Capitolo due: Tu salti, io salto,
ma devo proprio?
Sharpay
Evans osservava la scena davanti ai suoi occhi con irritazione. Gabriella,
ricoperta di torta, stava strillando a pieni polmoni, ovviamente agitata per
qualcosa, ma era piuttosto difficile decifrare ciò che stava urlando. Tutto ciò
che Sharpay poteva intendere era “torta” e “spogliarellista” e poche altre
irripetibili parole. Troy, d’altro canto, appariva imperturbato e si stava
ancora togliendo la glassa dalla fronte per poi mangiarla.
“E quando
pensi che non puoi cadere più in basso, trovi la porta di un seminterrato!”
strillò Gabriella.
Sharpay
sospirò: “Gabriella, lo dico raramente alle persone che non sono me, ma tu devi
smettere di urlare.”
“…UNA
DANNATA TORTA DA STRIPPER.”
“Ed
entrambi dovete spiegarmi esattamente che cosa intendete per torta da stripper.”
“UNA TORTA
DA STRIPPER,” ululò la mora “TORTA. DA. STRIPPER.”
“Non
importa quanto lentamente lo dici, ancora non so cosa vuoi dire,” spiegò la bionda con una pazienza che di solito riservava
ai piccoli animali o ai bambini piccoli con difficoltà d’apprendimento “Bolton,
esattamente come hai mandato tutto all’aria stavolta? E cos’è, per l’amor di
Dio, una torta da stripper?”
“Ehi,” protestò Troy con la bocca piena di torta “Come fai a sapere
che è colpa mia?”
Gabriella
strappò un pezzo di torta dai suoi capelli e lo lanciò al suo ex-ragazzo:
“CERTO CHE E’ COLPA TUA. SE MI AVESSI ASCOLTATO E
FOSSIMO SCAPPATI DA QUEI MATTI CON I COLTELLI AL RISTORANTE INVECE DI ANDARCI A
NASCONDERE IN UNA DANNATA TORTA DA STRIPPER…”
Sharpay si
portò una mano alla fronte: “Qualcuno deve
dirmi cosa sta succedendo.”
“E allora
siamo rimasti chiusi in una torta da stripper!” ribattè Troy esasperato “E
allora?”
“E
ALLORA?” Gabriella lo guardò a bocca aperta “GUARDAMI. SONO COPERTA DI TORTA.”
“Quindi?
Ti ho risparmiato dieci dollari di cena.”
La mora
gli lanciò un’occhiataccia: “Sei incredibile,” sibilò
“Non sono mai stata più umiliata in tutta la mia vita.”
“Sai qual
è il tuo problema? Tu non sai come divertirti.”
La ragazza
strinse i denti: “Io mi diverto tantissimo. Tantissimo.”
“Oh,
davvero? E in che modo? Fammi un esempio.”
“Non te lo
farò.” sbottò Gabriella.
Troy rise
esageratamente di trionfo: “Perché non ce l’hai.”
“Ho un
sacco di modi per divertirmi!”
“No, non
ce li hai.” replicò lui.
Gabriella
si mise un dito nell’orecchio: “Non ti sento.” dichiarò ad alta voce.
“Ti uccide completamente che il divertimento
più grande che tu abbia mai avuto è stato oggi, con
me, nella torta da stripper.”
“E’ una
stupida bugia.” sbuffò Gabriella.
“Non è una
stupida bugia,”
la imitò Troy “Ti sei divertita in quella torta da stripper!”
Sharpay
guardava dall’uno all’altro come in una partita di tennis: “Questa torta da
stripper è qualche strana metafora?” si fermò e sospirò comprensiva “Oooh,
l’avete fatto da qualche parte, ragazzi?”
Le narici
di Gabriella si allargarono, il suo viso si contorse in una smorfia: “Non ti
parlo.”
“Beh, io
ti parlo ancora!”
“Se non la
smetti di parlare in questo momento, mi metto a urlare!”
Troy
lasciò scappare un sospiro esasperato: “Perché sei così…” fu interrotto
dall’urlo acuto di Gabriella.
Fissandola
per un momento, possibilmente dibattendo se mandarla o no in un asilo, saltò
sul sofà degli Evans e raggiunse il lettore CD. Girò la rotella del volume al
massimo cui poteva andare e spinse play. Le prime note di ‘I feel pretty’
[Dal musical “West Side Story”, per chi
non la conoscesse XD Ndt] si spansero
improvvisamente per l’intero salotto, rimbombando attraverso ognuno dei dieci
amplificatori installati nella stanza.
Gabriella
chiuse la bocca per la sorpresa. Il momento in cui smise di strillare, Troy
spense la musica: “Non abbiamo finito di parlare!” gridò “Ti sei divertita!
Ammettilo!”
Le labbra
di Gabriella si curvarono e meno di un secondo dopo, aprì la bocca di nuovo per
lasciar scappare un altro urlo spacca-timpani.
Troy roteò
gli occhi e spinse ancora play: “Smettila di urlare!” le gridò sopra il caos
combinato dello strillo acuto della mora e le parole di ‘so pretty and witty and ga-a-y’.
“Ferma la
musica!” ribattè la ragazza a pieni polmoni.
“Smettila
di urlare!”
Gabriella
gli tirò in testa un cuscino di piume: “Ferma la musica!”
“SMETTILA
DI URLARE.”
