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Autore: Momo Entertainment    29/08/2015    2 recensioni
[And... we are back on air.]
Unima, un anno prima degli eventi di Pokémon Nero 2 e Bianco 2.
Cinque bellissime ragazze sono state scelte, ma solo una di loro diventerà la nuova Campionessa della regione.
Insieme combatteranno e soffriranno, rideranno, piangeranno vivendo insieme l'estate della loro vita: la loro giovinezza.
Essere il Campione non significa solo lottare.
Significa anche vivere. Amare. Credere. Sognare. Proteggere.
Genere: Avventura, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Anemone, Camelia, Camilla, Catlina, Iris
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Anime, Videogioco
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ESGOTH 5



A story by: Momo Entertainment
Main concept and characters: The Pokémon Company
Beta reading and de-stubbing: 
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Early Summer Girls

Capitolo 10

La principessa del nulla

 


La luce del sole mattiniero prometteva una giornata di "vacanza" abbastanza buona, anche se Catlina non riuscì ad evitare di coprirsi la testa con le mani, senza neppure fare lo sforzo di alzarsi dalla stuoia in carta di riso su cui lei e le sue compagne dormivano.

Era sveglia, anche se il desiderio di richiudere gli occhi la struggeva. 

Poco dopo si accorse che le altre si dovevano essere già alzate; fece lo sforzo di unirsi anche lei al gruppo.

Non poteva proprio passare quel giorno di vacanza da sola, nel suo mondo di vividi sogni? 

«Buongiorno.» Salutò educatamente.

Camilla le stava sorridendo gentilmente, inginocchiata vicino al tavolo. 

Dal delizioso aroma zuccherino presente nella stanza la ragazza dedusse che stava preparando del tè, proprio come l'antica tradizione di Unima proponeva.

«È un po' tardi ora per un "buongiorno"; è l'una di pomeriggio.»
Le disse Camilla scherzando.

«Eh?!»
Catlina tirò un respiro sorpreso, lasciando l'aria a metà fra i polmoni e la gola. 

No, per lei era normalissimo dormire così tanto, era reduce di giornate intere passate senza neppure alzarsi dal letto o aprire gli occhi, quando i suoi genitori si domandavano se le fossero venute le piaghe da decubito.

Si ricordò invece dell'invito di Iris. Oggi si doveva andare in spiaggia, a Spiraria. 
Aveva confermato anche lei, e la sua dimenticanza aveva rovinato tutto. 

Non si sarebbe stupita se l'avessero definita un'asociale, ma quella volta le fece peso sul cuore, per una volta che desiderava aprirsi e condividere un'esperienza di svago con qualcuno.

La sua preoccupazione fu smentita dalla risata dolce di Camilla. 

«Tranquilla. Abbiamo dovuto annullare, causa: i soliti impegni dell'ultimo minuto. E non sapevamo se tu saresti venuta o no... Lasciamo stare. - la Campionessa decise di cambiare argomento - hai dormito bene?»

«Potevo rimanere a dormire allora...» Pensò la biondina, seccata e imbarazzata.

Catlina non sapeva come rispondere a quella domanda. 

Avrebbe dovuto raccontarle di aver fatto un sogno, quella notte. Dirle che per fortuna era un bel sogno.

Ripensava da tutta la mattina (o i pochi istanti passati fra quel momento d'imbarazzo e l'istante in cui aveva maledetto il mondo per il semplice fatto di esistere) a quel sogno.

Un sogno così dolce, carino e perfetto che sembrava più che un sogno un'illusione: una specie di primo appuntamento.
La ragazza sospirò, quel pensiero le gravava sopra la testa come la lama di una ghigliottina.

Ciò la imbarazzava. Parlare con Camilla dopo dodici anni la imbarazzava sempre; si limitò ad annuire, arrossendo leggermente. 

Rimase intanto ad osservare la sua compagna, rigirandosi una ciocca dei suoi lunghi capelli profumati alla vaniglia fra le dita, domandandosi come passare la restante metà di quella giornata.

Il silenzio di quella mattina fu improvvisamente rotto da un voce davvero armoniosa, e davvero familiare.

«Papà, sei in casa? Sono venuta a lasciarti la bambina.»

Si sentì un ritmo scandito da due passi incrociati: una corsa scalpitante e dei passi lenti e rilassati sul pavimento in tatami. E in più il cuore di Catlina, che aveva ricominciato ad agitarsi, mentre lei cercava di sopprimere tutta quella preoccupazione.

No, non poteva essere lei. Ancora.

«Buongiorno, Marina.»
Troppo tardi: Camilla le aveva già rivolto un rispettoso inchino per salutarla. 

La giovane donna dai lunghi capelli rosso vermiglione appariva raggiante, contraccambiando l'inchino. 

Dopo alcuni convenevoli (a cui solo Camilla rispose) sul come procedessero gli allenamenti e se si trovassero a loro agio nella casa di suo padre, la donna cominciò a guardarsi intorno.

«Ragazze, avete per caso visto Nardo? Oggi sono occupata e mi aveva promesso di badare a mia figlia almeno fino a stasera... Ecco, deve essersene dimenticato...»
Era davvero strano come Marina somigliasse ad una donna moderna, precisa ed impegnata, mentre suo padre Nardo aveva tutt'altra filosofia di vita. 

«È uscito un'ora fa. Non me ne stupisco comunque, da quando noi cinque ragazze conviviamo con lui il Campione ha altri pensieri per la testa...» Ammise Camilla. 

Ma una voce di bambina superò in acutezza la sua, echeggiando per tutta la stanza. Quella dolce voce aveva lo stesso volto di Marina, i suoi stessi occhi, i suoi stessi capelli arancio acceso.

E perfino la stessa sorpresa e felicità che aveva avuto nell'incontrare le due ragazze la prima volta.

«Mamma, ci sono le mie amiche Campionesse!»
Detto ciò la piccola Giulietta esultò, correndo ad inginocchiarsi vicino a Camilla. 

Catlina si scostò leggermente. Quella situazione era davvero snervante; sperò che la bambina di soli cinque anni sarebbe rimasta lì ancora per poco. 

«Giulietta, non dare di nuovo fastidio alle ragazze. Il nonno ha detto che oggi loro sono in vacanza.» Sua madre la rimproverò.

«Non sta dando alcun fastidio, non preoccuparti. - Camilla si era alzata, rassicurando la donna - Anzi, se Nardo non ha intenzione di tornare presto possiamo pensare io e Catlina alla piccola. Spero che tu abbia fiducia in noi.»

A quel punto la ragazza dallo yukata rosa pesco lasciò trapelare dalle labbra pallide un'esclamazione sorpresa: si chiedeva se il mondo si divertisse a metterla a disagio ultimamente. 

La giovane si era imposta di combattere la sua sociopatia, ma dopo che quella bimba le aveva quasi tolto di dosso il costume la prima volta, sentiva che una crisi di nervi era imminente. Solo il pensiero di rovinare il suo modo di fare composto e sicuro fece rallentare il battito cardiaco, cancellando tutta quell'ansia: era solo una bambina, del resto.
Anche Catlina lo era stata. 

Allora perché sentiva come se si fosse persa quella fase spensierata della sua vita? Perché non ricordava di essere stata felice per piccole cose? Perché la sua visione del mondo e quella di Giulietta non coincidevano?

«Certo che mi fido di voi ragazze. - A quel punto Marina si ricordò che sua figlia era sopravvissuta all'attacco del Neo Team Plasma solo grazie al loro intervento - So che mia figlia è in buone mani. Allora ci vediamo stasera. Giulietta, tesoro, fa' la brava.»

E dopo aver baciato sulle guance la sua bambina, Marina uscì da casa di Nardo.

Le due ragazze bionde e la piccola e vivace nipotina di Nardo avevano avuto la loro seconda occasione di rincontrarsi ed imparare a vicenda ancora qualcosa di nuovo.

 

«Stai preparando il tè? - La bambina si era inginocchiata vicino alla Campionessa di Sinnoh, osservando attentamente i gesti delle sue mani - Anche io lo so fare.»

Camilla le sorrise, fingendosi stupita. «Davvero? Prendi già lezioni alla tua età?»

«Si! Me lo ha insegnato un po' la nonna. Solo che adesso ho dovuto smettere.»

Entrambe le ragazze si guardarono dubbiose. Catlina in effetti si era domandata chi fosse la madre di Marina. Lei e Camilla sapevano talmente poco della vita privata del vecchio Campione da aver scoperto una settimana prima che costui avesse una figlia e due nipoti, un maschio ed una femmina.

«Tua nonna ti dava lezione di cerimonia del tè?» Le domandò la ragazza.

Tutto d'un tratto la piccola Giulietta prese sulla sua piccola mano una ciotola: i suoi occhi lucenti scortavano attenti tutte le foglie di tè, scegliendo la giusta miscela con la stessa attenzione e raffinatezza di un intenditore di alto livello. 

Fiori d'arancio, estratto di vaniglia, frutti di bosco, bacche selvatiche... Giulietta ne scelse una precisa quantità di ognuna, pestandole con un mastello, combinando potenza e delicatezza per evitare che le foglie perdessero l'aroma. 

Versato il miscuglio di polveri in acqua, lasciò bollire il tutto, mescolandolo e ripulendo il recipiente dai fondi. Scelte le giuste misure di zucchero e limone, la piccola ne porse due bicchieri alle ragazze.

Camilla e Catlina si guardarono felicemente stupefatte: a soli cinque anni conoscere il procedimento tradizionale per preparare il tè è difficile. 

Sua nonna deve averle insegnato ogni passaggio con molta pazienza e precisione.

Simulando un brindisi con le tazze di ceramica le due lo assaggiarono.

«Delizioso. Meglio di quelli che servono ai tea party dei miei genitori.» Pensò la bionda senz'anima.

