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Autore: Gan_HOPE326    06/02/2009    2 recensioni
Una ragazza dagli strani poteri "vegetali", un vecchio falegname scorbutico e abilissimo, un viceammiraglio della Marina piuttosto originale: sono questi, assieme alla nostra affezionatissima ciurma di Cappello di Paglia, gli ingredienti per un'avventura in puro stile One Piece. Sullo scenario dell'isola di Eden e del suo bellissimo Giardino si intrecceranno le loro storie. Molta comicità, molta azione, avventura, suspence, colpi di scena, dramma e, perche no?, anche un pochino di romanticismo.
Venite a scoprire tutto questo, quaggiù, in mezzo all'oceano più grande del mondo.
Genere: Commedia, Azione, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7 – Il frutto della vita

Capitolo 7 – Il frutto della vita

 

Vent’anni fa

 

All’apice dell’albero maestro sventolava furiosamente, sotto i colpi del vento, una bandiera nera; dalla bandiera un cranio demoniaco, senza mandibola, con corna d’osso e canini lunghi come zanne, spalancava le orbite vuote sul mare circostante, in cerca di una preda.

-         Técchio! – esclamò la bambina, puntando il dito contro la bandiera.

-         Non “técchio”, Flea, porca balena! Si dice “teschio”! Te-schio! Ma com’è che non lo capisci, disgraziata?

-         Diggaziata? – fece l’altra, con aria dubbiosa.

-         Di disgraziato qui non c’è nessuno. A parte quell’ubriacone che non sa come si trattano i bambini.

La donna raccolse la bimba dall’impiantito lercio del ponte e se la prese in braccio. Era molto alta, e Flea dovette avere un momento di vertigine a guardare il mondo da lassù, perché si strinse a lei afferrando i capelli neri che le scendevano lungo il collo fino al seno e poggiandole la testa sul petto. Rassicurata, sorrise e si rilassò.

-         Mi scusi, signora Lilia. – balbettò il marinaio – Le giuro che non volevo mica far male. E’ che noi siamo un po’ così. Rozzi, come dice lei.

-         Non preoccuparti, Champagne. – rise l’altra – Sono io che ho accettato di crescere una figlia su una nave pirata, dopotutto. Sei scusato.

-         Grazie, signora. Non lo dica al capitano.

-         Tranquillo.

-         TERRA! TERRA!

Dalla coffa il grido giunse istantaneamente a tutta la nave. Un centinaio d’occhi si voltarono in direzione della prua; all’orizzonte cominciava a delinearsi il profilo di un’isola dalla forma obliqua, che usciva dall’acqua per alzarsi rapidamente e poi finire con una scogliera a picco sul mare, dall’altro lato. Iniziarono i preparativi per lo sbarco. Flea, eccitata, agitava le braccia e faceva su e giù in braccio alla madre, gridando “teiia, teiia!”, come sentiva fare ai grandi.

-         Siamo arrivati, capitano. Eden in vista.

-         Hm. Bene.

Madera uscì da sottocoperta e raggiunse la prua. Camminava dritto e orgoglioso, col portamento di un vero capitano pirata, e aveva un aspetto giovanile, tradito solo da qualche capello bianco.

-         Spariamo un colpo d’avvertimento, capitano?

-         Perché dovremmo, Champagne? – fece Madera, sogghignando – Noi siamo qui per una semplice transazione commerciale.

-         Non dire così. – intervenne Lilia – Come se fosse una cosa onesta.

Il capitano fece un gesto di stizza.

-         Ora non voglio discutere con te. Sono pur sempre un pirata; non puoi pretendere che sia anche onesto!

-         Lo so che non puoi esserlo. – rispose calma la donna – Ma se vieni qui a rubare, chiama le cose col loro nome.

Madera scosse la testa e si allontanò. Raggiunse gli uomini che stavano calando le scialuppe in mare, per controllare che tutto andasse bene e, soprattutto, per allontanarsi dalla donna prima di perdere le staffe. L’isola, intanto, si era fatta più vicina, e rivelava tutta la sua meraviglia. Eden era una gemma verde sull’azzurro dell’oceano, splendida sotto la luce del sole. Flea, in braccio a Lilia, spalancò gli occhi per guardarla, ipnotizzata.

 

-         Uomini, posate qui i cofani!

Quattro pirati si fecero avanti con due forzieri e li lasciarono cadere sul selciato con un tonfo, quindi li aprirono. Erano pieni di monete d’oro, gemme e gioielli dall’aspetto antico.

-         Questi – disse Madera, in piedi di fronte a quei tesori – valgono più o meno cento milioni di Beli. E’ il prezzo che sono disposto a pagare per il vostro Frutto del Diavolo.

L’ intera cittadinanza di Eden era riunita davanti ai pirati appena sbarcati, in una piazzetta del porto. Alle parole di Madera si diffusero brusii sommessi tra la gente, e dopo qualche minuto si fece avanti il sindaco Lopez, a nome di tutti.

