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Autore: SweetNemy    01/09/2015    1 recensioni
Cambiare, all'improvviso, continente, nazione, scuola, amici, tutto non dev'essere facile, ma si trova sempre qualcuno che incuriosisce e che ci fa dimenticare, anche solo per un secondo, di essere completamente soli in una città sconosciuta.
Così è cominciata l'avventura di Iris, una ragazza rivoluzionaria e intraprendente... :3
Genere: Commedia, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico
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Ciaoo a tutti e banvenuti nel sesto capitolo della storia ^^
Ringrazio chiunque la legga :3

SweetNemy


CAPITOLO 6. DUE PASSATI OSCURI

-Che succede? – chiesi a quelle dieci, forse dodici anime che si trovavano lì.
-Il prof di agronomia non c’è. È passato il collaboratore ad avvertirci. – rispose una ragazza dai lunghi capelli neri.
-Già, quando piove non viene mai perché non ha l’auto. – continuò malinconico Fin, il ragazzo di cui avevo chiesto il giorno prima ad Arsène. Quasi mi sembrava dispiaciuto che il prof non fosse venuto.
A quel punto, decisi di tornare dal mio compagno di banco. Ripercorsi la stessa strada a varcai nuovamente la porta dello sgabuzzino (che non era poi così piccolo, era più grande del bagno di casa mia).
-Arsène! – gridai il suo nome come se non lo vedessi da un millennio.
-Che succede? – chiese lui senza distogliere lo sguardo dalla finestra.
-Il prof di agronomia non c’è. –
-Lo so, non viene mai quando piove perché non ha l’auto. – rispose lui sicuro.
A quel punto mi incazzai perché la interpretai come una presa in giro, come una scusa per rimanere da solo, quando non gli faceva affatto bene rimanere da solo!
-Se lo sapevi perché diamine mi hai mandato in classe? –
-Sei andata tu, non ti ho di certo chiesto io di tornare in classe. –
-Sì, hai ragione. – risposi solo. Tutta quella situazione mi rendeva insopportabilmente lunatica. Sembravo una di quelle galline che si alterano per la più pallida sciocchezza. Non mi sentivo tradita o delusa dal fatto che lui non volesse confidarsi con me, lo conoscevo da pochissimo; ero semplicemente frustata nel vedere una persona che ho sentito speciale fin da subito, stare male così: non lo mostrava, non piangeva, né si contorceva, né gridava, ma annegava, lo vedevo che stava annegando nella pioggia oltre il vetro di quella finestra.
Risposi breve e la chiusi lì perché con tutta quella situazione mi saliva il pianto, non so perché, sembra stupido. Mi lasciavo troppo coinvolgere, a volte, da determinate situazioni. Io non sono debole, ma non ho la forza di ammetterlo. Quindi arrivo a non avere più una concezione di cosa sia la forza e di cosa sia la debolezza, non sono più consapevole del mio carattere, perdo l’equilibrio che mi ha sempre caratterizzata. Annego anch’io, con lui, ma in modo diverso, in un lago diverso. E devo cercare di non annegare anch’io perché altrimenti non potrei salvare lui da quelle acque impervie più, forse, delle sabbie mobili.
Quel nodo in gola diventava sempre più forte, che alla fine fu difficile trattenersi. Mi allontanai dal transetto di quella stanza, appoggiandomi al muro affianco alla porta, dove lui non poteva vedermi e iniziai a far scendere le lacrime, curandomi di non singhiozzare affinché non mi avesse sentito.
Avevo dimenticato, però, che aveva una grande intelligenza e una grande logica e non ce ne volle molta a ricordare di non aver sentito il suono della porta chiudersi, aveva capito che ero rimasta, ma che non potevo stare nell’ala con lui.
Si alzò e oltrepassò il muro, potendomi così guardare, in quello stato.
Non me lo aspettavo.
Appena i suoi occhi incrociarono i miei, coprii il viso con una mano e con l’altra girai la maniglia uscendo dallo sgabuzzino e camminando verso i bagni. Tuttavia, il mio intento non riuscì perché Arsène mi bloccò per il braccio dopo che ebbi lasciato la porta e mi costrinse a tornare nella stanza.
