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Autore: Adeia Di Elferas    30/08/2015    2 recensioni
Clarice, detta Clara o Claretta, è una ragazza di vent'anni quando sembra riuscire a coronare il suo sogno: conoscere l'uomo di cui si è perdutamente innamorata, ovvero l'uomo più potente del suo tempo, Benito Mussolini.
Una donna diventata famosa come l'amante del Duce e un amore che ha sfidato la storia e la crudezza di una guerra, iniziato in un giorno di aprile e tragicamente finito in un altro giorno d'aprile di molti anni dopo.
((Questa storia è basata su fatti storici, benché in parte io abbia dovuto romanzarla, per renderla più leggibile ed accattivante. Non ha scopi apologetici o di condanna, si tratta solo del racconto di una storia d'amore.))
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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~~ “Avevo ben fatto molte domande. A Predappio, prima di tutto, ma anche ad Ancona e perfino a Castelnuovo Scrivia.” stava raccontanto Benito: “Ma non c'era modo di farmi saltar fuori una cattedra.”
 Era un pomeriggio d'ottobre e Roma era immersa in quel clima particolarissimo che si sperimenta solo durante, per l'appunto, le ottobrate romane.
 Il vento arrivava leggero, entrando dalla finestra che Clarice aveva voluto lasciare socchiusa, per sentire il lontano profumo del mare che sembrava essere sempre lì, a ricordare come il loro primo incontro fosse avvenuto sulla via per il Lido di Ostia.
 Erano mesi, ormai, che lei e Mussolini si incontravano a Palazzo Venezia e ogni volta parlavano di qualche cosa di nuovo, aneddoti e memorie di cui nessuno dei due parlava mai con altri.
 Erano momenti così lievi e tranquilli che, ogni volta, a Clarice parevano irreali.
 Benito la invitava sempre più assiduamente, eppure, a differenza di quello che molti – famiglia Petacci compresa – pensavano, fino a quel momento il loro rapporto era rimasto del tutto platonico.
 Clarice aveva sentito parlare spesso della girandola di donne che il Duca portava nelle sue sale, e sapeva pure delle amanti storiche, come la Sarfatti... Senza contare che Mussolini aveva anche una moglie che, seppur in modo scostante e burrascoso, amava ancora molto.
 Quindi le piaceva sapere che la loro storia era diversa da tutte le altre. Lei non si sentiva una delle tante, per Benito. Lei era diversa, unica, qualcosa di puro e profondo in un mondo di decisioni difficili e compromessi infelici.
 “Sono riuscito solo a fare qualche mese alle scuole elementari a Pieve Saliceto, una frazioncina di Gualtieri...” continuò Benito, con uno sbuffo divertito.
 “Eravate un buon maestro?” chiese Clarice, cercando di immaginarselo seduto in cattedra davanti a un branco di bambini irrequieti.
 Benito sporse in fuori le labbra e si fece serio, come se si meravigliasse che lei ptesse mettere in dubbio la sua validità come insegnante. Alla fine si aprì in un largo sorriso: “Ero un disastro. Un disastro vero. Non riuscivo minimamente a farmi obbedire e c'era sempre una tal confusione...!”
 Clarice rise: “Voi che non vi fate obbedire! Non riesco proprio a figurarmelo!”
 Benito alzò le mani, come ad arrendersi: “Invece è così, lo confesso! Non avevo la stoffa, per fare il maestro. Meno male che me ne sono accorto in tempo!”
 Risero entrambi per qualche secondo, assaporando quell'istante fuori dal mondo. Per Mussolini era un sollievo avere Clarice al suo fianco. Era come uscire dal personaggio, un permesso straordinario, il poter essere se stesso senza paura di giudizi...
 “Vi piacciono i bambini?” chiese infine l'uomo, massaggiandosi il mento.
 “Non saprei...” disse Clarice, arrossendo: “Mia sorella è molto più giovane di me, quindi è come avere in casa una bambina, ma non credo sia un esempio calzante.”
 Mussolini continuava a tormentarsi il mento e a fissarla, evidentemente non pago della risposta vaga fornita dalla ragazza.
 “A voi? A voi piacciono, i bambini?” chiese Clarice, per togliersi d'impaccio.
 “Sono il nostro futuro.” rispose quasi in automatico il Duce, cambiando tono: “E poi ho avuto la gioia di avere cinque figli da mia moglie, per cui ho avuto modo di crescerli e...”
 “Dimentico spesso che avete figli...” sussurrò piano Clarice, cupa, come ogni volta che la realtà della loro situazione le si parava davanti.
 “Ve li farò conoscere, un giorno.” fece Benito, però con scarsa convinzione.
 “Li ho visti da lontano, delle volte. Come vostra moglie.” disse Clarice, quasi a dispensarlo dalla mezza promessa appena fatta.
 “Vittorio ormai è quasi un uomo. E Bruno – cominciò ad elencare Benito – è un poco più giovane, ma ha lo spirito giusto, sì, è un ottimo figlio. Romano e Anna Maria sono ancora troppo piccoli per capire come saranno da grandi, ma ho buone speranze anche per loro.”