-         Mi dispiace – disse – ma i miei elettori la ritengono un’offerta assai scarsa. Vent’anni fa abbiamo venduto il Frutto per almeno cinque volte tanto, e da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. L’inflazione e tutto il resto. Sinceramente, non possiamo accettare. I soldi dovranno servirci a sopravvivere e importare acqua per il Giardino per altri vent’anni, e non possiamo permetterci di vendere a un prezzo così basso. I miei elettori la pregano di presentare un’offerta più sostanziosa o di andarsene dall’isola.

Il capitano annuì, come se si aspettasse di sentire quelle parole già da tempo. Sorrise e cominciò a passeggiare, lentamente, davanti alla folla radunata. Ogni tanto si fermava a osservare qualcuno da vicino. Le persone, al suo passaggio, si ritraevano intimorite.

-         Bel bambino. – disse all’improvviso, di fronte a una madre con in braccio il figlio – Deve volergli molto bene, vero?

La donna accennò di sì con la testa e strinse il bimbo a sé con più forza di prima.

-         Siete coraggiosi a sfidarmi. Io potrei – continuò Madera, spostando lo sguardo dal bambino alle ragazze, ai vecchi, a tutti gli uomini e le donne del villaggio, uno dopo l’altro – potrei fare molte cose spiacevoli a ciascuno di voi. Sono un pirata, dopotutto. Potrei distruggere il vostro villaggio.

La sua voce si abbassò, divenne insinuante, minacciosa. I suoi occhi si socchiusero.

-         Potrei uccidere i vostri figli.

Nessuno osava respirare.

-         Ma! – esclamò il capitano, tornando all’atteggiamento di prima – Io non faccio più di queste cose, da molto tempo, ormai. Vi posso assicurare che la vostra incolumità non è a rischio. Questo però non vuol dire che io non sappia essere persuasivo, o che non desideri ancora acquistare il vostro Frutto.

-         I miei elettori non hanno niente contro di lei! – intervenne il sindaco Lopez – Ci paghi di più e avrà il suo Frutto!

-         Di più? Volete essere pagati di più? – Madera batté la mano su uno dei due cofani d’oro – Questi sono i tesori che ho accumulato in dieci anni di scorrerie. Molti dei miei uomini sono morti per conquistarli. Pensate a quanto valga per me questo oro, ogni moneta bagnata dal sangue di un caro compagno! Non basterebbero la mia vita e tutte quelle dei miei pirati per guadagnare la cifra che volete. Questa è la mia offerta, non di più.

Si piantò di fronte al sindaco Lopez, guardandolo dall’alto in basso:

-         Avrò il mio Frutto, costi quel che costi.

-         Il Frutto è nascosto! – si affrettò a spiegare Lopez – Se mi uccide, non saprà mai dove si trova! Io non tradirò la fiducia che i miei elettori hanno riposto in me!

-         Ma non ce ne sarà alcun bisogno, caro sindaco! – disse il capitano, ridendo – Voi mi consegnerete il Frutto di vostra spontanea volontà. Io sono un uomo capace di grande pazienza. Io e i miei pirati, d’ora in poi, vivremo qui tra voi. Non vi faremo nulla di male, saremo come semplici turisti in visita nella vostra isola. Ma la nostra nave rimarrà di guardia al porto. Nessun altro sbarcherà ad Eden finché noi saremo qui.

Dalla folla si levarono brusii preoccupati.

-         Signori, - annunciò Madera – questo è un embargo! Nessuno approderà e nessuno andrà via. Niente rifornimenti, niente acqua, e soprattutto niente altri compratori per il frutto. Finché noi saremo qui, non potrete venderlo a nessun altro; ma noi non ce ne andremo da qui finché non ce l’avrete venduto. La soluzione a questo dilemma, mi pare, è semplice. Decidetevi in fretta, vi conviene.

Al che si rivolse a Lopez e fece un mezzo inchino.

-         E adesso, signor sindaco, se lei fosse così gentile da indicarci una buona locanda... – chiese con garbo – Sa, io e la mia signora vorremmo rinfrescarci e riposarci del lungo viaggio.

 

La signora Pickwater, la grassa, anziana e gentile ortolana del mercato di Eden, provava una simpatia istintiva per i bambini. Quando aveva visto per la prima volta gli occhi larghi e curiosi di Flea se ne era subito innamorata; adesso, due settimane dopo, si era praticamente auto-nominata zia adottiva della bambina, e ogni volta che Lilia veniva a fare la spesa nel suo negozio ne approfittava per dare sfogo a tutto il proprio istinto materno.

-         Mela! – esclamò Flea, additando il frutto che la signora le sventolava davanti.

-         Bravissima! E’ intelligente questa piccola, guarda quanto impara in fretta…

-         Therése! – brontolò il signor Pickwater, al banco accanto – Smettila di chiacchierare con i clienti!

-         FACCIO QUELLO CHE MI PARE, CARO MIO! Lo scusi – disse poi, rivolta a Lilia – è un po’ scorbutico al vostro riguardo. Perché siete assieme ai, insomma…

-         …pirati. – completò la donna, sorridendo – Capisco benissimo.

