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Autore: evelyn80    27/08/2015    6 recensioni
Dopo aver espresso il desiderio di poter salvare Boromir dalla sua triste fine, Marian si ritrova catapultata nella Terra di Mezzo grazie ad un gioiello magico che la sua famiglia si tramanda di generazione in generazione. Si unirà così alla Compagnia dell'Anello per poter portare a termine la sua missione. Scoprirà presto, però, che salvare Boromir non è l'unica prova che la attende.
Ispirata in parte al libro ed in parte al film, la mia prima fan fiction sul Signore Degli Anelli.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La mia Terra di Mezzo'
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La missione si compie

 

La mattina successiva ci alzammo tutti di buon’ora e, dopo colazione, Aragorn chiese a Frodo di decidere il da farsi. In fondo il Mezzuomo era il Portatore dell’Anello, e toccava quindi a lui scegliere la direzione da prendere: se andare direttamente a Mordor oppure recarsi prima a Minas Tirith, come Boromir continuava a chiedere.
L’Hobbit non sapeva che pesci prendere, così chiese un’ora di tempo per riflettere e si allontanò.
Tutti gli altri si disposero all’attesa. Gimli accese la pipa – imitato da Merry e Pipino – ed intavolò una conversazione con i due giovani Mezzuomini. Sam rimase seduto in disparte, attendendo ansiosamente il ritorno del suo migliore amico. Aragorn si mise ad affilare Andùril, mentre Legolas controllava l’impiumaggio delle sue frecce. Solo Boromir ed io non riuscivamo a star fermi: lui, perché sentiva il potere dell’Anello che lo chiamava; io, perché sapevo che ormai mancavano più solo pochi minuti, al massimo un paio d’ore, all’ora X.
Poco dopo, infatti, l’Uomo di Gondor sparì ed io, che lo tenevo d’occhio, fui l’unica ad accorgermene. Il destino stava per compiersi. Boromir, ottenebrato dalla potenza del “Flagello di Isildur”, avrebbe aggredito Frodo costringendo il Mezzuomo alla fuga. Subito dopo, tornato in sé, avrebbe combattuto fino alla morte contro gli Uruk-Hai, in difesa di Merry e Pipino, per riscattare il suo onore perduto.
Mi ritrovai a camminare a lunghe falcate sulla sponda del lago, incapace persino di mettermi seduta.
"Perché sei così nervosa, Tingilindë?" mi chiese Legolas, guardandomi stupito, interrompendo per un attimo il controllo delle sue armi.
"Eh? Cosa?" gli risposi distrattamente, come strappata da uno strano sogno, senza smettere di passeggiare avanti ed indietro. "Non lo so… credo che la “Stella” avverta un pericolo nell’aria" aggiunsi vagamente e lui annuì, grave, riprendendo ad esaminare le sue frecce.
Fu la più lunga della mia vita ma, alla fine, anche quell’ora passò. Di Frodo non c’era ancora traccia. In quel momento, anche gli altri si accorsero che pure Boromir era svanito nel nulla, così tutti scattarono in piedi per andarli a cercare. I tre Hobbit cominciarono a correre come impazziti, chiamando a gran voce il loro amico e parente. Cercai di seguire i due cugini visto che, se fossi stata con loro, avrei trovato anche Boromir al momento giusto. Durante la mia passeggiata inquieta, infatti, avevo cominciato a temere che il fato potesse essere in combutta contro di me, facendomi arrivare dal Gondoriano troppo tardi, quando ormai neanche più la pozione elfica avrebbe potuto salvarlo. Cercai di correre più velocemente possibile per non rimanere indietro ma quei piccoletti, benché avessero avevano le gambette corte, correvano veramente rapidi e ben presto li persi di vista, spariti tra gli alberi.
"Merda!" esclamai, in preda all’esasperazione, guardandomi intorno in cerca di tracce del loro passaggio, ma senza risultato. "Merry! Pipino! Aspettatemi! Oh, accidenti!" gridai, frustrata, voltandomi freneticamente in tutte le direzioni, fino a che non trovai, finalmente, un rametto spezzato: l’unico flebile indizio sulla strada da prendere.
Avevo percorso solo un breve tratto al loro inseguimento quando, all’improvviso, percepii il terreno della foresta tremare sotto i miei piedi. Gli Uruk-Hai erano arrivati, ed ora sarebbe cominciata la battaglia.
