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Autore: Relie Diadamat    02/09/2015    5 recensioni
Merlin, ventenne suonato, si ritrova costretto a lavorare al fianco del suo inseparabile Asino, nel bar aperto da quest'ultimo. Con loro c'è Freya, la dolce ed ingenua fidanzata di Merlin, che Arthur detesta.
Tutto cambia un giorno, quando il giovane Pendragon rivela ai suoi colleghi un cambio di programma.
*
[Dal Cap. 1]
«Non saremo i soli a gestire il bar.» continuò Arthur, serrando lievemente la mascella, evidentemente quella non era stata una scelta del tutto condivisa dal biondino «Mia sorella Morgana ed il suo fidanzato Mordred saranno dei nostri.»
Il cervello del corvino si resettò in un lampo.

*
[Cap. 6]
«Io non voglio condividere proprio niente con te, Aridian.» sibilò, serrando lo sguardo.
«Strano…» Unì tra loro le mani, aggrottando la fronte «La droga la dividevi volentieri.»

*
[Cap. 13]
«Quella stronzata che sono attratto dal tuo ragazzo. Come ti è venuta in mente una cosa simile?»
«Perché io ti ho visto, Arthur. Ho visto cosa diventano i tuoi occhi quando lo guardi».

*
[Cap 11]
«Io ti avrei amata per sempre».
*
*
[Freya/Merlin/Arthur] [Mordred/Morgana/Merlin] [Freya/Merlin/Morgana] [Merlin/Arthur/Mithian] [Elyan/Mithian/Arthur] [Kara/Mordred/Morgana] [Freya/Gwaine]
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Freya, Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù, Merlino/Morgana
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Nda: Buon salve a tutti!
Non ci credo nemmeno, ma questo è - per il momento - il capitolo più corto che io abbia scritto *-* (Mi sento soddisfatta).
Vorrei prima di tutto ringraziare Adebaran per la dritta medica (e magari maledirla visto che mi sta facendo piacere il personaggio di Freya). Grazie!
Ringrazio tutti coloro che, come sempre, leggono in religioso silenzio; un grazie alle dolci persone che continuano ad aggiungere la storia nelle preferite/ricordate/seguite ed un grazie a tutti coloro che recensiscono.
In questo capitolo ci saranno dei missing moments approfonditi successivamente. 
Premesse: il simbolo (*) indica un passaggio dal presente ai ricordi o viceversa; il simbolo (**) vuol dire che si è tornati alla situazione iniziale.
Il collage fa schifo, ma fate finta di apprezzarlo. Ho cercato le immagini più idonee e, spero, di esserci riuscita.
Infine, dedico questo capitolo ad una persona che - forse - non lo saprà mai. Una persona speciale - nel senso negativo del termine - con cui questa storia è iniziata. Lei era al mio fianco a commentare ogni cosa, ora non c'è più - no, non è morta ma viva e vegeta! - e la storia continua lo stesso. Non so se continua a seguirmi o se si accontenta delle vecchie pagine su Word quando gliele passavo, anyway, questo capitolo è soprattutto per lei: l'altra faccia velenosa della medaglia, che ha lasciato un brutto vuoto che saprò colmare.
A voi tutti una buona, spero, lettura.
 
 
 
XIII.Aromi inaspettati, sapori segreti (Parte II)
 
 


 "E' più facile perdonare un nemico che un amico"
- William Blake
 
 
 
Non guardarmi in quel modo, non fingere che non lo sapessi fin dall’inizio.
Lo aspettavi. Sapevi ch’era sbagliato, ma lo aspettavi.
Come quella volta in cui ha deciso: «Basta con la Nutella.» e poi ti sei diretto con passo felpato in cucina, dove sapevi di trovarla. Sei restato lì a fissarla, come a costringerla a farsi mangiare da te; si sa: se osservi una cosa per troppo tempo, alla fine la desideri.
Alla terza cucchiaiata ti sentivi in colpa.
Ricordi come ti giustificavi: «Solo per questa volta, da domani smetto».
C’è davvero bisogno che io ti dica la verità – quella che anche tu conosci perfettamente?
Non guardarmi in quel modo, l’aspettavi.
Sapevi perfettamente che l’importante non era non mangiarla, ma calibrare bene le dosi. Eppure ti sei ripromesso: «Solo per questa volta, da domani smetto».
Non guardarmi in quel modo.
Non hai mai smesso.
 