-         Io glielo dico sempre che lei è una brava persona. E la bambina non c’entra niente, che ne sa lei di queste storie di pirati! Ma gli uomini possono essere molto testardi.

-         Peggio dei muli. – confermò Lilia.

Raccolse il sacchetto degli acquisti con la mano libera e si avviò all’uscita. Appena fuori dalla bottega, Champagne, che faceva il palo accanto alla porta, le corse accanto:

-         Tutto bene, signora? Vuole aiuto?

-         Grazie, faccio da sola.

Camminarono tra la gente che parlava e faceva affari in strada senza che nessuno prestasse loro attenzione. La presenza dei pirati era diventata ormai usuale e quasi normale, gli abitanti di Eden non ci facevano nemmeno più molto caso. Ma certo non tutti erano cordiali come la signora Pickwater, e questo Lilia lo avvertiva benissimo. Bastava cogliere un sussurro o un’occhiata per capirlo. Intorno a lei c’erano freddezza e indifferenza – odio, a volte. Le provocava ancora un po’ di disagio. Non sono ancora abituata ad essere un pirata, pensò.

Passarono accanto al tavolo di una taverna dove quattro uomini giocavano a carte; qualcuno disse qualcosa; ci fu uno scatto, e l’uomo si trovò a terra, con Champagne che gli teneva un coltello alla gola.

-         Pezzo di merda! – urlò – Tu non sei degno di vivere!

Il coltello si mosse, l’uomo era sbiancato in volto, ma il colpo fatale non arrivò. Lilia aveva fermato la mano del pirata.

-         Lascialo, Champagne. Ti proibisco di fargli del male. Aveva detto qualcosa su di me, vero? Di che si trattava?

-         Signora, io non potrei ripetere una cosa simile. – balbettò Champagne, rosso in volto, mentre si rialzava e rimetteva il coltello nel fodero.

-         Allora dimmelo tu. – disse Lilia, rivolta al tipo sdraiato a terra – Se sei abbastanza uomo da offendere qualcuno faccia a faccia anziché alle sue spalle.

Quello si rimise in piedi e sputò a terra, levandosi la polvere di dosso con le mani.

-         Ho detto che per essere costretto a portarsi dietro una donna e una bambina, il capitano Madera deve averti messa incinta in un bordello.

Lilia trasalì e chinò il capo, con un’espressione indecifrabile tra la vergogna e la rabbia. L’uomo davanti a lei continuava a guardarla con aria di sfida, sorridendo. Tutto tacque per qualche secondo.

-         Boddéllo! – trillò Flea, giuliva, rompendo il silenzio.

-         Se tu avessi detto queste stesse parole davanti a Madera – mormorò Lilia, sempre con gli occhi bassi – avresti potuto decretare la fine del tuo villaggio.

-         E tu adesso che farai, andrai a riferirgliele? – fece l’altro.

-         Sei uno stupido. Non lo farei mai.

Si allontanò, lentamente, come immersa nei propri pensieri; l’uomo, intanto, tornava al proprio tavolo da gioco ridendo e vantandosi con i compagni, tronfio di quella che considerava una sua vittoria. Champagne, rimasto indietro, fremeva. Guardò Lilia, che era ormai abbastanza distante, poi si accostò al tavolo.   

-         Ehi, tu. – disse rivolto al giocatore, che ancora rideva – Come ti chiami?

L’altro sollevò di malavoglia gli occhi dalle sue carte.

-         Hecker. – rispose bruscamente, prima di tornare al gioco.

-         Bene, Hecker. Sei stato molto fortunato. La signora mi ha ordinato di non farti nulla.

-         Già. – sghignazzò l’altro – Bei pirati che siete, tenuti in riga da una donna!

-         Ma adesso la signora non c’è.

All’istante, Champagne sfoderò nuovamente il coltello e gettò Hecker giù dalla sedia. L’uomo lanciò un’imprecazione, ma si zittì quando si ritrovò tenuto fermo al suolo, con la punta della lama a pochi millimetri dal suo occhio destro. Nessuno dei suoi tre amici riuscì a muovere un dito.

-         Lo sai com’è che il capitano ha incontrato la signora? – disse Champagne – Te lo racconto, così capisci esattamente quanto sei stato fortunato. Non ne hai nemmeno l’idea. L’hai visto il nostro simbolo, Hecker? Hai mai sentito parlare dei “Demoni dei mari”?

-         Qualche volta. – balbettò l’uomo – Si raccontano delle storie… hanno devastato molte isole e ucciso un sacco di gente. So solo questo.

-         Bene, quelli eravamo noi. Molte isole, dici tu: il numero esatto è ventitrè. Ci conoscevano di fama, ormai, il solo apparire del nostro simbolo seminava il terrore. Alla ventiquattresima, quando sbarcammo, imponemmo un ultimatum. Non come a voi, all’epoca andavamo un po’ più per le spicce. Gli abitanti avevano tre giorni di tempo per darci tutte le loro ricchezze, dopo di che li avremmo uccisi tutti. Dal primo all’ultimo. Capisci?