“FERMA LA
MUSICA.”
“SMETTILA
DI URLARE.”
“FERMA
LA…”
Un fischio
assordante interruppe il pandemonio. Entrambe le parti si zittirono in uno
scioccato silenzio e Troy premette il bottone pausa sul lettore CD: “Cosa…”
Ryan li guardò a bocca aperta, dall’entrata. Osservò bene Troy e Gabriella,
ancora coperti di torta stantia “Che cosa state facendo?” riuscì a borbottare.
Troy e
Gabriella si fissarono in cagnesco.
“Ha
incominciato lei!” accusò il ragazzo, in quell’esatto momento la mora disse:
“Ha incominciato lui!”
Ryan era
stordito: “Cosa stavate…? Dove cavolo è Sharpay?”
Una testa
bionda spuntò fuori da dietro una libreria: “E’
finita?” apparve alla vista, le mani sulle orecchie “Dio, voi due sapete come
urlare. L’avete imparato da me?”
“Cosa
diavolo è successo?” insistette Ryan.
“Lei è
irragionevole!”
“Lui mi ha
chiusa in una torta da stripper!”
Sharpay si
rivolse a Ryan: “Spero che tu sappia cosa significhi, perché io no.”
“Una torta
da stripper?” interruppe una nuova, sconosciuta voce.
“Una torta
da stripper.” Zeke si era materializzato dal nulla. Ammiccò per un attimo a
Troy e Gabriella prima di spiegare: “Come quelle torte a Vegas da dove spuntano
le spogliarelliste.”
Sharpay,
Ryan, Troy e Gabriella si girarono per fronteggiare i nuovi arrivati.
“Charlie!”
Sharpay salutò il suo fidanzato. Il suo sguardo si spostò sull’uomo affianco a
lui: “Zeke!” boccheggiò. Incespicò all’indietro come se la sua mera presenza la
ripugnasse “Cosa stai… cosa stai facendo…?”
“Conosci
questo ragazzo, Shar?” Charlie, un bell’uomo alto con un forte accento inglese,
chiese alla sua futura sposa. Dandole un bacio sulla guancia, indicò Zeke: “Era
sul nostro vialetto. Ha detto che ti stava cercando, quindi l’ho fatto entrare.
È qui per il matrimonio?”
Sharpay,
per la prima volta in tutta la sua vita, sembrava senza parole: “Sì, ehm…”
mormorò incerta “Noi… noi una volta…”
“…uscivamo
insieme,” completò Zeke “Noi una volta uscivamo
insieme.”
Charlie
sembrava insicuro: “Davvero,” disse, fingendo di
essere il più noncurante possibile “Ehm, non è… carino?”
Ci fu un
lungo, scomodo silenzio. Zeke guardava Charlie, Charlie guardava Sharpay, e
Sharpay guardava il pavimento.
Ryan
guardò Troy e Gabriella: “Fate qualcosa!” mimò pericolosamente.
Troy
guardò Gabriella, che non gli offrì altro che una dispiaciuta scrollata di
spalle. Sospirando, spinse di nuovo il play sul lettore CD.
I feel pretty
Oh so pretty
###
Da qualche
parte tra l’asciugarsi i capelli e depilarsi le sopracciglia, Gabriella arrivò
a sentire la mancanza di Troy. Le ricordava il giorno in cui aveva rotto con
lui al liceo. Si era svegliata alle sei come aveva sempre fatto, aveva mangiato
una tazza di cereali sfogliando il giornale come aveva sempre fatto, e poi
aveva aspettato lo scuolabus come aveva sempre fatto. Era andata al suo
armadietto come aveva sempre fatto, aveva preso fuori i suoi libri di Diritto e
Letteratura come aveva sempre fatto, e si era girata per parlargli come aveva
sempre fatto.
Eccetto
che quella volta lui non era stato lì.
L’aveva
visto in classe, ma lui non la guardava mai. L’aveva visto nei corridoi, ma lui
si girava e camminava dalla parte opposta ogni volta che lei chiamava il suo
nome. Le era mancato terribilmente i primi giorni. Le era mancato il fatto che
le teneva un posto in classe, che l’aiutava a falsificare un biglietto cosìcchè
poteva saltare ginnastica, le era mancato il modo in
cui le lasciava dei semplici bigliettini nell’armadietto, raccontandole alcune
barzellette divertenti che aveva sentito mentre camminava dietro a dei primini
in corridoio. Ma ormai non era stato più lo stesso. Lui non le aveva più
salvato un posto, non c’erano più stati sciocche battute nel suo armadietto tra
le lezioni e lei aveva finito per essere bocciata in ginnastica quel semestre
perché non riusciva a capire la fisica della pallavolo.
E poi era successa la cosa peggiore. Si era
abituata.
Si era
abituata allo spazio vuoto accanto a lei di notte. Si era abituata a saltare le
partite di basket e a Sharpay che si lamentava di non riuscire mai a capire
niente di ciò che faceva nel decathlon. Si era abituata a portarsi i libri tra
le classi e prendersi la sua gelatina alla fila per il pranzo. Si era abituata
alla vita senza di lui.
Ma questa
volta, era diverso. Questa volta, quasi cinque anni dopo, lei iniziava davvero
a sentire la sua mancanza, e lui era solamente dall’altro lato della casa. Non
aveva realizzato quanto stava bene con lui, quanto si divertiva con lui, finchè
non era rimasta da sola. E questa volta, aveva paura. Aveva paura che si
sarebbe abituata di nuovo.