Catlina per un secondo rimpianse di non essere nata ad Unima: la sua infanzia avrebbe potuto avere molto più colore e felicità, se solo l'avesse impiegata per qualcosa di originale, qualcosa di creativo, qualcosa che le piaceva. 
Rimpianse di aver sprecato troppo tempo a dormire, di aver realizzato qualcosa solo nei suoi sogni. 
Nel mondo reale non le era rimasto nulla, solo un enorme vuoto d'animo che a diciannove anni era troppo tardi per riempire.

D'un tratto la bambina fece cadere dalla mano una piccola tazza rotonda che si frantumò in mille schegge di vetro colorato. 
Il rumore risuonò fra i pensieri della ragazza, riportandola alla realtà.

«Io volevo bene alla nonna. Solo che poi è... N-Non abbiamo più potuto fare il tè insieme, o cucire o dipingere...»

Giulietta aveva esordito con tono davvero rattristato. 

Appena Catlina la vide stropicciarsi uno dei suoi grandi occhi non poté trattenere la sua compassione. 

Anche una bambina così allegra e spensierata poteva essere triste, evidentemente: non servono devastanti traumi infantili o eventi sconvolgenti, ad un bambino basta solo sapere che alcune esperienze felici non torneranno più per sentire il dolore di mille spade conficcate sul cuore. 

Le venne voglia di consolarla: ma la sua indole schiva la trattenne contro la sua volontà. 

Tuttavia si rallegrò, vedendo che Camilla già l'aveva fatta sedere sulle due ginocchia.

«Sì, invece. Puoi farlo con la tua mamma, il tuo papà e tuo fratello... Scommetto che non ti direbbero di no. - La consolava, mentre accarezzava i suoi capelli arancio. - Quando io e Camilla eravamo piccole ci allenavamo per lottare con i nostri Pokémon, sempre insieme, e anche se non eravamo le migliori abbiamo continuato ad allenarci... Anche se dopo ci siamo separate non abbiamo smesso di dedicarci con tutto il nostro impegno ed ora guarda... Camilla è la Campionessa della nostra regione natale.»

La ragazza senz'anima sentì il respiro tremare: sperò che quelle parole raggiungessero il cuore di quella bimba, o non avrebbe avuto senso trovare il coraggio per dirle.

«E Catlina lavora alla Lega Pokémon di tuo nonno.» Aggiunse Camilla.

Ancora le due sentivano la loro forte connessione: erano diverse, opposte, un libro aperto ed uno scrigno chiuso, eppure avevano per davvero passato il loro tempo insieme, volevano definirsi "amiche" anche se addirittura si facevano il bagno insieme, facendosi il solletico sulla pancia e slacciandosi il costume per gioco.

«Dice sul serio, non eravamo per nulla brave a lottare, giusto? - Camilla le rispose ridendo - Una volta sono svenuta, o meglio mi sono addormentata, perché non avevamo idea di come funzionasse la mossa Ipnosi...» Giulietta scoppiò a ridere.

«E dato che il mio Gible non aveva senso di orientamento ho quasi colpito Catlina utilizzando Fossa...» Continuò la giovane Campionessa. 

Le mancavano quei giorni.

«Non mi sono fatta niente - continuò a raccontarle la bionda introversa - ma Camilla ha sporcato di fango il mio vestito.»

«E allora?» Giulietta era sempre più interessata alle disavventure che le due ragazze avevano vissuto da piccole, solo che se le immaginava un po' più basse.

«Era un vestito da 270 Pokédollari.» E scoppiarono tutte a ridere. 

Camilla non ricordava che la risata della sua amica d'infanzia avesse un suono così gradevole e leggero. Catlina invece pensò a come lavarsi via quel sorriso da ebete dalla faccia. 
Poteva un sorriso far apparire il suo volto spento e vitreo più bello?

«Okay, continuerò anche senza la nonna, io voglio essere come voi!»
Giulietta si alzò in piedi e gettò le sue braccia attorno al collo delle ragazze. 

Voleva che quei momenti non finissero più. 
Sapeva che avrebbe imparato qualcosa dalle sue protettrici, dalle sue consigliere e amiche. 
Voleva farne tesoro e rendere suo nonno, sua madre e suo fratello orgogliosi di lei, come sua nonna probabilmente sarebbe stata.

Camilla si alzò in piedi, allontanandosi da loro. 
Giulietta le corse incontro, preoccupata.

«Dove vai?» Le chiese.

«Ad allenarmi. Ho bisogno di insegnare al mio Pokémon una nuova mossa.»

«Aspetta... - Giulietta si alzò in punta dei piedi e raggiunse la fronte di Camilla cosparsa di ciocche bionde. Con un leggero solletico, la bambina le stampò un bacio - i baci così li dò solo alla mia mamma... Ma tu sei speciale! Tu li davi i baci così a Catlina?»

«Certo. Ma non gliene ho mai dati abbastanza... - Camilla le sussurrò sull'orecchio. Poi la Campionessa socchiuse gli occhi - tu invece pensa a darne tanti alla tua famiglia: sicuramente, hai una mamma e un fratello fantastici, ricordatelo sempre.»

Catlina era ancora lì, a fissarla piena di dubbi e curiosità, con le stesse cicatrici nascoste e gli stessi sentimenti repressi nel suo cuore.
Poteva ancora provare a riportarla indietro, a non far svanire nel tempo la loro amicizia.

«La affido a te intanto, va bene?» Domandò all'amica.

«C-Cosa? Camilla, non puoi lasciarmi da sola con...» La ragazza era già andata in panico. 

Che cosa doveva fare con lei? Cosa doveva aspettarsi da lei? 
Lei non era aperta come Camilla, non aveva la sua stessa inventiva o il suo stesso carisma. Lei no, almeno.

Dopo che la Campionessa se ne andò, Catlina sorrise al suo fato.

«Giulietta, vuoi visitare un bel posto?»

«Sì! Dove andiamo?» La bimba era già al settimo cielo, saltando e battendo le mani.

«Promettimi una cosa però: - e si fece seria, come se fosse stata sua madre - quando sarai lì incontrerai tre persone. 
Ecco, queste persone sono molto... Eccentriche. E chiassose. E rompiscatole. E strane, molto strane. 
Quindi, te lo chiedo per favore, non mettermi in imbarazzo davanti a loro, va bene?»

«Catlina... Sembrano persone fantastiche! Va bene, lo giuro!»
E strinse il mignolo della ragazza.

La bionda si tolse lo yukata, per vestirsi con qualcosa di meno appariscente e nel frattempo pensò, incerta se riderne o piangerne: 
«Oh, passaci quattro anni insieme e cambierai idea...»

Era passato davvero velocemente il tempo da quando, a quindici anni, era diventata un membro dei Superquattro della Lega di una regione che non era nemmeno la sua regione natale.
 

«Ho cominciato il mio lavoro di Superquattro alla Lega Pokémon di Unima quattro anni fa.

Non è stato affatto semplice. 

Il mio corpo era davvero debole, mi sentivo come un bambino che non ha mai camminato con le sue gambe, dovrei incolpare i miei genitori di avermi viziata troppo. 
Ho lottato tanto per diventare più forte, ma il mio cuore rimaneva sempre debole ed impaurito dal contatto altrui.

Quando sono arrivata lì ho vissuto nella mia timidezza maniacale, in un silenzio spaventoso... 
«Nessuno mi vorrà vicino. Nessuno mi vorrà bene. Nessuno mi capirà.» Mi ripetevo.

«Hai davvero dei bellissimi capelli.»

A proferire quelle parole è stato Mirton, il candidato come maestro di Tipi Buio.
E da quando ho cominciato a lavorare qui ad Unima mi sono sentita nel mio mondo ideale.

Piano piano ho cominciato a sentirmi sollevata da tutta quell'ansia di rimanere sola ed isolata, e passo per passo ho cominciato ad abbozzare delle conversazioni, a parlare di me, ad aprire il mio cuore. Credevo di essere l'unica ad essere fuggita da qualcosa.

Ma l'ho fatto perché mi sentivo in debito: quando Mirton mi ha rivelato che i suoi genitori persero tutta la loro fortuna al gioco d'azzardo e che è stato costretto a vivere per strada tutta la sua giovinezza ho quasi pianto per davvero.

Così gli ho chiesto di seguirmi dove non ci avrebbero visto e mi sono tolta i vestiti; ho mostrato a quel ragazzo le mie cicatrici, tremando come se fossi stata nuda di fronte al mondo.

«Spariranno - mi disse - e potrai rinascere più bella, forte e dolce di quello che ora sei.»

Anche adesso sto lottando. 

Vorrei riuscire un giorno a distruggere la me stessa apatica ed introversa.
Per Mirton, per Camilla, per coloro che hanno voluto che la mia vita continuasse nonostante le cicatrici.
»

 

«Però non è giusto.» Mugugnò Giulietta.

Il sole caldo di piena estate copriva la fronte della bambina con piccole gocce di sudore, brillanti come perline di un diadema. 

La piccola stringeva solo il medio e l'indice della mano scarna ed esile di Catlina, dondolandola avanti e indietro con un ritmo altalenante.

«Che cosa?» Si fece coraggio di chiedere la bionda. 

Era sola con lei ora, non poteva tirarsi indietro dal conversarci (se con una bimba di prima elementare sia davvero possibile conversare). 

Intanto una leggera brezza dovuta all'altitudine dei rilievi accarezzava il suo vestito traboccante di trine e pizzi che ondeggiavano fra le sue snelle e bianche gambe.

«Che il nonno non mi ha mai portato qui.» Le rispose la piccola.

«È strano... Sei la nipote del Campione di Unima e non hai mai visitato la Lega Pokémon?»
Giulietta annuì, cambiando la sua espressione in un sorriso eccitato. 

Catlina era fiera della sua idea, anche se l'ultima cosa che voleva fare era visitare il suo posto di lavoro in vacanza.