Hecker annuì tremando e, se possibile, divenne ancora più pallido.

-         La signora Lilia era del villaggio, discendente da una famiglia nobile. La notte del terzo giorno si intrufolò nella nostra nave, raggiunse la camera del capitano e gli si piazzò davanti, con una spada dall’impugnatura ingioiellata tra le mani. Pronta ad ucciderlo. Sai perché non l’ha fatto?

-         Non saprei. Non ne ha avuto il coraggio?

-         Per niente. La signora non è una vigliacca come te. Semplicemente, lasciò cadere la spada e disse al capitano che quello era un tesoro della sua famiglia, se lo prendesse pure e se ne andasse dall’isola. Disse che l’oro valeva comunque meno della vita di un uomo. Ma poi gli disse anche che, se solo avesse provato a torcere un capello a qualcuno del villaggio, allora gli prometteva che sarebbe tornato di persona a tagliargli la gola, con una spada meno preziosa ma ugualmente affilata.

Champagne avvicinò ancora di più il coltello all’occhio dell’uomo, che cominciò a piangere e implorare pietà. Il pirata lo ignorò e concluse il suo racconto:

-         Il capitano ne fu così impressionato che accettò di andarsene subito, a patto che lei lo seguisse. La signora accettò. Da tre anni viaggia insieme a noi; da tre anni il capitano è cambiato, e non ha più ucciso nessuno, garantito, e nemmeno noi l’abbiamo più fatto. Per questo ti dico che sei stato fortunato, imbecille. Perché, lo sai quanta gente ho ammazzato io, in tutta la mia carriera di pirata?

-         No. – balbettò Hecker, distrutto – Non lo so.

-         Ecco, nemmeno io. Ho perso il conto. – mugugnò Champagne.

Si rialzò, rinfoderò il coltello, lasciò libera la sua vittima e se ne andò. Hecker strisciò fino al tavolo senza avere nemmeno la forza di rialzarsi, tra le risate dei suoi compagni di gioco. Tornò a sedersi rimuginando su quell’umiliazione, su quei pirati, su quella donna.

 

-         Madera, credo che dovremmo lasciar perdere.

Il capitano ignorò le parole della moglie. Afferrò una coscia di pollo dal piatto davanti a sé e ne staccò un grosso pezzo con un morso. Lilia posò forchetta e coltello e si protese in avanti.

-         Davvero, Madera, dovremmo andarcene. Questa è brava gente. Se gli togliamo il Frutto, resteranno in miseria per vent’anni. Io non ce la faccio più a sentire che ci odiano, ci disprezzano, me e persino Flea, e il peggio è che hanno ragione. Non lo reggo.

Madera masticava la carne, furiosamente, e senza inghiottire afferrò il bicchiere e prese un sorso di vino. Continuò a non rispondere.

-         Domani ammazzo qualcuno. – disse infine – Devo dare l’esempio, o non si decideranno mai.

Lilia saltò in piedi e sbatté via il piatto davanti all’uomo, mandandolo a infrangersi a terra.

-         MADERA! – gridò – La promessa che ti ho fatto tre anni fa è ancora valida. Tu fa’ del male a qualcuno, e io…

-         Tu cosa? IO NE HO BISOGNO, LILIA! – urlò in risposta Madera – Mi serve quel Frutto! Non posso andare nel Nuovo Mondo così come sono, non ce la farò mai. Sono vecchio, Lilia! Ho più di  cinquant’anni! Senza un potere non arriverò mai a Raftel, e la mia vita, e tutte quelle dei miei compagni andranno sprecate! Non voglio farlo neanch’io, ma non ho scelta! E sono sicuro che tu non oserai uccidermi! Non ne avresti il coraggio. Almeno per nostra figlia.

-         I miei sentimenti sono una cosa. – mormorò la donna – Il mio dovere, un’altra. La promessa è ancora valida. Se dovessi farlo, anche a costo di soffrire e di lasciare Flea orfana, ti ucciderò. Stanne certo.

Madera scosse la testa. Conosceva la sua donna abbastanza da poterle credere, quando diceva una cosa simile.

-         E va bene, niente violenza. Ma restiamo qui ad oltranza. – concluse – Il Frutto deve essere mio.

 

Alla quarta settimana di occupazione, la situazione su Eden era ancora di stallo. Ormai anche i primi moti di ostilità degli abitanti verso i pirati si erano acquietati, e la vita dell’isola procedeva quasi normale, in una sorta di strana simbiosi. Predoni e depredati camminavano fianco a fianco; i mozzi della nave di Madera si ubriacavano e giocavano con gli uomini del villaggio, il cuoco riforniva la cambusa facendo i suoi acquisti al mercato, il fabbro aveva fatto amicizia con i colleghi del luogo e passava ore nelle loro botteghe, dove scambiava i propri segreti del mestiere con i loro. Fu in quest’atmosfera che, di punto in bianco, Lilia espresse il desiderio di visitare il Giardino e mostrarlo a Flea. Fino ad allora nessun pirata aveva potuto entrarvi, né se ne era interessato. Ma lei disse che non voleva perdere l’occasione di vedere una delle meraviglie del Grande Blu e che era sicura che alla bambina sarebbe piaciuto moltissimo. La cosa non fu troppo difficile da organizzare. L’indomani il sindaco Lopez incontrò il capitano e la signora davanti al cancello principale del Giardino, pronto a fare loro da cicerone per una visita guidata. Ovviamente, il suo compito era anche quello di controllare che i visitatori non arrecassero danno alla vegetazione. ma questa era praticamente una formalità.