 
 
 
 





Se n’era stato così immobile su quelle stampelle, la spalla a sfiorare lo stipite della porta e la gamba ingessata, da non accorgersene.
Le labbra carnose erano distese in una strana linea retta, quasi mantenuta appena, quasi volesse dire qualcosa. L’osservava mentre il sudore gl’imperlava la fronte, le gote arrossate e la bocca smorta. L’osservava con un misto di sentimenti simile al menù assortito del Pendragon’s: vario, da avere quasi l’imbarazzo della scelta.
Era rimasto fermo a sorreggersi sulle stampelle per molti minuti, guardandolo dormire e combattere con la febbre.
Ricordava di aver ignorato ogni effetto sonoro del mondo guardando su quel letto, ricordava di aver sofferto nell’essersi riscoperto così tradito e coinvolto allo stesso tempo. Ricordava di aver chiesto all’aria: «Solo altri cinque minuti».
Morgana aveva avuto come l’impressione di essere stata soffocata. «E’ tardi, Arthur. Mordred ci sta aspettando.» Si strinse l’anulare tra le dita con forza. «Freya e Gaius sono appena tornati; si occuperanno loro di lui.»
Il biondo non reagiva, continuava a fissare il corpo di Merlin avvolto nelle lenzuola.
«Arthur, non dovresti neanche stare in pied-»
«Ti ho chiesto solo cinque minuti del tuo stupido tempo; ho preteso troppo?!» Gli occhi blu del Pendragon erano saettati verso il suo volto, arrabbiati, animati da una strana luce, quasi una scia di delusione.
Morgana si morse l’interno labbra afferrando il fratello per un braccio, senza mollare la presa neanche quando cercò di ritrarsi; lo costrinse sulla sedia a rotelle. «Mordred ci sta aspettando», rimarcò.
«Non m’importa nulla di Mordred», biascicò a denti stretti, mentre la sorella lo trascinava via da lì, via da Merlin.
Quando nel corridoio Gaius incrociò gli occhi del biondino, Arthur vi lesse ansia sul suo volto. Nessuno dei due proferì parola finché i due fratelli non ebbero l’ex medico di spalle.
«Sarà solo un po’ di febbre alta», li rassicurò l’anziano, con la sua voce pacata. «Freya tende ad ingigantire troppo le cose.»
Arthur tuttavia non si voltò, né chiese a Morgana di fermarsi. Mosse solo una mano, pigramente, in segno di saluto affidandogli il giovane Emrys senza ripensamenti.
 
 
 
 
 
