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Autore: Mary P_Stark    22/08/2015    2 recensioni
Krilash mac Lir è secondo in linea di successione al trono di Mag Mell, oltre a essere grande stratega militare dell'esercito fomoriano. Suo è il rarissimo dono della trasmutazione degli elementi, che lo rendono soldato temibile in battaglia e ottimo guerriero. Questo dono, però, porta con sé anche immense responsabilità... e incubi. Incubi che Krilash tenta di cancellare con una condotta di vita il più spensierata possibile. Nel suo infinito tentativo di concedersi qualche attimo di tregua dai suoi ricordi orribili, incontra l'umana Rachel O'Rourke e sua figlia Faelan, che risvegliano in lui improvvise quanto impreviste sensazioni. Sentimenti che pensava di non poter provare lo portano a compiere azioni per lui inusitate... e lo avvicinano a un segreto che riguarda direttamente le donne O'Rourke. Un segreto che, forse, potrebbe cambiare per sempre la loro vita e quella di Krilash. 3° RACCONTO DELLA SERIE "SAGA DEI FOMORIANI"-Riferimenti alla storia nei capitoli precedenti.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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8.
 
 
 
 
 
Usai un cutter per aprire il cartone che Rohnyn mi aveva dato, pronto a dargli una mano per sdebitarmi con lui.

Dopo tutti i giorni – e le notti – che gli avevo strappato perché si prendesse cura di Rachel e Fay, mi sembrava il minimo.

Il magazzino del suo negozio sembrava uscito da un galeone spagnolo e, pur non intendendomene molto di storia navale umana, apprezzai quei manufatti antichi.

Dallo scatolone dinanzi a me, estrassi un sestante ripulito dall'incuria del tempo e, ammirato, lo soppesai tra le mani prima di riporlo su uno scaffale.

Uno dopo l'altro, sistemai tutto come indicato dal mio scrupoloso fratello dopodiché, con calma, tolsi il nastro dal cartone e ripiegai quest'ultimo per la raccolta differenziata.

Sospirai, osservando le altre venti scatole di diversa grandezza che mi aspettavano.

Non era un lavoro duro, ma volevo sincerarmi che Fay e Rachel stessero bene, perciò dovevo sbrigarmi se volevo andare da loro prima di sera.

Fu perciò una sorpresa quando, dalla porta del magazzino, vidi entrare la donna dei miei sogni.

I capelli stretti in una coda di cavallo, indossava un cappellino con la scritta 'Irish' sul davanti.

Indosso, portava jeans e camiciola, e un mezzo sorriso le illuminava il viso acqua e sapone.

Era raro vedere Rachel con il trucco ma, d'altra parte, non ne aveva bisogno. Era già stupenda così com'era.

Sorrisi forse un po’ stupidamente, preso in contropiede com’ero stato e, nel riporre il cutter su una delle scatole, le chiesi: «Come mai qui? E Ronan dov'è? Fay?»

«Fay è di là che aiuta tuo fratello con i clienti. Io, invece, ho pensato di venire qui a darti una mano.»

«Oh, ma... non ce n'è davvero bisogno» esalai, scuotendo il capo.

Lei tornò seria e, nell'indossare un paio di guanti da lavoro – che estrasse dal marsupio che teneva legato in vita – replicò: «Te lo devo. Mi pare il minimo, visto quello che stai, che state facendo per noi. E non pensare di rispondermi con un ‘no’, perché ti convincerò con la forza, se necessario.»

Mi ritrovai a sorridere come un idiota e, nel passarle un tagliacarte, dissi soltanto: «Sarà un piacere lavorare con una bella donna al fianco.»

Rachel rise, e io mi sentii travolgere da un sentimento tutto speciale.

Fu... compiacimento.

Sì, adoravo sentirla ridere ma, più ancora, adoravo essere io, a farla ridere.

E questo mi metteva in una gran brutta situazione, se già quella in cui mi ero infilato non lo era di per sé.

Come potevo pensare di guastarle questa serenità a stento acquisita?

Certo, la verità era importante, ma non me la sentivo di distruggerle ogni certezza, e solo per avere la coscienza a posto.