Prese il
suo spazzolino e il tubetto di dentifricio sul comodino. Senza pensare, perché
avrebbe mollato se ci avesse pensato troppo, buttò il tubetto di dentifricio
pieno nel pattume. Camminò fuori dalla sua stanza, nel
corridoio e fino alla camera in cui dormiva lui.
La porta
era aperta e lo poteva sentire cantare ‘Limbo Rock’ sottovoce. Rimase
sull’entrata per un momento, guardandolo mentre era
steso sul letto, che tirava una palla da basket di gommapiuma su e giù, su e
giù. Tamburellò con le nocche contro la porta: “Posso prendere un po’ di
dentifricio?” domandò dolcemente.
Lui non la
guardò: “In bagno.”
Entrò
lentamente nel bagno, aspettando che parlasse. Non lo fece. Lei aspettò, si
lavò accuratamente i denti, dentro e fuori, tutt’attorno come il dentista le
aveva insegnato quando aveva cinque anni. Sputò, fece
i gargarismi, passò quattro volte il collutorio, due volte il filo
interdentale, ma ancora, lui non disse niente.
Quando la
sua bocca stava iniziando ad essere insensibile per l’uso spropositato di
prodotti per l’igiene dentale, uscì, respirando pesantemente. Si appoggiò allo
stipite e lo fissò dolcemente: “Mi sono divertita.” disse alla fine.
Lui smise
di tirare la palla. La sua testa si girò verso di lei, cadendo sul cuscino:
“Sì?” sorrise forzato.
Lei
ricambiò il sorriso: “Sì.” rispose piano.
“Scusa per
la musica.”
“Scusa per
le urla.”
Lui rise:
“Avevo torto, sai,” disse lentamente dopo un momento.
I suoi occhi le scrutarono il viso “Quello che ho detto
ieri. Sei cambiata. Non sei più quella ragazza timida ed ingenua che eri al
liceo.”
“Certo che
non lo sono. Cosa pensavi sarebbe successo?” domandò lei incredula.
“Non lo so,” Troy scosse le spalle “Pensavo che quando ci saremmo
rivisti… sarebbe stato come era sempre stato. Che saremmo state le stesse
persone che siamo sempre state.”
“Sono
cresciuta. E tu anche. Non abbiamo più diciotto anni,”
disse gentilmente Gabriella. Sospirò e chiuse per poco
gli occhi “Credo di essere più… coi piedi per terra. Meno idealista. Più
realista. Ma sono sempre io. Solo una versione migliore. Stare lontano da casa, da mia mamma, dalla mia piccola zona di conforto…
mi ha insegnato molto.”
Troy si
spostò sulla schiena: “Eravamo così…” si fermò, pensando “Giovani,” terminò infine “Eravamo così giovani. Pensavamo che
saremmo rimasti insieme per sempre.”
“Avevamo
diciotto anni.”
“Lo so.
Come ho detto, giovani.”
“E
stupidi.”
“Molto stupidi.” concordò Troy.
“Ti
ricordi di Taylor?” domandò Gabriella dopo un istante. Scosse i capelli come se
il ricordo della sua vecchia amica le facesse male alla testa “Era la mia
migliore amica. Avevamo promesso di chiamarci. Di scriverci.”
esitò “Non l’abbiamo mai fatto. L’ho chiamata una volta quando ero a Parigi, e lei ha lasciato un paio di
e-mail, ma dopo un po’, ci siamo scordate.” sospirò
“Pensavamo che saremmo state migliori amiche per sempre.”
“Le
promesse sono stupide.”
“Ne
abbiamo fatte molte al liceo, vero?”
“Prometto
che ti amerò per sempre,” sbottò all’improvviso Troy.
Le sorrise: “Suona come qualcosa che noi due da diciottenni avremmo
detto, giusto?”
“Sharpay
diceva sempre che eravamo disgustosamente sdolcinati.”
“Eravamo
diciottenni.”
“Giovani.”
“Stupidi.”
“Molto stupidi.”
Lui annuì
e si sforzò di sorridere: “Posso chiederti una cosa?”
“Qualunque.
La mia vita è un libro aperto.” fece
una pausa, gli occhi che brillavano “Parlerò di qualunque cosa eccetto me e il
presidente.”
Lui rise
nervosamente e si sedette dritto, le mani che stringevano i lati del letto.
Rimanendo in un silenzio leggero, deglutì: “Eri davvero così infelice
quando eri con me?” chiese infine. Lo disse dolcemente, come se questo
in qualche modo potesse mascherare il dolore che ancora lo imbarazzava avere “Quando ci siamo lasciati, hai detto che era perché
eri molto triste. Ero…?” la sua voce si spense, lontana, i suoi occhi
guardavano un buco nel tappeto “Voglio dire, ho davvero…?”
Gabriella
chiuse gli occhi mentre il suo stomaco si agitava. Per
auto-odio o perché davvero non avrebbe dovuto comprare quel burrito
dal ragazzo in strada, non lo sapeva. Ma sperava che fosse la seconda: “Non
eri…” rispose velocemente “Non era…”
Lui alzò
gli occhi per guardarla tristemente: “Mi dispiace.” si allungò e coprì la mano con la sua. Era tiepida e
leggermente sudata e lei dovette stringere un lembo dei suoi pantaloncini per
impedirsi di tremare “Avrei dovuto prestarti più attenzione. Avrei dovuto
ascoltarti di più.”