Qualche ora prima…
 





La giornata al bar si stava rivelando intensa come non mai: un tizio, un certo Jonas, aveva tentato di ferirsi nel bagno del Pendragon’s Coffee, lamentandosi poi del dolore che si era inferto da solo. Per fortuna, Jonas pareva un povero idiota con una bassissima soglia di sopportazione del dolore, che non aveva fatto altro che prendere a pugni il muro chiaro della toilette.
Gwen e Freya erano state così premurose da catapultarsi sull’uomo come chiocce apprensive, mentre Arthur – allibito – diceva loro di farlo accomodare ed offrirgli qualcosa.
Era un uomo stravagante dall’aspetto discutibile.
Arthur si fermò a pensare che Merlin – se presente – l’avrebbe pensata come lui, per poi riprenderlo come una donna petulante.
Eppure, l’ossuto e appena guardabile avventore, s’era deciso a vuotare il sacco solo dopo tre Tequila – perché l’alcool aiuta ad affrontare i problemi – e a metabolizzare il fatto che sua moglie, Catrina, lo avesse lasciato per un altro solo con l’aiuto di quattro bicchieri di Vodka – perché l’alcool aiuta a dimenticare.
Freya, in quel momento, fu sicura solo del fatto che Jonas avrebbe vomitato, passando nel modo peggiore la sua giornata più orrenda. Arthur, dal suo canto, teneva il conto di quanti soldi avesse regalato nell’arco di quella giornata tra la birra di Gwaine, i due Marocchino di Gwen e i sette drink di quel tizio. Ginevra, invece, era l’unica che parlava con l’uomo – stomachevole – seriamente interessata.
Ad Arthur fecero specie i discorsi dell’ex sul tradimento e l’abbandono, tanto che dovette arricciare il naso e offrirsi da bere da solo.
Finta moralista.
Probabilmente avrebbe accettato di più buon grado discorsi sul vero amore da Gwaine, elogi sull’autostima da Freya e monologhi sulla sincerità da Merlin e Morgana.
«Non è colpa sua, Jonas. Magari doveva andare così: forse lei non era la donna giusta… Forse era solo arrabbiata, potrebbe ritornare…» e bla bla bla. Tante cazzate, aveva catalogato Arthur mentre sentiva Gwen parlare al tizio.
Ginevra, col suo falso ottimismo, aveva provato in tutti i modi di tirar su di morale l’uomo che aveva ancora le lacrime agli occhi, non facendo altro però che accentuarne il pianto.
«Non posso vivere senza di lei. Catrina è mia moglie, la mia casa, il mio tutto! Cosa farei se non dovesse tornare? Cosa ne sarebbe di me?!» Jonas era disperato; singhiozzava in modo così goffo per Arthur che quasi gli venne da roteare gli occhi o crederlo un attore di tragedie.
«Ora basta», a parlare, sorprendendo i due ex, fu Freya. La ragazza cercò di drizzare la schiena, assumendo un’aria vagamente sicura. «Deve smetterla di piangersi addosso perché lei non tornerà.»
«Io credo che…», cercò di venirle contro Gwen, vedendo l’espressione distrutta di Jonas; Freya però non volle saperne niente, così prese posto difronte al cliente, puntando i suoi occhi di terra umida in quelli addolorati dell’uomo: «Lei non tornerà, Jonas, Catrina ha scelto lui. Fa male, lo so, all’inizio sembrerà difficile, ma lei può farcela. Può vivere senza sua moglie, Jonas. Per quanto possa sembrarle assurdo e doloroso, può farcela, deve farcela. Perché non è colpa del Destino se lei ha scelto un altro uomo, la colpa è vostra: qualsiasi cosa accada in una relazione la si decide in due, ma lei non scelga di amarla anche quando sua moglie ha scelto un altro uomo al vostro amore».
Cercò di dedicargli un mezzo sorriso, poggiando la propria mano su quella dell’uomo. «Lei deve andare avanti. Non si limiti ad essere la seconda scelta, non si blocchi a quest’errore di valutazione: la vita va avanti, Jonas, non si ferma ad aspettarci.»
Arthur la guardò di sottecchi, seduto su uno sgabello. Ricordava le parole di Tristano e, per un momento, si accorse di quanto lui e Freya fossero simili in amore. Erano stati traditi entrambi, tutti e due dal loro primo amore. Quelle parole, quelle dell’insicura ed ingenua Frida, erano sicuramente più vere ed utili di quelle di Ginevra.
«Come… Come faccio?», chiese l’avventore, con lo sguardo triste e gonfio. «Come faccio ad imparare a vivere senza di lei?»
Freya prese aria inspirando velocemente. «Un passo alla volta. Una notte insonne alla volta… Magari anche un bicchiere di Vodka dopo l’altro…», rise, contagiando per un breve attimo anche l’uomo.
«Magari non tutti nel mio bar», mormorò il biondo, beccandosi un’occhiataccia dalla ex.
 
 
 
 




