Oltre alla possibilità di frequentarla con il cuore al sicuro da tumulti irrealizzabili.

Ero un ben misero codardo!

Se le avessi detto tutto, e mi fossi innamorato di lei, avrei avuto la certezza di poterla portare con me o, quanto meno, di avere una possibilità di vita con lei.

Ma lì non c'ero solo io.

C'erano una donna e sua figlia, che avevano avuto una vita difficile e tribolata, ma si erano costruite un futuro solido, e con le loro sole forze.

Non avevano bisogno di uno come me, che distruggesse il loro mondo per il proprio egoistico bisogno.

Indipendentemente da quello che provavo per loro.

No, dovevo seguire il consiglio di Lithar e tacere su ogni cosa. Per il loro bene.

 
***

Tergendosi il viso con una mano, Rachel si accomodò su uno degli scatoloni ancora chiusi e, sorridendomi, esalò: «Non pensavo che tuo fratello gestisse tutta questa marea di oggetti. Ce n'è un'enormità!»

«Ha più pazienza di me, poco ma sicuro» ironizzai, passandole una bottiglietta d'acqua fresca, recuperata dal piccolo frigobar che Rohnyn teneva nel retrobottega.

Nel curiosarvi dentro, vi avevo trovato anche dei dolcetti alla crema, di sicuro portati da Sheridan durante una delle sue visite.

Ne era ghiotta, in quel periodo.

Lei la bevve, mi sorrise e, dopo essersi morsa pensierosa il labbro inferiore, mi disse: «Sai... ieri ho ricevuto una visita.»

Subito, mi misi sull'attenti, già temendo che il suo ex scuocero avesse mandato qualcun altro a turbarla, ma lei mi rassicurò subito.

Scosse veloce le mani per smentire le mie paure e tornò a sorridermi.

«Non temere, nessuno di tremendo. In realtà, è venuta tua sorella. O, per lo meno, lei si è presentata come tua sorella Lisa. Per la verità, non vi somigliate molto, però...»

«Che?! Lit... Lisa si è presentata da te?! E perché mai?!» gracchiai, sapendo di essere arrossito mio malgrado.

Ma che cavolo le era preso?!

Rachel sorrise ancor di più, forse divertita dal mio imbarazzo.

«Credo sia venuta per difendere il tuo onore.»

«Eh?!»

A quel punto scoppiò a ridere e, nuovamente, il dolce sguardo che le avevo già scorto in precedenza, tornò. Solo per me.

«Si è presentata in gelateria e ha aspettato che fossimo sole, per presentarsi. E' un militare anche lei, per caso? Ne ha l'aria.»

«Eh... già. Lisa potrebbe calpestare sotto i suoi piedi un intero reggimento, se la trovassero con la luna storta.»

Di sicuro, aveva appena calpestato me, e per bene.

Lei annuì, divertita forse dall'idea di una donna in grado di compiere simili imprese.

«Comunque, si è presentata dicendo di essere venuta alla gelateria per conoscermi.»

«Oh, per gli dèi! Scusami!» esalai, passandomi una mano sul viso, esasperato e imbarazzato al tempo stesso.

Avrei dovuto aspettarmi che Lithar ne avrebbe combinata una delle sue, ma avevo sperato non si sarebbe mai spinta a tanto.

Non avevo calcolato, però, la mania di Lithar di ergersi a paladina di noi tutti, sebbene fosse la piccola della nidiata.

Come avevo fatto a dimenticarlo?

«Non ti devi scusare. E' carino che la tua famiglia si preoccupi per te, anche se non ho alcuna intenzione di metterti nei guai» mi rassicurò, tornando a ridacchiare con ironia.

«Mi sembra che le parti si siano invertite» brontolai, scuotendo il capo. «Tu sei il malandrino che vuole deflorare una vergine, e io sono la vergine in questione!»

A quel punto, la risata di Rachel esplose in tutta la sua forza, e calde lacrime di ilarità scivolarono dai suoi occhi color whisky.

Ecco. Ci aveva pensato anche lei, e la risatina che avevo scorto fino a quel momento, trattenuta agli angoli della sua bocca, aveva riguardato proprio quel pensiero assurdo.