La ragazza bloccò il suo passo davanti all'enorme scalinata, che conduceva al padiglione centrale dove aveva incontrato le sue compagne la prima volta.
Giulietta intanto aveva sgranato le sue iridi verde smeraldo, osservando la magnificenza della potenza rendere stupefatto ed impotente ogni avversario che osava sfidare il Campione e i suoi più fedeli assistenti e consiglieri: i Superquattro.

«È... Bellissimo... - la piccola correva con lo sguardo alto al soffitto, seguendo per filo e per segno ogni ornamento in stucco per capire dove terminava, come aveva fatto in precedenza con le cicatrici della ragazza - Mi fai vedere dove lotti? Posso andare dove si sfida il nonno? Ti prego, ti prego...» La supplicò, tirandole le balze della gonna.

Catlina sorrise, curvando le sue labbra frigide e perennemente bloccate in quell'espressione di indifferenza e dilatando i suoi occhi chiari: che bella sensazione. 

Avrebbe voluto portare in quel posto ogni persona triste della terra e fargli sperimentare la stessa felicità che Giulietta stava provando. 

Pensava genericamente ad un Allenatore che entra in quel luogo pieno di orgoglio e spavalderia, pronto a sconfiggere ogni avversario e rovesciare il Campione dal suo titolo con arroganza e sicurezza, per guardare Unima dal suo apice, contemplandone la piccolezza.

Invece l'immagine di una bimba che mette i piedi in paradiso solamente ammirando ogni dettaglio dell'imponente edificio rispecchiava l'idea di purezza e innocenza che lo sfidante ideale deve avere, oltre alla forza fisica.

«Certo. Vieni tesoro.»
La ragazza arrossì pensando a come aveva chiamato quella bimba, che continuava a farsi spazio fra le macerie della sua introversione distrutta.

I loro passi riecheggiavano, scandendo un ritmo uniforme all'interno del vasto corridoio.

Giulietta d'un tratto rallentò il passo, notando una strana figura lungo la sua via. 
Catlina sentì la piccola aggrapparsi alla sua gonna per attirare la sua l'attenzione; subito dopo la piccola vi ci si nascose dietro.

Le sembrava che quella figura ignota la scrutasse, come se l'avesse già vista e sfortunatamente riconosciuta.

«Catlina chi è quella ragazza?»

E con l'indice mostrò tutto il suo disinteresse per la privacy che una bambina possa avere. 
La giovane le abbassò il braccio, con discrezione.

Poco prima che potesse spiegarle che indicare la gente con il dito è maleducazione, la giovane che continuava a scrutare le si avvicinò: e sorridendo, si scostò i lunghi capelli nero notte dal collo.

«Siete la signorina Yamaguchi Hāto, dico bene?» Chiese educatamente.

Sia lei che Giulietta si guardarono sconcertate: come aveva fatto ad entrare alla Lega? 

Non c'erano altre entrate, oltre a quella principale... Doveva averle precedute, precedute in un agghiacciante silenzio, come se già avesse saputo che le due si sarebbero recate lì in quel preciso istante. 

Quasi come se le avesse lette nel pensiero.

«S-Sì... - balbettò la bionda - se era tua intenzione sfidarmi ti devo informare che noi Superquattro non possiamo accettare sfide fino alla nomina del nuovo Campione...»

«Non sono qui per questo.» La ragazza dai capelli neri la contraddisse in fretta. 

E subito, estraendolo da chissà dove, mostrò alla ragazza ed alla piccola un biglietto color rosso cremisi, con i bordi dorati, un tipo di carta molto raffinato.

Dopodiché la ragazza dai capelli neri e quegli strani poteri psichici girò i tacchi, e svanì come se il loro incontro fosse stato solo un miraggio.

Catlina diede una veloce occhiata a quel biglietto, per accorgersi che nello specifico si trattava più che altro di un invito: non sapeva che proprio quella sera a Libecciopoli sarebbe stato aperto un casinò. Ma se ne curò poco, presa com'era da altri pensieri.

«Che strana quella tizia.» Commentò la bimba ad alta voce.

«Catlina.» Una voce maschile, calma e seducente giunse al suo orecchio.

La ragazza ebbe l'ennesimo sussulto. Quella giornata la stava davvero esaurendo. 

«Avevo voglia di vederti.»

Quella voce si fece volto, stupendola ulteriormente. 

Ma non si lasciò incantare: si ricordava che Mirton le aveva fatto un torto, proprio il giorno in cui era stata avvisata della competizione, e se lo era saldamente legata al dito.

«S-Strano tu non abbia anche voglia di molestarmi e toccarmi il seno.»

Logicamente, Catlina ricordava ancora la sorpresa e l'imbarazzo provati mentre il ragazzo affondava le mani nel suo morbido e sviluppato seno, mentre lei fantasticava innocentemente nei suoi sogni. 

Non era giusto che il suo collega abusasse della suoi desideri per divertimento. 
Voleva solo una leggera vendetta, fatta per amicizia.

Ci fu un breve silenzio fra i due. 

Abbastanza breve da permettere alla piccola di scrutare il ragazzo con occhi curiosi: capelli neri, occhi scuri, un sorriso accattivante, quel giovane le piaceva.

«Anche tu hai visto che ha delle cicatrici da tutte le parti, anche sulle tette?»

La ragazza bionda percepì l'inutilità di averla ammonita riguardo al metterla in imbarazzo di fronte ai suoi colleghi, arrossendo di colpo, mentre Mirton continuava a sorriderle con sguardo vendicativo.

«Certo, la conosco molto bene - rispose, senza perdere il controllo - ma lei chi sarebbe?»

E si chinò per osservare quella bimba senza peli sulla lingua. 
Strano: era uguale identica a Nardo, la sua fotocopia in forma ridotta e femminile.

«Mi chiamo Giulietta!» Squittì la piccola.

«È la nipotina di Nardo, non chiedermi come l'ho conosciuta... - gli rese noto la bionda - piccola, lui è la disgrazia più grande capitata a questa Lega, Mirton.» 

«Hai gli stessi occhi di tuo nonno.»

Il ragazzo le scompigliò i capelli color arancio, mentre la piccola non smetteva di raccontargli del primo incontro con Catlina avvenuto nell'onsen e di come l'avesse difesa coraggiosamente insieme alla Campionessa di Sinnoh durante l'attacco del Neo Team Plasma.

«Catlina?» Mirton attirò la sua attenzione.

La ragazza si voltò verso di lui, fissandolo con i suoi soliti occhi spenti e vitrei, testimoni di chissà che orrori. 
Anche se erano davvero due occhi bellissimi, a suo parere.

«Sei libera stasera? Vorresti venire al casinò di Libecciopoli con me?»

Lo domandò con calma e nonchalance, come se si trattasse di una ragazza qualunque.

Ma nonostante tutto era davvero strano.

Mirton fece mente locale e non ricordò di aver mai invitato la sua collega ad uscire da soli per qualcosa che non riguardasse il lavoro.

Le parole di una frase che probabilmente non avrebbe avuto senso si bloccarono a metà della gola di Catlina, lasciandola con il viso più stupito che avesse mai mostrato in vita sua. 

Sperò stesse scherzando, proprio il posto che le aveva indicato quella strana persona poco prima, sperò si trattasse di una semplice coincidenza. 

Non era abituata ad uscire inoltre, sopratutto con i maschi.

Un altro silenzio brevissimo, prima che a Giulietta si illuminassero gli occhi.

«Un appuntamento! Catlina è stata invitata ad un appuntamento romantico!» Esultò.

Quella bambina aveva lasciato la sua mente farneticare e aveva alterato completamente il senso dell'intera frase, come aveva abitudine di fare anche suo nonno.

«Finalmente. Ti ci sono voluti quasi cinque anni per dichiararti.»

Una voce femminile, più profonda e rilassata si aggiunse nel bel mezzo del discorso. Apparteneva ad una bella ragazza della stessa età di Catlina: portava i capelli viola scuri tagliati corti, e con un dito si sistemava un paio di spessi occhiali da vista sul naso.

«Nei romanzi per ragazzine ci mettono molto di meno.»
Commentò ridendo, mentre accarezzava i capelli biondi di Catlina, rigirandoli fra le dita come se fossero suoi.

«N-Non era una confessione... Vero?»
La biondina si rivolse a Mirton, arrossendo più che mai, come se un bullo si stesse prendendo gioco di lei. 

Le ricordava le inutili battute di Camelia, in un certo senso, anche se quelle della mora erano in genere peggiori.

«Certo che no. - il ragazzo cercò di calmarla. Poi si rivolse alla collega - Cosa c'è Antemia, sei gelosa?»
Aguzzò il suo sguardo penetrante, facendole assaggiare la sua stessa medicina.

«Ti chiami Antemia? Perché sei gelosa di Mirton? Puoi trovarti un altro ragazzo, scusa... A lui già piace Catlina!»

Mirton ed Antemia fissarono la bambina interdetti. 
La seconda, in particolare, si chiese come avesse fatto a non notarla prima.

«So cosa stai per dire: - Catlina aveva già intuito - si chiama Giulietta ed è la nipote di Nardo. E sì, dice sempre cose di questo tipo.»

La piccola si trovava ancora a studiare queste persone, sempre più incuriosita. 

Si domandò perché sua madre non l'aveva mai portata in quel posto meraviglioso, pieno di persone altrettanto fantastiche. Si ripromise che ci sarebbe tornata un giorno.

«Allora Giulietta, che genere di fidanzato dovrei trovarmi?» Antemia si era chinata in direzione della bambina, accarezzandole la guancia. Ormai l'avevano inclusa nell'atmosfera, rifiutare una bimba così carina era una cosa impossibile.

«Mmmh... - finse una profonda riflessione - lui può andare!»

Ed indicò l'ultimo membro dei Superquattro rimasto, un ragazzo dalla potente muscolatura e la pelle color cuoio.

Scoppiò una risata generale quando Marzio, il maestro dei Pokémon Lotta scoprì che la bambina era più che seria nel suo abbinamento.

«Però siete strani...» Aggiunse, tra uno dei suoi commenti.