“Tu eri il
migliore ragazzo che una diciottenne me poteva avere.”
insistette piano Gabriella.
“Eri
davvero così triste?” premette lui “Ho…?” si fermò triste “Ti ho davvero resa
così maledettamente infelice?”
Gabriella
avvertì la gola chiudersi, la testa muovere una specie di infausta guerra
contro il cuore: “Io…”
Slam.
Sia Troy
che Gabriella scattarono fuori dalla loro
conversazione e sobbalzarono al suono improvviso.
“Che
cos’era?” sussurrò Gabriella.
Slam.
Un quadro
cadde dal muro, seguito da uno strillo molto familiare.
“La Shar-diavolo è a casa,” Troy
rabbrividì “Cosa dobbiamo fare?”
“Nasconderci?”
suggerì Gabriella.
Slam.
Un vaso
crollò da una libreria.
“Forse non
si accorgerà che siamo qui.”
“GABRIELLA.
BOLTON.” i tacchi di Sharpay tuonarono lungo le scale,
senza dubbio bruciando un buco nel tappeto. Arrivò ai piedi della stanza di
Troy, il viso rosso di furia e i denti scoperti, come se una risposta sbagliata
sarebbe stata punita con un sfortunato pranzo
–sfortunato nel senso che loro sarebbero stati il pranzo “PERCHE’ AVETE PORTATO
LUI QUI?” strillò.
Simultaneamente
Troy e Gabriella si coprirono le orecchie per fermare lo scampanellio.
“Lui chi?”
Troy finse confusione “Dio? Beh, è lusinghiero, ma era già qui
quando sono arrivato.”
“SAI CHI
INTENDO.”
“GABRIELLA.
TROY.” un’altra serie di passi rimbalzò su per le
scale. Ryan arrivò senza fiato all’entrata di Troy, il cappello di traverso:
“PERCHE’ AVETE PORTATO LUI QUI?” gridò.
“Beh, come
appunto stavo spiegando a tua sorella qui…”
Sharpay si
voltò verso Ryan: “Di’ alla mafia di finire subito la loro fottuta crociera!”
urlò “Devono sparare alle persone, dannazione!”
“E’ solo
successo,” s’inserì velocemente Gabriella, nel
tentativo di allentare la potenzialmente esplosiva situazione “Stavamo cercando
qualcuno che ti preparasse la torta. E non potevamo trovare nessuno che
l’avrebbe fatto con così poco preavviso, quindi siamo andati a trovare Zeke. E
dato che voi due eravate… voglio dire, dato che noi tutti eravamo così uniti al
liceo, ho pensato che lui avrebbe potuto essere capace di darci una mano.”
“DARCI UNA
MANO?” s’infuriò Sharpay “PERCHE’ NON MI HAI SEMPLICEMENTE PUNTATO UNA PISTOLA
ALLA TESTA E NON MI HAI SPARATO, INVECE?”
“Avremmo
dovuto farlo, invece.”
“Beh, qual
è il problema?” chiese Gabriella “Non vi siete divertiti a cena? Pensavo che
sarebbe stato divertente per tutti voi frequentarsi.”
“Divertente
come l’herpes, forse,” commentò Ryan alzando gli occhi
al cielo “Zeke vuole parlare.”
“Parlare?” esclamarono all’unisono Troy e
Gabriella, con la stessa enfasi.
“Parlare,”
confermò il biondo “La cena è stata come mangiare in una camera ardente, e
dopo, Zeke si è preso la briga di chiedere a Sharpay se potevano parlare privatamente.”
“E che ha
detto Charlie?”
“Cos’avrebbe
dovuto dire?” gemette Sharpay “Ha solo detto buona notte ed è andato a casa!”
Gabriella
emise un suono comprensivo: “Allora cosa farai?”
“Non lo
so!” la bionda sembrava prossima alle lacrime “Neanche per idea noi possiamo parlare!”
“Che ne
dici di usare le vostre bocche e lingue?” osservò impassibile Troy.
“Lui dirà
che vuole che torniamo insieme e poi farà quella stronzata
del ‘devi fare una scelta’!
E io non voglio ferirlo! Non lo voglio davvero! Ma amo Charlie,” esclamò Sharpay. Appoggio la testa allo stipite,
emettendo un rumoroso sospiro “Sul serio. E Zeke è un ragazzo così caro; non
voglio ferirlo. Ma io amo Charlie.”
“Tu provi
amore?” Troy sollevò le sopracciglia. Si fermò opportuno “Davvero?” domandò scettico, l’espressione contorta.
Gabriella
gli diede una gomitata nelle costole: “Shar, mi dispiace,”
mormorò comprensiva. Si alzò e diede alla sua vecchia amica un caldo abbraccio
“Lo sono davvero. Se c’è qualcosa che possiamo fare…”
Sharpay
tirò su con il naso: “In realtà…” s’illuminò visibilmente, cosa che portò Troy
a fare una sorta di strano suono come di clacson dal profondo della gola.