Sempre cercando di raggiungere i due Hobbit, mi buttai nella mischia sfoderando Hoskiart, che sfavillò di luce fredda come la morte. Sfruttando tutti gli insegnamenti di Arwen e di Boromir riuscii ad avere la meglio sui miei nemici, che erano sì forti ma poco coordinati nei movimenti. Se tanti morivano, però, altrettanti arrivavano a sostituire i caduti: parevano non finire mai. La spada divenne pesantissima ed i colpi degli Orchi cominciarono ad arrivare a segno. Uno di loro mi graffiò una guancia con la punta ricurva del suo spadone, ed un altro mi colpì al braccio sinistro prima che riuscissi a decapitarlo.
Ero sola contro un mare di nemici. Non avevo la più pallida idea di dove fossero gli altri e, presto, cominciai a credere che sarei stata sopraffatta e che, quindi, non sarei riuscita a portare a termine la mia missione. Ma, proprio mentre stavo per arrendermi, un boato potente squarciò l’aria intorno a me: Boromir stava suonando il corno di Gondor!
Gli Uruk-Hai arretrarono, spaventati dal suono di guerra, ed io ne approfittai per sfuggire alla loro morsa e correre in direzione del richiamo. A qualche centinaio di metri di distanza vidi, con la coda dell’occhio, Aragorn, Legolas e Gimli fare altrettanto.
Il corno suonò una seconda volta. Cercai di accelerare il passo, per quanto mi era consentito, correndo a rotta di collo per la fitta boscaglia ma, quando arrivai da Boromir, ormai tutto era compiuto. Un manipolo di Orchi aveva afferrato Merry e Pipino, trascinandoli via e Lurtz, il comandante degli Uruk-Hai, stava per scagliare contro il Gondoriano la sua quarta freccia, dopo averlo già trafitto con altre tre.
Gridando a squarciagola il nome dell’Uomo che amavo mi lanciai verso di lui ma, proprio mentre stavo per raggiungere il nemico, Aragorn mi sorpassò sulla destra e saltò addosso all’enorme Orco, ingaggiando con lui una lotta all’ultimo sangue. Questo mi consentì di agire indisturbata.
Boromir si era accasciato con la schiena contro le radici di un albero, respirando a fatica. Di sicuro, una delle frecce doveva avergli perforato un polmone, poiché un rivolo di sangue gli colava dall’angolo della bocca.
"Boromir" lo chiamai mormorando, non appena lo raggiunsi, inginocchiandomi accanto a lui.
"Hanno rapito i piccoletti…" ansimò con fatica, inspirando rumorosamente.
"Lo so" gli risposi, carezzandogli una guancia, nel tentativo di calmarlo.
"Ho tentato di prendere l’Anello a Frodo…" riprese, la voce debole e stanca.
"So anche questo" risposi nuovamente, scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte sudata, senza riuscire a staccare i miei occhi dai suoi pieni di sofferenza.
"Ho fallito… Ho perduto il mio onore…" sussurrò ancora, aggrappandosi disperatamente alle mie braccia con le ultime forze rimastegli.
"No, Boromir!” lo interruppi con veemenza. “Hai combattuto valorosamente per salvare Merry e Pipino e, dopo che ti avrò curato, andrai con gli altri per strapparli dalle grinfie del nemico!"
Afferrai con decisione una freccia ma lui fece l’atto di bloccarmi.
"È troppo tardi, oramai…" sussurrò faticosamente, accettando il suo ineluttabile destino.
"No, Boromir, non è troppo tardi” replicai, seria. “Fidati di me!" e, senza alcun altro preavviso, strappai il primo ferro dal suo petto.
L’uomo gridò di dolore, contorcendosi disperatamente. Afferrai la seconda freccia, incurante delle sue mani che tentavano di scacciare le mie, e strappai anche quella, facendolo gridare di nuovo: un urlo che si perse nel clamore della lotta che si svolgeva alle nostre spalle.
"Perché mi tormenti inutilmente…" ansimò, mentre afferravo l’ultimo dardo.
"Tra un minuto starai di nuovo bene" gli risposi, estraendo anche l’ultimo ferro, facendolo lamentare debolmente.
Con mani frementi, slacciai i suoi abiti fino ad esporre il suo petto ferito. Per la prima volta, vidi il corpo dell’Uomo che amavo: un torso dalla muscolatura possente, segnato dalle cicatrici di molte battaglie, che adesso si alzava ed abbassava freneticamente, al ritmo del suo respiro alterato.
Estrassi la fiala di Galadriel dalla tasca, la stappai e feci cadere una goccia di pozione nella prima ferita, trattenendo il fiato. Non appena il liquido ambrato colpì la sua carne straziata, questa cominciò immediatamente a guarire – dalla profondità verso la superficie – mentre il fluido magico evaporava in un sottile filo di fumo. Mentre la sua pelle si risanava, la mia si aprì esattamente nello stesso punto, lasciandomi senza fiato per il dolore.