-         I miei elettori vi danno il benvenuto! Vi prego, seguitemi, sarò il vostro accompagnatore in questi luoghi. Oh, ciao, bambina! – fece poi, rivolto a Flea, tenuta in braccio dalla madre – Quanto sei carina! Lo sai come mi chiamo io?

-         Palla di làddo! – rispose prontamente la bambina, contenta di potere far sfoggio delle proprie conoscenze.

Seguì un lungo silenzio imbarazzante.

-         Chissà dove le sente certe cose, la piccoletta. – borbottò Madera.

-         Già, chissà. – ripeté Lilia, alzando gli occhi al cielo.

-         Oh, non preoccupatevi. I miei elettori sono molto comprensivi, e adorano i bambini. Venite, venite, non perdiamoci in chiacchiere! Andiamo a visitare quello che, senza esagerare, potremmo definire un incommensurabile tesoro di verdeggiante vegetazione, un angolo di paradiso degno degli déi, una gemma di flora e biodiversità che risplende come uno smeraldo nel cuore di quel meraviglioso diadema che è il Grande Blu!

-         Cosa andiamo? – chiese Flea, perplessa e un po’ intimorita all’idea che la loro destinazione avesse a che fare con tanti inquietanti paroloni.

-         Dove andiamo, Flea. – la corresse Lilia – Andiamo nel Giardino. Ti piacerà. E’ un posto molto colorato, e con un sacco di profumi buoni. Ci sono piante e alberi che non hai mai visto.

-         Àbbei?

La bambina ci pensò un po’ su.

-         Técchio! – esclamò infine, illuminata. Lilia rise.

-         No, Flea, quello con la bandiera è l’albero maestro. Sta sulle navi: si chiama albero anche quello, ma è una cosa diversa. Questi sono alberi con foglie e fiori, e ben radicati nella terra. Sono esseri viventi, come me e te. Anzi, più forti sia di te che di me. Lo sai? Gli alberi sono molto forti, molto più degli uomini. Quando crescono possono diventare enormi, altissimi, e vivere anche per millenni. E niente li abbatte: né vento, né acqua, a volte sopravvivono anche al fuoco. Restano lì, invincibili, per sempre.

-         Sì, certo! – sghignazzò Madera – Finché non passa il primo taglialegna, s’intende.

Lilia scosse la testa, rassegnata.

-         Tu devi sempre rovinare tutta la poesia, eh?

-         Prima ancora che un pirata, io sono un carpentiere. La nostra nave l’ho costruita io, e legno e alberi li conosco bene. Poesia o non poesia, non voglio che a mia figlia si contino frottole!

Flea scoppiò a ridere come una matta.

-         E adesso che succede?

-         Credo sia per quello che hai detto tu… – azzardò Lilia, perplessa – Qualche parola…

-         Una parola? Che parola? Frottole?

-         Fòttole! – ripeté Flea, e ricominciò a ridere, più forte di prima.

-         Ma che carina, ancora più carina quando ride! – gongolò Lopez, ansioso di essere notato in qualche modo – Signori, siamo arrivati. Adesso le guardie ci apriranno il cancello e saremo ammessi nel nostro santuario verde.

Le due guardie, vestite con divise verdi e nere e armate di spadino al fianco, spalancarono ognuna una delle ante del cancello e si misero ai lati, sull’attenti, salutando i visitatori. Madera e Lilia passarono in mezzo ai due uomini. Lilia, sulla destra, era a pochi centimetri dalla guardia, ma, distratta dalle risate della figlia, non la vide, non la riconobbe. La guardia, invece, riconobbe benissimo lei.

Avrebbe potuto fare tante cose, a quel punto. Poteva lasciar tutto così com’era. Comportarsi come doveva fare una buona guardia e lasciarla passare tranquillamente. Ma era così vicino a lei da poterla toccare, e aveva una spada in mano, e l’umiliazione bruciava ancora. E dire che di coraggio non ne aveva mai avuto molto. Mai fatto nulla di avventato. Nulla di memorabile. Nulla per cui nessuno potesse ricordarlo. Beh, per questo lo avrebbero ricordato di certo. Liberare il villaggio da quegli schifosi pirati; e allo stesso tempo vendicarsi di quella sgualdrina e della vergogna provata.

Il coraggio può non venire per tutta una vita, e poi arrivare nel momento più sbagliato.

La spada scivolò fuori dal fodero.

-         Hecker! – gridò il sindaco Lopez, voltandosi indietro – Che diavolo…?