-Perché adesso piangi? – quell’adesso era peggio di ogni offesa del mondo, sottolineava un cambiamento di stato, lo so, l’ho ammesso a me stessa che stavo apparendo lunatica; ma la pesantezza con cui l’aveva detto era...sì: terribile!
-Nulla, lasciami. – cercai di divincolarmi, ma la sua presa era ben salda. Mi tornò in mente la faccenda del bicipite nel pannello di controllo e mi salì l’imbarazzo.
-Ti ho mandato al manicomio col mio modo di fare e sfoghi così – disse ironicamente – o c’è altro? – questo con aria da chi sa già tutto. Ovviamente era una strategia, lui non sapeva nulla.
-C’è altro in effetti. C’è che io non ho mai ritenuto una persona interessante perché sembrano tutti uguali, sembrano fatti in industria, geneticamente sono diversi, ma si comportano tutti allo stesso modo. Tu, invece, non sei come gli altri, sei una persona che vorrei imparare a conoscere ma tu ti tieni dietro una barriera. – non so perché lo dissi, in quel momento ero così vulnerabile che confessai tutte le mie debolezze.
-Il motivo per cui non ti ho mandato a quel paese e non ti ho impedito di restare è che vedo una potenziale amica anch’io. Ma tutto deve avvenire per caso, non si forza mai nulla. Non voglio parlarne adesso perché sono cose delicate, ma se hai bisogno di qualcosa sono qui. – mi scompigliò la folta chioma dorata fissandomi con i suoi occhi blu. –Non piangere per me, in generale non piangere per nessuno. Piangi solo per emozione, felicità.  La gente gode vedendo piangere gli altri. –
Gli sorrisi. –Grazie biondino. – sono un’idiota. Biondino? Penso che Arsène davvero mi abbia fatto diventare pazza.
-Farò finta di non aver sentito la seconda parte, ho i capelli color paglia smorta. I tuoi sono molto più belli, sembrano dorati.  – affermò sollevandoli.
-Adesso vado in palestra, mi ambiento prima di iniziare la lezione. –
-Lezione? Basta che vede toccarti una palla, per lei va bene. È gioco, svago, non lezione. –
-Vado lo stesso, perché non vieni anche tu? –
-Credo che resterò qui un altro po’. Ci vediamo dopo. – si avventurò di nuovo dietro l’ala dello sgabuzzino e io varcai la soglia per uscire.
Uscendo, mi incamminai verso la rampa di scale e vidi un simpatico giovanotto appoggiato al muro: il tizio che mi aveva accompagnata prima da Arsène, non ricordavo neanche il suo nome, così decisi di ignorarlo. Tuttavia, lui non fece lo stesso.
-Signorina, si saluta. Non sia maleducata, non le si addice. –
-Devo risponderti? – dissi altamente seccata.
-Ho sempre avuto un debole per i capelli biondi, sai? –
-Abbiamo una cosa in comune allora. – gli guardai i capelli. – Uh, che peccato, sei moro! –
-Te l’hanno mai detto che sei un po’ stronza? –
-Solo con chi voglio. –
-Ho un debole per le stronze, sai... Iris? – il modo con cui pronunciò il mio nome mi inquietava parecchio. –Dimmi un po’, ti ricordi il mio nome vero? –
-Iniziava con la “m”. – in effetti, seriamente non lo ricordavo. –Mi sembra. –
-Stronza fino al midollo, March. Come fai a non ricordare il nome di un ragazzo così affascinante? – si ingigantì pesantemente, il suo ego era più grande di Giove!
-Forse perché non ti ritengo così “affascinante”. – risposi a tono. Sì, mostravo il mio lato peggiore in compagnia di quel tipo. Mi urtava tremendamente.
-Il mio ego non viene intaccato dalle tue affermazioni senza senso. – spostò lo sguardo verso l’alto.