Dopo un istante di smarrimento – in cui pensai, convulsamente, a come avesse potuto continuare a combattere con ben due frecce in corpo – strinsi i denti e versai un’altra goccia nella seconda ferita. Proprio come la precedente, anche questa cominciò a guarire all’istante, trasferendosi sul mio corpo e lasciandomi ancora più spossata mentre il mio polmone sinistro si lacerava, rendendomi difficoltoso il respiro.
Boromir cominciava a capire che la pozione che stavo usando su di lui era veramente miracolosa, e si osservava il petto con meraviglia, mentre le ferite si sanavano come per magia.
Con mani tremanti, riuscii a versare la terza ed ultima di goccia di liquido nell’ultima ferita rimastagli, che all’istante si risanò sul suo corpo, riaprendosi sul mio. La fiala ormai vuota mi sfuggì dalle mani, rotolando via sul terreno in pendenza.
"Ecco, la mia missione è compiuta…" mormorai accasciandomi al suolo a faccia in giù, accanto al Gondoriano. Solo in quel momento, l’Uomo si rese conto che c’era qualcosa che non andava: mi strinse le spalle con forza e mi fece voltare supina.
Nel frattempo, Aragorn aveva finalmente sconfitto Lurtz, mozzandogli un braccio e decapitandolo. Voltandosi verso di noi, notò che sulla mia casacca erano sbocciati tre fiori di sangue. Allertato da ciò che vide ci raggiunse di corsa, seguito da Legolas e Gimli. Il Ramingo fissò prima il petto di Boromir – sul quale, a testimonianza delle ferite appena ricevute, rimanevano solo tre cicatrici circolari grandi come una monetina – poi osservò il mio, notando che le mie lesioni si trovavano esattamente nello stesso punto di quelle del Gondoriano. Anche l’Elfo se ne accorse, scorgendo poi subito dopo la fiala di cristallo, che giaceva a terra poco lontano. La prese e se la portò al naso, annusando profondamente.
"Nén Cuivie!" esclamò, con un tono di voce tale da far voltare tutti dalla sua parte. Aragorn – che era sul punto di slacciarmi la casacca per esaminare le ferite – si fermò e scosse la testa, sconsolato.
Nel frattempo, Boromir mi aveva sollevato dolcemente tra le braccia e quando vide il Numenoreano scrollare il capo lo guardò, incredulo.
"Perché scuoti la testa?" gli chiese, rudemente.
"Perché non posso fare nulla. Ha scelto il suo destino" gli rispose il Ramingo, fissandolo seriamente.
"Che cosa vuol dire? Cos’è tutto questo mistero?" domandò di nuovo il Gondoriano, lo sguardo che saettava dall’Uomo all’Elfo ed al Nano, in cerca di spiegazioni.
"Ha usato una pozione elfica che si chiama "Acqua di Vita"…" cominciò Aragorn, ma Boromir lo interruppe con veemenza.
"E allora?!"
"Spiegaglielo tu, Legolas."
"L’Acqua di Vita è un distillato molto potente, che ha la capacità di trasferire le ferite da un corpo all’altro” attaccò il Principe di Bosco Atro, con voce lenta e sommessa. “Come vedi, usandola Marian ha fatto passare le ferite dal tuo corpo al suo…"
Si interruppe con un singhiozzo, un grosso groppo che gli si formava in gola.
"Questo l’avevo capito anche da solo!” ruggì il Capitano Generale, con rabbia. “E con questo? Si possono comunque curare, non è così?" chiese ancora, furioso, fissando il Ramingo.
"No, purtroppo!” gli rispose Aragorn. “Usando l’Acqua di Vita per salvare un individuo destinato a morte certa, è la morte che si trasferisce, insieme alle ferite. Non si possono resuscitare i morti" concluse, voltando le spalle.
"No, non può essere vero… Non può essere vero!" gridò il Gondoriano, come se la colpa di tutto quanto era successo fosse stata dei suoi compagni di viaggio.
A quel punto toccava a me spiegare. Anche se, ormai, le forze mi stavano abbandonando del tutto, non potevo permettere che Boromir desse la colpa di quanto avvenuto ad Aragorn, Legolas e Gimli. Mi sforzai di parlare, e la voce mi uscì in un soffio.
"Boromir… Boromir…” mormorai, “non prendertela con loro… È stata una mia scelta…"
L’Uomo, che mi teneva ancora stretta tra le sue braccia, abbassò lo sguardo su di me, costringendomi a lottare per non perdermi nei suoi occhi grigio-verdi.
"Era l’unico modo… per salvarti… Per farti tornare a casa…" continuai faticosamente.
"Ma… perché? Perché ti sei sacrificata al posto mio?" mi chiese, con lo sguardo colmo di incredulità.
"Perché ti amo… Boromir."