Il fendente partì in orizzontale, verso Lilia, dritto al petto, verso Flea, che le stava in braccio. Nei pochi secondi che ebbe per rendersi conto della situazione, Lilia ruotò il corpo di poco, cercando di fare scudo alla bambina, per quanto poteva. La lama colpì e affondò nel suo fianco, poco sotto il braccio, così come nella testa di Flea.

-         LILIA! FLEA!

Madera scattò un secondo più tardi, mise mano alla spada e tirò con rabbia, quasi alla cieca. La testa di Hecker rotolò al suolo. Il suo corpo si accasciò insieme a quello della donna. Restarono sdraiati a terra uno accanto all’altro, in un lago di sangue.

-         LILIA! FLEA! – gridò ancora Madera, correndo ad inginocchiarsi vicino alla donna.

Posò le dita sul collo prima dell’una, poi dell’altra. Flea aveva la testa spaccata fino in profondità; i capelli erano intrisi di sangue, respirava affannosamente. Il suo battito era debole, debole.

Quello di Lilia, invece, non c’era più.

 

Niente da fare.

L’aveva detto il dottore, era semplice da capire: non c’era niente da fare. Nessuna speranza. La bambina non avrebbe passato la notte, con tutto quel sangue che aveva perso, e visto come la ferita le aveva ridotto il cervello, era già incredibile che fosse ancora viva. Madera gli aveva tirato un cazzotto, al dottore, poi era uscito fuori. S’era seduto. Un capitano pirata non dovrebbe mai piangere; lui cominciò a farlo, disperatamente, senza vergogna.

Chi se ne fregava della dignità. Tanto, non c’era più niente da fare.

E poi venne la rabbia. Si rialzò e cominciò a correre per le vie del villaggio. Era sempre stato un uomo atletico, dai gesti coordinati e armoniosi, ma via via che andava avanti i suoi passi divennero sempre più scomposti e disordinati. Iniziò a mulinare le braccia in aria, come fossero ali, come volesse volare. Inciampò, cadde, non gli era mai successo prima, e finì faccia a terra. Quando si rialzò, gli mancava un dente e perdeva sangue dalla bocca.

Ma che importanza poteva avere quando ormai non c’era niente da fare?

-         RIDATEMELA! – gridò mentre correva, più veloce, più goffo, tanto da non sembrare nemmeno un pirata, piuttosto un vecchio strambo e un po’ pazzo – RIDATEMI FLEA! BASTARDI!

Urlò contro il villaggio. Le case erano tutte serrate. In tutte ci doveva essere un bambino che dormiva sereno, senza che la sua vita gli fuggisse via da una spaccatura del cranio. Che rabbia.

-         RIDATEMELA O VI AMMAZZO TUTTI! GIURO CHE VI AMMAZZO TUTTI!

Il grido fu così violento che Madera si sentì straziare i polmoni, sentì come uno strappo, dentro, e respirare gli divenne più difficile. Ora, quando parlava, veniva fuori un suono, un rantolo, un ansito, un rumore strano, come gnarr, gnarr, ma non ci fece nemmeno caso. Era un particolare.

Niente da fare.

Niente da fare.

-         VI HO DETTO! GNARR! CHE VI AMMAZZO! LO SAPETE CHI SONO IO, EH?

Nessuna risposta.

-         SONO MADERA! IL CAPITANO DEI “DEMONI DEI MARI”! GNARR! NON AVETE IDEA DI COSA POSSO FARVI! RIDATEMI FLEA! E ANCHE LA MIA LILIA! RIDATEMELE! GNARR!

Inciampò di nuovo, rotolò a terra, stavolta ci restò, rannicchiato come un neonato, a urlare e mordere la polvere, dannandosi, chiamando i suoi uomini, perchè bisognava raderlo subito al suolo, quel villaggio di ribelli, che si ostinavano a non esaudire le sue richieste, non gli ridavano Flea, non gli ridavano Lilia.

-         Capitano Madera…

Il sindaco Lopez si avvicinò prudentemente, temendo qualche reazione avventata del pirata, ma non accadde nulla. Fece qualche passo in più e allungò le braccia: tra le mani teneva un piccolo cofanetto di ferro. Lo aprì.

Dentro c’era un frutto dalla buccia intrecciata di spirali e arabeschi.

-         Abbiamo deciso di dartelo. – disse.

Madera gli saltò addosso, lo gettò a terra e gli mise le mani al collo.

-         E ADESSO CHE ME NE FACCIO, STRONZI? GNARR! CHE VOLETE CHE, GNARR, ME NE FACCIA?

-         Dallo… dallo a Flea. – balbettò Lopez.

Madera lo lasciò, incredulo. Il sindaco si rimise in piedi.

-         Dallo a Flea. – ripeté – Io… noi… insomma, i miei elettori pensano che non sia giusto che la bambina muoia. Voi pirati non siete stati crudeli con noi, e una bambina è sempre una bambina. Per questo, se c’è una possibilità… insomma, una minima speranza che il Frutto la renda in qualche modo più forte e la aiuti a sopravvivere… Ci sono un sacco di poteri diversi. Alcuni potrebbero salvarla. Se c’è una minima possibilità, vale la pena di provare.

