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Autore: Soraya Ghilen    24/08/2015    1 recensioni
Dalla morte di Nico sono trascorsi un anno e quattro mesi, durate i quali è successo di tutto: tra matrimoni, parti e misteri che tornano a galla. Cristina è diventata ma moglie di Riario ma non passa giorno in cui non pensi a Nico. Ma, intanto, il libro delle Lamine e le chiavi della volta celeste ricordano al Conte e a Leonardo che si deve andare avanti e trovare la soluzione dell'arcano.
Questa ff è basata sulla seconda stagione ed è il continuo di "Un anno a Forlì"
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio, Zoroastro
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storia di un amore quasi impossibile'
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Capitolo 11: Tutto come lo fa mio marito
P.O.V. Cristina
Non andava per nulla bene.
Non avevamo trovato neanche un volontario che ci seguisse nella nostra folle impresa. Il problema reale, vero e tangibile era che non potevo biasimare nessuno. Neanche io, al posto loro, sarei partita. Ma, in quel momento, non me ne poteva fregare di meno delle loro stupide e insignificanti paure.
“A me non importa un accidente se avete paura di morire! Mio marito paga i vostri stipendi e io pretendo che voi facciate qualcosa per aiutarlo!”
“Contessa, noi vorremmo anche obbedire ai vostri ordini ma non sappiamo dove ci troviamo o cosa potrebbero farci questi barbari e poi vostro marito ci ha pagati per portalo fino a qui e tornare non per fare ciò che chiedete” disse uno dei marinai. Non ci vidi più, a quelle parole.
“Io vi giuro che, se non fate immediatamente quello che vi ordino, vi lego come salami e vi butto in mare! Mi avete capita?!” gli uomini davanti a me si irrigidirono di colpo per poi annuire e iniziare a preparare le poche cose da portare per le ricerche “Amerigo” dissi, poi “quanti uomini vi servono per tenere le navi a largo?” lui parve pensarci su per qualche istante.
“Una decina, non di più. Cinque per questa nave e cinque per l’altra” io annuii e gli dissi di prendere con se chi meglio reputava adatto per quella mansione. Gli feci cenno che poteva andare, che non avevo più nulla da dirgli. Non appena mi lasciò sola poggiai i gomiti sulla balaustra in legno del ponte di comando, per poi prendere il viso tra le mani. Ventiquattro ore senza Girolamo e già le cose non erano più in ordine.
“Non pretendere da te stessa di fare le stesse cose che fa lui. Non sei capace di incutere la stessa paura che riesce a iniettare lui in chi gli sta intorno” disse la mia dama di compagnia, passandomi una mano sulla schiena, come a rassicurarmi.
“Lo so. Non sono capace di fare le cose bene come le fa lui. Le persone non mi obbediscono senza discutere. Nessuno mi teme”
“Però molti ti amano” risi, flebilmente “Non dare poco peso alla cosa. Credo che, prima di te, nessuno abbia mai amato il Conte”
“Però tutti hanno sempre fatto tutto quello che lui ordina”
“Perché hanno paura delle cose terribili che lui potrebbe fare” si fermò un secondo, guardando il cielo che si estendeva all’orizzonte “La paura fa fare alle persone cose orribili”
“Lui non è così, io l’ho visto”
“Sei l’unica che c’è riuscita. Lui non ha mai lasciato entrare nessuno. È sempre stato chiuso, solo, in guerra con tutto e tutti. Questo lo ha reso ciò che è” disse, fissando il mio viso, come a cercare un assenso.
“Credimi, non è stato il suo isolarsi, quella è solo una conseguenza”
“Cosa ti spinge a proteggerlo?”
“Il fatto che si è messo in discussione, per me. Un altro non mi avrebbe mai portata con se, non vi avrebbe mai sposata ,se avesse avuto solo il minimo sospetto che portassi in grembo il figlio di un altro. Mi avrebbe ripudiata, dopo aver visto il colore degli occhi di Arturo, ma lui no. Lui mi ama nonostante io non gli abbia mai dato nessun motivo per farlo. Mi ama che se io continuo ad amare un altro e io non sono neanche stata in grado di trovarlo” le lacrime iniziarono a bagnarmi le guance. Erano, principalmente, uno sfogo di rabbia e impotenza, alle quali si mischiavano anche quelle di paura. Ero, a dir poco, terrorizzata.
Se mio marito fosse morto cosa ne sarebbe stato di me e dei miei bambini?