E mostrando alla dolce nipote di Nardo quel piccolo nucleo costruito grazie al percorso di apertura sociale e psicologica così lungo e delicato, Catlina si sentì fortunata ad aver avuto quell'occasione: sentiva le sue barriere cedere, il suo cuore aprirsi ed attirare dentro di se' ogni lato positivo di quel mondo così confuso e movimentato dalla quale voleva stare lontana.

Dopo aver visto lottare, parlare e ridere i cosiddetti "quattro re celesti" secondo l'antica denominazione Giulietta attirò l'attenzione della sua amica dai capelli biondi.

«Catlina.»

«Dimmi.» 
Prima che potesse finire di pronunciare la breve parola, Giulietta l'aveva trascinata di fronte a Mirton, prendendole la mano con foga.

Il ragazzo le mostrò il suo sorriso più calmo e rilassato, chiudendo le sue dita nella mano come se si trattasse di una principessa.

La guardò negli occhi un'altro secondo.

Mirton non poteva perdere quegli occhi, lo sentiva dentro.
«Allora, per stasera?»

Ci fu un breve silenzio, in cui sia Giulietta che Antemia e Marzio osservarono la biondina con un sorriso d'incitamento. 

Chissà se vedevano davvero quella innocente vergine e quel mago della seduzione insieme, come una coppia.

Dopo aver sospirato, la ragazza rilassò le labbra in un lieve sorriso lusingato.

«...Sì.»

E lì cominciò un applauso, tanto ironico quanto veritiero: finalmente, in cinque anni che i Superquattro della Lega si conoscevano la loro collega più timida e taciturna aveva chiaramente espresso la sua volontà a pieno tono e forse lo avrebbe fatto anche in futuro.

«È meglio se noi andiamo - Catlina si congedò - salutali Giulietta.»

La piccola non esitò ad abbracciare teneramente tutte quelle persone che conosceva da un giorno ma che eppure le ispiravano lo stesso calore e la stessa fiducia di una famiglia.

«Buona fortuna. La Lega di Unima ripone tutte le sue speranze nella futura Campionessa.»
A quelle parole anche Catlina accettò un abbraccio, senza sentirsi a disagio vicino a qualcuno.

Ed intanto la strada di ritorno si colorava dello stesso arancione dei capelli di Giulietta.

Piano piano la ragazza apatica stava schiudendo le catene che bloccavano l'accesso al suo cuore, disfacendosi di un anello di chiusura caratteriale ogni volta che la nipote di Nardo le rivolgeva i suoi dolci e vispi occhi.

La ragazza si sentiva felice, sorridendo senza un apparente motivo, come se fosse diventa la principessa del nulla, delle cose che il denaro non le poteva comprare.

 

«Quando l'innocente principessa e l'astuto giocatore d'azzardo si incontreranno...
Il loro non sarà un appuntamento normale...
Non terminerà con un bacio...

Il casinò di Libecciopoli è un luogo per persone avare, capaci di dare ad una persona lo stesso valore di un soldo d'oro...
Fin dove arriverà la loro fiducia? E fin dove arriveranno le grida della ragazza?»

Le amicizie, le confidenze, i dolori, e gli avvenimenti che le ragazze avevano dovuto sopportare in quel giorno che ormai non è più definibile di svago o vacanza le avevano portate faccia a faccia con le loro rispettive assassine, le complici dei loro stessi problemi: per tutto quel giorno i cinque membri scelti del Neo Team Plasma non avevano fatto altro che pedinarle.

Ma non avevano alcuna intenzione di agire nell'ombra.

Era passato un anno da quando i piani dell'organizzazione segreta erano stati mandati in fumo da un coraggioso ragazzo che aveva avuto dalla sua parte sia il Drago Nero che il Drago Bianco.

Se le cinque aspiranti Campionesse fossero morte in circostanze sconosciute i sospetti sarebbero ovviamente rinati.

Ma chi avrebbe mai potuto sospettare di una quindicenne che passa per caso in un negozio, di un'ex fidanzata o di una passante dall'auto lussuosa? 

Tieniti stretti i nemici ancor più degli amici. 
Quella regola vigeva in quella compagnia di vipere assetate di sangue, che non esitavano a rinfacciare anche ai loro colleghi di rango inferiore.

«Vedi di non combinare nulla fuori dai piani.»

La voce profonda ma allo stesso minacciosa di Sabrina aveva appena lasciato le sue labbra, mentre ripuliva con nonchalance un cucchiaio arrugginito con un panno.

Un'occhiata scocciata da parte della ragazzina dai capelli azzurro volò al cielo.

«Il tuo piano è lungo e stupido. - e le lanciò uno sguardo ancora più stizzita - hai dei poteri psichici dalla potenza paranormale e ti affidi ad un "piano"... Sabrina, certo che ti piace proprio complicarti la vita.»

Ma non appena Lucinda finì di parlare si sentì il rumore tipico del tessuto che si strappa. 

La giovane fissò impaurita l'uniforme viola-nero che indossava, notando che strappi sempre più grandi si formavano senza che alcuna mano o lama toccasse la stoffa. 

Cercò di trattenerla con le mani, ma la potenza esercitata dall'entità invisibile era mille volte superiore alla sua.

Il potere della mente, di ignorare il mondo materiale e creare una dimensione in cui ogni ordine e desiderio imposto dal cervello si attua in un inquietante silenzio era il potere di quella Capopalestra dalla regione di Kanto. 

Non lo aveva ereditato da nessuno, poteva vantare i suoi poteri psichici come una maestria acquisita, che la rendeva una temibile avversaria.

Sabrina non poté trattenere un ghigno, mentre mostrava alla sua compagna più giovane che anche quel vecchio cucchiaio era stato piegato almeno dieci volte su sé stesso, facendogli perdere addirittura le sembianze di un cucchiaio, sfigurandolo atrocemente in una tridimensionale figura indistinta metallica.

«Non ho detto che non li avrei inclusi nel piano.»
La diciannovenne rise divertita, al pensiero della sua apatica e composta nemica che gridava agonizzante, con le lacrime agli occhi.

Intanto il piano del Neo Team Plasma era già entrato in fase di esecuzione. Tutto il loro imbroglio si basava su un semplice punto cardine: la psiche.

Avrebbe giocato un gioco ingiusto, un gioco un cui esistono solo due alternative: una tradisce gli ideali di una persona, una tradisce la dignità dell'altra, una garantisce un centesimo in più, una garantisce un grido in meno.

«Se hai intenzione di includerli nel piano...»

Prima di poterla dar vinta alla compagna più anziana, Lucinda si fece pronta a ribattere, mostrandole un oggetto agitandolo leggermente piegando il polso in verticale.

«... Questa a che ti serve?»

 

Nell'attesa che precedeva quell'appuntamento (suonava eccessivamente commerciale, detto così) il giovane ed attraente maestro di Tipi Buio era intento a pensare, osservando la cenere dell'ennesima sigaretta consumarsi lentamente. 

Si era deciso a presentarsi sobrio, ma l'idea del sapore amarognolo del whisky in bocca aveva reso impotente la sua forza di volontà.

«Tsk... L'uomo incapace di controllare i suoi istinti non è un gentiluomo, dicono.
E un gentiluomo soltanto può infilare la mano contemporaneamente nell'intimo e nel portafogli di una riccona. Giusto?»

Mirton aveva pensato spesso a Catlina, da quando lei era stata scelta per guadagnarsi la possibilità di diventare il suo futuro capo, un giorno.

Si domandava se quella ragazza, così introversa e silenziosa avrebbe avuto la forza di affrontare sfide fuori dalla sua portata, se il suo cuore fragile e il suo corpo altrettanto delicato stessero sopportando indenni tutti tormenti a cui Nardo la sottoponeva.

Ma il suo dilemma più grande era sopratutto perché continuasse a preoccuparsi per una ragazza che non aveva nulla da offrirgli: lo attraeva la ricchezza di quella principessa di un'altra regione, ma amare solo i suoi soldi significava rinunciare alla sua bellezza.

Per quanto timida, asociale, taciturna ed inesperta in quel senso Catlina fosse, lui ne era sempre stato affascinato. 

Mirton vedeva le sue precedenti fidanzate come rose: quelle rose rosso sangue, rosso intenso come la passione, fanno a gara per farsi notare, distendono i loro petali e aguzzano le loro spine dalla brama di attenzione.

La giovane aristocratica che aveva incontrato almeno cinque anni prima invece, era una rosa di color pallido, un rosa spento, che si nasconde fra i cespugli, lontana dalla luce del sole e dall'occhio umano: eppure i suoi petali sono delicati come seta, il suo stelo nudo e privo di spine adatto ad essere dolcemente accarezzato.

«Basta con queste idiozie, - si decise il ragazzo - è solo una collega.»
Spense la sigaretta, schiacciando il filtro consumato sotto il tacco della scarpa. 

Era certo che il suo era amore non corrisposto. L'amore non faceva corrispondere i loro status sociali, le loro filosofie di vita, i loro gusti sessuali, i loro progetti per il futuro.

Ma era anche certo che un tentativo, fatto per divertimento, di scuotere l'animo teso della sua collega poteva farlo: scommise con se stesso se sarebbe stato in grado di portarsela a letto almeno entro fine estate.

La posta in palio, del resto, era assai degna di un qualche rischio.

 

L'unica preoccupazione della ragazza dai capelli biondi in quel momento era cosa indossare. 

Se solo lui le avesse dato un po' più di tempo per prepararsi avrebbe potuto chiedere ai suoi genitori di spedirle direttamente da Sinnoh uno dei suoi bellissimi e costosissimi vestiti da sera. 

Non traeva nessun piacere nel possederli, ma l'erede della famiglia aristocratica Hāto doveva per forza vestirsi al pari di una principessa.

«Non sei felice che hai un appuntamento?»
Le domandò Giulietta, che continuava a dondolare le gambe aspettando che la sua amica finisse di farsi una doccia.

