì con una specie di attack e ti giuro, non riesco a scollarmi. Voglio solo andare via.»
Greta si appoggiò al divano, fece le cose a rallentatore. Avvicinò le gambe al mento, ve lo appoggiò. Circondò con le braccia le ginocchia. Venne percorsa da un brivido, poi da un­­­­­ altro.
Quando non riuscì più a trattenersi, scoppiò.
 
Rion si rigirò la lettera tra le mani, non avrebbe mai pensato che Kevin fosse giunto a tanto.
Non avrebbe mai immaginato che avrebbe scritto una lettera di scuse a sua sorella, non le pareva il tipo, ma in effetti Rion non conosceva Kevin. Tutte le volte che era venuto a casa sua per stare con sua sorella, si rinchiudevano in camera, nel loro mondo e quando uscivano per mangiare, la ragazza era così disinteressata a lui che non prestava nemmeno attenzione a ciò che diceva.
Ricordava solo che piaceva molto ai suoi genitori, fino a che non aveva spezzato il cuore a sua sorella.
Rion ricordava perfettamente quel mese e mezzo in cui Rylee quasi non mangiava, non badava alla piccola Renae, non parlava quasi mai in casa e aveva crisi di pianto continue. In quelle situazioni Rion non sapeva come comportarsi, non sapeva consolare, e aiutare sua sorella le sembrava da stupidi, dato che erano come due estranee, quindi lasciava il lavoro ai suoi genitori, specialmente suo padre.
Sembrava che il padre di tutte e due le ragazze fosse un supereroe in fatto di cuori spezzati, Rion amava il padre. Alcune volte sembrava che lui la capisse e la ragazza molto spesso si chiedeva se anche lui fosse sempre rimasto solo sino a che non aveva trovato la mamma.
Non parlavano molto, non erano di tante parole, bastava che si guardassero.
Nonostante questo, Rion ricordava che dopo quel mese e mezzo buio, Rylee sembrò rinascere, i suoi occhi alcune volte divenivano più vacui del solito, ma aveva sempre il sorriso stampato in faccia. La ragazza ricordò di essersi rilassata, almeno la sorella sembrava stare bene.
Bussò piano alla porta di camera sua e si fissò i piedi.
«Avanti.»
Entrò, sua sorella era alla scrivania, stava studiando.
«Ehi.» mormorò Rion facendo due passi.
«Ciao, tutto bene?» chiese circospetta la sorella, era strano che la mora entrasse nella camera della gemella.
«Sì, certo. Senti oggi Kevin mi ha dato questa.» e le porse la lettera.
«Cos’è?» chiese Rylee.
«Mh, non ne ho idea. Io credo che sia una lettera, sai la busta è abbastanza piena, saranno diversi fogli. Potrebbero essere soldi però, oppure pezzetti di carta.»
Rylee ridacchiò e scosse la testa, «Okay, la leggerò. La mamma mi ha detto che sei andata a casa di Louis.»
Rion si raggelò, «Sì.»
«Deve essere simpatico.»
«Lo è.»
Un turbine di emozioni la avvolse: Louis che faceva domande, Louis al giro, Louis che le accarezzava la guancia, Louis che abbracciava la piccola Evelyn. Troppe emozioni, troppe.
Il ragazzo, dopo l’incontro al giro, non le aveva più rivolto la parola e per Rion questo andava più che bene, se non per il fatto che Louis continuava a gettarle occhiate persecutorie e la incendiasse con lo sguardo. Rion aveva iniziato a temere che il castano l’avesse riconosciuta come la spacciatrice del giro, ma si tranquillizzava dicendo che non aveva nessuna prova e sperò vivamente che non ne parlasse con sua sorella.
«Gli interessi.»
«Che?» domandò Rion strabuzzando gli occhi.
«Hai capito, gli interessi.»
«No, non è possibile, non mi conosce neanche.»
«Sta cercando di conoscerti.»
«D’accordo, vedrò di fargli capire che non ne ho la minima intenzione.»
«Rion, prova ad aprirti con qualcuno, non è possibile che voglia passare tutta la vita da sola, prima o poi incontrerai qualcuno che ti stravolgerà la vita e non potrai farne a meno. Non puoi respingere tutti.»
«Quello che faccio o no, non sono affari tuoi.»
«Sì che lo sono, cazzo! Sono tua sorella!» urlò Rylee.
«Calmati, non hai nessuno motivo per arrabbiarti con me. Quante volte mi hai fatto questo discorso, Rylee? Quante? Centinaia di volte. E io cosa ti ho sempre risposto? Che non sono affari tuoi. Sto bene così, voglio rimanere da sola, ho visto fin troppa gente che stava male per via dei rapporti umani e io non voglio stare male, io non voglio niente. E se arriverà il giorno in cui io vorrò aprirmi a qualcuno, sarò libera di farlo, ma non permetterò che sia tu a decidere quando e con chi.»
«Cosa stai dicendo? Forse non l’hai ancora capito, dopo diciotto anni, ma io ti voglio bene e vederti tutti i santi giorni da sola, in un cantone a fumare la tue sigarette, senza parlare, senza dire niente, neanche sorridere, mi fa un male cane. Questo non ti fa bene, Rion.»
«Non mi farà bene, ma mi va bene. Fattene una ragione.» e uscì, lasciando la sorella sulla soglia delle lacrime.   
 
