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Autore: SweetNemy    30/08/2015    1 recensioni
Cambiare, all'improvviso, continente, nazione, scuola, amici, tutto non dev'essere facile, ma si trova sempre qualcuno che incuriosisce e che ci fa dimenticare, anche solo per un secondo, di essere completamente soli in una città sconosciuta.
Così è cominciata l'avventura di Iris, una ragazza rivoluzionaria e intraprendente... :3
Genere: Commedia, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Salvee :3 Grazie per essere passati a leggere e per essere arrivati fin qui :)
Spero vi piaccia il capitolo!
SweetNemy


CAPITOLO 5. L’ARCOBALENO

Scendemmo le ulteriori scale di alluminio, guidati sempre dal flash del mio cellulare, sia lodata la tecnologia! Tuttavia, il nostro entusiasmo venne subito troncato dall’acuta osservazione del prof di scienze.
-Ragazzi. – ci fermò, costringendoci a voltarci alle nostre spalle per poterlo ascoltare meglio. –Avete notato l’acqua a terra? – ci indicò il pavimento.
-Iris illumina l’acqua, per favore. – eseguii il suo desiderio, ma non capivo dove Arsène volesse andare a parare. –Non mi sembra tanto alta. – non voleva mica buttarsi? –Saranno 20-30 centimetri. –
-Quasi quasi mi butto io allora e accendo la luce. – presi l’iniziativa dopo la constatazione del mio compagno di banco.
-Meglio che ci vada io, ci vuole forza per aprire quel pannello di controllo. – rispose il biondino, probabilmente giustificandosi con una scusa: non avrebbe mai ammesso che non voleva lasciar fare il lavoro sporco a una donna.
Si tolse le scarpe e vi infilò all’interno i calzini, si tirò all’insù i pantaloni, bloccandoli con una piega in modo che non fossero scesi. Era davvero chiaro sia di carnagione che di capelli: i peli sulle gambe erano appena visibili. D’accordo, perché guardavo le sue gambe?
-Arsène, fa’ attenzione. – gli raccomandò il professore.
Il mio amico annuì in modo deciso e mi chiese di far luce sul pannello di controllo. Appoggiò il piede destro sulla superficie dell’acqua, scendendo pian piano.
-È gelata. – constatò a primo impatto, mentre appoggiava anche il secondo piede camminando lentamente in avanti.
Afferrò la maniglia del pannello di controllo e tirò con forza, potevo notarlo dai muscoli tesi del braccio. Probabilmente faceva costantemente palestra per avere un bicipite così: non era gigante, non mi sarebbe piaciuto altrimenti, ma nemmeno inesistente, era... equilibrato. Mi perdevo troppo spesso nei particolari di quel ragazzo, dannazione!
Senza rendermene conto aveva già aperto la porta e cercava con lo sguardo il tasto giusto da premere, finché il prof gli indicò la posizione.
-Vedi in alto a destra, c’è una scritta in rosso. Cosa c’è scritto? –
-Emergenza. – lesse lentamente Arsène. –Grande prof! – allungò il braccio notando che il pulsante a cui era interessato fosse troppo in alto. –Non ci arrivo. –si alzò sulle mezzepunte, ma c’erano ancora dei centimetri di scarto tra le sue dita e il tasto.
-Caron ti avrei detto più alto. – sogghignò il professore notandolo in difficoltà.
-Prof, sono sufficientemente alto per la mia età. – rispose lui a tono.
-Comunque allungati un po’, sei a meno di dieci centimetri dal tasto. – gli consigliò il docente.
-Vorrei sapere chi è il genio che ha l’ha messo così in alto. – ripeteva Arsène provando a toccarlo, mentre notava che il livello dell’acqua saliva. –Prof, so che il pavimento è fatto di piastrelle e potrei scivolare, ma se saltassi lo raggiungerei senza problemi. – detto, fatto.
Neanche il tempo di replicare che si slanciò fino a toccare e premere il tasto, mentre scendeva però si aggrappò alla porta del pannello per non scivolare e così fu: mi sorprendeva a volte la sua intelligenza! Richiuse la porta e tornò sulle scale.
-Tieni. – gli porsi l’asciugamano che probabilmente aveva portato per l’ora di educazione fisica.
Mentre si rimetteva le scarpe, il prof gli parlò con fare gentile.
-Sei cambiato molto, ragazzo. – sospirò catturando l’attenzione di Arsène. –Mio fratello ha sempre avuto molta stima di te e so che ti confidavi con lui quasi come se fosse tuo padre, e lui spesso mi raccontava le cose che gli dicevi, quindi un po’ ti conosco anch’io. Voglio solo dirti di impegnarti quest’anno, di non sprecare la tua intelligenza, qualsiasi cosa succeda o sia successa in passato. So che hai chiesto ai tuoi genitori di farti bocciare per precise ragioni, che non riguardano l’ambito scolastico, ma, ascolta, non essere orgoglioso: studia quanto puoi in tutte le materie e fai ricredere quegli stronzi dei miei colleghi. – concluse deciso un discorso che mi colpì molto, ma allo stesso tempo mi incuriosì. Arsène aveva chiesto ai genitori di farsi bocciare?