Catlina intanto si era arresa nel ripeterle che il loro non era un appuntamento romantico. 

Per i bambini il concetto di amore è tanto semplice quanto meraviglioso: un ragazzo ed una ragazza possono amarsi sempre, nonostante la loro differenza d'età, la loro classe sociale, le loro personalità e qualsiasi altro pretesto che nella mondo dei grandi serve ad allontanare le persone dall'amore.  

Mica ci voleva una guastafeste come lei a rovinarle quel mondo. 
Catlina era ancora vergine a diciannove anni... Che ne sapeva lei di amore?

«Certo. Stavo solo pensando a come mi dovrei vestire, truccare e pettinare...» 
Le rispose pacatamente.

«Devi essere bellissima, ti serve un vestito che ti fa essere come una principessa.»
Affermò la bimba, convinta e determinata. 

Poi Giulietta sparì per qualche secondo, mossa da un'idea che poteva funzionare.

Catlina sorrise, mentre si apprestava ad indossare l'intimo, accarezzandosi la pelle bianca.

«Il primo appuntamento... Quante cose mi sono persa fin ora...» Pensò amaramente. 
Ritornò alla realtà, sentendo i piedini della bambina scandire un ritmo frettoloso.

«Per te. Un vestito degno di una principessa.»

La ragazza non poté credere ai suoi occhi. 

Quello che Giulietta teneva fra le sue piccole braccia doveva essere un vestito di alta sartoria, cucito con una stoffa quasi simile alla seta: il tessuto rosa chiaro, lo stesso colore dei ciliegi in fiore, aveva un taglio semplice e raffinato, con dei pizzi di colore nero che decoravano l'orlo gonna, lungo fino alle ginocchia, e anche la parte superiore. 

Quest'ultima si riduceva a due sensuali coppe di pizzo rosato e solo due sottili lembi di stoffa nera univano l'ampio spacco sulla schiena alla scollatura sul petto.

Quando se lo portò all'altezza delle spalle, per vedere se si adattava al suo corpo, sentì il mondo caderle addosso. 

Essere riportata alla realtà faceva sempre arrossire e scaldare le sue guance pallide.

«Giulietta, mi dispiace, ma non posso indossarlo.»

Disse la timida giovane con un filo di voce, come paralizzata.

«Perché no? Ti sta benissimo, dai, mettilo!» La piccola dimostrava già impazienza premendoglielo contro il petto per voglia di vederglielo addosso.

«Vedi... - Catlina cercò di farla ragionare - le scollature mostrano troppa pelle, è un po' troppo provocante per essere indossato davanti ad un ragazzo...»

Se immaginava la reazione di Mirton che la vedeva indossare quei quattro pezzi di stoffa cuciti insieme le veniva voglia di cancellarsi dal mondo: proprio lei che voleva passare inosservata agli occhi altrui veniva costretta a mettere in mostra quel corpo che più volte aveva desiderato cambiare drasticamente.

Era un paradosso davvero ingiusto.

«Davanti ad un ragazzo - la riprese la piccola - che ha già visto che hai le cicatrici?»

La biondina si chiese se 'le cicatrici' ora fossero diventate delle signore aristocratiche di alta classe sociale citabili addirittura con l'articolo davanti.

Giulietta aveva percepito l'imbarazzo della sua amica più grande, ed era diventato da poco un suo interesse aiutarla ad essere più libera e felice. 

In effetti aveva assolutamente ed indiscutibilmente ragione.  

Senza altra scelta, Catlina provò ad infilarsi quel capolavoro di alta sartoria.

«A proposito Giulietta, dove lo hai preso?» Le domandò.

«È un segreto.» La bambina si portò il dito indice alla bocca con massima serietà. 

Dopo qualche minuto passato a litigare con la cerniera posteriore, la biondina osservò incerta il suo riflesso allo specchio.

«Ti sta benissimo, sembra fatto per apposta per te.» Giulietta parlò per lei.

Pensò in cuor suo che mai nessun vestito avesse calzato così perfettamente le curve del suo corpo e messo in risalto il suo seno come quel gioiello color rosa pesco.

Rilassando le mani, Catlina le spostò dall'avvolgerle il petto per l'imbarazzo al sollevarle i lembi della gonna con un leggero ma elegante inchino, come se stesse ringraziando la natura di averla resa così bella, così bella come spesso aveva ignorato d'essere.

«Per rendere ancora più appariscente il tuo corpo dovresti toglierti il reggiseno. 

È brutto a vedersi.» Questa voce profonda e delicata non apparteneva certamente a Giulietta.

Appena Catlina si voltò poté riconoscere il sorriso radioso della sua amica d'infanzia.

Giulietta intanto si era già gettata fra le braccia di Camilla, raccontandole per filo e per segno ogni dettaglio sull'appuntamento dell'amica, talvolta inventando le parti che non ricordava bene.

«Che fortunata sei stata - Camilla glielo disse mentre cercava di sfilarle il reggiseno senza che si dovesse togliere il vestito - anche io stasera ho un appuntamento.»

«Eh?! - Giulietta le schizzò vicino, tutta eccitata - con chi?»

«Con una delle nostre compagne, Sakimura Iris. Abbiamo deciso di andare a cena fuori insieme oggi.» Fu la risposta dolce e gentile della Campionessa.

Intanto sia Giulietta che Catlina si guardarono incerte. 

Dal tono con cui lo aveva detto sembrava seria... Ma che cosa intendeva? 

Giulietta esordì con tono più che deluso. 
«Camilla, non puoi avere un appuntamento con un'altra ragazza.»

«Perché?» Le rispose questa, con tono falsamente abbattuto.

«Perché... - Giulietta si sforzò di trovare una ragione plausibile - perché no!»

La mamma ed il papà le avevano sempre insegnato che sono sempre un uomo ed una donna a volersi tanto bene, solo un uomo ed una donna possono fare le cose romantiche insieme, tutto questo senza una vera e propria ragione.

La giovane donna scoppiò a ridere, accarezzando la guancia dorata della bambina.
«Sì che posso, invece.» Le sussurrò all'orecchio.

In certi momenti l'estroversione e l'amorevolezza di Camilla erano leggermente inquietanti.

Ma del resto non potevano certamente sapere che ormai quella donna aveva già acquisito una certa intimità con la ragazzina dai capelli viola.

Per ora l'unica cosa che contava era rendere Catlina ancora più bella, mentre Giulietta passava la spazzola attraverso i suoi lunghi capelli biondi e Camilla si era concentrata sul limare e poi dipingerle le unghie dello stesso colore del suo vestito.

Per quella ragazza quella serata doveva essere indimenticabile.
Una ragazza nell'età in cui il corpo ha sete di forti sentimenti.

Dopo che Camilla se ne era andata al suo 'appuntamento' (Catlina si domandò ancora perché lo avesse chiamato così) lei rimase ad attendere qualche minuto il ritorno di Marina. Quella donna doveva essere davvero impegnata.

Appena la figlia di Nardo si ripresentò per portare a casa sua figlia non poté evitare di notare come Catlina fosse davvero tirata al lucido. Con un particolare davvero curioso.

Giulietta aveva ripetuto anche a sua madre la storia del famosissimo appuntamento della sua amica, dicendo di averla aiutata per il trucco e l'acconciatura in gran misura.

«Lo vedo amore, - Marina esibì uno dei suoi sguardi solari e armoniosi - ma perché indossa il vestito che la nonna aveva fatto per il mio matrimonio?»

Inutile dire che saputa questa cosa a Catlina era già venuto un'attacco di cuore.

Si sentì davvero stupida ad essersi fidata di una bambina di cinque anni, che l'aveva già messa nei guai una volta per altro. 

Ma sopratutto pensò a quanto doveva essere prezioso quel vestito se era stato cucito a mano dalla madre di Marina per il suo matrimonio, forse il giorno più speciale della vita di quella donna.
Non si sentì più degna di indossarlo e stava per scusarsi a capo chinato, quando Marina appoggiò le sue calde mani sulle spalle della biondina.

«Ma sta molto bene anche a te: il rosa è davvero il tuo colore.»

Prima di lasciare la casa di Nardo per raggiungere Mirton, Catlina non dimenticò di lasciare un bacio sulla guancia di Giulietta, per la prima volta di sua spontanea volontà.

«Sei una vera peste... Ma mi sei stata di grande aiuto.» Le sussurrò dolcemente.

«Buona fortuna con lui.» Si limitò a rispondere la piccola.

E mentre i tacchi alti battevano il ritmo del suo cuore eccitato, Catlina provò la stessa sensazione di una ragazzina ansiosa di incontrare il suo fidanzato per il loro primo “appuntamento”.

 

«T-Ti prego, non guardarmi così...»

La voce della biondina si mescolava alle chiacchiere delle persone all'interno di quel luogo, dall'inconfondibile profumo di legno verniciato e tappezzerie esotiche. 

«Questo vestito ti sta benissimo, stasera sei davvero... Diversa? Cosa devo dirti per toglierti quella faccia da trauma di dosso?»

Mirton le aveva già posato una mano sulla spalla nuda: aveva pensato a quelle parole solo per confortarla e infonderle più fiducia in se' stessa ma, guardandola bene, Catlina non era mai stata così bella e seducente. 

Perfino quel fiore così chiuso e delicato poteva apparire spettacolare, una volta schiusi i suoi petali e liberato il suo dolce profumo.

La ragazza abbassò gli occhi, sentendo le guance scaldarsi. 

Non era abituata a quel genere di complimenti.

Camminando al fianco del suo collega, Catlina non poté fare a meno di notare una strana sensazione nell'atmosfera di quel casinò appena aperto (a differenza delle altre regioni, Unima non ne aveva mai posseduto uno, se ricordava bene). 

Non ci volle occhio esperto per notare come tutti i tavoli da gioco fossero deserti, come tutti i presenti si concentrassero di fronte ad un tavolo più lungo come mosche attratte dal miele.