Si tuffò a
capofitto nel cuscino come un bambino insolente: “No,”
protestò con voce smorzata “No! Sono stanco! Voglio andare a letto! Non voglio
passare tutta la notte a massaggiarti i piedi e a lavarti con la spugna!”
“Troy…” lo
ammonì Gabriella.
“No! È
stata Gabriella a dire ‘se c’è qualcosa che noi
possiamo fare’! Non c’è nessun ‘noi’!
Io sono un pronome involontario!”
“E’ colpa tua,”
disse cupa Sharpay “Ora, grazie a te, il ricordo del mo fidanzamento sarà
macchiato per sempre.”
Ryan e
Gabriella annuirono comprensivi, mentre Troy fece un altro bizzarro suono di
gola: “Non m’importa di quello che dici,” ribattè
testardamente “Vado a letto.”
“Il giorno
più importante della mia vita,” Sharpay tirò
drammaticamente su con il naso, mentre Ryan le sventolava un fazzoletto davanti
al viso “Ro- rovinato.”
balbettò lacrimosa.
Troy non
mosse la testa e invece alzò la mano nella maniera ‘ragazza, per favore’ o ‘parla alla mano’.
Gabriella
sospirò e con un’altra occhiata sprezzante allo strano ed effeminato gesto di
Troy, si voltò verso la sua bionda amica: “Io
ti aiuterò, Shar,” esclamò “Qualunque cosa ti serva.
So che stai attraversando un momento difficile. E per quanto valga,
ci dispiace di aver trascinato Zeke in questa cosa.”
“Beh, ecco
tutto,” rispose Sharpay “Devi parlare di questo con
Zeke al posto mio. Devi dirgli che mi sto per sposare… no, che mi voglio sposare. Devi dirgli che non
voglio ritornare insieme a lui.”
Gabriella
alzò un sopracciglio: “Non pensi che dovresti farlo da sola?” dopo l’occhiata
truce di Sharpay e l’inizio del discorso ‘prima di tutto, voi due mi avete
ficcata in questo’, continuò frettolosamente “Lo
andrò a trovare domani.”
“No,” Sharpay scosse la testa “Devi andarlo a trovare stanotte.
Domani c’è la cena di prova e non voglio che ci siano questioni irrisolte tra di noi, se capisci cosa intendo.”
“Sharpay,
è l’una del mattino,” protestò Gabriella “Lo andrò a
trovare domani, per prima cosa.”
Lo sguardo
della bionda si oscurò ancora, e Ryan intervenne velocemente: “Sharpay ha detto
che l’avrebbe incontrato al ristorante in mezz’ora.”
Gabriella
si alzò e si trascinò alla porta: “Okay, va bene,”
borbottò incerta “Ma penso ancora che sia una cosa che dovresti fare tu
stessa.” guardò Troy che era ancora steso sul letto,
il cuscino sopra la testa “Vieni, Troy?”
“No.” grugnì lui.
Ryan si
girò per lanciarle un’occhiata comprensiva, ma
Gabriella alzò la mano e mimò ‘aspetta’. Contò i secondi sulle dita, e nel
momento in cui il mignolo si chiuse sul palmo, Troy si lasciò scappare un suono
frustrato e si alzò riluttante dal letto, lamentandosi sotto voce.
Gabriella
sogghignò: “Te l’avevo detto.”
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La corsa
al ristorante fu silenziosa tranne che per due casi. Il primo fu quando Troy le
chiese se aveva fame e lei rispose di no, e si fermarono ad un supermercato
notturno e comprarono comunque una barretta al cioccolato e una brioche alla
marmellata. Lui la conosceva troppo bene, pensò Gabriella di malumore, quando
la corsa era finita e lei aveva l’incarto spiegazzato di una mega confezione di
Mars sulle gambe e la marmellata di albicocca attorno
alla bocca. Il secondo fu quando lei gli chiese se
avesse allacciato la cintura e lui rispose che l’aveva fatto.
Senza la
(rumorosa) presenza dei gemelli Evans, d’improvviso, si ritrovarono da capo.
Non proprio amici, non proprio nemici. La
conversazione era stentata e l’atmosfera era imbarazzata; i rimanenti segni del
loro precedente discorso soffocavano la loro curiosa, quasi-ma-non-proprio relazione.
Troy
parcheggiò fuori dal ristorante, i lampioni che si
dimostravano inutili, fornendo poco più di una pallida illuminazione dei
dintorni. Socchiuse gli occhi quando uscì dalla macchina, cercando qualche
segno di Zeke.
“Non vedo
nulla,” osservò Gabriella. Le venne la pelle d’oca quando entrò in contatto con il vento gelido,
dimostrando che anche la soleggiata California non era immune al tempo freddo.
Allacciandosi
le braccia al petto, si calciò mentalmente per non essersi cambiata; la sua
vecchia maglietta, il cardigan tarmato e i pantaloni del pigiama di Spongebob non erano solo un crimine contro la moda, ma anche
contro degli innocenti membri della società che avrebbero voluto conservare la
loro vista. Una veloce occhiata a Troy mostrò che a lui non
stava andando molto meglio; i suoi pantaloni avevano un enorme buco in un
ginocchio, e ovviamente aveva preso in prestito degli accessori di stile da
Sharpay; nei piedi indossava delle ciabatte rosa pelose.
Lui la
catturò intenta nell’osservare la sua curiosa scelta di calzature: “Avevo
freddo ai piedi,” borbottò in difesa “E le mie scarpe
si stanno ancora asciugando dalla torta.”