Avrei sculacciato Lithar per benino.

Tergendosi le lacrime con i pollici, Rachel asserì: «Dio, avresti dovuto vederla. Lei, tutta seriosa, e ben decisa a scoprire che intenzioni avessi nei tuoi confronti!»

Mi vergognai a morte, ma Rachel fu di tutt'altro avviso.

Smise di ridere e, fattasi seria, allungò una mano per carezzarmi la guancia, mormorando: «Darei chissà che cosa, per avere familiari così attenti e pronti alla mia felicità. Non fosse per mio zio, direi di essere nata senza famiglia.»

«Rachel...»

Lei ritirò la mano, ma proseguì a parlare.

«Non mi ha offesa e anzi, mi ha fatto capire un po' di cose. Prima tra tutte, che non devo prendere alla leggera il tuo interessamento per me. Se tua sorella si è sentita in obbligo di passare, significa che sei più di un semplice bell'uomo che bazzica nel mio negozio per farmi la corte.»

Sorrisi, ringraziandola per il complimento, e lei continuò.

«E' difficile, per me, accettare che qualcuno voglia inserirsi nel mio duetto con Fay, ma tu... tu...»

A quel punto, a sorpresa, arrossì e le mie mani, discole quanto indipendenti, afferrarono le sue per darle coraggio.

Rachel le osservò per qualche istante, prima di riprendere il discorso.

«Non posso negare di essere attratta da te, Kris, e non solo perché, per l'appunto, sei un bell'uomo.»

Nel dirlo, ridacchiò. «E' il modo in cui mi tratti, in cui tratti Fay. Come se fossimo due principesse. Le tue principesse. E' strano. Piacevole, ma strano.»

Carezzai quelle mani esili, dando ragione una volta di più a Lithar.

Non erano mani che avrebbero potuto imbracciare una spada, quanto piuttosto sete eleganti e velluti preziosi.

«E' la prima volta che mi capita, Rachel, perciò ti sembrerò un po' esagerato, ma non so davvero come comportarmi, con te e Fay. Desidero solo che siate felici e, se mi chiedi perché, posso dirti che questo mi fa stare bene.»

Presi un gran respiro, abbozzai un sorriso incerto e proseguii. «Non domandarmi altro, perché non saprei davvero risponderti. Per ora, può bastarti sapere che ho a cuore la vostra salute e la vostra felicità, perché fa felice anche me?»

Annuì, e si sporse verso di me per darmi una bacio sulla guancia.

Sentii subito un formicolio sulla pelle, nel punto in cui le sue labbra si poggiarono.

Turbato, mi chiesi cosa avrebbe voluto dire poggiare la mia bocca sulla sua.

Mi scostai un po', occhi negli occhi con lei, e non mi mossi.

Ero terrorizzato, mio malgrado, e Rachel parve comprenderlo.

Mi sorrise, poggiò la sua mano sulla guancia appena baciata e mi avvicinò a lei.

Fu così che assaporai per la prima volta la sua bocca e, come avevo temuto, fui perduto.

Non c'era solo il suo sapore, a rendermi inebetito.

C'era il suo calore, il profumo della sua pelle, il pizzicore dei suoi pensieri errabondi, il lieve sentore di desiderio sessuale che bussava nella sua mente.

Tutto questo cospirava per farmi andare in tilt.

Ansimai, e approfondii il bacio. Lei non si allontanò, non cercò di frenarmi e, anzi, afferrò i bordi della mia maglietta per avvicinarmi ancor di più.

Continuai a cibarmi di Rachel, assaporandola come un buon vino pregiato, ma feci l'errore grossolano di aprire per un momento gli occhi.

L'alone dorato che vidi attorno alla mia mano destra, immersa nei suoi capelli, mi portò a fissare spaventato la mia pelle.

Ma, più di tutto, mi permise di scorgere gli occhi spalancati di Fay, in piedi sulla porta del magazzino, intenta a guardarci.

guardare me.

In fretta, mi scostai da Rachel, nascondendo dietro la schiena la mano rilucente e, rosso come un peperone, esalai: «Beccati.»

Lei si volse immediatamente, rossa non meno di me in viso, e rise nel vedere l'espressione maliziosa della figlia.