-Prof, apprezzo molto le sue parole e credo che seguirò il suo consiglio. Solo che voglio precisare una cosa... Ho chiesto ai miei di farmi bocciare perché avrei dovuto recuperare tutte le materie tranne scienze, agronomia e educazione fisica e ho preferito essere bocciato. –
-Come va adesso con i tuoi? –
-Ascolti prof, non mi sembra né il posto, né il momento giusto per parlarne. – rispose alzandosi e andando via da solo.
-Professore, perché ha reagito così? – chiesi sperando di ottenere qualche informazione.
-Mio fratello sparì a febbraio, tutti i dettagli li ho saputi dal preside stesso: so solo che i genitori sono due avvocati di successo e che non avrebbero mai accettato un figlio ripetente, per questo l’hanno lasciato da solo. –
-Cosa? Arsène mi raccontò che i suoi vivevano con lui, ma che andando via la mattina presto e tornando la sera tardi non li vedeva quasi mai. –
-Non poteva di certo dirti di vivere da solo... ci sono tante cose che vorrei sapere su quel ragazzo, ma purtroppo non posso forzarlo a parlare. Anche se vorrei che lo facesse, per il suo bene. –
-Magari vado a parlargli. – dissi dopo aver captato preoccupazione da parte del prof. –Qualsiasi cosa sia, lo opprime e deve cacciarla fuori. –
-Ti dico, spero che tu ci riesca, ma non penso che cederà tanto facilmente. – scosse la testa aggrottando le sopracciglia.
Furono parole vane quelle del mio professore, perché intanto ero già in cammino in cerca di Arsène, peccato che non avevo la minima idea di dove potesse essere.
Uscii dal corridoio cercando qualcuno che magari potrebbe averlo visto. Notai un ragazzo seduto sulle scale che beveva da una tazza fumante, mi avvicinai intimidita, ma la voglia di trovare Arsène e conoscere le ragioni del suo dolore mi diedero il coraggio di parlare.
-Ehi, scusa. Hai visto passare Arsène per caso? – chiesi nella convinzione che egli lo conoscesse.
-Chi sarebbe Arsène? – rispose con un forte accento francese, probabilmente non era di Marsiglia.
-Il ragazzo ripetente della 2D. – precisai con l’epiteto usato per indicare il mio compagno di banco.
-Ah, quel tipo biondo! Sì, è salito, probabilmente lo trovi nello sgabuzzino delle scope al secondo piano. So che ci va perché l’anno scorso vi tenne una rissa con il mio migliore amico. –
-È davvero così un cattivo ragazzo? –
-Chi lo sa, signorina... com’è che ti chiami? –
-Iris. – risposi con disattenzione, il mio pensiero era diretto solo ad Arsène.
-March. – l’avevo sentito appena il suo nome, in quel momento era l’ultima cosa che m’importasse. –Andiamo, ti accompagno. – disse notando che cercavo di concludere in fretta il discorso. –Come mai ti interessa parlare con quel tipo strambo? – mi chiese mentre cominciavamo a salire i gradini.
-M’interessa parlargli proprio perché è “strambo”! – mi venne spontanea la frase.
-Scusa ma non l’ho capita. – rispose grattandosi la testa e guardandomi.
-Lo conosco da pochissimo, penso tu abbia capito che sono straniera, però il mistero che avvolge quel ragazzo mi ispira. Voglio sapere di più su di lui e credo faccia bene anche a lui parlarne con qualcuno. –
-E io, non ti ispiro? – domandò lui dopo aver ascoltato attentamente la mia riflessione.
-Non ti conosco abbastanza per attirarmi. –
-Hai fatto due discorsi in contraddizione. Hai detto che ti piace il mistero e che non posso attirare la tua attenzione perché non mi conosci a sufficienza. Se mi conoscessi non potresti trovare un mistero in me, di conseguenza posso essere intrigante anch’io in quanto sconosciuto ai tuoi dolci occhi. –
-March, parli troppo per i miei gusti! – feci una pausa. –Hai fatto un discorso senza senso! –
-Tu dici? Beh, questa è la mia classe, sono arrivato! – notai che indicava la 3A –vai in fondo al corridoio: lo sgabuzzino si trova dopo i bagni! –
Lo salutai e lo ringraziai e mi concentrai sul da farsi.
