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Autore: Soraya Ghilen    29/08/2015    2 recensioni
Dalla morte di Nico sono trascorsi un anno e quattro mesi, durate i quali è successo di tutto: tra matrimoni, parti e misteri che tornano a galla. Cristina è diventata ma moglie di Riario ma non passa giorno in cui non pensi a Nico. Ma, intanto, il libro delle Lamine e le chiavi della volta celeste ricordano al Conte e a Leonardo che si deve andare avanti e trovare la soluzione dell'arcano.
Questa ff è basata sulla seconda stagione ed è il continuo di "Un anno a Forlì"
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio, Zoroastro
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storia di un amore quasi impossibile'
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Capitolo 12: Nel momento meno opportuno

P.O.V. Cristina
“Che cosa hai fatto?!”
“Hai capito benissimo, Girolamo, l’ho fatto!”
“Ma come…?”
“Beh, è stato piuttosto semplice, a essere onesti”
“Questo non me lo sarei mai aspettato…tradito in questo modo dalla mia stessa moglie”
“E quante storie per uno stupido quaderno!” sapevo perfettamente che si sarebbe arrabbiato, una volta scoperta la faccenda del diario caduto in mare, ma non credevo se la sarebbe presa in quel modo.
“Quello stupido quaderno documentava sei mesi di spedizione e tu l’hai gettato in mare?!”
“Si!”
“Perché?”
“Perché non sopportavo la sua vista” ammisi, sedendomi sul letto, buttando le scarpe incrostate di fango in un angolo “Non sopportavo che quel coso inutile fosse qui, al sicuro, e tu no” lui fece un respiro profondo, che gli procurò una smorfia di dolore, e poi si mise in ginocchio davanti a me.
“Sono qui e sto bene”
“Adesso lo so che stai più o meno bene ma ieri non lo sapevo” notai che il polso destro era tumefatto. Con ogni probabilità dovevano averglielo rotto “Mi dispiace”
“Ah, non fa nulla. In fondo era solo uno stupido quaderno e dubito che uno solo tra noi voglia ricordare, in futuro, la spirale di sciagure che ci ha colpiti di recente” mi accarezzò una guancia con la mano sana e io ne baciai il palmo. Mi era mancato così tanto.
“Dobbiamo medicarti” sussurrai, vicinissima alle sue labbra “E hai bisogno di un bagno e di raderti” lui annuì, baciandomi, poi, la pelle dietro l’orecchio.
“Sono tutte cose che possono aspettare” rabbrividii a causa del suo fiato contro la mia pelle. Forse aveva ragione, tutte quelle cose potevano aspettare e ne ero quasi convinta, se non fosse stato per le sue continua smorfie di dolore e per uno strano senso di nausea che aveva iniziato ad assalirmi.
“Girolamo, aspetta” gli misi una mano sul petto, fasciato da quello che restava della camicia nera. Lui mi guardò, interrogativo. Una smorfia di disgusto si era impadronito del mio volto mentre lo stomaco aveva preso a vorticare vertiginosamente. Feci uno scatto improvviso dal letto e corsi verso il secchio che usavamo come vaso da notte, per riversarvi l’intero contenuto del mio stomaco, ovvero un tozzo di pane, e succhi gastrici. Mio marito, dietro di me, cercava di tenermi i capelli sciolti tirati all’indietro e mi stringeva il busto con un braccio, cercando di far calmare i tremori che avevano iniziato a scuotermi.
“Mia adorata, se non desideravi giacere con me sarebbe stato sufficiente dirlo” cerco di stemperare la pressione e un po’ ci riuscì, devo dargliene atto.
“Mi sento una pezza” mi lamentai flebilmente, anche a causa del saporaccio che avevo in bocca. Lui mi aiutò a rialzarmi, mi fece sfilare il vestito, ormai inutilizzabile a causa di tutto lo sporco che lo incrostava, e mi fece stendere sul nostro letto dove, dopo essersi tolto la casacca e aver indossato dei pantaloni puliti, si sedette, con delle bende e delle stecche in grembo.
“Cosa fai?” chiesi, osservandolo.
“Aspetta solo un attimo, mia adorata” disse. Poi prese la camicia da terra e la strinse tra i denti. In un attimo mi fu chiaro ciò che intendeva fare.
“Girolamo non…” non feci in tempo a finire la frase che prese il polso con la mano sana e lo torse all’indietro, per rimettere le ossa al proprio posto nel caso si fossero spostate. Ripeté il movimento per un paio di volte. Nonostante la stoffa fra i denti non emise neanche un suono. Mi chiesi come facesse a sopportare il dolore a quel modo.
Mi fece cenno di avvicinarmi per tenere le stecche ferme vicino al braccio. Quando finì di fasciarselo andò verso il suo scrittoio, dove c’era posata una brocca contenete del vino. Iniziò a buttarlo giù a lunghe sorsate. Quando fu giunto di nuovo al nostro giaciglio, la offrì anche a me che, però, rifiutai a causa dello stato in cui, ancora, riversava il mio povero stomaco.
“Mi chiedo cosa mi abbia fatto male” dissi, accarezzandomi distrattamente il ventre con tocchi circolari.
“Non pensarci troppo” disse lui, posando la brocca, quasi interamente vuota, sul pavimento. Spense la candela e allargò il braccio, così che potessi poggiare la testa tra il suo collo e la sua spalla. Mi baciò una tempia e, poi, il sonno ci avvolse entrambi.

