«Zed...
Ciao, sì, lo so che stai arrivando... Quanto ti manca? No, non è
successo niente di grave, no, non ti sto chiamando per questo...
Cioè, sì, in effetti è successo qualcosa, ma-- Stiamo tutti bene,
solo-- C'è stato un imprevisto. Senti, non so come spiegartelo per
telefono, penso che dovresti vederlo di persona... No, non ti
preoccupare. Ci vediamo al mulino. Ok, ok. A dopo, ciao.»
Quando
Chas riattaccò, vide miniJohnny che sgambettava in giro
allegramente, tenendo su con entrambe le mani lo strascico di una
maglietta troppo grande per lui – una semplice t-shirt, la più
piccola che Chas aveva trovato: ma ovviamente gli stava enorme, come
una tunica. Sempre meglio che continuare a lasciarlo infagottato
nella camicia e nei pantaloni di John, aveva pensato il più grande,
ma doveva comunque trovargli dei vestiti adatti al più presto. Un
secondo dopo, sul volto di Chas si dipinse un'espressione inorridita
e dovette attraversare la stanza con un balzo per poter acchiappare
Johnny al volo, perché lo spericolato si era arrampicato sullo
scaffale della libreria col chiaro intento di lanciarsi di sotto, in
un'improbabile simulazione di volo.
«Dio,
John, NO.» Chas era esasperato. Cinque minuti di convivenza con il
piccolo John e già non ce la faceva più. «Perché hai questa
pessima tendenza al suicidio?» lo sgridò, ma il bambino ovviamente
non capì e rise. Chas alzò gli occhi al cielo.
«Senti,
io non lo so se sei ancora là dentro e se puoi sentirmi,» disse,
dopo essersi seduto per terra di fronte a Johnny. «Ma ho bisogno di
tutta la tua collaborazione, se vogliamo sopravvivere a questa cosa,
ok?» Silenzio. Chas si sentiva stupido. Il bambino lo guardò con
l'aria perplessa e interrogativa di uno che non ha capito una sola
parola, poi sorrise e si guardò intorno, spensierato, alla ricerca
del prossimo posto da cui buttarsi di sotto. «Ok, come non detto,»
si arrese Chas, sospirando. Poi raccolse il bambino e lo sostenne,
tenendolo con un braccio, mentre con la mano libera cercava le chiavi
del taxi nella tasca dei jeans.
«Adesso
andiamo a prendere un po' di cose,» gli disse; ma tutto l'interesse
di miniJohn era concentrato a passare le manine sulla sua barba. «Poi
torniamo al mulino e aspettiamo che torni Zed, e poi... Poi non lo
so,» ammise, affranto. Guardò il bambino e, per la prima volta da
quando lo aveva tra i piedi, pensò che John era stato un bambino
davvero adorabile, con quel nasino all'insù e l'aria pestifera, e
davvero non riuscì a capacitarsi di come suo padre avesse potuto
avere il coraggio di maltrattarlo. Sentì un lieve moto di rabbia nei
confronti del padre di John, ma lo soffocò rapidamente. Il passato
era passato, e non c'era più molto da fare, in proposito. Tutto
quello che poteva fare, ora, era concentrarsi sui bisogni di John e
rendergli questa parentesi infantile, se non bella, almeno piacevole.
«Fa' il bravo. Ti prego,» lo implorò. MiniJohnny gli mise le
braccia al collo e posò la testa sulla sua spalla. Sembrava calmarsi
un po', quando lo prendeva in braccio.
«Ok,»
concesse Chas. «Così va meglio.»
Lo
sistemò come meglio poteva sul sedile anteriore del taxi, accanto a
quello del guidatore – il posto in cui solitamente sedeva John,
quando viaggiavano. Il taxi non era attrezzato per scarrozzare un
marmocchio, ma Chas fece comunque del suo meglio per tenerlo al
sicuro, mettendogli la cintura e bloccando lo sportello.
«Non
toccare niente,» gli disse. MiniJohn lo guardò, seduto
compostamente accanto a lui, con aria leggermente intimidita. Chas
non riuscì a trattenersi e lo accarezzò sulla testa, arruffandogli
i capelli.
«Non
fare quella faccia. Non sono arrabbiato con te,» lo rassicurò.
MiniJohnny sorrise – e quel sorriso conteneva già una traccia del
ghigno che poi avrebbe caratterizzato il John adulto.
«Chas,»
disse il bambino, perfettamente a suo agio.
«Ti
ricordi come mi chiamo?», domandò l'adulto, con un briciolo di
speranza. Forse, c'era ancora qualcosa del John stronzo cinico e
bastardo, in quella deliziosa creatura.
«Sì,»
rispose il bimbo, estremamente soddisfatto, le manine aggrappate alla
cintura di sicurezza.
«Che
altro ti ricordi?» chiese Chas, speranzoso.
Il
bambino si guardò attorno, assorto, come se si stesse sforzando di
far riemergere un ricordo. Poi si sporse e afferrò qualcosa da sotto
il sedile.
«Le
sigarette!» esclamò felice, come se avesse vinto qualcosa. Chas si
affrettò a sfilargliele di mano, allibito.