 
* * *

 

Quelle tre semplici parole lo colpirono come un pugno nello stomaco. Ora che non era più in balia del potere dell’Anello, riuscì finalmente a capire che anche lui l’aveva sempre amata, che si era innamorato di lei fin dal primo momento in cui l’aveva vista, a Rivendell. Il sentimento era cresciuto nel suo cuore giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, anche se lui non aveva mai voluto ammetterlo a se stesso. Non aveva mai voluto riconoscere che, per la prima volta dalla morte di sua madre, si era di nuovo innamorato di una donna. Non un semplice desiderio di possesso ma amore, puro e semplice. Ed a Lothlòrien, quando lei si era abbandonata tra le sue braccia cercando di baciarlo lui, invece di dare retta al suo cuore, l’aveva scacciata brutalmente, umiliandola!
Ed ora, lei cedeva la sua preziosissima vita per salvare la sua, a lui che aveva fallito tutto! Che non si era ribellato alla volontà di suo padre quando gli aveva ordinato di portargli il “Flagello di Isildur”; che si era lasciato irretire dall’Anello; che aveva perduto il suo onore, aggredendo Frodo in un impeto di follia; che non era stato nemmeno in grado di proteggere Merry e Pipino.
E, peggio ancora, proprio adesso che avrebbe potuto di nuovo imparare ad amare…
"Non puoi lasciarmi proprio adesso… Non adesso che so cosa significa amare davvero!” implorò, stringendole convulsamente le mani. “Anch’io ti amo, Marian, anche se non ho mai avuto il coraggio di ammetterlo! Anche se ti ho rifiutato! E poi" aggiunse, come folgorato da un’idea, "devi ancora compiere la tua missione!"

 
* * *

 