“Ho dei
bellissimi gioielli francesi,” esclamò innocente
Gabriella “Ti farebbero risaltare i tuoi bellissimi occhi blu.”
“Ehi, non
fare la spiritosa. Non sono adatti a me.”
Gabriella
sbadigliò e si appoggiò all’auto, tremando di freddo: “Non posso credere che
siamo di nuovo qui,” commentò. Ispezionò assonnata la
strada “Siamo fortunati che è l’una del mattino e quegli chef che ci stavano
seguendo…”
La mano di
Troy volò improvvisamente contro la sua bocca e lui si voltò in fretta: “Non
guardare,” disse piano, la voce pericolosamente bassa
“Non guardare, non parlare.”
Gabriella
tolse irritata la mano di Troy: “Qual è il problema con te?” sibilò.
“Non
guardare,” rispose lui a denti stretti, e si spostò in
modo che le sue larghe spalle le coprissero la visuale.
“Non
guardare cosa?”
“Il cuoco,” bisbigliò lui il più silenziosamente possibile, dando
ancora le spalle al ristorante “Che ci stava seguendo stamattina. È alla
porta.”
Gabriella
cercò di aprire la gola per respirare. Stringendo forte la mano di Troy, si
alzò appena per sbirciare oltre la spalla del ragazzo. Poteva vedere la grande,
massiccia figura del cuoco che chiudeva le porte del ristorante.
“Magari
lui non…” deglutì invece di finire la frase.
“Voi due
laggiù,” rimbombò l’inequivocabile voce dell’uomo.
Dopotutto, non dimentichi spesso la voce di un uomo che ti ha rincorso con un
coltello “Voi laggiù?”
“Non
rispondere,” mormorò Troy “Non fare movimenti
improvvisi,” lentamente, cercò le chiavi dell’auto nella tasca “Ora, vai lenta
verso la portiera.”
“Ehi!”
esclamò il cuoco “Mi avete sentito?”
“Va tutto
bene,” grugnì Troy, varie ottave sotto il suo normale
tono di voce.
Ricordandosi
di respirare, Gabriella si tolse lentamente dalla presa di Troy e si mosse
verso la portiera.
“E’ l’una
del mattino,” disse lo chef. Gabriella poteva sentire
i suoi passi avvicinarsi alla loro auto. Più lui veniva vicino, più il cuore le
batteva forte. Per favore non
riconoscerci, per favore non riconoscerci, si ripeteva nella testa come un
mantra. “Che state facendo qui fuori? Se state qui a fare casino come quelle
altre bande…” posò una mano ferma sulla spalla di Troy e lo fece voltare. Ci
mise un secondo, ma la realizzazione colpì comunque il cuoco “Tu!” boccheggiò.
Troy tentò
un sorriso: “Ehilà.” esclamò docilmente.
“Hai
fegato!” gridò. Si elevò a tutta la sua altezza, di parecchi centimetri più
alta di Troy “Entri nel mio ristorante! Mi rubi Dio solo sa quanti soldi! Mi
rovini la giornata! E torni di nuovo?” scosse la testa come se potesse appena
crederci. Stringendo il polso di Troy, il suo viso si contorse in una smorfia
“Bene, adesso ti ho preso! Ti porto dritto alla stazione di polizia!”
“Mi
dispiace?” Troy sfoderò il suo sorriso più affascinante.
“Oh,
davvero?” ringhiò il cuoco “Faresti bene! E anche la tua ragazza!” volse la
testa verso Gabriella.
“Oh lei
non è la mia ragazza,” corresse Troy nello stesso
momento in cui Gabriella si affrettava ad esclamare: “Oh, non stiamo insieme.”
Il cuoco
aveva l’aria di uno a cui non gliene fregava niente:
“Non me frega niente.” disse esasperato.
“Ma non è
questo che mi dispiace.” continuò Troy.
“Ah sì?”
Senza
preavviso, il pugno del ragazzo volò contro la faccia dello chef. Mentre
quest’ultimo gemeva di dolore, Troy liberò il polso dalla presa del suo
rapitore: “Forza!” gridò a Gabriella che ancora fissava ammutolita il sangue
che sgorgava dal naso del cuoco. Le prese la mano e sfrecciarono lungo la
strada.
“Gli hai
appena dato un pugno!” gemette Gabriella senza fiato mentre
correvano “Sarebbe stato molto più semplice se avessimo solo chiesto ad una giuria di metterci in
prigione dai cinque ai dieci anni!”
Ci fu un
ruggito di rabbia dal fondo della via, seguito da una serie di imprecazioni in
una lingua straniera. Potevano sentire il turbinio dei passi dietro di loro mentre il cuoco li seguiva. Troy guardò Gabriella e
sorrise birichino: “Déjà vu?” scherzò.
“Ti odio,
Troy Bolton,” sibilò lei “Se ci uccide, non ti parlerò
mai più.”
“Posso
convivere con questo.”
“E poi
dirò a tutti delle tue ciabatte!”
Troy
chiuse immediatamente la bocca. Rubando un’occhiata dietro di lui, potè vedere
il cuoco conquistare lentamente terreno contro di loro. Si morse il labbro e si
girò ancora; le morbose grida di “Vi ucciderò!” del
cuoco stavano incominciando a sconcertarlo. Si guardò attorno urgentemente.