Seguii le indicazioni del ragazzo e, dopo i bagni, trovai una porta bianca piccola contrassegnata da una striscia gialla: dato che dopo essa non vi era nulla, capii che il ripostiglio tanto cercato era davanti ai miei occhi. Aprii la porta lentamente, assecondandone il cigolio e a primo impatto non vi vidi nessuno. Camminai per la stanza scoprendo un’ala appena visibile dall’ingresso che terminava con una finestra che si affacciava sulla pista da corsa della scuola: Arsène era lì.
-Ehi. –
Si voltò di scatto, come se non mi avesse sentito arrivare e mi guardò con uno sguardo meno assente del solito, probabilmente stava pensando ed era ancora in parte immerso nel suo mondo.
-Come hai fatto a trovarmi? –
-Non c’è anima nella scuola che non ti conosca, ho chiesto in giro. –
-Bello vero? – prese a guardare di nuovo oltre il vetro della finestra. –Quello che si vede da qui è l’incontro tra un miracolo e una catastrofe. Un prato verde che circonda la pista, non è paragonabile a un miracolo della natura? Però le cose belle sono fonte, oserei dire, d’invidia per le tempeste, che le fulminano, ne intaccano la perfezione. Ma una cosa bella rimane tale, non può essere distrutta neanche da un diluvio come quello di oggi, anzi, domani l’erba arricchita dalla rugiada sembrerà ancora più bella. – si fermò per un istante. M’incantavo ad ascoltare le sue parole, ma allo stesso tempo sapevo che quel discorso non era così positivo. –Ti chiederai come mai allora guardo un film di cui già conosco la trama, in realtà mi piace guardare la pioggia tagliare l’aria, patetico vero? Pensa di distruggerla e invece forma qualcosa di magnifico come l’arcobaleno. Io sono un po’ come l’arcobaleno, bello da vedere, ma originato da una tempesta. È triste pensarci così, vero? Sembra così bello, così imponente, che quando lo vedi non pensi alla serie di eventi che l’ha portato a crearsi, ma io ci penso perché sono così. –
-Ti va di parlarmi di questa tempesta? – il suo discorso mi aveva molto scossa, ma allo stesso tempo aveva incrementato la mia voglia di sapere.
-Non ho voglia di raccontare le mie debolezze... – si voltò di nuovo verso di me –Scusa Iris, sei una ragazza dolcissima, sul serio. Ma non sono ancora pronto a raccontarti certe cose, non so nulla di te... – beh, in effetti aveva ragione: mi stavo comportando da perfetta egoista, senza pensare minimamente a come si sentisse lui in tutta questa situazione.
-La mia vita è stata abbastanza monotona, tutto ordinario. – lo rassicurai. Mentii.
-Allora perché ti sei trasferita? – ero pronta a replicare, ma non mi lasciò il tempo di aprire bocca. – E non raccontarmi la storia che tuo padre ha trovato un’offerta di lavoro migliore qui, in questo buco di paese, rispetto ad Ottawa. Non sono il tipo che segue il commercio e il telegiornale, ma mi pare che l’economia canadese vada molto meglio di quella francese. –
-Certi particolari non li conosco, è stato principalmente per cambiare aria perché nell’isolato in cui vivevo stavano succedendo cose strane. – cercai di non mentire, ma nemmeno di andare troppo nello specifico. –Ma sono venuta qui per te. –
-Ti ha mandato Soleil? – mi chiese, nella convinzione che io sapessi di questo tipo.
-Chi diamine è Soleil? –
-Il prof di scienze, Leon Soleil. –
-Ah, si chiama Soleil? Nome azzeccato per un prof di scienze direi… e comunque no, non mi manda lui, sono venuta di mia spontanea volontà. – cercai di sembrare preoccupata più di quanto in realtà lo fossi –Ero seriamente preoccupata per te. Sembravi così a disagio per una domanda normalissima. –
-Iris, se tu sapessi determinate cose su di me, non diresti che è stata una domanda “normalissima”. –
-Spero ti vada di uscire dallo sgabuzzino delle scope e tornare in classe che tra poco incomincia la lezione di agronomia. – dissi rendendomi conto che era abbastanza tardi e che la lezione era già cominciata da alcuni minuti.
-Quel tipo è svitato, non se ne accorgerà nemmeno che non ci sono. Come minimo, tra l’altro, arriverà con venti minuti di ritardo. – si incamminò verso il muro, sedendosi su uno sgabello di cui mi era ignota l’utilità in quel contesto.
-Fai come ti pare, io vado. – non so perché mi preoccupavo così tanto per quel tipo, come ha detto lui manco lo conoscevo del tutto.
Eppure aveva qualcosa che mi attraeva, mi faceva sentire titubante e insicura: forse i suoi occhi imponenti, forse quel sorriso che accennava ogni tanto, forse le sue mani che avrebbero ispirato il più completo dei pittori.
Tornai in classe sperando che il prof non fosse già arrivato e la trovai semi deserta.
  
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