Non riuscii a trattenere un sorriso triste, mentre una lacrima mi scivolava lungo la guancia.
"Non hai ancora capito, Boromir?” riuscii a mormorare debolmente, la bocca contorta in uno spasmo di dolore. “La mia missione… si è appena conclusa. Era questo il mio compito… Salvarti…"
Alzai debolmente la mano destra, sfiorandogli la guancia con una piccola carezza. Poi, molto lentamente, mi sfilai la catena dal collo e gli porsi la “Stella di Fëanor”.
"Questa la dono a te, Boromir” sussurrai, porgendogliela, “perché possa guidarti e proteggerti… in questi tristi giorni che verranno…"
Lui scosse la testa, mentre anche i suoi occhi andavano empiendosi di lacrime.
"No!” gridò ancora. “Me l’ha detto il mio sogno! Tu devi brillare per me! Per me, e per tutta la Terra di Mezzo!" disse con forza come se, ordinandolo, fosse in grado di strapparmi alla morte.
"Non io, Boromir… La “Stella”… La “Stella”…" sussurrai, ormai completamente priva di forze.
Non appena la sua mano strinse il gioiello la mia ricadde, inanimata. Ogni respiro era un tormento. L’aria mi bruciava nei polmoni; non sentivo più né le gambe né le braccia; la vista si andava oscurando. Cominciai a tremare come una foglia, il corpo scosso da brividi sempre più violenti.
"Ho… tanto… freddo… Boromir…" riuscii a malapena ad articolare, tra le convulsioni.
Lui mi strinse ancor di più a sé, facendomi appoggiare il viso contro il suo petto nudo, nel vano tentativo di placare i miei tremiti. L’ultimo odore che percepii fu quello acre della sua pelle sudata poi, oltre alla vista, anche l’olfatto svanì.
"Addio… Capitano… di Gondor" esalai con il mio ultimo respiro. Poi, l’oblio mi colse, strappandomi a me stessa ed ai miei compagni.

 
* * *

 

Boromir rimase fermo per un istante o due, il tempo necessario per rendersi conto che Marian aveva smesso di respirare. A quel punto, lanciò un grido talmente forte che la sua eco rimbalzò sulle pareti a picco dell’isola di Tol Brandir e persino oltre, sull’altra sponda del Grande Fiume. Giunse fino alle orecchie di Frodo e Sam, che si stavano arrampicando tra gli alberi verso i colli degli Emyn Muil e che si immobilizzarono, acquattandosi e drizzando le orecchie, cercando di capire quale creatura avesse mai potuto emettere quel verso.
Continuò a cullare il corpo inanimato della fanciulla per parecchi minuti, prima che Aragorn trovasse la forza di asciugarsi gli occhi e di riprendere in mano le redini della situazione.
"Non possiamo indugiare oltre. Frodo e Sam hanno scelto la loro strada: sono diretti a Mordor, ed ormai non possiamo fare più niente per aiutarli” decretò. “Ma Merry e Pipino sono ancora in mano al nemico. Non possiamo abbandonarli!" aggiunse, stringendo con forza i pugni.
"Non possiamo nemmeno lasciare il corpo di Tingilindë qui, a marcire come una carogna in mezzo ai cadaveri di questi immondi Orchetti!" replicò Legolas, guardandosi intorno inorridito.
"No, è vero” concordò Gimli, gli occhi ancora umidi di lacrime. “Ma non abbiamo nemmeno gli utensili adatti a scavare nella terra per darle un’adeguata sepoltura! E non possiamo nemmeno costruire un tumulo di sassi” aggiunse, passandosi le dita nella barba, con fare pensieroso. “Si trovano solo sulla riva e ci metteremmo troppo tempo a trasportarli quassù!"
"La adageremo su una delle barche elfiche, con la sua spada, e la affideremo all’Anduin. Il Grande Fiume non permetterà che il suo corpo venga violato" concluse il Ramingo, avvicinandosi a Boromir per cercare di convincerlo a lasciare andare il corpo della giovane.
Il Gondoriano tentennò solo per un minuto. Poi, tenendo il corpo di Marian tra le braccia, la trasportò fin sulla riva del lago e la depose in una delle due canoe rimaste. Composero il suo corpo, avvolgendola nel mantello di Lòrien, il cappuccio del quale le incorniciava il viso. Le incrociarono le braccia sul petto e le misero la spada a fianco. Boromir le mise al collo la sua collana, formata da un’unica pietra bianca incastonata in oro. Si rialzò lentamente, contemplando per un lungo istante il suo viso: era così bella che pareva che dormisse. Si portò il pugno prima alla fronte e poi alle labbra e, compiuto quel gesto, si allontanò, volgendo le spalle al lago. Infine, mentre Legolas intonava una breve nenia in elfico e Gimli borbottava nella sua lingua nanesca, Aragorn spinse lentamente la piccola imbarcazione, facendola scivolare sull’acqua. Subito la corrente la catturò, sospingendola verso sud. I tre rimasero ad osservarla finché non la videro sparire, avvolta dalla nebbia generata dalle Cascate di Rauros.
Durante quei pochi minuti Boromir era rimasto in disparte, riabbottonandosi la casacca ed allacciandosi al collo la catena d’oro cui era fissata la “Stella di Fëanor”. Quando il Ramingo lo avvicinò, il Gondoriano aveva lo sguardo fisso a terra, la fronte corrucciata e la mano sull’elsa della spada. Sembrava immerso in profondi pensieri.
"Purtroppo, adesso devi prendere una decisione, Boromir” esordì il Numenoreano. “So che desideri molto tornare a Minas Tirith, dove di certo hanno bisogno di te. Ma, se sceglierai di andare là, noi non potremo accompagnarti. Non possiamo abbandonare Merry e Pipino al tormento ed alla morte” continuò, con tono serio. “Se, invece, deciderai di venire con noi, sarai il più ben accetto dei compagni, sul quale contare per portare a compimento la nostra missione!" concluse, con convinzione.
Dopo un attimo di silenzio, il Gondoriano trasse un lungo sospiro ed alzò gli occhi, fissandoli in quelli dell’erede di Isildur.
"Prima di estrarre le frecce” gli rivelò, “Marian mi ha detto che, una volta curato, avrei dovuto salvare gli Hobbit. Vengo con voi!"
A quelle parole, Aragorn posò entrambe le mani sulle spalle dell’altro Uomo e gliele strinse. Boromir mise le sue sugli avambracci del Numenoreano, stringendolo a sua volta.
"Io ti seguirò ovunque, fratello mio. Mio capitano. Mio Re!" pronunciò con orgoglio il Gondoriano. Con un abbraccio, i due Uomini suggellarono quella promessa di fedeltà.
"Bene! Allora lasciate tutto quello che non vi serve! Viaggeremo leggeri: andiamo a caccia di orchi!" concluse Aragorn, ed i quattro partirono di gran carriera sulle tracce degli Uruk-Hai.
Nessuno di loro si accorse che, sfidando tutte le leggi della fisica, la piccola imbarcazione elfica non era caduta nelle cascate – come avrebbe dovuto – ma aveva aggirato la sponda meridionale di Tol Brandir per tornare poi indietro dall’altra parte, dal lato orientale, diretta a Lothlòrien – la sua casa – con il suo prezioso carico.
Era il ventisei di Febbraio, e così si sciolse la Compagnia dell’Anello.