Mi svegliai sudata, con l’abbraccio di mio marito che mi infastidiva oltre ogni dire  e con lo stomaco che mi tormentava come e peggio di quando ero andata a dormire.
Scostai il braccio di Girolamo e corsi nuovamente verso il secchio, che doveva essere stato svuotato da Giulia mentre io e lui dormivamo, e vomitai nuovamente.
“Vuoi che vada a chiamare Giulia o il cerusico?” tutto quel trambusto aveva, ovviamente, svegliato mio marito, che aveva il sonno più leggero di una piuma.
“Preferirei il secondo, grazie” annuì e uscì dalla stanza. Sapevo che era preoccupato, l’avevo percepito dalla tensione dei muscoli della mascella quando l’avevo guardato. Speravo solo che fosse tanto rumore per nulla.

Il cerusico era un ometto di una certa età, con occhi chiari come il cielo e capelli bianchi che gli arrivavano alle spalle.
Ci teneva molto alla sua professione e la esercitava con grande serietà. Era scrupoloso e attento, cosa che Girolamo apprezzava davvero molto.
“Bene, Contessa, abbiamo finto, potete ricomporvi” aveva brutalmente sbattuto fuori mio marito, sostenendo che le visite sono affari privati tra medico e paziente, sbattendogli la porta sul naso. Quando la riaprì il volto di Girolamo era qualcosa di impagabile. Quasi mi fece venire da ridere: braccia incrociate al petto, labbra raggrumate e sguardo omicida “Prego, Conte”
“Grazie per il permesso accordatomi per entrare nella mia cabina, ve ne sono molto grato”
“Oh, figuratevi” facevo sempre più fatica a non scoppiare in una fragorosa risata.
“Ebbene?” chiese, poi, Girolamo, dopo essersi chiuso la porta alle spalle. Io lo guardavo dalla sedia del suo scrittoio, dove aveva avuto luogo l’ultima parte della visita.
“La Contessa non è affetta da alcun tipo di male, di questo sono certo. Come sono certo, però, che le nausee non si arresteranno per qualche tempo”
“Come è possibile? Deve pur avere qualcosa, altrimenti non riesco a spiegarmi il suo malessere in nessun modo”
“In realtà la cosa è molto semplice, Conte: vostra moglie aspetta un figlio” lo vidi sbiancare e irrigidirsi.
“Ne siete certo”
“Ovviamente!” disse l’ometto, offeso dalla domanda di mio marito.
“Molto bene, grazie per i vostri servigi” l’uomo fece un piccolo inchino a me e a lui per poi congedarsi.
L’atmosfera ,nella stanza, era glaciale. Girolamo continuava a non parlarmi e a tenere lo sguardo fisso davanti a se. Avevo paura. Paura che non volesse che quel bambino. Che mi dicesse che non potevamo permetterci che nascesse in mare. Che dovevo trovare il modo, insieme col cerusico, di liberarmene.
“Dovrai esercitare molta cautela, mia adorata” disse, tutto d’un tratto “Non sarà facile portare avanti una gravidanza in alto mare e, tanto meno, partorire”