Greta era scossa dai singhiozzi, quasi non respirava.
Era circa mezz’ora che piangeva, mentre tremava, cercando di spiegare al ragazzo quello che aveva dentro, ma senza molto successo, non era una che amava esprimere i propri sentimenti a parole, lei preferiva scrivere.
«Ho sempre voluto scrivere, sai? Mi piace davvero tanto, è un mio modo per sfogarmi e far capire agli altri quello che sento. Vorrei tanto scrivere in questo momento, forse non mi farebbe nemmeno bene, in fondo, è un modo per ricordarlo, ma lui vuole che lo dimentichi e non so come fare. Non si può dimenticare una persona, solo tenere il suo ricordo.»
Il ragazzo, Greta non aveva ancora scoperto il suo nome, scomparve. Quando ritornò teneva qualcosa dietro la schiena.
Carta e penna.
«Tieni, siediti a quel tavolo e inizia a scrivere.»
«Ma io…» iniziò la ragazza.
«Niente ‘ma’, è quello che vuoi, te lo si legge negli occhi. Scrivi di te, di me, del mondo, di qualsiasi cosa, scrivi fino a che non ne hai abbastanza, fino a che non si è scaricata la penna. Trova un pretesto per sfuggire a questo mondo.» gli porse il foglio e la penna.
Greta si alzò e abbassando lo sguardo, mormorò: «Grazie.»
Aveva una storia da raccontare.

Spazio autrice.

Buongiorno, buon pomeriggio o buonasera!

SONO TORNATAAAAAAAAA!
E SONO DEPRESSA.
E VOGLIO TORNARE IN IRLANDA E NON POTETE CAPIRE E' STATO MERAVIGLIOSO.
TUTTO PERFETTO. 
E MI MANCA.
E POI C'ERA UN FRANCESE CHE DIO SANTO AVEVA UN CULO CHE AVE MARIA AIUTO.

Scusate per il ritardo, ma là così avevo davvero poco wi-fi. 
Fate conto che lo avevo solo in treno e sull'autobus, quindi non avevo nemmeno tempo di aggiornare e mi dispiace un sacco. 

PROMETTO A TUTTE LE STORIE CHE SEGUO DI RECUPERARE. 

Il capitolo.
Fa schifo, lo so. E' davvero orrendo. 
La storia vi sta annoiando? Non so ho questa impressione e boh. 
Ditemi, vedrò di fare qualcosa.

Bene!
Kevin! Cosa succederà tra lui e Rylee?
Greta! Cosa ve  ne pare di Greta e di quel ragazzo con le ali, mh?

Ditemi tuttoooo.

A presto,

Giada.
  
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