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Autore: Lechatvert    31/08/2015    1 recensioni
Marguerite gli bacia piano la bocca, passandogli le dita tra i capelli color miele, e sorride. In quel momento sente di non amare che lui e i suoi occhi più azzurri del cielo, sente di non voler mai più rinunciare a quel contatto, di voler vivere per sempre con le sue gambe lisce e magre intrecciate con quelle di David. Sente la sua patria lontana, sente lontani persino i suoi fratelli che a Parigi combattono per la libertà. Vuole soltanto stare con l’enigmatico fratellastro di Gregor, stretta tra le sue braccia esili, cullata dalle melodie che lui suona tutte le sere con il vecchio pianoforte a casa dei Planck.
| 1943 |
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Berenice



Richard Strasse vive un’estate silenziosa. L’aria afosa schiaccia la frescura del mattino, soffiando con prepotenza sui palazzi di Grunewald. L'Avvocato annusa sospettoso l'aria che sa di caffè, Erwin e suo padre suonano il pianoforte e le loro note attraversano i vetri della villa con eleganza, avvolgendo con il loro calore il corteo che cammina attraverso il viale.
Facce tetre avvolte in fazzoletti color carbone popolano Grunewald, gli sguardi delle donne sono coperti da un velo scuro che penzola dai loro cappelli, i bambini ammutoliti si tengono stretti alle giacche scure dei loro padri. L'avorio della tunica parrocchiale del prete che pronuncia il Padre Nostro in latino è l'unica nota che risplende tra la folla, seguita dal sarcofago in legno del morto a cui la gente desidera dare un ultimo saluto.
L'odore dei crisantemi sulle corone si mischia con quello delle cucine dei palazzi e, per un istante, i presenti hanno l'impressione di stare camminando per le vie del mercato del lunedì mattina, con tutti i profumi delle spezie e dei sapori raffinati della carne esposta ad invadere le narici di chiunque abbia tempo per fermarsi e percepire quelle meraviglie.
Isabel sospira, intingendo il pennello nel rosso carminio sulla sua tavolozza. Con leggiadria lo alza sul muro immacolato di quell’ultima stanza ancora spoglia della sua arte, delineando sapientemente i contorni delle foglie color sangue dell’acero che vuole disegnare.
« Tesoro, è meraviglioso ».
Albert osserva l’armonia con cui sua moglie gioca per creare i suoi magnifici affreschi, rimanendone incantato. Guarda i suoi figli, intenti a conversare con la loro ospite, e cerca nei loro sguardi l’approvazione.
« Grunewald mi piace più di Charlottenburg, » afferma Gregor, giocherellando con il candelabro appoggiato per terra. « C’è più verde; la mia divisa risalta! »
Tutti scoppiano a ridere. È talmente fiero della sua promozione che non perde occasione di sottolinearla. Marguerite lo osserva sorridendo e pensa che quella, tutto sommato, è una famiglia strana ma piacevole. Isabel e Albert l’hanno accolta in casa loro nonostante si siano appena trasferiti, nonostante siano anni che tra lei e Gregor non ci sono più contatti. Stringe le spalle dopo un rapido scambio di occhiate con la padrona di casa, portando alle labbra la tazza di tè alle fragole che Albert le ha preparato per farla riposare dopo il viaggio.
Fuori il corteo ha abbandonato Richard Strasse, avviandosi verso la fine del quartiere. Nessuno, lì a Grunewald, si sarebbe mai aspettato la prematura scomparsa di quel povero ragazzo con quelle idee così scanzonate e briose.