Non le diedero il tempo di fare altri ragionamenti che una voce femminile chiamò Catlina e Mirton per nome, con voce pacata e cordiale.

«Gentili presenti, vi chiedo di rivolgere la vostra attenzione a due ospiti di molto riguardo presenti stasera nel nostro casinò di Libecciopoli: il maestro di Pokémon Tipo Buio Polensky Mirton e la maestra di Pokémon Tipo Psico Yamaguchi-Hāto Catlina, la sua adorabile fidanzata.»

I due ragazzi si guardarono perplessi. 

A Catlina parve davvero esagerato essere accolta in modo così eclatante: essere un membro dei Superquattro era un onore, certo, ma non meritava che l'attenzione di quasi cinquanta persone fosse attirata su di lei e...

«Mirton, perché mi stai tenendo la mano?» Gli sussurrò.

Il giovane ruppe per un secondo il suo fare rilassato e indifferente, notando che effettivamente aveva catturato la mano della sua collega inconsapevolmente e si schiarì subito la voce.

«Sei o non sei la mia adorabile fidanzata?» Le domandò, scherzando maliziosamente. 
Traeva un certo piacere dallo stuzzicarla, l'espressione imbarazzata di Catlina era insostituibile.

«Sono una collega che ti crede un esibizionista perso.» Ammise secca la ragazza.

E camminando attraverso la lussuosa ed elegante sala per farsi avanti verso la donna che l'aveva chiamata, Catlina si compiacque dell'aver pareggiato i conti con lui, facendo sempre attenzione a non slogarsi una caviglia sui tacchi alti.

Mirton la seguì, e anche se il suo viso era quello di un uomo calmo, continuava a chiedersi se portare l'innocente ragazza in un luogo di gioco d'azzardo fosse stata la cosa giusta, se non nutrisse solo una forte invidia per l'agiata condizione economica della bionda.

Quando tutti gli ospiti in vestito elegante si scostarono per far spazio alla coppia, il giovane dal sangue freddo analizzò a che gioco quella massa di giocatori d'azzardo giocassero: un tavolo rettangolare ricoperto di spesso tessuto verde scuro recava trentasette caselle, numerate da zero a trentasei, di colori rispettivamente rosso e nero.

Invece di fronte ad un cilindro che recava le stesse caselle disposte in cerchio, una ragazza giovane e bella, dai capelli lunghi e neri teneva con grazia una pallina fra l'indice ed il medio della mano.

Doveva trattarsi della croupier, assistita da un esemplare di Alakazam.

«Benvenuto, speranzoso giocatore. Vedo che hai portato la tua fidanzata, come avevo previsto.»

Mirton percepì nella sua mente una voce. 

Doveva essere la mossa Telepatia, perché la stessa figura femminile che non si degnava di aprir bocca stava davanti a lui: la croupier dai capelli nero notte, solo per il divertimento provato nello spaventare le persone non muoveva le labbra, ma parlava.

Rimase calmo, mentre controllava con la coda dell'occhio Catlina che osservava attenta il gioco.

«È inutile che ti spieghi le regole: sai giocare meglio di chiunque altro alla roulette francese. Ma per essere sicura di vincere... diciamo che ho modificato leggermente le regole del gioco.»

Mirton volle approfondire quell'ultima espressione, troppo vaga per sembrare un minimo di inquietante. 

Gli bastò guardare il tavolo delle puntate per capirne la ragione.

Le persone invitate in quel casinò dovevano essere ricconi andati in bancarotta, nobili caduti in disgrazia o gente di mala conoscenza, abbastanza dipendenti dal gioco da tentare di arricchirsi girando una ruota in balia del caso. Fra bicchieri di vino pregiato e puntate alla cieca dovevano tenere assai al denaro, ritenendolo l'unica cosa importante al mondo.

Mirton non poté evitare di commiserarli: in passato i suoi genitori dovevano essere stati o troppo stupidi, o troppo disperati. 
Lui preferì di gran lunga la seconda opzione.

«Scusate gente, ma utilizzare soldi veri per le puntate è illegale.» Disse con tono secco, a nessuno in particolare.

«Ma così è più divertente, non è vero? - Rispose ad alta voce la croupier, sventolando i suoi capelli nero notte con la mano e ricevendo il consenso della massa di dipendenti patologici - prova tu stesso.»

E, invitando il giovane a puntare, lo ammonì telepaticamente.
«O tu o la tua innocente ragazza: scegli.»

Senza esitare, l'astuto giovane scelse di puntare su una vincita semplice.
«Settanta PokéDollari sul nero.»

Catlina osservava il collega in silenzio.

Si fece spiegare che il giovane avrebbe vinto se la pallina si fosse fermata su una casella di colore nero e che la posta in palio era il doppio della puntata. 

Mentre la ruota girava e la croupier lasciava cadere la pallina con un semplice movimento dell'indice, la ragazza dai capelli biondi rimase quasi incantata: quel gioco, per quanto basato sulla mera fortuna, necessitava di uno spiccato autocontrollo, di buon intuito e sopratutto molta risolutezza.

E Mirton possedeva tutto, con l'aggiunta di un certo fascino misterioso.

«Complimenti, il numero uscito è otto nero. La vincita è pari al doppio, quindi centoquaranta PokéDollari(*).»
Annunciò la giovane, che indossava un raffinato smoking viola scuro, una tenuta maschile che le conferiva autorità ed eleganza.

Una ragazzina più giovane servì la piccola ricompensa in un piatto d'argento.

«Allora, rilanci?» Domandò la croupier. La risposta la sapeva.

«Certo.»

Il ragazzo aveva realizzato molti anni prima che il denaro può essere ed è solo e sempre denaro. Non ha valori come la felicità o la soddisfazione, è solo metallo e carta. 

I soldi sembravano la metafora della superficialità, almeno quanto lo sguardo di Catlina: diceva solo "Yamaguchi-Hato", uno degli imperi economici più ricchi della regione di Sinnoh.

Mirton sorrise al fato. Qualche puntata fatta con cervello, buon fiuto, i numeri giusti e quei soldi sarebbero stati suoi.
on poteva comprarsi l'amore, ma almeno apparire all'altezza di quella principessa dal vestito rosa. 

Si rese finalmente e amaramente conto che a Catlina probabilmente non sarebbe mai interessato uno squattrinato, figlio di prodighi smoderati, della strada e della miseria... Se ne accorse in quel momento, dopo quasi quattro anni.

Sarebbe diventato ricco. Miliardario, schifosamente benestante per la sua dama dagli occhi spenti.

Quella di pochi istanti prima non era una vincita prodigiosa, il ragazzo lo sapeva benissimo. 

Nonostante questo gli occhi spenti e vuoti di Catlina lasciavano trapelare un velo di ammirazione mentre le sue labbra candide avevano abbozzato un sorriso.

Eppure quei sorrisi rappresentavano una sorta di maledizione interiore.

Senza alcun preavviso la ragazza dai capelli biondi si chinò a terra, come se l'avesse presa un dolore alla gamba destra, emettendo un debole spasimo.

«Catlina, stai bene?» Il ragazzo la soccorse gentilmente, prendendole la mano per aiutarla ad alzarsi. La giovane intanto aveva ripreso il suo portamento pacato.

«Non preoccuparti, devo aver storto la caviglia... Sono troppo alti per me questi tacchi...»
Ammise imbarazzata.

E dopo aver stretto la ragazza a se', come per invitarla con nonchalance a giocare con lui, Mirton le accarezzò la schiena, non intenzionato ad abbassare la guardia.

«La sua prossima puntata?» Domandò la croupier.

«Possiamo scommettere di più questa volta? - Chiese Catlina, in cerca del consenso del collega - o magari provare una combinazione diversa?»

Il giovane acconsentì, ma con cautela pensò a cosa sarebbe successo se la pallina non avesse centrato il numero o il colore desiderato: davvero in quell'ambiguo casinò era tutto in mano al destino? Il gioco era davvero così pulito e casuale come sembrava?

«Ho cambiato le regole del gioco, o non sarei riuscita a vincere.»

Ma ancora, dopo altre sei o sette puntate era sempre la coppia formata dalla fragile principessa e l'astuto giocatore d'azzardo a continuare ad arricchirsi in modo perpetuo e fruttuoso, sotto gli sguardi sconcertati dei presenti.

 

«Questa sera sembrate molto fortunati, voi due. - ammise la croupier dai capelli neri - signorina Yamaguchi, se posso suggerirle, potrebbe alzare la puntata fino ad un cavallo o ad un pieno, dato che, se permette, lei ed il suo fidanzato sembrate una perfetta coppia.»

In effetti la biondina sentiva davvero che il legame fra lei ed il suo collega che conosceva da ormai quattro anni si stava modificando: diventava più forte ed intenso, ed una piacevole sensazione d'affetto rappacificava la sua mente.

«Non riesco a muovermi. E mi fa male. Tutto il corpo mi fa davvero male... Proprio nella serata più speciale della mia vita... No, non può succedermi adesso...»

Se doveva essere sincera con se' stessa, la sua mente era l'unica parte del suo corpo che un dolore atroce non stava divorando.

Erano passati più meno tre quarti d'ora dal loro ingresso nel casinò e la giovane sentiva un dolore trafiggerle gli arti, la schiena e le interiora come mille frecce appuntite. 

Quel dolore improvviso alla caviglia aveva segnato l'inizio di queste ferite invisibili, che non squarciavano la pelle e non emettevano sangue.

Ricordava di aver provato solo una volta nella sua vita un dolore simile a quello: la volta in cui quell'incidente le aveva rovinato la vita e coperto il corpo con quelle orribili cicatrici, i memoriali per non farle dimenticare mai la sofferenza provata.

«La mia salute non ha fatto progressi da quel giorno...»

Corpo e psiche erano due universi distaccati, che agivano indipendentemente l'uno dall'altro: con questo semplice precetto Catlina continuava ad essere calma e posata, come al solito, trovando come unico sostegno il braccio di Mirton che le avvolgeva i sensuali fianchi.