Merlin aprì gli occhi controvoglia, sentendosi la testa pensante come una palla da Bowling.
Realizzò di essere nel suo letto, senza indumenti, solo dopo qualche secondo. Avvertì un fastidio al fianco, all’altezza del ventre. Cercò di ignorarlo, tentando invano di voltarsi verso l’altra parte del letto. Era vuota, disfatta.
Morgana non c’era, era andata via.
Si morse il labbro, sconsolato dalla prospettiva di essere stato abbandonato durante il sonno, cercando con lo sguardo qualsiasi cosa potesse riportarlo alla realtà. La sveglia.
Erano appena le quattro del pomeriggio… Quanto tempo aveva speso dormendo come un tasso?
Sentì un forte senso d’abbattimento lungo la pelle, quasi fosse diventato di colpo più vecchio. Con la guancia rasata contro il cuscino e gli occhi glauchi semiaperti, scorse qualcosa che non aveva ancora notato fino a quel momento: una canotta rosa, gettata senza cura, riposava su una sedia di legno accanto alle pile di cd e gli scatoloni delle scarpe.
Freya, pensò ed il cuore gli si strinse nel petto, sentendosi maledettamente in colpa. Freya non lo meritava, Freya non meritava un ragazzo stupido e codardo come lui. Avrebbe dovuto dirle tutto dal principio e invece se n’era stato zitto, trascurandola, cacciandola fuori dal suo mondo.
Freya sembrava la risposta a tutte le sue domande e lui le voleva molto bene, ma poi Morgana era tornata e tutte le sue certezze si erano sciolte come cera.
Doveva rivestirsi, immediatamente.
Si rimise in piedi a fatica, con la testa che girava come una trottola, cercando frettoloso i suoi vestiti.
Riuscì ad indossare solo i boxer ed i pantaloni prima che quel dolore insopportabile lo costringesse a fermarsi. Non poteva farsi ritrovare in quelle condizioni, non dopo la lite della sera precedente. Si concesse solo qualche secondo per sedersi e gestire il dolore fastidioso alle tempie.
Non fare la femminuccia, Merlin, si rimproverò da solo, tenendosi la testa tra le mani. Stava da schifo, ma non era solo senso di colpa il suo: stava da schifo per davvero.
Gli occhi diventavano sempre più pesanti, il cranio un disco impazzito nel lettore dvd.
Senza neanche accorgersene, s’accasciò sul letto, con le palpebre abbassate.
 
 






 
La sera prima…
 






«Perché hai detto una cosa simile ai tuoi genitori?», la interrogò il biondo, seduto sulla sua inseparabile carrozzella.
«Non lo so», ammise. «Mi sembrava la cosa giusta da fare».
«Io non… Non mi riferivo alla storia del finto fidanzato…»
«E a cosa?»
Arthur abbassò gli occhi per un istante, per poi inchiodarli sul volto di Freya. «Quella stronzata che sono attratto dal tuo ragazzo. Come ti è venuta in mente una cosa simile?»
La mora lo guardò intensamente, in quel blu straordinario delle sue iridi, lasciando le parole libere di uscire dalla propria bocca: «Perché io ti ho visto, Arthur. Ho visto cosa diventano i tuoi occhi quando lo guardi».
Arthur sbuffò una risata. «Tu sei tutta matta».
«Tu puoi negarlo finché non sarai costretto ad ammetterlo a te stesso, ma io so cosa si prova. Anche io lo guardo in quel modo.» E Merlin guarda lei così, avrebbe voluto aggiungere. «Certo, dover competere con te mi secca, ma ormai ci avevo fatto l’abitudine… Dover competere anche con Morgana è un altro conto», borbottò.
«Morgana? Cosa c’entra Morgana?»
Freya cacciò l’aria dalla bocca, abbandonandosi contro il divano. «Insomma io posso accettare di tutto, ma non saperlo solo con la sua ex – di notte, per giunta – e col cellulare spento!»
In quell’istante, in quel preciso istante, Arthur sentì il mondo cadergli sulle spalle, inchiodandolo al suolo. «Cosa… Cosa ti fa pensare che loro due siano ex?», cercò di schernirla. «Lui è… E’ Merlin e lei è Morgana. Sono due universi distinti e separat-»
«Me l’ha detto lui, Arthur. Non sono matta, non sono una povera pazza. Me l’ha detto lui.»
 


*



Arthur si mantenne la radice del naso tra l’indice ed il pollice, cercando di scacciare via i brutti pensieri. Si sentiva tradito, preso per i fondelli. Come aveva potuto, Merlin, fargli questo? Loro erano una squadra! Come aveva potuto?
«Io ho finito il mio turno», lo avvisò Freya slegandosi i capelli castani, lasciandoseli ricadere sulla schiena.
 


«Ma tu davvero non ne sapevi niente?»
«No», fu la risposta secca dell’altro.
 



«Ci vediamo domani».
Arthur sembrò sorriderle per una frazione di secondo, per poi tornare serio in un attimo. «Ehm, appendi questo alla vetrata», le disse porgendole un cartoncino.
La mora se lo rigirò tra le mani lasciandosi scappare una risata divertita. «D’accordo, capo.»
Una volta varcata l’uscita del Pendragon’s Coffee – ed aver appeso con lo scotch il foglio di carta sulla vetrata -, Freya percepì la leggera brezza del tardo pomeriggio. Era passata mezz’ora dalle cinque e l’aria s’era fatta più fresca rispetto qualche ora prima. Il sole sarebbe calato solo dopo le otto e, sorpresa di sé, Freya riscoprì di non aver alcuna voglia di tornare a casa. Qualcosa di dolce. Qualcosa di dolce e fresco, ecco di cosa aveva bisogno!
 