Spazio autrice: Ed eccoci arrivati al dunque... Spero di avervi messo un po' di curiosità e che continuerete a leggere la storia. Come avrete capito dalle ultime righe, infatti, non è finita qui. Assolutamente no! Anzi, il bello deve ancora venire!
In questo capitolo ho fatto più un mix tra libro e film. Nella prima parte, con Aragorn che concede un’ora di tempo a Frodo per prendere la sua decisione, ho seguito la carta stampata, poi sono passata alla pellicola ispirandomi ad essa per la battaglia, inserendo Lurtz e la scena del ferimento di Boromir così com’è apparso sullo schermo. Nel finale sono tornata verso il libro, con i dialoghi relativi alla sepoltura che nella versione originale sono riferiti a Boromir, per poi concludere di nuovo con il film.
Volevo inoltre fare una precisazione: durante una sua riflessione, Boromir dice di non essere riuscito a ribellarsi al volere del padre che voleva che gli fosse portato l’Anello. Questo concetto è ripreso dalla versione estesa del film. Ne “Le due torri”, infatti, compare uno spezzone – un flashback di Faramir – in cui si scopre, appunto, che Denethor ha inviato Boromir a Gran Burrone proprio con l’intento di ottenere il Flagello di Isildur.
Bene, e dopo queste spiegazioni, vi lascio!
Grazie, grazie ed ancora grazie a chi legge ed alle mie care recensiste: didi_95, Fjorleif, Tielyannawen, e zebraapois91. Bacioni!
  
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