Berlino, dicembre 1943
Le soffici note delle melodie dei signori Planck la svegliarono con discrezione, cullandola nel dolce stato del dormiveglia fino a quando non fu perfettamente cosciente di essere a bordo della vettura di suo marito, addossata al finestrino al posto del passeggero.
« Signora Heidenreich, siamo arrivati ».
Un Oberschütze accorse ad aprirle la portiera, porgendole la mano inguantata per aiutarla a scendere. Marguerite gli scoccò un’occhiata astiosa e si affrettò a portarsi sul marciapiede da sola, accarezzandosi con discrezione il ventre rigonfio a causa dell’avanzata gravidanza. Riconobbe subito la villa, ormai caduta in rovina dopo essere stata abbandonata per anni. Anche con le imposte sbarrate e il cancello chiuso con un doppio giro di catenaccio, manteneva una certa dignità. L’affresco della corona di fiori di pesco sopra l’arco della porta principale era ancora ben visibile, seppur sbiancato a causa della poca cura che quel posto aveva ricevuto.
« Signora Heidenreich? Andiamo? »
L’ Oberschütze sembrava impaziente. Ma certo, Marguerite alzò le spalle e lo seguì fino ai cancelli della villa, con tutto il lavoro che hanno da sbrigare è ovvio avere fretta di tornare a poltrire. Peccato che lei di fretta non ne avesse neanche un po’. Le ci erano volute tre settimane di moine e subdoli trucchetti per ottenere il permesso di suo marito per tornare a visitare Grunewald: non avrebbe sprecato così la sua unica occasione di rivivere il passato.
Rimettere piede in quella vecchia casa che sapeva d’estate significava molto di più che cercare un pretesto per convincere il capitano Heidenreich a traslocarci. I sapori, le gioie e le emozioni di quando aveva vissuto Berlino per la prima volta erano tutte celate dietro i catenacci di quel cancello arrugginito. Emozioni magiche, che al tempo le avevano sciolto l'anima e l’avevano trasportata via, guardandola scomparire nei meandri di una coscienza chiusa a tutto ciò che non è toccabile con mano.
Marguerite sentiva di dover tornare a camminare nella stanza dell’Acero rosso. Sentiva di dover tornare ad ammirare la perfezione con cui Isabel aveva dipinto ogni singola foglia, partendo dai rami più bassi sulle pareti e continuando il suo minuzioso lavoro persino sul soffitto.


La stanza dell’Acero rosso odora di fragole e cannella. David dorme tra i cuscini del sofà che troneggia sotto al lampadario; con la punta delle dita accarezza la schiena nuda di Marguerite, immobile sotto di lui.
Non un respiro rovina quel momento, i due ragazzi si stringono l’uno all’altra strofinandosi le guance, complici in quel silenzio che sembra durare da secoli.
Marguerite gli bacia piano la bocca, passandogli le dita tra i capelli color miele, e sorride. In quel momento sente di non amare che lui e i suoi occhi più azzurri del cielo, sente di non voler mai più rinunciare a quel contatto, di voler vivere per sempre con le sue gambe lisce e magre intrecciate con quelle di David. Sente la sua patria lontana, sente lontani persino i suoi fratelli che a Parigi combattono per la libertà. Vuole soltanto stare con l’enigmatico fratellastro di Gregor, stretta tra le sue braccia esili, cullata dalle melodie che lui suona tutte le sere con il vecchio pianoforte a casa dei Planck.
« David, davvero ve ne andrete via? » Sussurra quelle parole quasi fossero rivolte a lei e non al suo giovane innamorato. In fondo conosce già la risposta, Isabel lo ha annunciato già da qualche giorno.
David si desta dal suo sonno leggero, allentando per un istante la presa attorno alle spalle di Marguerite. « Sì, ma Gregor rimane qui con te. Torneremo prima di quanto pensi, sai? »
Le sorride, dandole un ultimo bacio sulla fronte e alzandosi per rivestirsi. La ragazza lo osserva in silenzio, seguendone con minuziosa cura i contorni del viso. Vorrebbe fare qualcosa per migliorare la sua situazione, ma è consapevole di non poter muovere neanche un passo falso per non essere espulsa dall’università. E poi lo sa, Marguerite, David è un ragazzo sveglio, uno di quei geni che se la sanno cavare sempre e comunque, nella vita.
Sospira, guardando la stella gialla spiccare sulla giacca del ragazzo. Non riesce a concepire come lui possa essere così fiero di indossarla, così orgoglioso di essere diverso, così ottimista riguardo al futuro.
La stanza dell’Acero rosso si tinge improvvisamente dei colori del tramonto, destando Marguerite da quei pensieri con un soffio di vento della sera che spezza l’afoso pomeriggio d’agosto in cui si sono crogiolati fino a quel momento. Che crudeltà, l’imbrunire.
« David, rimani qui con me ».
David le rivolge un’occhiata triste, mentre si allaccia le bretelle sopra la camicia ancora sbottonata. « Va bene, » risponde. Per un istante sembra persino credere alle sue stesse parole. « Tutto quello che vuoi ».