 







Se c’era una cosa che Freya adorava di Londra erano i parchi, quegl’immensi e verdi parchi popolati da graziosi scoiattoli; ci sarebbe sicuramente passata dopo aver comperato il tanto ambito sfizio.
Mentre camminava lungo il perimetro del parco, gettava continue occhiate verso il lato opposto della strada sperando, magari, di trovare qualcosa che facesse al caso suo. Si fermò notando l’Avalon’s Coffee. “Non si accettano troll, Mangiamorte e pessimisti”, recitava la lavagnetta vicino l’entrata. Alla ragazza fece sorridere così, decise di entrare.
Era un locale molto elegante, ma non troppo da stonare col quotidiano. Le poltroncine di pelle verdi erano disposte in una fila ordinata accanto alle vetrate, con tavolini rotondi a completare l’opera. Si avvicinò al bancone sorridendo a capo basso. «Un milkshake alla fragola, senza panna».
La donna, quasi eterea con i suoi setosi e lunghi capelli biondi, le sorrise dall’altro lato del bancone, mettendosi all’opera.
Roba d’altra classe…
Mentre aspettava pazientemente il suo frappè, un ragazzo in camicia scura e pantaloni a sigaretta si avvicinò, posando rassegnato il cellulare nelle tasche. «Non pensavo fosse così grande Londra.» Lo strano accento francese, che tanto discordava con quell’inglese quasi perfetto, giunse alle orecchie della mora come un qualcosa di fastidioso; una sorta di allarme che le ricordava, ancora una volta, il nome del problema: Morgana.
Decise d’ignorarlo, Freya, non degnandolo neanche di uno sguardo mentre attendeva il suo milkshake.
«Guardando Google Maps sembrava molto più semplice…», brontolò ancora.
«Senti. Se ci stai provando faresti meglio a tacere: sono stanca degli uomini conosciuti nei bar, portano solo guai!» La pelle di Freya si tinse lievemente di rosso quando si accorse che il ragazzo la stava guardando come se fosse un’extraterrestre.
«Non ci sto provando» la rassicurò, la fronte aggrottata nascosta dai ricci castani. «Sono fidanzato».
La mora, che dentro sé stava morendo dalla vergogna, si fiondò sul suo frappè rosa, prendendo un lungo sorso dalla cannuccia, dopo aver pagato il conto. Si era voltata sperando, con tutte le sue forze, che il bel francese si dimenticasse della sua inutile presenza.
«Veramente… sono un fidanzato disperso, nel senso che credo di essermi perso. La mia ragazza mi ha dato le giuste indicazioni, ma io non ci capisco niente», ammise.
A Freya scappò un sorriso. «Come quella commedia di Woody Allen. Quella in cui la ragazza si perde tra le strade di Roma.»
Il francese assentì: «Già.» Anche se in realtà non aveva la più pallida idea di che cosa stesse parlando. Ad ogni modo, era riuscito ad avere la sua attenzione: condividere un pensiero sembrava un’ottima mossa. «Devo raggiungere il Pendragon’s Coffee. Sai dirmi dov’è?»
«Potrei dirtelo, ma prima credo ti convenga ordinare qualcosa qui.» Scherzò su lei, indicandogli col mento la dolce commessa angelica.
«Veramente sarebbe piuttosto urgente. La mia ragazza ancora non lo sa che sono a Londra e volevo farle una sorpresa. Lei lavora lì e…»
Solo in quel momento, Freya parve collegare tutti i tasselli del puzzle.
«Tu sei Mordred!» esclamò, gli occhi scuri buffamente spalancati.
Il giovane sembrava quanto meno confuso dal comportamento bizzarro di quella ragazza. «Sì», affermò perplesso.
Quell’insolita serenità nata sul volto della mora lo lasciò disorientato quanto stranito, quasi quella ragazza gli stesse dicendo: «Sei la soluzione ad ogni mio problema».
 