P.O.V. Girolamo
Se fosse morta cosa ne sarebbe stato di me e dei nostri figli?
Dopo il sogno che avevo fatto, in cui il giovane Nico mi aveva annunciato che qualcuno sarebbe morto a causa mia, un senso d’angoscia gravava sul mio cuore.
“Conte, da quando vi siete svegliato siete piuttosto taciturno” non avevo voglia di parlare, specialmente con l’Artista.
“Se vi dicessi cosa ho sognato penserete che sono definitivamente uscito di senno” lui ci penso su per qualche istante.
“Nessuno ha mai pensato che foste normale, quindi non credo facciate danni se mi dite cosa avete sognato” risi, o meglio, come direbbe mia moglie, ghignai.
“Nico mi ha parlato” spalancò gli occhi, come se davvero stesse guardando un folle.
“Come è possibile. Nico è morto”
“Lo so bene. Mia moglie piange sulla sua tomba tutti i santi giorni” risposi, irritato. Lei amava un morto e non me.
“E cosa accadeva, nel sogno?”
“Eravamo nel mio studio, a Forlì. Cristina, Giulia e il vostro amico andavano a cavallo e io li guardavo dalla finestra. Nico era seduto alla mia scrivania. Mi ha detto che, a causa dei miei peccati, un innocente perderà la vita. Che uno di noi non tornerà in Italia”
“Chi?”
“Non me l’ha voluto dire. Ha detto che le morti che accadranno devono accadere”
“Come?” chiese, come se non avesse ben capito ciò che avevo detto.
“Le morti che accadranno devono accadere”
“Non è possibile!” sussurrò, più a se stesso che a me.
“Avete già sentito questa frase, Artista?” lui annui, con lo sguardo vitreo “Da chi? Anche voi dal giovane Nico?”
“No, io….me l’ha detto lo stesso uomo che mi ha parlato del Libro delle Lamine”
“Il Turco?” lui annuì. Ricordavo che Cristina, una volta, me ne aveva parlato “Ha anche detto chi?” fece cenno di no “Perché?”
“Evidentemente né lui né Nico lo sanno”
“Io non posso perderla…non voglio che paghi per qualcosa che non ha fatto”
“Neanche io voglio che muoia, come non voglio che muoia nessuno tra noi”
“Lei, però, lo aveva detto” dissi, fissando il vuoto “Cose terribili ci accadranno se andiamo lì, Girolamo” dissi, ripetendo le sue esatte parole “Sono passate ventiquattro ore o poco più dall’ultima volta che l’ho vista” dissi, guardandomi la punta degli stivali luridi di fango.
“Sta bene, ne sono convinto”
“Non ve la prendete se vi dico che me ne faccio poco delle vostre rassicurazioni”
“Tutt’altro, vi capisco benissimo”
“E come potete?”
“Mia madre. Non so come stia o cosa stia facendo o se si sia rifatta una vita, da qualche parte”
“Lei non si può essere rifatta una vita” ridemmo, anche se in modo lieve e appena accennato.
“Direi di no” poi calò il silenzio e continuarono a spuntarmi immagini di mia moglie e dei miei bambini nella mente, come un fiume in tempesta.

