Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: Conodioeamore    28/08/2015    1 recensioni
Non è facile vivere in una famiglia che ti guarda ogni giorno come se fossi un pericolo. Un fratellastro talmente odioso che ti bullizza sempre. Una madre che ogni volta che posa lo sguardo su di te è per ricordarti che sei frutto di una notte passata con un angelo nero. Eppure, questa è la mia famiglia. Sono angeli dalle bianche e candide ali, hanno successo in qualsiasi cosa facciano, mentre io no. Per questo motivo, verrò sempre guardata con disprezzo da loro, perché non sarò mai quello che sono loro: un angelo bianco.
Il mio nome è Senja, che in greco antico sta a significare un'estraneo. Ed è proprio quello che sono io: un'estranea in una famiglia di angeli. In un certo senso è ironico, non siete forse d'accordo con me?
© (Copyright 2015 by Martina Carlucci)
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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"Tentato dall'irrazionale ardore Cerca di farti cadere nello straziante candore Mille lame sono solo l'inizio della caduta L'inferno aspetta con ansia la tua venuta Solo quando il tuo corpo sarà finalmente straziato Capirai che è stata un'illusione ad averti dannato" (L'AMORE – DI XVXDARKANGELXVX) Mickael. Perché non poteva semplicemente comportarsi come un fratello normale? Perché lui non è normale. Era semplice come risposta. «Che cosa vuoi?» In quel momento avrei voluto fare moltissime cose. Picchiare Beatrix, ad esempio. Dare uno schiaffo a Micka, per esempio. Fuggire via, andare in un altro stato. Avrei voluto distruggere qualsiasi cosa si trovasse sul mio cammino. Ma non potevo farlo. Avrei solamente peggiorato la situazione. Avrei solamente confermato quello che tutti, la mamma, mio fratello, i membri della Special Blanc pensavano di me. Ossia che ero un mostro. «Devo parlarti. In privato» gli dissi, fissandolo negli occhi. Gli feci cenno di uscire dalla classe. Lui, molto svogliatamente, si alzò dalla sua postazione e mi seguì, anche se accompagnò il tutto con un grande sospiro. Non amava molto quando irrompevo improvvisamente nelle sue attività e gli chiedevo qualcosa, quindi cercavo di non avvicinarmi a lui il più possibile. Ma quella era una situazione di emergenza. Usciti dalla classe, mi voltai verso di lui. Micka richiuse la porta alle sue spalle, osservandomi con un'espressione contrariata. «Devo parlarti.» «Questo l'ho capito.» La sua frase fu accompagnata da un lungo silenzio da parte mia. Non sapevo che cosa dire, da dove incominciare. Soprattutto, avevo paura che mi prendesse per una pazza psicopatica. La sua espressione si fece sempre più corrucciata. «Allora? Hai intenzione di rimanere in silenzio ancora per molto? Perché io avrei una vita, al posto tuo.» Non sapevo cosa dire. Perché? Avevo così tante domande da porgli. Mentalmente, mi ero preparata un discorso da fargli, ma in quel momento... le parole non uscivano dalla mia bocca. Mickael sbuffò. «Ho capito, vuoi solo farmi perdere tempo.» Si girò per rientrare in classe. No, non potevo lasciarlo andare. Non ora. Avevo bisogno di lui, in quel momento. Nell'istante in cui la sua mano si poggiò sulla maniglia, mi voltai per afferrargli l'angolo della maglietta. Lui si fermò dall'aprire la porta. «Non andartene un'altra volta.» Le parole risultarono più insicure di quanto avevo immaginato. Mickael mi prese la mano e mi trascinò fuori scuola. «Vieni, parliamo in un posto privato.» Avviandoci verso l'uscita ci imbattemmo nel preside. Io non mi azzardai nemmeno a sollevare lo sguardo. Quell'uomo mi incuteva timore. «Beh, perché non siete a lezione voi due?» Forza, Micka. Vediamo come te la cavi con il preside. «Mia sorella non si sente bene. La stavo per riportare a casa.» Era molto sicuro di sé. Di rado riuscivo a capire quando mi raccontava menzogne. Con gli anni, diventava sempre più difficile. In quel momento, anch'io credevo alla sua bugia. «I vostri genitori?» domandò il preside. «Partiti. Hanno avuto una chiamata urgente