Varcando la soglia della villa, Marguerite rischiò di inciampare nei resti di una credenza distrutta e crollata a terra. Ad eccezione della fioca luce che filtrava dai vetri sporchi di polvere, l’anticamera era identica a come se la ricordava. Spaziosa, immensa e interamente affrescata. Uno dei piccoli capolavori che quella casa celava dietro le sue mura scrostate.
« Faccia attenzione, »  l’Oberschütze le cinse le spalle, aiutandola a superare quel cumulo di assi di legno e vetri rotti. « Desidererei riportarvi a casa tutta intera ».
In quel tono di voce così acido e anche un tantino canzonatorio, Marguerite leggeva l’angoscia. L’angoscia per qualche scheletro nell’armadio, forse, per qualche fantasma del passato che tormentava quell’uomo quasi quanto quella villa tormentava lei. In fondo, pensò, loro due erano compagni di sventura.
Non appena imboccò il corridoio, sentì la piccola creatura che cresceva dentro di sé agitarsi. Aveva paura come lei.
Deglutendo, Marguerite si accarezzò il ventre.
« Heinz, tesoro, qualcosa non va? » sussurrò, mentre il suo cuore le imponeva di proseguire attraverso la villa abbandonata.
L’Oberschütze la seguiva in silenzio, sempre pronto a sorreggerla nel caso fosse stata troppo debole per reggersi in piedi. Marguerite non si illudeva. Sapeva che tutto quell’accanimento era per il figlio del Capitano Heidenreich e non per lei, ma non le importava. Quel bambino, fino a prova contraria, era più suo che di suo marito.


« Marguerite, canta per me ».
David sorride, socchiudendo per un istante i suoi occhi celesti. Nasconde il viso nella stoffa del vestito di Marguerite, stiracchiandosi pigramente sotto al cielo grigio di Berlino. Marguerite comincia a cantare seguendo il ritmo delle lancette del suo orologio da taschino. Ricorda la canzone che Isabel  intonava spesso quando era di buonumore. Parla di un uccellino, piccolo e discreto, che vola di casa in casa portando nel becco piccole fragole di bosco.
David si accarezza il viso con le sottili dita da pianista, giocherella con la croce d’argento che porta sempre legata al collo. Ama quel piccolo gioiello; è un regalo di suo padre e non ha la minima intenzione di separarsene.
Il campanello suona, e il suo tintinnio rimane nell’aria per qualche minuto. Mentre Marguerite si alza per andare ad aprire,  fa una carezza sulla spalla del suo innamorato e sparisce dietro le tende della veranda che da sul giardino.
« Gregor! » grida, avvicinandosi all’uscio chiuso per accogliere il ragazzo. È contenta di vederlo dopo tanto tempo, dopo tutto l’inverno passato in caserma, tanto che non pensa nemmeno a controllare dallo spioncino chi sia in realtà il visitatore di quel pomeriggio.
Apre la porta di legno senza pensare, con il sorriso di chi può finalmente riabbracciare un vecchio amico stampato in faccia.
Il cobalto degli occhi dell’ufficiale dall’altra parte del portone spegne con arroganza il suo entusiasmo. Le fa cenno di tacere e immediatamente uno dei suoi uomini le è addosso, premendole con forza la mano sulla bocca che intanto cerca di urlare per avvisare David. Lui è di là ad aspettare, stanco dopo due nottate passate in bianco, il figlio che la moglie di suo padre ha avuto prima di entrare a far parte della famiglia Schwerin3.
Si dimena Marguerite, ma la stretta del soldato è gelida e forte. Qualcuno spara un colpo all’aria, probabilmente per far credere al suo amico il peggio, e un secondo dopo la villa è invasa dai militari, che frugano dappertutto con foga, nella speranza di trovare l’ultimo Schwerin sulla loro lista.
Ad un tratto, dal giardino arriva l’urlo di uno di loro. « Capitano, qui ce n’è un altro! » E di nuovo uno sparo dilaga nell’aria.
In un istante, il mondo che Marguerite ha conosciuto viene strappato e gettato ad ardere tra le fiamme come David era solito fare con i bozzetti venuti male.