P.OV. Cristina
Il povero Zoroastro era riuscito a riportarci al luogo dove tenevano imprigionati Girolamo e Leonardo.
Era una specie di costruzione a punta. Qualcuno le chiamava piramidi ma io non sapevo cosa fossero. Si stagliava contro il cielo quasi spaccandolo a metà. La cima, però, era piatta e, tutto intorno alla base vi erano delle specie di grate. Le identificai come prigioni.
“È quella” disse Zoroastro, indicando la grata posta al centro della base. Mi ci avvicinai, senza neppure pensarci troppo. Non c’era nemmeno l’ombra delle guardie e tanto bastava per me.
“Girolamo?” sussurrai, dopo essermi inginocchiata e aver appoggiato la bocca tra le grate “Girolamo, Leonardo, vi prego rispondete”
“Cristina? Sei davvero tu? Non sei un incubo anche tu, vero?” era la voce di mio marito. A quel suono la gola iniziò a contrarsi e gli occhi mi bruciavano tremendamente. Non potevo credere che fosse vivo e che mi stesse parlando.
“Si!” dissi, subito “Amore mio sono io, ti ho trovato!” infilai una mano tra le sbarre e lui la strinse per poi portarla alle labbra.
“Sei stata bravissima, ci hai impiegato poco più di un giorno”
“Girolamo, tra poco scoccherà il secondo giorno. Ci ho messo due giorni per trovarti. Mi dispiace infintamente” dissi, piangendo.
“Non devi. Ti sono infinitamente grato”
“Bene, se avete finito con i convenevoli, io procederei” disse Zoroastro, facendomi segno di farmi da parte. Iniziò, poi, a trafficare con la grata di ferro, riuscendo a sfilarla dai buchi in cui era infilata “Quando sono evaso abbiano notato che non sono saldate ma solamente appoggiate. Non sono un popolo abituato alle evasioni, a quanto pare” disse, ridendo.
Mio marito non stava bene ma neanche malissimo come temevo. Riusciva a stare in piedi quasi non facendo peso sulla spalla che gli avevo offerto e il volto, a parte qualche escoriazione, sembrava apposto. Non c’erano altri danni visibili, al momento almeno.
“Leo, forza, non c’è tempo” stava dicendo Zo al Maestro, mentre io posavo delicatamente le labbra su quelle di Girolamo. Mi invase un senso di pace e tranquillità.
“Andate, io resto qui”
“Tu sei pazzo!”
“Sanno qualcosa sul libro delle lamine e io devo scoprire cosa sia”
“Non dire idiozie! Vieni qui!” Girolamo mi fece cenno di avvicinarci a Zoroastro.
“Artista, il vostro amico ha ragione, dobbiamo andare. Tutto questo non vale quel Libro”
“Sanno dov’è mia madre. Lei l’ha conosciuta” disse Leonardo, con forza.
“Vi do una settimana di tempo, poi verremo a riprendervi e, allora, o verrete con noi o vi lasceremo qui.”
“Molto bene, Conte. Ci vediamo tra una settimana” Zo rimise la grata al suo posto.
“Spero solo che tu non debba pentirtene amico” e, poi, corremmo lontano da lì. Non capivo come avrei fatto a rimetterci piede solo sette giorni più tardi.

Angolo di Sol: Ecco a voi un’evasione in grande stile, o forse non così grande! Beh, per Cristina l’importante è che Girolamo sia sano e salvo…più salvo che sano ma questa è un’altra storia.
Come sempre aspetto i vostri pareri.
A presto, un abbraccio.
Sol

Nel prossimo capitolo:
Mi svegliai sudata, con l’abbraccio di mio marito che mi infastidiva oltre ogni dire  e con lo stomaco che mi tormentava come e peggio di quando ero andata a dormire.
Scostai il braccio di Girolamo e corsi nuovamente verso il secchio, che doveva essere stato svuotato da Giulia mentre io e lui dormivamo, e vomitai nuovamente.
“Vuoi che vada a chiamare Giulia o il cerusico?” tutto quel trambusto aveva, ovviamente, svegliato mio marito, che aveva il sonno più leggero di una piuma.
“Preferirei il secondo, grazie” annuì e uscì dalla stanza. Sapevo che era preoccupato, l’avevo percepito dalla tensione dei muscoli della mascella quando l’avevo guardato. Speravo solo che fosse tanto rumore per nulla.

 

  
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