«Impazzirò,
me lo sento,» mormorò, lanciando il pacchetto fuori dal finestrino.
MiniJohn lo guardò imbronciato e offeso, a braccia conserte.
«Non
guardarmi così! Ne riparliamo quando torni... Be', quando torni
normale,» balbettò l'adulto, mettendo in moto. Dispettoso, con
un'innata tendenza a farsi del male e un continuo bisogno di attirare
l'attenzione: se davvero esistevano delle differenze, tra il John
adulto e il John bambino... Be', Chas faticava a vederle.
Seriamente.
Al
supermercato, tenere d'occhio Johnny si rivelò un'impresa
impossibile: il piccolo molestatore si infilava dappertutto, correva
tra i reparti e approfittava della piccola taglia per fare scherzi
alla gente senza essere visto. Chas fu costretto a infilarlo
nell'apposito spazio del carrello, per non perderlo di vista. Il
piccolo John era una vera peste, ma era anche stupendo; e, più
passavano i minuti, più Chas sentiva che si stava affezionando a lui
– nonostante gli risultasse ancora molto strano rapportarsi con
John in quella forma così anomala. Amava il John adulto, e si
sarebbe preso la massima cura del Johnny bambino. Doveva solo fare in
modo che stesse bene fino alla fine di quello strano incantesimo, poi
tutto sarebbe tornato alla normalità. Poteva farcela.
Gli
prese due cambi d'abito e due paia di scarpe, un pigiama, e tutto
quello che poteva servire a un bambino di quattro anni.
Fortunatamente, grazie alla precedente esperienza con Geraldine, Chas
non era del tutto impreparato ad affrontare la cosa. Quando stavano
andando alla cassa per pagare, una signora sulla settantina si
avvicinò al carrello.
«Ma
che bel bambino! È suo?» chiese la donna, e Chas, che era
lievemente esaurito, pensò: No, l'ho rubato. Che razza di
domande.
«Sì...»
rispose invece, anche se poco convinto. Poi vide gli occhi del
piccolo Johnny brillare di una strana luce, solo per un istante –
lo sguardo di qualcuno che ha appena avuto un'idea malvagia. La
signora non aveva intenzione di schiodare.
«Quanti
anni hai, bel bambino?»
Johnny
alzò quattro dita, esibendosi in un sorriso tutto miele e innocenza
infantile, tanto irresistibile quanto fasullo. Poteva cascarci
chiunque, ma non Chas. Lo conosceva troppo bene per non sapere che,
se Johnny diventava improvvisamente zuccheroso, era perché sperava
di ricavare un qualche vantaggio dalla situazione.
«Ma
che bravo...! Suo figlio è un amore,» insistette l'anziana, ormai
soggiogata.
Chas
non disse nulla, anche se sentire chiamare John “suo figlio” gli
suonava sbagliato. Riuscì a liberarsi della presenza della vecchia
solo quando la fila alla cassa cominciò a scorrere, e la donna
dovette allontanarsi per pagare. Quando anche Johnny e Chas furono
usciti dal negozio, l'adulto scaricò la spesa nel bagagliaio e poi
assicurò di nuovo il bambino al sedile. Johnny lo guardava con aria
compiaciuta.
«Cos'era
quello sguardo, John?» gli chiese Chas, alzando un sopracciglio. «Lo
so che avevi in mente qualcosa,» aggiunse. A quelle parole, il
bambino infilò una mano sotto la maglietta ed estrasse un
portafogli.
All'interno,
la foto sulla carta d'identità ritraeva la povera signora di poco
prima, ignara del furto che aveva subito.
«Piccolo
ladro ruffiano,» commentò Chas, ma era troppo sorpreso per poterlo
sgridare sul serio. Era il genere di cose che il John adulto faceva
di continuo. «Dopo glielo andrò a restituire, ho capito,» sbuffò,
roteando gli occhi.
«Sono
stato bravo?» chiese Johnny, con un sorriso di attesa e speranza.
Chas sospirò. Non sarebbe mai riuscito a sgridarlo, se lo guardava
così.
«Non
si fanno queste cose, Johnny,» gli spiegò soltanto. «Adesso
andiamo a casa, ci cambiamo e aspettiamo Zed, va bene?» Lanciò il
portafogli della signora sul sedile posteriore e accarezzò il
bambino sulla testa. Il marmocchio si liberò velocemente della
cintura di sicurezza – l'escapismo era un'altra delle abilità del
John adulto che evidentemente il John bambino già coltivava – e si
agganciò al suo braccio.
«John,
devo guidare. Siediti,» cercò di dirgli Chas, ma il bambino
continuava a guardarlo con quell'espressione che richiedeva
attenzioni, e alla fine Chas fu costretto a metterselo sulle
ginocchia. «Se ci ferma la stradale mi fa un culo così. Non dovrei
portarti in questo modo, sai? È pericoloso,» borbottò; ma il
bambino rimase accoccolato buono buono contro di lui, saldamente
aggrappato alla sua giacca e con la testa posata sul suo petto per
tutto il viaggio, e Chas proprio non se la sentì di farlo spostare.