da...» In quel momento, passò uno studente umano e mio fratello fu costretto a finire la frase. Anche il preside si girò, e per tutta risposta intimò allo studente di tornare nella sua classe. Il poveretto a passi svelti ritornò da dove era venuto. «Potete andare, li avvertirò personalmente.» Micka fece un accenno di capo e, stringendomi ancora di più la mano, mi scortò verso l'uscita. «Tu cerca di rimetterti, Senja» esordì il preside, facendomi l'occhiolino. Era più finto di tutti gli angeli bianchi che mi circondavano. Alzai leggermente il capo ed annuii. «C-certo.» Micka circondò le mie spalle con il suo braccio. In quel momento mi sentivo protetta. Non mi succedeva da tanto. Ma perché lo aveva fatto? «Vieni, andiamocene ora.» Uscita in cortile, respirai finalmente l'aria invernale. «Dove mi stai portando?» gli domandai perplessa. «Lontano da occhi e orecchie indiscrete.» Continuando a tenermi per il braccio, mi condusse verso la sua macchina, una Cadillac avorio con il tettino nero. Non l'aveva mai usata per venire a scuola. Quella mattina, però, era andato da un'altra parte prima di venire a scuola. Volevo scoprire a tutti i costi dove fosse andato. Salita in macchina, lasciai cadere la cartella fra il sedile e il cruscotto. Mickael si affrettò a salirci e a mettere in moto. Mi sforzai di non guardarlo mentre guidava, anche se era praticamente impossibile. Così, aspettando di arrivare nel luogo "segreto", affondai la schiena contro il sedile e guardai la mia immagine riflessa nel finestrino. In quel momento, sentii qualcosa in me che si riaccese. Una sensazione che credevo di aver perso anni prima. La speranza di riavere un fratello che si prendeva cura di me. Mio fratello Mickael e non l'arcangelo Michele. I suoi capelli biondi riflettevano la luce solare, come se ogni singolo capello fosse, in realtà, uno specchio. Anche a distanza di anni non era cambiato il suo colore. Era rimasto lo stesso. Ma in quel momento, rivedere il Mickael ragazzino, insieme alla sua sorellina che amava tanto, mi faceva venire un tuffo al cuore. In quella cameretta, ci pettinavamo i capelli a vicenda. Quelli della bambina erano rossi come il sangue, mentre quelli del bambino erano l'esatto contrario, biondi come il sole che splende a mezzogiorno. Il bene e il male in un'unica stanza. Che paradosso! «I tuoi capelli sono cresciuti ancora di più» disse il bambino alla sorellina. Lei era un trionfo di felicità dalle sfumature più chiare e colorate. Come potevano anche solo pensare che fosse devota alle tenebre? Chi era stato a mettere la pulce nell'orecchio a quel bambino? Chi aveva osato separarli? Il giovane angioletto posò la spazzola sul letto. In quel momento, la bambina si voltò. Aveva ancora sul volto un sorriso smagliante, ma che pian piano si spense. «Che hai?» gli domandò, preoccupata. Senza dire una parola, il bambino scese dal letto ed andò dritto a guardarsi allo specchio. Anche la bambina lo seguì. Entrambi guardarono i loro riflessi nello specchio. «Perché siamo così diversi, Micka?» domandò ingenuamente la bambina. «Perché io sono un angelo bianco.» «Ed io cosa sono?» «La mamma ed il papà hanno detto che tu non sei come noi. Tu sei...» Il bambino fece una pausa. Non sapeva come dirglielo. «Un angelo nero.» È in quel momento, che capì la differenza tra il bene e il male. In quella giornata riscaldata dai raggi solari di fine agosto, in una tranquilla cittadina americana, una bambina capì cosa significava essere diversi. La principessa e il suo cavaliere non sarebbero più stati uniti come prima. «Sen, siamo arrivati.» Il suono di quella voce. Avrei voluto ascoltarlo sempre. Riaprii piano gli occhi. Mi ero addormentata, bene. «D-dove siamo?» biascicai. La voce mi era diventata roca. «Ai confini della città.» Lo avevo notato. Da lì in poi c'era il bosco. Guardai mio fratello negli occhi. Ad essere onesta, non ero del tutto convinta della mia scelta. Lui mi tese una mano, che non pensai due volte a prendere.
   
 
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