 Clarice aveva contato mentalmente i figli che Mussolini aveva nominato e sapeva che ne mancava uno, anzi, una.
 “E vostra figlia Edda?” si permise di chiedere Clarice.
 “Mia figlia Edda ormai è una donna sposata.” rispose secco Mussolini: “Con un uomo che spero non la deluderà mai.”
 Negli occhi del Duce, Clarice lesse qualcosa di inquieto che non le piaceva affatto. Aveva parlato di sua figlia quasi controvoglia, eppure per gli altri la sua voce si era fatta morbida e colma d'amore.
 “Tutto bene? Avete dei problemi con...?” provò a domandare la ragazza, non sapendo fino a che punto poteva spingersi su un argomento tanto delicato come i figli.
 Benito la guardò con un velo di tristezza che gli appannava lo sguardo e le prese lentamente una mano tra le sue: “Edda è la mia prima figlia. Quando è nata io e Rachele non eravamo sposati. Edda è sempre stata una bambina vivace, piena di voglia di fare, di scoprire... Ah, sapete una cosa?”
 Clarice scosse il capo e fece spallucce alla domanda retorica che aveva portato un sorrisetto maliconcino sul viso di Benito.
 “A volte lo dico, anche con mia moglie: sono riuscito a sottomettere l'Italia, ma non riuscirò mai a sottomettere mia figlia!” e in quella frase c'era più orgoglio, che disappunto.
 “Fuma, mette quel costume succinto, gioca d'azzardo...” proseguì Mussolini, stringendo appena di più la mani di Clarice: “Fa tutte cose che non dovrebbe, una donna nella sua posizione...”
 “Però a voi piace, vero?” commentò Clarice, che finalmente sentiva l'amore assoluto che quell'uomo doveva provare per la sua ribelle primogenita.
 “Molto. Molto...” annuì Benito: “Di tutti è quella che assomiglia di più a me, quando ero ragazzo.”
 Clarice ebbe un momento di smarrimento, nel pensare a come invece suo padre poco si interessava a lei e sua sorella, concentrando i propri sforzi paterni nei confronti del figlio maschio, Marcello.
 Oltre a essere un uomo eccezionale, era anche un padre appassionato dei propri figli... Il trasporto del Duce per sua figlia era qualcosa di commovente, tanto che Clarice ritirò la mano che l'uomo teneva tra le sue e si voltò appena, per non permettergli di vedere la lieve patina che le si stava creando sugli occhi.
 Mussolini, per quanto non ne capisse a fondo il motivo, forse intuì ciò che Clarice non voleva mostrargli, perciò la lasciò fare e attese pazientemente che fosse la donna a parlare di nuovo.
 “Una cosa non mi spiego.” prese parola Clarice, dopo qualche minuto: “Perchè prima ne avete parlato con tanta... tristezza?”
 Mussolini si accigliò. Aveva sperato di non dare troppo a vedere la sua malinconia.
 Mentre le campane di Roma risuonavano nell'aria, ricordando a entrambi che il loro tempo, per quel giorno, stava finendo, i due si alzarono e si avvicinarono alla porta.
 “Ero un po' preda di quella strana sensazione d'animo – iniziò Benito – perchè riflettevo sul fatto che voi siete più giovane della mia Edda...”
 Clarice restò immobile là dov'era, folgorata da quella rivelazione. Ovviamente lo sapeva, ma non ci aveva mai pensato davvero. Era qualcosa di veramente strano.
 “Allora dovreste darmi del tu.” disse, sorprendendo se stessa per prima: “Se sono più giovane di vostra figlia, è assurdo che seguitiate a darmi del voi.”
 Benito la osservò un attimo, squadrandola da capo a piedi, come faceva ogni volta che dovevano salutarsi.
 Alla fine le prese la mano e se la portò alle labbra: “E sia.” disse, dopo il rapido bacio: “Diamoci del tu. Da oggi ti darò del tu, a patto che tu faccia altrettanto con me.”
 Fuori dalla porta si sentivano i passi del prossimo appuntamento di Mussolini e Clarice li avvertiva come una minaccia, un presagio del tempo che stringeva, che scivolava via... Doveva cogliere ogni occasione...
 Aggrappandosi alle braccia del Duce, Clarice gli si avvicinò e lo baciò sulle labbra, per un furtivo e impalpabile istante.
 “Va bene, Benito, ti darò del tu.” bisbigliò Clarice, mentre le sue mani restavano chiuse attorno a quelle braccia forti e sicure.
 Benito non riusciva a parlare, stordito come un pugile dopo un incontro difficile. Non era da lui non sapere cosa fare in situazioni del genere. Con un'altra donna, una qualsiasi, ne avrebbe approfittato, rubando subito un secondo bacio. Ma che andava a pensare... Con un'altra donna, non avrebbe passato mesi a chiacchierare e spulciare memorie... Con un'altra donna, il suo cuore non si sarebbe messo a battere tanto forte da assordarlo...
 Prima che il Duce riuscisse a spiccicare mezza parola, Clarice alzò la mano e l'agitò, in segno di saluto.
 L'ultima immagine che Mussolini ebbe di lei quel giorno, fu il suo sorriso trionfante e le sue guance, tanto rosse da far sembrare il suo vestito vermiglio di un rosa opaco.
 
 
 
   
 
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