Che non parlò. Che non diede di matto. Che non si espresse in alcun modo, se non prendendo in giro la madre.

Sapevo che Fay aveva visto la mano, la parvhein manifesta ed evidente sulla mia pelle, ma lei non disse alcunché.

Rachel si scusò con me, allontanandosi per sciacquarsi il viso, o forse riprendere un minimo di controllo, e mi salutò con un sorriso di nuova intimità.

Fu a quel punto, rimasto solo con Fay, che capii di essermi cacciato in un guaio enorme. Colossale.

Primo, Rachel era la mia compagna per la vita. Secondo, sua figlia aveva appena scoperto che non ero umano come potevo sembrare.

Per uno che voleva procedere per gradi e non ferire nessuno, avevo appena compiuto un autentico disastro.

 
***

Passatomi le mani sulle cosce, lanciai un'occhiata incuriosita a Faélán, che se ne stava appollaiata sullo scatolone dove, in precedenza, si era trovata sua madre.

Il suo sguardo indagatore mi stava perforando, e la sua mente iperattiva stava tentando di comprendere – logicamente e non – quello che aveva appena visto.

«Chi sei?» mi domandò, senza tanti giri di parole.

Sospirai, mi passai le mani tra i capelli con fare esasperato e, sorridendo sghembo, mormorai: «Tu, chi pensi io sia?»

Inclinò il capo di riccioli ramati, che dondolarono come spuma di mare portata dalle onde e, lappandosi le labbra, replicò: «Vuoi fare del male alla mamma?»

Quell'interessamento altruistico mi fece sfuggire un sospiro strozzato.

Dèi! E io che non volevo turbarla!

Scossi il capo recisamente, dicendo per tutta risposta: «No. Per nessun motivo al mondo! E neppure voglio far soffrire te!»

«Sei un alieno, allora?»

Stava continuando a sondare le mie emozioni quasi senza accorgersene e sapeva, nel suo inconscio, di potersi continuare a fidare.

Ero io a non fidarmi di me stesso, oltre che della mia presunta intelligenza.

Era il caso di ammettere ogni cosa, ivi compreso il loro segreto?

A conti fatti, non mi restavano molte possibilità.

Levai perciò la manica della mia camicia per mostrarle la rihall e lei, curiosa, la sondò con lo sguardo.

«Non è un semplice tatuaggio. Io sono nato con questo simbolo sulla pelle. Come te.»

Faélán mi guardò stranita per un attimo, prima di irrigidirsi e correre con gli occhi alla sua voglia scolorita, color pesca.

Sollevò il polso per mettere a confronto i due simboli, e aggrottò la fronte, turbata e confusa. La somiglianza era innegabile.

«E' una voglia molto strana. Come la mia» mormorò lei, con voce esile, insicura.

«Si chiama rihall e, se me lo permettessi, potrei risvegliare anche la tua. Renderla uguale alla mia, per intenderci.»

A quel punto, Fay coprì il proprio polso con la mano, turbata dal mio dire.

Sospirai, reclinando il viso per un attimo.

Come potevo affrontare un simile argomento, e con una ragazzina di quattordici anni?

Fu lei a indicarmi la strada, però.

Levatasi in piedi, mi poggiò le mani sulle guance, risollevandomi il viso.

Sorridendo cauta, mi disse: «Hai salvato me e la mamma, e sento che non sei cattivo. O pericoloso. E' una cosa brutta da sapere, quella che stai cercando di non dirmi

«Non brutta. Strana» mi limitai a dirle, sorridendo a mezzo.

Lei allora rise sommessamente, tornando a sedersi e, con tono malinconico, mormorò: «A me piacciono le cose strane. Mi sono sempre piaciute. Le ho sempre viste.»

Mi rammaricai del suo tono così afflitto, soprattutto perché una ragazzina di quattordici anni non avrebbe mai dovuto sentirsi così.

Sei pazzo, Krilash, ma ormai è fatta, pensai poi tra me, aprendo il mio scrigno dei segreti per lei.

«Il mio vero nome è Krilash mac Lir e, prima che tu me lo chieda, sono davvero fratello di Ronan. Diciamo soltanto che lui è un po’ meno strano di me, ora.»