La stanza dell’Acero rosso era stata completamente riverniciata di bianco. L’unico affresco di tutta la villa a dover subito la triste sorte di essere stato cancellato dalle mura domestiche su cui era stato dipinto era stato proprio il più suggestivo e maestoso di tutti. Dei nidi intrecciati tra i rami carmini dell’albero non era rimasto che un alone sul soffitto, appena percettibile nella tetra penombra in cui quel luogo era ridotto. Niente più radici che andavano ad attorcigliarsi sul pavimento di legno, niente più foglie color sangue che davano alla stanza dell’Acero quel tocco di seducente fascino per cui a Grunewald era famosa. Tutto ciò che restava di quel glorioso affresco era una stanza ridipinta di bianco, un bianco freddo e spento che metteva in risalto il cappotto amaranto di Marguerite.
Sembrava quasi di stare chiusi in una grande scatola immacolata, silenziosa e gelida nell’aspetto.
Tutto vorticava così rapidamente nella testa della donna in piedi al centro di quel candido contenitore che lei stessa faceva fatica ad udire la sua stessa voce, tanto rumorosi erano i pensieri.« Perché? » mormorò, inerte, tenendo lo sguardo fisso sul soffitto. Bianco, bianco, bianco dappertutto. Dell’acero non era rimasta traccia.
L’Oberschütze si fece avanti. « Vostro marito ha voluto così quel giorno, signora Heidenreich ».
Quel giorno. Il giorno della morte del suo amato David. Niente, in quei momenti così agghiaccianti, le ricordava il bianco. Quando ripensava a quella tragedia pensava al rosso del sangue, al blu degli occhi del marito che prima di amarla l’aveva quasi uccisa, al giallo della stella di David, al verde del giardino, al grigio dei cieli di Berlino. Di bianco non c’era niente, quel giorno.
Esausta, Marguerite si lasciò scivolare a terra, su quel pavimento di legno verniciato dello stesso colore della neve, tossendo sul bavero del cappotto.
Quel giorno, quasi due anni prima, non era stata capace di salvare il suo innamorato dalla morte. Non era stata capace di strapparlo al dolce abbraccio e, per non venire incriminata, aveva dovuto tristemente accettare il compromesso di unirsi allo stesso uomo che era stato la causa della morte di David. Gli stessi Isabel e Albert erano scomparsi per salvarla, dopo tutti i sacrifici che avevano fatto per poterla farla divenire parte della famiglia mentre studiava a Berlino, erano stati portati via senza nemmeno il tempo di salutare i loro figli.
Heinz si mosse ancora, irrequieto nel ventre materno. Marguerite avvertì quella smania con una fitta, e istintivamente si toccò la pancia, socchiudendo gli occhi con fare dolorante. Riusciva a parlare con il suo bambino, sentiva chiaro e forte il battito del suo cuoricino dentro di sé, lo sentiva gorgogliare quando cercava di farle capire i suoi stati d’animo.
E in quell’istante capì cosa la sua creatura le stesse chiedendo di fare.
« Signor Grüber, venga qui, » mormorò, cercando di tirarsi in piedi. « Mi dia una mano … »
Non appena l’Oberschütze fu abbastanza vicino, la donna gli sfilò la pistola dal cinturone, puntandosela immediatamente alla tempia. Sapeva cosa doveva fare. Né lei né il suo bambino avevano intenzione di vivere un giorno di più con quel peso.
« Signora! »
Marguerite guardò in direzione dell’uomo che l’aveva accompagnata, sorridendo amaramente. « Non avertene a  male, Gregor, sei stato un amico fidato. Ti abbiamo sempre voluto bene, sia io che David ».
Premette il grilletto senza ripensamenti, ascoltando fino all’ultimo la voce del suo bambino. Morì felice, osservando il ritorno dell’Acero rosso.
In un istante, il pavimento della stanza fu di nuovo tinto del vivo colore dell’albero che Isabel aveva dipinto anni prima con tanta cura e gioia, felice di aver trovato finalmente una sistemazione stabile nonostante i tempi difficili che la sua famiglia stava vivendo.
Il sangue di Marguerite ridiede vita all’Acero rosso della villa affrescata di Grunewald, mentre le vane lacrime dell’Oberschütze Gregor Grüber diluivano il colore facendolo scorrere verso le pareti immacolate.
Di tutto quello che il soldato si era ripromesso di rivelare alla donna del suo capitano, alla sua vecchia corrispondente, alla ragazzina di cui era innamorato nelle sue estati di bambino, non restava che un vago ricordo.
Si sedette accanto al cadavere esangue della signora, fissando atono il soffitto. Con un sospiro, cacciò indietro la lacrime, sforzandosi di non piangere per la morte della sua amica d’infanzia. Sorridendo al dolce andare dei ricordi, raccontò a Marguerite la storia della stanza dell’Acero rosso, la stanza dove, due anni prima, aveva salvato la vita a suo fratello.