«Possiamo provare?» Sussurrò la biondina al ragazzo. 

Questo si trovò costretto ad accettare.

«Un cavallo credo sia più appropriato. Scegli tu i due numeri, basta che siano vicini.»

Mirton le accarezzò la schiena che tremava leggermente, avvolta nel meraviglioso vestito rosa: quella sarebbe stata l'ultima puntata, percepiva che qualcosa in Catlina era strano, anche se era l'unico in tutta la sala. Ad eccezione di un'altra persona.

La ragazza apatica gli si avvicinò all'orecchio, mettendogli le mani intorno alla vita.

«Dodici e tredici.»

Il ragazzo non poté fare a meno di sorriderle.

«Tredici dicembre. Il tuo compleanno?»

«Ti porterà fortuna, vedrai.»

E dopo quest'affermazione, Catlina appoggiò sul bancone delle puntate una mazzetta di banconote, che doveva superare i diecimila PokéDollari.

Quella ragazza davvero desiderava un futuro di ricchezza e benessere per lo sfortunato collega, magari un futuro che includesse loro due, insieme.

«Che carina... Fossi in te la bacerei prima che sia troppo tardi.»

La voce femminile si ripresentò nella mente di Mirton, ma egli non cadde nella tentazione.

«Dodici e tredici, ed una puntata di centosessantamila PokéDollari totali.» Annunciò la croupier.

E mentre il cilindro girava e la pallina si mimetizzava nel movimento circolare, l'attenzione di tutti i presenti fu attirata verso la coppia. 

Il ragazzo però continuava a chiedersi dove fosse il cambiamento alle regole, se questo si limitasse all'utilizzo dei soldi al posto di un'unità monetaria provvisoria come le fiches.

La pallina, con generale sorpresa, cadde proprio dove non sarebbe dovuta cadere, paradossalmente.

«Il numero uscito è tredici. La vincita è pari a diciassette volte la posta.»

Detto ciò la croupier mostrò un sinistro sorriso, che pochi tra i presenti dovevano aver notato.

«Addio, signorina Yamaguchi, ora è troppo tardi.»

E con quelle parole Catlina si paralizzò, come se il suo fragile corpo si fosse crepato in mille pezzi di un dolore interiore. Una lacrima luccicante a metà dell'occhio provò che era ancora viva.

Le regole lo avevano reso un gioco di vita e di morte, una dipendenza dalla speranza e da sogni illusori, un intricato enigma irrisolvibile dalla psiche umana.

E una giovane ragazza innocente avrebbe pagato con la vita il prezzo del peccato più antico del mondo, con una morte lenta, dolorosa e misera per una gentildonna del suo rango.

«Cosa ho fatto...»

Il coraggioso ed astuto giovane sarebbe esploso in una violenta reazione, se solo la sua unica vera dipendenza, la droga dei suoi occhi non fosse ancora lì.

In piedi, ferma; con il suo fare riservato e composto, mostrando sul viso pallido la solita espressione indifferente a tutto e a tutti, accompagnata dagli stessi occhi vuoti, verdi ed inespressivi.

Neanche un lacrima o un grido: solo uno stupore ed una meraviglia potevano farsi spazio nel cuore di Mirton nel vedere Catlina ancora viva, ancora inerte a tutto quel dolore che devastava ogni nervo del suo già fragile corpo.

E la ragazza senz'anima sottoposta alla peggiore fra le torture, riuscì a proferire delle parole. 

«Questo gioco è truccato.»

Tutti i presenti la guardarono stupiti e sconcertati. Quella ragazza dai seni troppo grandi per sembrare reali doveva essere munita di uno straccio di prova altrettanto reale per contestare la loro insana cupidigia, paragonabile solo a quella della lupa dell'Inferno dantesco.

Eppure a Catlina non poteva importare di meno dell'opinione altrui, del pericolo e del dolore. 

Poteva solo reprimerli, come faceva con il desiderio di scoppiare a piangere e gridare: non poteva dare quelle soddisfazioni a certa gentaglia.

«Se non sbaglio, la pallina va gettata in senso opposto a quello in cui gira la ruota. Per le nostre puntate avete sempre girato la ruota in senso antiorario, e la pallina in senso orario.»

«Quindi, cosa intendete dire, signorina Yamaguchi?» Sabrina cominciò a sentirsi nervosa. 

Che anche quella giovane figlia di papà sapesse leggere nel pensiero come lei?

«Se fosse avvenuto così, la pallina si sarebbe fermata nelle caselle cadendoci dentro nel senso in cui gira la ruota, secondo i più banali principi fisici.

Quindi in senso antiorario.

Eppure ogni volta si è fermata dal verso opposto, in senso orario, come se avesse cambiato il senso del giro o avesse seguito una direzione opposta in partenza, violando palesemente le leggi del moto circolare.»

Prima di continuare quell'accusa pubblica, Catlina sorrise leggermente in mezzo a quel sentore che i muscoli, la pelle e i nervi le si stessero strappando. 

Incrociò gli occhi di Sabrina, che cercò di rimanere inutilmente calma, e si rivolse a lei.

«Vedo che anche tu sei esperta in Pokémon Tipo Psico: la mente umana è prodigiosa, certo, ma non ha tale potenza da influenzare l'ambiente esterno e di usare abilità come la telecinesi. Ma i Pokémon, sopratutto alcuni Pokémon ne sono capaci.

Lasciami dire che, in nome di Maestra di Tipi Psico, il tuo esemplare di
Alakazam è davvero bravo ad ammaestrare la mossa Psichico...
Ma non altrettanto a celarla.»

Appena Catlina finì di parlare, tutta la folla di giocatori d'azzardo ammutolì, in quella sala vuota. 

Il più lieve ed inopportuno dei sorrisi vagheggiò sulle labbra della bionda.
«Sembra che non mostrare la paura sia sinonimo di coraggio...»

Eppure nel silenzio irruppe la voce di uno di quei vecchi giocatori incalliti. 
«Se il gioco è stato truccato fin dall'inizio ci avete solo rubato dei soldi!»

E gli altri fecero eco.

«Tutta colpa di una croupier così affascinante... Come fidarsi delle dea della tentazione!»

Mentre tutte le menti ritardate dei presenti avevano realizzato quanto la sete di guadagno aveva fatto loro smarrire l'intelletto e la percezione dell'eccesso, Sabrina non riusciva più a reggere tutta quella pressione: il suo piano era stato sventato con una tesi, una confutazione e un'arringa pari a quella dell'oratore romano Cicerone quando sventò la congiura contro il bene comune della patria. 

E come se non bastasse, quella ragazza, che a chiunque sarebbe apparsa come una figlia di miliardari annoiata dal suo stesso benessere, presentava forse una psicologia, qualche tratto che non la rendesse simile ad una bambola di cera, bellissima ma abbastanza fragile da spezzarsi con un tocco.

«Riesci ancora a parlare, anche dopo che ti ho quasi strappato le labbra? - si riferì a Catlina, con un accenno di ansia - lo fai per amore, vero? Credo che lui - ed osservò Mirton come se si trattasse dell'indegnità impersonata - non sia abbastanza ricco, influente e meritevole di rispetto per poter comprarti quello che tu chiami amore.

Vorrei sapere tu faccia a sopravvivere senza sentimenti o emozioni, sei solo un'apatica ragazzina viziata.»

E pronunciando queste ultime parole Sabrina rivelò sotto lo smoking ben curato (riuscì a sfilarlo senza problemi, come se non avesse nemmeno le cuciture) la stessa uniforme scura che Catlina aveva visto nell'onsen, quando lei e Camilla erano state attaccate.

Neo Team Plasma.

Il punto cardine del ragionamento che la giovane aveva iniziato osservando gli spostamenti forzati con la mossa Psichico della pallina e che si concludeva con un retrogusto stantio e pietoso, che le ricordava come fosse realmente tramontata l'organizzazione dalle divise scure.

La falsa croupier dai capelli scuri estrasse con un gesto attento una pistola, la puntò contro di lei e di Mirton, che ancora reggeva il suo corpo tremante.

Due colpi risuonarono violenti, mirati con un'allegoria veramente sarcastica: non doveva aver senso puntare al cuore inesistente di Catlina; per ucciderla con sadismo voleva aspettare di far esplodere quel suo cervello, quell'ammasso informe di sogni irrealizzabili e teorie macchinose che già era corroso dal dolore più insopportabile.

Catlina poi sentì i sensi venirle meno, le membra più deboli che mai, la forza vitale che la lasciava; chiuse gli occhi per non vedere oltre.

«Noi siamo il Team Plasma. Il nostro nuovo obiettivo è l'annientamento totale delle cinque candidate al posto di Campione. I dettagli sono strettamente riservati.»

Sabrina formulò nella sua mente di chiromante, macchinatrice di sadici inganni, ma dall'impulso di una ragazza impaziente e violenta.

Non era pronta a subire lo scherno di tutta di tutte le reclute, delle sue compagne scelte, di tutta l'organizzazione per aver avuto bisogno di una pistola...

...E non aver ucciso il suo obbiettivo.

 

«Svegliati! Devi svegliarti e vivere quest'occasione. 
Sarai Campionessa se ti sveglierai, non puoi vivere per sempre di sogni.»

Una voce eterea, vuota sussurrò. Non era riconducibile a nessuno in particolare.

«Quella persona a te molto speciale ricambierà il tuo amore se ti aprirai, non puoi vivere per sempre senza sentimenti.»

Per quanto la ragazza senz'anima fosse inconscia, rifiutò ancora.

«Ma... Se mi sveglio il dolore può uccidermi. 
La solitudine può uccidermi. 
Le illusioni possono uccidermi. 

E io posso fare agli altri lo stesso male che ho provato io.»

«Svegliati, Catlina, per favore.»

Una voce profonda e gentile, ma allo stesso tempo preoccupata richiamò la ragazza alla realtà.

Catlina aprì poco a poco gli occhi: realizzò subito che tutto il dolore era sparito. 