Le sue ciglia si mossero frenetiche sugli occhi spaventati, ma non scappò, non urlò, non fece l'atto di ridere di me.

Era attenta. E pronta. La sua mente stava gridandole di ascoltare, di assorbire quanto stavo per dirle.

Come se il suo stesso sangue anelasse a essere risvegliato, ricondotto a casa.

«Conosci le storie dei fomoriani e dei Tuatha de Danann?» mi informai a quel punto, scrutandola con intensità. «La storia di Oisín e Niamh, per esempio?»

A quell'ultimo nome lei si irrigidì e, fatto cenno di non muovermi, scese dallo scatolone per recuperare il suo album da disegno. Non usciva mai senza.

Quando tornò da me era pallida come un cencio, ma più determinata che mai.

Con mani tremanti, aprì l'album fino a raggiungere la pagina designata e lì, mostrandomi la sua opera, disse sommessamente: «L'ho disegnato io, immaginandolo da sola. Non ho guardato i dipinti che hanno fatto su di lui. Davvero. Ma so che è Oisín.»

«Ti credo» gracchiai, sconvolto di fronte a ciò che avevo innanzi.

Se anche non le avessi mai detto la verità, il suo sangue avrebbe parlato al posto mio.

Perché, quello che avevo dinanzi agli occhi, era il guerriero umano che Niamh aveva condotto nelle nostre terre immortali, sposandolo.

Era il guerriero che aveva generato un figlio e una figlia, Oscar e Plon, ed era infine tornato nelle sue terre dopo essersi ricoperto di gloria in battaglia.

Sia Oscar che Plon, una volta perso il padre, avevano scelto l'Irlanda e lì erano morti in vecchiaia, circondati da famiglie numerose e amorevoli.

Queste, poi, avevano portato avanti fino ai giorni nostri la discendenza di Oisín e Niamh, donando a Rachel e Fay il loro retaggio immortale.

«E' … è lui. E' esattamente come lo ricordo» mormorai roco, non rendendomi pienamente conto di ciò che stavo dicendo.

«Come... lo ricordi?» esalò a quel punto Fay, rabbrividendo.

La fissai spiacente, levando una mano per sfiorarle la guancia.

«Perdonami. Non avresti dovuto sapere nulla. Non volevo ribaltare a questo modo la tua vita, così come quella della mamma. Ma...»

Lei si strinse l'album al petto, mi guardò con occhi lucidi di lacrime e sussurrò: «Non trattarmi come una bambina. Mai

«Non voglio farlo. Ma ciò che sto per dirti, potrebbe sconvolgerti veramente la vita.»

A quel punto, Fay rise amaramente, fissandomi con i suoi strani occhi, fanciulleschi e antichi al tempo stesso.

«Ho un padre che mi picchiava, che picchiava la mamma, dei nonni che hanno tentato di rapirmi da lei, e solo perché ho il sangue di loro figlio. I genitori di mia madre se ne infischiano di noi, perché ci siamo rifiutate di sopportare le botte di mio padre, prima, e di spennare i nostri parenti, dopo.  Se non fosse stato per lo zio, non avremmo avuto un solo centesimo come risarcimento al dolore che ci hanno causato. Cosa può esserci peggio di questo?»

Si mosse nervosa attorno agli scatoloni e, fissandomi al limite del pianto, aggiunse: «Vedo cose che gli altri non vedono, sento cose che gli altri non sentono, sono continuamente vessata dai miei compagni di scuola perché sono diversa da loro. Pensi che potrei rimanere sconvolta? Beh, dovresti dirmi che sono la figlia del diavolo, per farlo. Forse.»

Ora so chi mi ricordavano i suoi occhi. Quelli di tutti noi, pensai sconvolto, avvolgendola nel mio abbraccio protettivo per proteggerla.

Da chi, o cosa, stavo tentando di proteggerla, non lo sapevo, ma desiderai far sparire quell'amarezza.

Lei ristette rigida per un istante tra le mie braccia, prima di rilassarsi e poggiare il capo contro la mia spalla.