« Mi hanno promosso per averti ucciso, sai? » Gregor sorride, dando un buffetto sulla spalla del fratellastro.
David ricambia, seppur poco convinto. Quando aveva visto arrivare Gregor armato aveva sudato freddo. « Sono in debito con te, » asserisce. « Cosa posso fare? »
« Nasconditi qui e non fare pazzie. Ormai nessuno verrà a cercarti a casa, sono tutti convinti che ti abbia sparato in giardino ».
« E Marguerite? »
« Lasciala stare, la riporterò qui quando sarà il momento opportuno ».
Su Berlino soffia una strana brezza, una brezza che sa di speranza e di liberazione, una brezza che forse annuncia la fine dell’estate, ma l’inizio di qualcosa di più bello. « D’accordo, » David scruta Richard Strasse, assottigliando per un istante lo sguardo turchino.  « Allora ci rivediamo qui? »
« Nella stanza dell’Acero Rosso ».
« Nella stanza dell’Acero Rosso, d’accordo ».
Gregor sorride al fratello, allontanandosi rapidamente lungo il viale principale di Grunewald. Pensa a come d’ora in poi David sarà costretto a vivere, a quanti sacrifici dovrà fare per stare accanto a Marguerite finché non sarà pronta per tornare a casa, a quali pericoli andrà  incontro d’ora in poi.
Immerso com’è nei suoi pensieri, non si accorge nemmeno di stare camminando tra la folla di un corteo funebre. Rivolge lo sguardo verso la bara di legno che viene trasportata in silenzio lungo Richard Strasse e per un istante si ferma ad ascoltare le malinconiche melodie di Erwin e di suo padre. Il profumo di caffè proveniente dalla loro villa è invitante, così come è invitante la composizione che il pianista sta eseguendo. Note leggere, messe l’una dietro l’altra in una scattante successione. Il risultato è così trasportante che Gregor dimentica persino le ansie che poco prima lo avevano assalito, tornando indietro alla sua infanzia passata a Düsseldorf, correndo sulle sponde del Reno assieme a Marguerite e quei due matti dei suoi fratelli.
E per un momento, per le vie polverose di Berlino, non c'è persona che riconosca di partecipare ad un corteo funebre, poiché tutti sono troppo occupati a tornare indietro negli anni, quando ancora si era liberi di correre per i campi senza temere il futuro. Così, mentre il fiume di persone vestite di nero procedono verso il cimitero, i figli lasciano i cappotti dei padri che si sciolgono in un sorriso, stringendo la mano alle loro mogli. Per la prima volta dopo tanto tempo e per poco più di un istante, l'ultimo saluto torna ad essere quello che in origine è stato: non un addio ma un arrivederci, un augurio di felicità da entrambe le parti che, assieme al profumo dei crisantemi e del caffè di Planck e accompagnato dalle calzanti note di Erwin, salva dalla disperazione della separazione.





Note
 
1: Grunewald, quartiere residenziale di Berlino generalmente abitato da famiglie benestanti. È stato completamente distrutto durante la guerra.
2: Erwin e suo padre, Max ed Erwin Planck. Il primo ottenne il premio nobel per la fisica nel 1918. Ancora oggi lo ricordiamo per l’omonima costante, che viene applicata solitamente in chimica.
3: Quel casino di situazione familiare, mettendola in breve è: Isabel era sposata con un certo Grüber, padre di Gregor. Dopo la morte di Grüber si risposa con Albert Schwerin, di origini ebraiche. Secondo la legislazione vigente all’epoca, Gregor è da considerarsi immune alle leggi razziali, in quanto è stata sua madre (e non suo padre) a maritarsi con una parte ebraica.

✉ Dunque, voglio premettere che questa è una delle prima storie in assoluto che ho scritto, ancora nel lontano 2010 (per non dire 2009!) e di cui un po', lo ammetto, mi vergogno. Tuttavia, ritrovandola in qualche remoto pezzo dell'hard disk non molto tempo fa, ho sentito nostalgia di questi personaggi creati e abbandonati dopo poco, a tal punto di volerli di nuovo qui con me su EFP.
Questa storia era già stata sul sito e adesso è tornata, rimessa a posto ma con gli stessi errori di un tempo.
Spero che come allora qualcuno la possa apprezzare!


Abbracci (i biscotti!),
Lechatvert

   
 
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