 
 


















Quando verso le sei e quaranta della sera Morgana fece il suo ingresso nel bar, il fratello la guardò come se l’avesse vista per la prima volta.
Gwen aveva continuato ad insistere nell’offrire il suo aiuto, ma Arthur l’aveva prontamente rifiutato ogni volta, finché non si vide costretto a cedere ed accettare: servire i tavoli ed essere contemporaneamente presente alla cassa non era un’impresa facile – soprattutto se costretto su una sedia a rotelle e con una gamba ingessata.
Trattenne la rabbia, Arthur, già ferito nell’orgoglio di suo. «Alla buon’ora!» la canzonò, vedendo sua sorella prendere posto dietro il bancone.
«Va’ a casa, Arthur. Qui posso pensarci io.»
«Ma certo!», si lagnò l’altro. «Tanto, questo è solo un bar.»
Morgana sbuffò, legandosi i capelli in uno chignon improvvisato. «Si può sapere qual è il tuo problema?!»
«Voi! Tu e Merlin siete il mio problema!» sputò fuori, gli occhi come tizzoni ardenti. «Non fate altro che sparire… ritardare. Pensate solo a voi stessi, è questo il mio problema!»
Gwen era sicura di non aver mai visto Arthur tanto adirato – se non per quella volta in cui l’aveva scoperta a letto con Lancelot -, e per un momento si chiese se non sapesse ogni cosa.
«Questo è un bar! Non un gioco, non un passatempo. Questo il mio bar e ci sono delle regole e pretendo che vengano rispettate!» La faccia del biondo si era arrossata dalla collera mentre la sua maglia cominciava a diventare troppo stretta.
Morgana lo guardò impassibile, quasi come una macchina creata per non provare sentimenti. «Sono stata da nostro padre. Mi ha costretto a prendere tea e biscotti per sentirmi parlare di Mordred, poi ha preteso che restassi per pranzo per discutere su di te», mentì. «Non so dove sia il tuo amichetto, ma sicuramente le sue mancanze non mi riguardano.»
La Pendragon fece appena in tempo nel notare lo sguardo contrariato di Ginevra, per poi iniziare a smanettare inutilmente con qualche bicchiere. «Sono la sorella maggiore e comando io: Va’. A. Casa.»
Arthur avrebbe tanto voluto controbattere in qualche maniera, spiegarle che tra loro, l’unico che comandava, era lui; aprì la bocca nel tentativo di dire qualcosa, ma fu bloccato dalla figura alta e giovanile dall’altro lato del bancone, che sorrideva fiera. «Mi ci fionderei di corsa… se solo sapessi come arrivarci.»
Gwen vide l’amica voltarsi di scatto verso il bancone, dipinta da un’inusuale espressione di meraviglia. «Mordred… Ma tu… Cosa ci fai qui, non dovresti essere a Parigi?»
«E’ un invito ad andarmene?»
Il sorriso di Mordred era il più enigmatico e magnetico del mondo, gli occhi erano frammenti di ghiaccio. Di questo Ginevra n’era certa. Il francese spostò lo sguardo sul biondo, porgendogli educatamente la mano. «Oh, tu dovresti essere Arthur.»
«Sì, sono io», confermò il Pendragon, guardandolo bene in volto: quel tipo non gli piaceva. Nascondeva qualcosa, ne era sicuro.
«Io sono Ginevra», la mulatta strinse per Arthur la mano del giovane, tentando di smorzare la tensione. «Ma… tutti mi chiamano Gwen».
«Sì», incurvò le labbra in un sorriso ricambiando il gesto – felice che qualcuno calcolasse la sua cortesia. «Ho sentito molto parlare di te.»
«Davvero?»
«Davvero?» rimarcò Arthur, volgendosi però, irritato, verso la sorella. Ovviamente, quella strega non si era risparmiata la storia del tradimento di Ginevra e Lancelot.
 