«Fay, io non abito qui, provengo da un luogo chiamato Mag Mell, che si trova negli abissi del mare, a centinaia di miglia da qui.»

Nel sentirla spingere con le mani sul mio petto, tentando di allontanarsi, la strinsi a me con maggiore forza, mormorando: «Non sto mentendo, Fay. Non ti sto raccontando storielle. E' la verità, e tu puoi  percepirla senza sforzo, vero?»

«Come... come lo sai?»

Mi guardò con occhi spaventati, increduli, e io la baciai sulla fronte, protettivo.

«Perché è insito nel tuo sangue. La tua condizione di necessità ti ha resa più sensibile di altri, così hai potuto sviluppare questo dono, seppur inconsciamente, senza che nessuno ti parlasse di esso. Anche tua madre sa farlo.»

«Condizione di necessità?» ripeté, confusa e speranzosa insieme.

Voleva che le dessi quelle certezze che, fin da quando era nata, non le erano mai state date. E, a quel punto, avrei smosso mari e monti, per farlo.

La scostai da me per poterle carezzare il capo e, annuendo, le spiegai ogni cosa.

«I maltrattamenti di tuo padre, così come le vessazioni dei tuoi compagni, ti hanno fatta diventare più guardinga, più attenta, e così il tuo dono si è attivato per puro istinto di sopravvivenza. Per questo, sapevi che io non sarei mai stato un pericolo per voi. Mi hai riconosciuto subito, anche se non avevi idea di chi fossi in realtà. Ascolta il tuo sangue. Non percepisci una sorta di onda di risonanza?»

A quel punto le lacrime sgorgarono, ma compresi subito che erano di sollievo.

«Ho sempre saputo di essere... diversa. Cercavo di non farci caso, ma c'erano troppe cose, nella mia vita, che succedevano in modo diverso dagli altri. Quando ti vidi per la prima volta, fui felice. Non seppi spiegarmi il perché, ma la sensazione fu quella.»

Sorrise timida, e aggiunse: «Succede tutte le volte, e ogni volta è più forte. Quindi, è normale, per me?»

«Per un fomoriano, sì. Così come per i suoi... eredi.»

Le sollevai il polso dove potevo scorgere i contorni della sua rihall e, senza perdere tempo, ne sfiorai la superficie sericea, mormorando: «Sangue da sangue, io ti richiamo. Reclamo il tuo diritto di nascita, figlio dei mac Cumhaill.»

La guardai incoraggiante, aggiungendo: «Di' il tuo nome, Fay, se vuoi conoscere ogni cosa.»

Lei deglutì a fatica, ma annuì.

Con voce solo leggermente tremante, Fay snocciolò il suo nome completo, Faélán Elianor O'Rourke e, sotto i suoi occhi sgomenti, la rihall si animò.

I suoi contorni presero a colorarsi d'oro per poi imbrunire, divenire color del caramello e, infine, diventare neri e lucenti.

«Ora, sei di diritto l'erede dei mac Cumhaill e, se tu lo vorrai, potrai risiedere presso la tua casa negli abissi, e prendere la livrea del tuo casato.»

Glielo dissi come un dato di fatto, perché la verità era questa, e a Fay non volevo offrire niente di meno.

Troppe persone avevano tradito la sua fiducia, negli anni, e io non volevo essere l'ennesimo nella sua lista.

«Livrea?» esalò, guardandomi con occhi colmi di stelle.

Era affascinata da quella novità, galvanizzata suo malgrado ma, al tempo stesso, sembrava esserselo aspettato.

Come se, da tempo, il suo sangue le avesse detto di essere qualcosa di più di una semplice umana.

Le sorrisi, spiegandole di noi, della nostra possibilità di mutare in delfini, della capacità di respirare sott'acqua, dei palazzi di Mag Mell e dei Protettorati sparsi per il mare.

Presi dalle sue mani il blocco dei disegni e, con un sorriso, le spiegai che, ciò che aveva disegnato, non era altro che lo specchio della verità.

Il retaggio del suo sangue che cercava di parlarle fin da quando era bambina.

Le dissi delle nostre origini, di come giungemmo sulla Terra e delle guerre contro i Tuatha.