Il capitano raccolse il cofanetto metallico e fissò il Frutto del Diavolo, poi lo richiuse di scatto.

-         I miei elettori desiderano che questa faccenda si risolva per il meglio. – concluse Lopez.

-         Grazie. – mormorò Madera – Giuro che, gnarr, vi ripagherò. In qualche modo. Gnarr. Giuro.

Salutò confusamente, si ficcò il cofanetto sottobraccio e, a passi irregolari, corse via, indietro, lungo la strada che aveva appena percorso.

Perché, finalmente, aveva qualcosa da fare.

 

Oggi

 

-         Tua madre aveva ragione, gnarr, Flea. Gli alberi sono davvero forti. Quando tu, gnarr, hai mangiato il Frutto, le tue condizioni si sono stabilizzate immediatamente. Gnarr, poi hai cominciato lentamente a migliorare. Dopo un po’ abbiamo finalmente capito la natura dei tuoi, gnarr, poteri e ti abbiamo messa con i piedi nel terriccio. Ti sei ripresa in una decina di minuti.

Madera, finalmente, tacque, con la voce ormai rauca per tutto quel parlare. Flea dovette riflettere per un po’, assimilare bene tutto, prima di riuscire a formulare una frase qualunque. Era stato abbastanza sconvolgente apprendere tutte quelle cose in una volta. Di sua madre, ad esempio, non ricordava assolutamente nulla. Poteva essere stata colpa della ferita alla testa, che le aveva causato una sorta di amnesia, o poteva semplicemente essere che lei all’epoca fosse troppo piccola per ricordare. In realtà, Flea non aveva mai nemmeno pensato di aver avuto una madre. Da piccola aveva sentito dire che i bambini nascerebbero spuntando sotto i cavoli e, vista la sua particolare fisiologia, aveva trovato un simile fenomeno perfettamente credibile da un punto di vista scientifico.

-         Quindi – disse infine, raccogliendo da terra il Frutto del Diavolo e rigirandoselo tra le mani – se adesso mangiassi questo esploderei, giusto?

-         Lo spero bene! – sbottò, irritato, il viceammiraglio – Sono venuto fino a quest’isola apposta, ho sbrigato un sacco di pratiche, organizzato l’invasione, adesso mi sono sorbito la tirata melodrammatica di questo vecchio, vorrei anche avere dei risultati! Desideravo solo osservare il fenomeno dell’esplosione per interferenza in modo da poter raccogliere dati sul funzionamento e le frequenze dei poteri dei Frutti, ma qui mi pare si andrà per le lunghe.

-         Aspetta un momento! – esclamò Flea – Tu saresti disposto a lasciare che io muoia, senza battere ciglio, solo per vedermi esplodere?

-         Per l’esattezza, io non la vedrei esplodere. Non la guarderei direttamente. Sa, temo che la luce eccessiva possa danneggiarmi le retine.

La ragazza sgranò gli occhi, poi decise che, se voleva che la discussione acquisisse una minima parvenza di sensatezza, era meglio cambiare interlocutore ed argomento.

-         Ma insomma, papà – domandò – perché questo fatto del Frutto non me lo hai mai raccontato prima?

-         Io, gnarr, non volevo che tu ti sentissi in debito verso la gente di Eden. – disse il vecchio – Questo debito lo stiamo già pagando io e la mia ciurma, che siamo rimasti qui a proteggere il Giardino e a costruire la torre di distillazione, gnarr. Io volevo che tu partissi e completassi il sogno che non ero riuscito a realizzare! Che raggiungessi la fine del Grande Blu, gnarr! Fin da quando eri piccola, gnarr, ho visto che volevi viaggiare, sognavi storie e avventure, ma non avevi il coraggio di tua madre, gnarr. Senza una spinta ti saresti, gnarr, adagiata, avresti rinunciato. Ho pensato che se ti fossi sentita in debito con quest’isola, gnarr, non te ne saresti andata mai. Non volevo che succedesse questo, gnarr! Nonostante tutto, tu non sei un albero, sei una persona, gnarr, e le persone devono muoversi, viaggiare, scoprire nuove cose! Io non volevo che tu restassi immobile! Non volevo, gnarr, che tu mettessi radici!

Madera parlò con toni sempre più alti, in un crescendo di foga e passione che culminò con quell’esclamazione e lasciò il vecchio stremato. Flea, dal canto suo, si arrabbiava sempre più via via che sentiva le parole di suo padre.

-         Ecco, lo sapevo! – esplose infine – Sempre la solita storia! Questa tua fissazione di mandarmi in mare, e viaggiare, e fare la pirata, o che so io! Ma lo vuoi capire che non mi interessa? NON MI VA! Non mi interessano queste fantasie! Non mi importa nulla del Grande Blu, di Raftel, del favoloso tesoro One Piece, di quell’incredibile eroe che è stato Gold Roger, di tutte le magnifiche avventure che potrei vivere, delle isole desertiche… o di quelle nel cielo, con il loro mare bianco… o delle foreste primordiali… o di giganti… e sirene…

La ragazza sospirò, con lo sguardo perso. Suo padre, Whip e persino l’orango carceriere di prima la fissavano molto scettici. Quando se ne accorse, Flea si riscosse e concluse:

-         …insomma, di tutta questa roba non me ne frega niente! Io vivo bene in quest’isola!