All’improvviso, Gabriella gli tirò il polso: “Troy,” ansimò “L’hotel!” indicò il
grande e lussuoso hotel aldilà della strada, le sue luci chiare richiamavano
letti comodi, un pasto caldo e un rifugio da uno chef pazzo che cercava di
ucciderli.
Schizzarono
tra il traffico e fino alle scale dell’hotel, investendo nel processo il
cameriere e il fattorino con un carrello di bagagli. Potevano sentire le urla
maniache del cuoco dietro di loro e un’altra sinfonia di auto suonanti mentre
attraversava la strada.
“Andiamo.”
esortò Troy e la tirò di nuovo per mano, volando
dentro l’hotel.
La
reception era vuota a quell’ora del mattino tranne che per poche solitarie
donne delle pulizie. Stravagante com’era l’hotel, avevano ovviamente adattato
una strategia decorativa del ‘meno è più’, che non
serviva vantaggi a coloro che cercavano di nascondersi da un assassino.
“L’ascensore.”
boccheggiò improvvisamente Gabriella. Corsero dentro
un ascensore, proprio mentre il cuoco irrompeva
nell’hotel.
“Oh, merda,” imprecò Troy mentre premeva quanti pulsanti riusciva con
il pugno. Il cuoco li individuò dall’altra parte della reception e lanciò un
grido, scavalcando con un salto una pianta e slittando verso di loro “Oh,
merda, oh, merda.”
“Vai, vai,
vai,” Gabriella cercò di incoraggiare l’ascensore. Ad
un tratto, come se l’avesse sentita, un campanello suonò e le porte si
chiusero. Mentre la musica dell’ascensore iniziò a suonare un’allegra ed
inappropriata canzone per l’occasione, videro qualche pelo dei baffi del cuoco
catturato tra le porte “Oh, Dio,” la mora lasciò
andare il fiato che aveva trattenuto “Oh, Dio, pensavo ci avesse preso. Che
facciamo adesso?”
Troy le
prese di nuovo la mano quando le porte si aprirono: “Torniamo giù.” rispose e premette il pulsante
per la reception.
Gabriella
si accigliò: “Come hai detto?”
“Torniamo
giù,” spiegò il ragazzo “Senti, lui si aspetta che noi
andiamo su, e ci aspetterà su. Ma noi andiamo giù e lasciamo l’hotel.”
“Suona
troppo ovvio per essere una buona idea.”
“Fidati di
me.”
Le porte
dell’ascensore si aprirono di nuovo, e davanti a loro apparve la reception
dell’hotel. Uscirono cauti, controllando l’area alla ricerca del cuoco. Poiché
lui non era in vista, uscirono completamente, cercando di sembrare più casuali
possibili. Camminarono mano nella mano per l’ingresso, gli occhi in cerca del
loro inseguitore.
Quando
arrivarono alla porta, tirarono entrambi un sospiro di sollievo: “Ce la siamo
scampata per miracolo. Pensavo che stessimo per…” Gabriella fu interrotta da un
urlo dall’altra parte dell’atrio. La coppia si girò per vedere il cuoco
emergere da una scala, urlando a pieni polmoni, agitando le braccia sopra la
testa.
Troy
lanciò un’occhiataccia a Gabriella: “Hai gufato.” la rimbeccò, prima di tirarla ancora per mano e sfrecciare
fuori dalla porta. Corsero attorno al lato dell’hotel, prima di trovarsi ad
affrontare un recinto di metallo. Guardandosi velocemente attorno per
assicurarsi che lo chef fosse ancora ad una distanza
considerabile, sollevò Gabriella sul recinto: “Scala.” le
istruì mentre il cuoco balzava fuori dall’hotel in un attacco di rabbia “Vai,
vai, vai,” la esortò.
“Sto
andando.” grugnì Gabriella, ed atterrò con un tonfo
dall’altro lato dello steccato, seguita poco dopo da Troy.
Corsero
lungo il lato del costoso hotel, senza parlare (od urlare) questa volta per
risparmiare energie. Gabriella non aveva fatto così tanto esercizio dall’ultimo
anno di liceo e trovò il suo cuore battere innaturalmente contro il suo petto e
il sangue affluirle in viso. Si appuntò di ringraziare sua madre per la figura
esile, visto che era sicura che senza i giusti geni, sarebbe stata obesa in
quel momento.
“Oh,
ragazzi,” grugnì Troy quando raggiunsero la fine della
lunghezza dell’hotel. Non c’era assolutamente un posto dove nascondersi.
Nient’altro che una piscina olimpionica e qualche albero antico occupavano
l’area nel retro dell’hotel.
“L’albero,” boccheggiò Gabriella, senza fiato. Indicò uno degli
alberi imponenti “Non c’è altro posto dove nascondersi se non lassù.”
Troy annuì
e con uno sguardo veloce dietro di lui, sollevò gentilmente Gabriella su un
nodo del tronco dell’albero più grande. Lei iniziò ad arrampicarsi lentamente e
lui poteva sentirla imprecare a bassa voce.
“Questo
non è un buon momento per dirti che ho paura delle altezze, vero?” sussurrò.
“Gabriella,” replicò urgentemente Troy dietro di lei “Spicciati, o non
arriverai mai più così in alto. Sei metri sotto terra, se capisci ciò che
intendo.” rimase zitto un
secondo “E sì, ti sto guardando il sedere.”