“Lo so bene” risposi, fissando la sua schiena. Non voleva che lo vedessi in volto. Mi chiesi perché “Girolamo, cosa ti turba?”
“Non voglio perderti” quella frase mi colpì come nessuna prima di allora. Mi alzai di slancio e lo abbracciai da dietro, posando il mio viso al centro della schiena.
“Non potrà accadere nulla di male” sussurrai “Sono sopravvissuta a un parto gemellare” dissi .
“Ma eravamo a Forlì, a casa, sulla terra ferma e con tutte le comodità”
“Ho partorito nelle cucine, Girolamo”
“Non vuol dire nulla” espirò bruscamente “Non erano condizioni estreme come quelle in cui riversiamo adesso”
“Prima eri tu a dirlo a me adesso sono io” accarezzai il suo torace “Andrà tutto bene, credimi. Me lo sento”
“Ad ogni modo non possiamo aspettare un’altra settimana, dobbiamo fare ritorno a casa il più presto possibile”
“Ma il mio maestro…”
“Resterà Vespucci qui, ad attendere”
“Girolamo, non possiamo lasciarlo qui”
“Il bambino è più importante di qualsiasi altra cosa”
“Il bambino sta bene” avevano iniziato a litigare e questo era ovvio tanto ai miei quanto ai suoi occhi.
“Hai bisogno di nutrirti in modo adeguato e non andando a pane e acqua come fai ora”
“Non sarà una settimana in più a far pendere l’ago della bilancia”
“Sette giorni non sono sette ore di ritardo” rispose lui, alterandosi “E, comunque, ho deciso: stanotte stessa alzeremo l’ancora e faremo rotta verso l’Italia e non voglio più sentire una sola parola sull’argomento” mi feci indietro, andando verso la porta, prima di uscire mi girai di tre quarti, guardandolo.
“Ecco le ultime tre: sei un mostro” e poi lo lasciai solo.

Angolo di Sol: Cristina aspetta un bimbo! Però Girolamo non ne sembra affatto felice…sarà colpa del suo carattere da  eterno pessimista o un presentimento a causa delle parole di Nico?
Beh, come sempre aspetto i vostri commenti
A presto
Sol!

Anticipazione prossimo capitolo:
“Se avessimo fatto come io avevo suggerito una settimana da a quest’ora saremmo già in viaggio verso l’Italia ma no, la signora doveva fare quello che il suo cervellino risoluto le suggeriva!” Girolamo non l’aveva presa bene, per nulla.
“Cos’è che mi dicesti quando ti chiesi di ammettere che questa disgrazia era colpa tua?” chiesi, retorica “Ah, giusto: siamo persi in mezzo al nulla e l’unica cosa che vuoi è sentirmi dire che è colpa mia se questa sciagura si è abbattuta su di noi?”
“E, se non erro, la tua risposta fu: perché è così!”
“Smettetela subito! Sembrate una vecchia coppia di zitelle!”
“Stanne fuori!” l’urlo che investì il Leonardo, cacciato all’unisono da entrambi, lo fece zittire all’istante.

  
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