E poi, dopo un attimo di riflessione, aggiunse:

-         Anche se magari è un po’ noiosa.

Sospirò di nuovo, scuotendo la testa. Davvero, non era proprio brava a mentire. Non riusciva a convincere nemmeno sé stessa. Le sarebbe dispiaciuto rinunciare a tutto ciò che sognava. Ma se si trattava di scegliere tra tutto quello e l’affetto per suo padre... Beh, bisognava portare pazienza. Nella vita talvolta si devono fare dei sacrifici.

-         Viceammiraglio – esclamò ad un tratto, rivolgendosi a Whip – se io acconsento a mangiare quel frutto, mi giuri solennemente che libererai mio padre e non lo importunerai mai più?

-         FLEA! SEI PAZZA, GNARR?

-         Glie l’ho già detto prima, signorina. Per un ufficiale, ogni promessa è debito. – asserì il viceammiraglio con solennità – Lo lascerò libero e non lo incriminerò per la faccenda della “Walrus Pride”. Potrà anche tenersi l’agalmatolite.

-         Bene. – mormorò Flea.

Sollevò il Frutto del Diavolo, che teneva ancora in mano, portandolo davanti al volto. Le tremava il braccio, anzi tutto il corpo, e ad ogni centimetro che lo sollevava le sembrava che il Frutto diventasse più pesante.

-         FLEA! GNARR! NON FARLO! – urlò Madera, disperato.

-         Io non ci riuscirei comunque ad arrivare a Raftel, papà. Se vuoi scoprire cos’è One Piece, mi sa che dovrai rimetterti in mare tu.

-         NO! NON SE NE PARLA, GNARR! LASCIA CHE MI AMMAZZI, CHE TI FREGA DI UN VECCHIO COME ME?

-         E piantala, papà. – disse Flea, sorridendo verso di lui – E’ da quando ero bambina che mi chiami fifona, e per una volta che faccio una cosa coraggiosa, reagisci così?

Prese un respiro profondo. Whip era già corso ai ripari, pronto a registrare i suoi dati. La ragazza chiuse gli occhi e cercò di immaginare che quello che aveva in mano fosse semplicemente un frutto normale. Una delle sue mele, ecco. Lo sollevò, lo portò alla bocca, staccò un morso.

 

 

 

 

 

 

 

 

Un capitolo, questo, un po’ diverso dagli altri per atmosfera… spero non vi sia dispiaciuto, ma mi sono inserito nel filone di Oda anche in questo senso: i flashback, per regola, devono far piangere XD. Beh, magari esagero, ma certo questo è il capitolo più drammatico della fic. Tra l’altro, dalla frase di Madera (“Io non volevo che tu mettessi radici!”) viene il titolo di tutta la fic. Questa frase l’ho pensata fin da subito come la “chiave” di tutta la storia. Ok, ringraziamenti generali e risposte:

 

X Smemo92: come vedi, su Madera ci avevi azzeccato! Ma la ragione per cui Flea ha mangiato il frutto, e quella per cui suo padre non le ha mai detto niente, erano un po’ diverse.

 

X Senboo: uhm… ti ricorda qualcosa… non saprei, ma tu dì pure apertamente il titolo che hai in mente, non mi offendo anche se scopro di aver commesso un plagio XD. Sicuramente non lo ricordo direttamente (e non è che abbia letto tanti libri di pirati in vita mia), ma chissà che non sia una cosa che ho letto, dimenticato e adesso involontariamente copiato. Sono cose che succedono. Nel caso, basta dire che è un’affettuosa citazione e nessuno ha più nulla da obiettare XD. Mi dispiace invece che il capitolo appena trascorso non abbia risolto nessuno dei tuoi dubbi sulla sorte degli altri personaggi (in realtà non mi dispiace affatto XD. E’ uno sporco stratagemma, tutto qua. L’ho scritta così, questa storia, proprio per lasciare i lettori sulla corda…!), il prossimo prometto che non ti deluderà.

 

X lale16: se leggo Rat-Man? Se conosco Leo Ortolani? Ma CERTO CHE LO CONOSCO! E’ uno dei miei miti! Anzi, una volta gli ho pure dedicato una storia (la fanfic di Naruto “Qualcuno pensi ai bambini”, in cui mi sono ispirato al suo stile ancor più che qui). E scommetto che a fartelo venire in mente è stata la scimmia Bonga (“Brava Bonga! Un bel sette! Rat-Man? Quattro meno meno. E smettila di copiare da Bonga!” XD Cito a memoria da “La gabbia”, spero di non sbagliarmi). Uno degli affettuosi omaggi di cui dicevasi sopra.

P.S. Le paperelle le puoi adottare, ma ti serve il porto d’armi, prima XD.

 

  
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