 
 
 













Era tardi.
Mentre saliva le scale del suo appartamento, col cuore che le tamburellava come un pazzo nel petto, si convinse che non avrebbe mai dovuto andare a quella festa.
Si sentiva in colpa. Non avrebbe dovuto: era fidanzata e… Gwaine non avrebbe neanche dovuto avvicinarsi a lei… e lei non gliel’avrebbe dovuto lasciar fare.
Girò le chiavi nella toppa con un strano senso d’angoscia. Si sentiva sporca. La casa era scura, non c’era una sola luce accesa. Premette l’interruttore, chiudendosi la porta alle spalle.
Si sfilò le scarpe lasciandole sul pavimento, poggiando malamente la borsa su una sedia. Per giunta, l’era anche passata la fame.
Camminando nel corridoio, si accorse che la porta della camera da letto era aperta. Deglutì.
Non era pronta per quello. Aveva paura di avvicinarsi.
Passo dopo passo, si diresse verso la camera lentamente, trattenendo il fiato. Poteva essere lì, Merlin, insieme all’altra. Non l’avrebbe sopportato.
Una volta fatto capolinea nella stanza, il cuore le si sciolse come neve al sole. Merlin era lì, sul letto – da solo – che dormiva come un bambino.
Sorrise commossa, come se quella fosse la prova che non l’aveva tradita. «Sei tornato», sussurrò.
Gli andò vicino in punta di piedi, guardando il volto diafano del ragazzo nella luce della città che entrava dalla finestra. Lo amava. Cavolo se lo amava e si era sentita così stupida di averlo giudicato.
«Amore», lo richiamò, scuotendolo. Merlin, però, non rispose. Inizialmente Freya ne sorrise: il suo fidanzato era un pelandrone; neanche più sveglie contemporaneamente riuscivano a spezzare la dolce intesa con Morfeo.
«Amore, sono io» gli disse agitandolo. Niente. Gli toccò la fronte, accorgendosi che scottava. Era sudato, non si muoveva. Freya cominciò a scuoterlo con più decisone, richiamandolo con meno dolcezza, ma Merlin manco pareva sentirla.
 
 
 
 
 
 
 
 
 


















Arthur era seccato e non solo per la storia di Gwen che lo riaccompagnava a casa come una brava mogliettina; lo infastidiva il pensiero di aver lasciato il bar nelle mani di Morgana e Mordred e, in più, quell’idiota di Merlin non si era ancora fatto vivo!
«Mordred è davvero un caro ragazzo.» Ginevra si era premurata di raccogliere un paio di scarpe, puzzolenti, lasciate per terra, sistemandole al loro posto – anche se Arthur non ne comprendeva il motivo.
«Ha prenotato una camera in albergo solo per aver un posto dove nascondere i bagagli e poi si è avventurato nella fascinosa Londra, senza neanche sapere dove stesse andando… E poi si è ritrovato costretto a lavorare.»
«Nessuno lo ha costretto», bofonchiò.
Gwen scosse il capo, cominciando a sistemare il divano in soggiorno.
 «Si può sapere cosa diamine stai facendo?» domandò il biondo, con un tono di disappunto.
La ragazza si sposò una ciocca ribelle dietro l’orecchio. «Cerco di rendermi utile», disse, continuando a distendere eventuali pieghe.
«Come con Jonas?»
La mulatta si fermò, raddrizzando la schiena. «Cercavo di essere gentile».
«Non m’importa un cavolo della tua carità!», scoppiò il giovane serrando i pugni. «Tu eri la mia ragazza. Avevamo dei progetti, io ti ho regalato un anello e poi ti ho trovata a letto con un mio amico. Questo m’importa!» La voce del Pendragon era talmente alta da farla sussultare.
Arthur distolse i suoi occhi dal volto di Ginevra appena la vide lacrimare.
«Aspettavo un bambino.» Le labbra sottili di Gwen tremolavano nella luce calda dell’appartamento. «E’ finita per questo, con Lancelot. Ho cercato di mettermi in contatto con te, spiegarti di lui – o lei, non l’ho mai saputo -, ma tu non c’eri. Rifiutavi le mie chiamate, mi evitavi continuamente. Ho avuto un aborto spontaneo qualche mese fa».
Non aveva il coraggio di guardarla in volto. Il cuore sembrava sanguinargli senza sosta; il mondo aveva rallentato di colpo.
Dopo un singhiozzo, Gwen si staccò la collana che portava al collo, gettandola a terra. «Ti sto chiedendo perdono, Arthur! Tu non me lo consenti. Ho sbagliato: non avrei dovuto mentirti riguardo i miei sentimenti per Lancelot, ho fatto un errore! Ma a tutti capita di sbagliare e tu mi stai condannando senza appello!» Si rompeva continuamente, la voce di Ginevra.
Non perse neanche tempo ad asciugarsi le lacrime. Si voltò solamente, uscendo dall’appartamento.
Arthur, in quel momento, fu sicuro di non essersi mai sentito peggio in tutta la sua vita. Sembrava che un camion gli avesse tagliato la strada, ricadendogli di peso sopra. Passandoci su, almeno una ventina di volte.
Si girò impercettibilmente a guardare l’anello caduto sul pavimento, insieme alla catenina d’oro bianco. Fu allora che si accorse di piangere. Una lacrima gli ricadde sulla mano, bagnandone il dorso.
Restò in compagnia dei suoi pensieri rumorosi per un po’, finché il viso di quel figlio mai nato non divenne insostenibile.
Sfilò dai suoi jeans il suo cellulare, componendo in fretta un numero che conosceva a memoria; Merlin. Aveva bisogno di Merlin. Necessitava di ascoltare la sua voce, sentirgli dire che sarebbe stato lì nel giro di qualche minuto, ma Merlin non rispose. Il cellulare squillò a vuoto, fin quando non gli venne voglia di scagliarlo contro il parquet.
Aveva voglia di urlare contro il mondo, fare a pugni col muro e magari scolarsi tutte le bottiglie del Pendragon’s – non necessariamente in quest’ordine.
Provò un assurdo barlume di speranza nel vedere il display del proprio cellulare illuminarsi, ma a caratteri cubitali, stampato sullo schermo, c’era solo il nome di Freya. Roteò gli occhi, nascondendo il timbro incrinato della voce con qualche colpo di tosse. «Cosa vuoi?»
«Arthur… Merlin sta male. Sta male e… non si muove ed io non so cosa fare. Aiutami.»