Gabriella
roteò gli occhi: “La notte che ti ha fatto, Dio doveva essere stato ad una
grande festa.”
Ci fu un
turbinio di passi quando il cuoco arrivò a loro.
Gabriella e Troy si arrampicarono nei confini frondosi dell’albero
mentre il cuoco controllava la zona, sempre imprecando ad alta voce: “So
che siete qui!” gridò “Venite fuori! Ho ancora intenzione di uccidervi appena
vi trovo!”
Il vento
aumentò e Gabriella deglutì la sua brioche mentre
l’albero ondeggiava da una parte e dall’altra, e la loro posizione così in alto
era precaria.
Una
raffica particolarmente violenta fece agitare le foglie attorno a loro e i rami
dell’albero si mossero pericolosamente. Un gridolino smorzato scappò dalle
labbra di Gabriella e con un lampo d’orrore negli occhi, Troy le premette la
mano sulla bocca.
Ma era
troppo tardi. La testa del cuoco scattò nella loro direzione e i suoi occhi
brillarono vittoriosi. Corse alla base dell’albero, e con una risatina maligna
che Gabriella pensava non esistesse al di fuori delle
favole, iniziò ad arrampicarsi. La sua corporatura pesante lo rendeva molto
lento e faticava a farsi strada nell’albero, ma questo non eliminava il fatto
che erano intrappolati. Non c’era nessun luogo dove andare, tranne giù, e
questo era molto fuori discussione a meno che non volessero fare la conoscenza
del marciapiede.
Gabriella
strinse forte il braccio di Troy, gli occhi ancora puntati sullo chef che si
stava divertendo con tutti i vari modi di morte che avrebbe potuto infliggere
loro: “Beh,” disse lei deglutendo “E’ stato bello
conoscerti. Ho vissuto una bella vita, davvero. Ho viaggiato. Ho visto il
mondo. Credo che mi sarebbe piaciuto vedere la mamma
un’ultima volta ma…”
Troy la
interruppe: “Nuotare.”
Gabriella
lo fissò: “Cosa?”
I suoi
occhi erano fissi sulla piscina sotto di loro: “Sai nuotare?” ripetè.
Gli occhi
di Gabriella si spostarono dai suoi alla piscina e poi ancora agli occhi blu
prima in incredulità poi in sgomento ed orrore: “La domanda rilevante non è sai volare?” scattò.
“Devi
imparare ad essere più positiva.”
“Sono
positiva che non posso farlo! Sono positiva che moriremo!”
“Potrebbe
andare peggio,” rimbeccò Troy “Potrebbe non esserci la
piscina. Potrebbe esserci la piscina senza acqua.”
“E’
meraviglioso! Ho sempre voluto farmi una nuotata prima di morire!”
Troy
guardò il cuoco e poi Gabriella. Si tolse i pantaloni e li tirò allo chef, che
lanciò un urlo e cadde a terra per la sorpresa: “Svestiti.”
la istruì.
Gabriella
lo fissò: “Lo attacchiamo con i nostri pigiama?”
Troy si
tolse la maglietta e la tirò giù: “Gabriella, svestiti. Vorrai il meno
possibile addosso quanto cadiamo in acqua.”
“Troy, non
voglio morire in biancheria!”
“Mi
dispiace! Se avessimo saputo che avremmo fatto questo stanotte, avremmo potuto
fare shopping. Ora svestiti!”
Con un
ultimo sguardo allo chef, che si trascinava sempre più vicino,
Gabriella tirò un sospiro riluttante e si tolse le scarpe, lanciandole
con un tonfo sull’erba. I suoi pantaloni furono i successivi ad andarsene,
prima che notasse Troy sogghignarle compiaciuto, gli occhi che scorrevano sopra
il suo corpo tremante: “Ti odio, Troy Bolton.” borbottò mentre si toglieva la maglietta
Lui
ghignò: “Stai benissimo.” disse, muovendo le
sopracciglia.
“Taci.”
“Ora
quando lo dico, mi stringi forte la mano e salti, okay?”
Gabriella
si spostò nervosamente sul ramo, sporgendosi per ispezionare l’acqua
scintillante. Deglutì: “Troy, io non penso che…”
“E’ tutto
okay, stai bene.”
Lei lo
fissò sprezzante.
“Fidati di
me,” le disse
rassicurante “Quando te lo dico, prendi un respiro, chiudi gli occhi e salta.” rubò un’occhiata dietro di lui e vide il cuoco sempre più
vicino. La guardò, calmando l’incontrollabile tremito della sua mano con una
stretta forte “Pronta?”
“No…”
Gabriella deglutì, sembrando sul punto di vomitare.
“Uno…”
Poterono
sentire il cuoco arrancare verso di loro, ed il ramo curvarsi per il peso.
“Due…”
La piscina
brillava sotto di loro, una straordinaria fusione di blu, verde ed argento.
“Tre.”
Presero un
respiro all’unisono.
E
saltarono.
To be continued…
Ed
anche il capitolo due è andato. Forse questa storia è un po’ paradossale, ma a
me piace proprio così XD
Grazie
a lovely_fairy, Angels4ever, armony_93 e Tay_ e a chi commenterà o leggerà!
Baci,
la vostra
Hypnotic Poison