Poi un senso di preoccupazione, di terrore e panico la spinse a guardarsi il prosperoso petto, sollevando la scollatura del vestito rosa: niente ferite. Niente colpi o segni. 

Solo le cicatrici di anni passati segnavano una traccia permanente sulla sua pelle bianca. 
Quindi non era morta, o peggio era rimasta viva dopo due colpi di pistola dritti nel cuore. 

Era solo svenuta, come stanca di vivere quella snervante situazione.

Però si ricordò di non trovarsi nel suo mondo di sogni caduchi, ma in una realtà permanente e terribile, una realtà che incorporava la persona che ora a lei sentiva più mancare.

«D-Dov'è Mirton?»
La voce soffice e fioca di Catlina suonava esattamente come quella con cui si svegliava ogni mattina.

«Il Neo Team Plasma aveva architettato un piano non solo per attirarti ed eliminarti quella sera, ma anche per guadagnare numerosi finanziamenti illeciti per le loro attività. 
Hanno allestito un falso casinò a Libecciopoli con la scusa che Unima è l'unica regione a non possederne uno.
La croupier è la stessa persona che ci ha attaccate, un membro del Neo Team Plasma, ma non la leader.»

«Non mi interessa, voglio solo sapere cosa sia capitato a Mirton.»

Catlina rispose pacata, ma comunque seria.

«Per essersi intromesso nella traiettoria dei colpi destinati ad ucciderti, è stato colpito da due proiettili in pieno petto, gli hanno quasi sfiorato il cuore. 
È stato ricoverato, ed è vivo. Ma immagino che ciò che conti è che ti abbia protetta con il suo stesso corpo... Lo ha fatto per te. 
Deve tenerci davvero a te.»

Dopo aver ascoltato queste parole, i pensieri confusi di Catlina si bloccarono un secondo sul fatto che perfino mentre le veniva riferita tale notizia, Camilla le sorrideva teneramente, tenendo ancora la testa della biondina appoggiata sulle sue ginocchia. 

Inoltre realizzò di trovarsi a casa di Nardo, e di indossare ancora l'abito di Marina.

Il cuore che per Catlina doveva essere inesistente cominciò a farle male. 

La mente della giovane non sapeva più nemmeno che cause associare all'estremo atto di altruismo del il suo "collega", o forse amico o forse qualcosa che non le era chiaro: Mirton doveva trovare davvero umiliante e ironicamente pietoso che proprio la ragazza segnata da tristi eventi, che non può mostrare ne' il suo vero corpo ne' il suo vero animo a causa di profonde, dolorose e incancellabili cicatrici, venisse ferita per la seconda volta, magari mortalmente. 

Erano solo un forte pietismo e una lacrimevole commiserazione a muoverlo?

Eppure Catlina si sentì pressoché soddisfatta di questa deludente supposizione: finché il sogno che coltivava inconsciamente da quando lo aveva conosciuto era presente, per lei era pure abbastanza.

Riuscì quasi ad immaginare il sangue sgorgargli copioso dal petto, poteva quasi percepire il suo stesso dolore. 

Volle per un secondo poter dividerlo con lui, ma si accorse che non ce l'avrebbe fatta: stava quasi per piangere come una bambina quando poche ore prima aveva percepito quei dolori localizzati su di sé. 

«Camilla, - la chiamò a bassa voce - ho bisogno di dormire.»

La giovane poi abbracciò la Campionessa di Sinnoh, percependo sulle guance i suoi lunghi e morbidi capelli biondi, sentendosi un po' a disagio. 

Camilla aveva ricambiato il suo gesto senza esitazione, ma ovviamente, dall'apatica amica d'infanzia a cui si era abituata non se lo sarebbe aspettato.

«Certo. Hai bisogno di riposarti. Mi dispiace soltanto che il tuo primo appuntamento sia andato male...» Le rispose quella.

«Tranquilla. Cose come i "primi appuntamenti" esistono solo nelle favole e nei sogni.»
Mentre la giovane senz'anima si coricava e chiudeva gli occhi, pensò a lui, ancora.

Avrebbe sognato Mirton inevitabilmente, avrebbe sperato che fosse lui ad accarezzarla, solo lui a vedere quelle parti di lei come la pelle e le lacrime che teneva celate a tutti, voleva sapere che dolcezza le sue labbra emanassero.

Per ora poteva solo immaginarlo. Ma le andava comunque bene.

 

 

«Oh... Camilla.»

«Cosa c'è Catlina?»

«Nulla... Mi è solo venuto un dubbio sul come tu abbia fatto a sapere dove mi trovavo per poi riuscire a riportarmi qui, proprio al momento giusto e senza che io me ne accorgessi, è strano...»

«Tranquilla, è stato un dovere più che altro: non appena ho sentito che il Team Plasma aveva creato tutto quel disastro il mio primo pensiero è andato a te, ho seriamente temuto per la tua sicurezza, e così sono corsa a salvarti...»

«In piena notte, facendo la strada da Ventura a Libecciopoli da sola e al buio?»

«E va bene, ho usato il telefonino per rintracciarti visto che era tardi e domani dobbiamo allenarci ma tu non hai risposto, sai che mi sono davvero preoccupata.
C-Certo che la tecnologia fa miracoli al giorno d'oggi, eh? Anche quando ti ho trovata, eri ancora perfettamente intatta, trucco e capelli compresi.»

«Certo, ti do ragione... A Sinnoh poche persone usano cellulari così sofisticati.»

«Ti ricordi? Cinque o sei anni fa usavamo le mail al posto dei messaggi, tenevi sempre sotto controllo il credito telefonico, avere la fotocamera era un privilegio e come se non bastasse...»

«...i telefonini avevano addirittura più di un tasto! Che bei tempi...»

«Quanto hai ragione, pensa che adesso perfino i ragazzini di dieci anni possiedono smartphone ultra-tecnologici di ultima generazione e li sanno usare meglio di me! Avrei voluto vederli a duellare contro i tasti per scrivere gli sms... Ah.»

«Tutto a posto, Camilla?»

«Catlina, a rimpiangere i bei vecchi tempi... comincio a sentirmi davvero vecchia.»

«Non hai tutti i torti...»

 

Behind the Summery Scenery #10

1. Visto che voglio evitare ogni genere di fraintendimento: questo capitolo (ed anche il prossimo) sono ambientati nello stesso giorno di vacanza in cui Camelia ed Anemone hanno avuto i loro disastri interiori ed Iris e Camilla ci danno la ragione per cui tutti siamo qui, lo yuri. Il salto temporale che viene fatto nel capitolo precedente dall'oggi al "domani" (il giorno dopo quello di presunta vacanza) include solo la lotta delle tre ragazze e la scena fra le due Capopalestra. Tutti questi capitoli si svolgono in concomitanza con gli eventi del sub-capitolo e della prima parte del nono capitolo, in sintesi.

2. Ho sempre nutrito una certa simpatia per la Lega di Unima: insomma, sono tutti e quattro giovani (in tutte le altre regioni gli Elite Four sono quasi ultrasessantenni, se ci pensiamo), il chara-design è ottimo e diamine, they're f***ing hot. Come se non bastasse, ho recentemente scoperto che questi quattro simpaticoni sono anche ispirati a personaggi della letteratura internazionale di grande successo! Quindi, scrittori di Efp: abbiate pietà di queste quattro anime in pena. Non basate tutto il loro IC sulle quattro informazioni che vi danno nel gioco, quando scrivete di loro.

3. Mi dispiace che Antemia qui faccia solo un cameo per fare battute. Ho intenzione di inserirla al più presto in un capitolo prossimo, fidatevi.

4. Avete mai provato a parlare con Mirton dopo averlo sconfitto? Dice una frase che ha a che fare con il fatto che non esistano solo il nero ed il bianco, ma numerose variazioni. Questa frase mi ha fatto pensare a "Cinquanta Sfumature di Grigio", perdonatemi. Ecco qui il suo IC! E poi la gente si limita a paragonarlo ad un vampiro... Provate ad immaginarlo mentre dice "Io non faccio l'amore, io scopo forte" (mai vista traduzione migliore di "f**k hard", ma dettagli...).

Update: okay, faccio un breve appello alle ragazze etero che leggono. Mi potete riferire se 50 Sfumature sia ancora una saga rilevante o sia caduta nel dimenticatoio insieme a Twilight, Moccia e Francesco Sole? Voglio sapere se sfottere ancora la James mi faccia guadagnare punti simpatia o no.

5. Anche l'interazione fra Catlina e Camilla è piuttosto limitata in questi due capitoli... Dovrei smetterla di procrastinare le sottotrame che non ho voglia di scrivere per concentrarmi sul fanservice.

6. La stesura originale prevedeva un piano del Team Plasma super-ultracomplicato in cui c'entravano i numeri totalizzati, il sistema limbico, la neurosi, ed un sacco di altre scemenze che sono state rimosse a favore di un semplice e cristallino "ora vi ammazzo tutti".

7. L'idea del casinò è una specie di desiderio represso personale, sapete, ho sempre sognato di andare a Las Vegas e fare su un bel malloppo fra roulette, slot machines e blackjack, anche se la fortuna non è quasi mai dalla mia parte.

8. Ho dovuto anche eliminare un trafiletto finale in favore di un qualcosa di più sbrigativo, una parte in cui Mirton e Sabrina dialogavano con la telepatia ed una scena sul Team Plasma. Fra tagli netti e riscrivere tali parti questo si è rivelato uno dei capitoli più difficili da scrivere.

9. Effettivamente Unima non ha un casinò, quello che ho immaginato si trova nella zone di Libecciopoli in cui nel primo gioco sorgeva il Deposito Frigo, nei sequel il Pokémon World Tournament.

 10. Chiedo venia a tutte le persone che sono venute qui per leggere di yuri e si ritrovano questo capitolo con forti accenni Mirton X Catlina. Non fatevi ingannare dall'apparenza.

  
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