 
**
 







Quando Gaius alzò il lenzuolo, si accorse che le fasce usate la sera precedente erano pregne di sangue. Gli si gelò il sangue nelle vene e Freya, poco distante da lui, si allarmò: «Cos’è quella?»
L’ex medico militare si sentì con le spalle al muro: quell’idiota si era mosso mentre doveva rimanere a riposo e, molto probabilmente la ferita si era aperta, se non pure infettata.
Freya era dietro di lui che continuava con la sua raffica di domande e Gaius, ad onor del vero, si sentì sprofondare nelle sabbie mobili. «Dobbiamo portarlo all’ospedale», concluse pratico.
«All’ospedale, ma che storia è questa?! Perché sanguina, perché non si sveglia?!» E dov’è la mia macchina, avrebbe voluto aggiungere alla lista interminabile di quesiti, già che c’era.
L’anziano si morse la lingua, maledicendosi da solo per non avercelo portato lui stesso la sera prima. Guardava Merlin e più lo faceva più sentiva la mano calda di Alice sulla sua spalla, mentre pacata gli suggeriva di fare la cosa giusta.
«Gli hanno sparato, Freya», spiegò. «Dobbiamo portarlo in ospedale.»

 






**Relie's corner** 
Per i coraggiosi che sono arrivati qui:
- Mordred è un po' "soft", ma mi andava di renderlo così nel suo esordio. Spero che non sia stata tanto OOC;
- Se qualcuno se lo stesse chiedendo no, non sono a favore del tradimento e no, non ci sarà Arwen;
- Grey's Anatomy dopo Adebaran (passate da lei per leggere la sua fanfiction, non certo per consigli medici!) sono i miei unici manuali medici (oltre il fido internet). Se qualcuno avesse qualcosa da correggere o farmi notare, si faccia avanti (no, non è una minaccia);
- Jonas e Catrina sono personaggi canon. Compaiono ambedue nella seconda stagione;
- Sì, Morgana è cattiva ma noi l'amiamo così;
- Sì, Arthur ama Merlin ed ho fatto felici molte Merthuriane;
- Sì, Adebaran, provo pena per Freya e ti ho fatta metà felice con questo capitolo;
- Spero di aggiornare anche "Destinati ad essere Champagne" prima del mio compleanno (-2);
Domandina: ma voi, Freya, con chi ce la vedete in questa storia? Perché ci sono due possibili coppie che mi stuzzicano un sacco...
- Dovevo dire, sicuramente, molte altre cose, ma le ho dimenticate. Se ci fossero problemi, non esitate a chiedere!
Alla prossima!

 
   
 
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