-Oh lo vedo, credimi. – sì. in effetti il suo ego era più grande dell’intero sistema solare. –Come mai non sei in classe? –
-Ho l’ora di scienze e ho dieci in scienze. Ho detto al professore che avrei dovuto completare un progetto per l’esame pratico del primo trimestre e lui se l’è bevuta. –
-Sei un secchione quindi? –
-Un secchione figo. – quanto cavolo poteva essere irritante quel tipo? Era il tipico francesino del cazzo con il ciuffo a onda e il nasino all’insù, lo stereotipo che speravo di non trovare qui.
Scesi le scale e mi ritrovai di fronte il prof di scienze intento a salire, lo salutai.
-Hai parlato poi con Arsène? – mi chiese desideroso di sapere.
-Certo prof, ma non mi ha voluto dire nulla riguardo quella faccenda. Credo sia anche giusto così, magari è troppo presto per parlarne con me, mi conosce appena. –
-Credo che per scoprire qualcosa in più su di lui bisogni pedinarlo. – allora non sono l’unica malata che l’ha pensato, feci finta di nulla però.
-Pedinarlo? – ripetei – Ma lei è matto? –
-No. Ma non dirmi che l’idea non ti entusiasma. Insomma, potremmo scoprire qualcosa. – si fermò per un istante vedendo la mia faccia perplessa – Ascolta, adesso non vedermi come un professore, vedimi come se fossi un tuo amico e dobbiamo pedinare la sua ragazza perché lui crede che lei lo tradisca. – mi fece un’espressione per chiedere la mia approvazione.
Tanto per dire la verità, avrei voluto farlo fin dal primo giorno ma visto che c’è un professore con me, che comunque conosce la città, conosce i posti e, soprattutto, le vie di fuga si potrebbe fare.
-Va bene professore, oggi non ho ricevuto compiti per casa, quindi subito dopo scuola lo seguiamo. – non vedevo l’ora, ma cercavo di non farlo notare troppo.
-Bene Iris, intraprendenti! Speriamo solo smetta di piovere. – dopo una breve pausa riflessiva continuò –Se pur piovesse ho l’auto, al contrario del prof di agronomia. – mi lanciò un’occhiata complice e riprese a salire le scale.
Io, al contrario, ripresi a scenderle, finché una voce arrestò il mio intento.
-Signorina, non ti facevo il tipo da improvvisare pedinamenti coi professori. – di nuovo quel tipo, dannazione!
-Ma hai origliato? –
-Ho sentito la tua voce soave provenire dalle scale e così mi sono avvicinato e ho ascoltato. Nulla di particolare, solo che devi pedinare qualcuno subito dopo scuola con il professore Leon Soleil. –
-Faccende private. – cercai di essere breve per togliermelo dalle scatole.
-Sì? Ma se lo conosci da meno di un giorno? – perché questi ragazzi avevano una logica tale da farmi inventare bugie su bugie per sostenerla? –Comunque sia, pedina chi vuoi. Ti andrebbe di uscire però, quando hai finito? –
Possibile essere così intelligenti e allo stesso tempo così idioti? –Non mi sembra la giornata ideale... – riuscivo ancora a mantenere un certo contegno.
-Mio padre è laureato in meteorologia col massimo dei voti, mi ha riferito che verso le diciotto smetterà di piovere. – non bastava vantarsi di sé, adesso iniziava a vantarsi anche del padre.
-Comunque sia non uscirei mai con un tipo come te. – chiusi la conversazione, intenta ad incamminarmi.
-Se non accetti di uscire con me oggi, andrò a dire a quel tipo strambo che vuoi pedinarlo. – come cazzo sapeva di Arsène? – non ci vuole un genio per capire che stavate parlando di lui e modestamente io lo sono. –
Tu non sai neanche cosa sia la modestia, razza di filibustiere ricattatore. Cominciavo ad avere istinti omicidi nei riguardi di questo tipo. Stetti al suo gioco: la mia “missione” aveva la priorità.
-E quindi hai bisogno di un ricatto per uscire con una ragazza? Hai toccato un tasto dolente, d’accordo usciamo. –
-Alle sei fuori scuola. Ci divertiremo, vedrai. – okay, adesso aveva assunto la tipica espressione da maniaco.
  
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