Fay mi ascoltò assorta, annuendo ogni tanto o ponendomi domande mirate su quello che più le interessava.

Rise, quando le dissi dei miei genitori piuttosto burberi, e si lasciò sfuggire un sospiro ansioso, venendo a sapere delle senturion.

Quando, poi, le dissi della mia discendenza, sgranò gli occhi ed esalò: «Ma allora... sei un principe! Un vero principe!»

«Non per gli umani. Davvero no» ironizzai, ridendo con lei con fare complice.

Fu lì che mi accorsi della presenza di Rachel e, quando incrociai il suo sguardo furente, seppi che aveva sentito tutto. Ogni cosa.

E non credeva a una sola parola di quel che avevo raccontato a Fay.

La figlia le sorrise allegra per un attimo, prima di accorgersi del suo nero cipiglio.

Io mi volsi a mezzo, contrito, e mormorai: «Rachel, senti...»

«Non prendere in giro mia figlia, raccontandole fandonie senza senso!» sbottò, avvicinandosi per trascinare accanto a sé Fay.

Vedendola così nervosa e agitata, la figlia si coprì prudentemente il polso per non creare ulteriori guai, e io gliene fui grato.

Vedere la rihall l'avrebbe fatta impazzire.

«Tutto quello che ho detto...» tentai di discolparmi, ma lei mi schiaffeggiò.

Se avevo mai pensato che fosse debole, dovetti ricredermi.

Quella sberla mi fece un male cane.

«Non c'è bisogno che sobilli a questo modo la sua fantasia! Passa già anche troppo tempo a fantasticare, senza bisogno che un adulto le dia man forte!»

«Mamma!» esclamò sconcertata Fay, fissandola dolente e irritata.

Lei non vi badò, troppo infervorata per comprendere quanto la stesse ferendo con le sue parole.

«Hai idea di cosa voglia dire sentirsi chiamare dai professori perché tua figlia ha la testa tra le nuvole, o disegna cose che non esistono, sostenendo di vederle?!» sbraitò a quel punto Rachel, gli occhi ridotti a due fessure piene di paura.

«Rachel, calmati. La stai spaventando» dissi atono, lanciando occhiate preoccupate all'indirizzo di Fay, che era ai limiti del pianto.

«Io sono sua madre!» sibilò a quel punto, spingendomi lontano e avvolgendo completamente la figlia con le braccia. «Tu non sei nessuno, per lei! Non venirmi a dire cosa devo, o non devo, fare con mia figlia!»

Faélán scoppiò in lacrime, a quel punto e Rachel, per diretta conseguenza, si chetò, cullandola contro di sé con calore e affetto.

Ma anche tanta paura a coronarle il capo.

«Non era mia intenzione turbarti a questo modo, ma ciò che ho detto – e che tu hai ascoltato solo in parte, credo – corrisponde alla verità. Puoi non credermi, ma il tuo sangue sa che non mento» mormorai con tono fermo, ma anche infinitamente stanco. «Ti lascerò in pace, se vorrai questo, ma ti prego solo di una cosa. Non dire a nessuno ciò che hai udito. Per il bene di tutti.»

«Krilash...» singhiozzò Fay, allungando una mano verso di me.

Scossi il capo, sorridendole mesto.

«Vai con la mamma, Fay. Ha bisogno di stare con te, ora. Di certo, non con me.»

Rachel mi lanciò un'occhiata venefica e, trascinando via con sé la figlia, sparì oltre la porta del magazzino, lasciandomi solo con i miei errori.








Note: Direi che, come dice lui stesso, per uno che voleva andarci coi piedi di piombo, è riuscito a fare l'esatto contrario. Ronan riuscirà a calmare le giuste - e comprensibili - ire di Rachel? E come se la caverà Krilash, se e quando riuscirà a parlare nuovamente con la donna che ha scoperto di volere per sè? Fay avrà un ruolo, nella diatriba tra la madre e Krilash, o pazienterà silente il decorso della tempesta?
A voi queste domande, che avranno giusta risposta la settimana prossima.
Se, però, volete sbizzarrirvi con le ipotesi, io vi dirò quanto ci siete andate vicino. Buon week-end!
  
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