Capitolo
Tre
O "Comprati un ukulele, se tanto lo
desideri"
Il
12 luglio mattina partì come il sei giugno, all'incirca.
Mi
svegliai e scesi in cucina per prepararmi il caffè, accesi il
televisore e misi su Good Morning England[1], seguii un paio di
servizi sui giardini di signore di mezza età, mi misi a mangiare
biscotti, notai che al tavolo c'erano altre persone.
Quattro
ragazzi dalle facce sconvolte (forse per il gene sardo e peloso che
porto) che erano intenti a inzuppare biscotti nel the.
Tuttavia
non spesi del tempo a tentare di collegare il fatto che fossi
seminudo quando c'erano 16 gradi (eravamo nel pieno dell'Estate
Inglese), ma tentai semplicemente di coordinare i muscoli del braccio
per riuscire ad accennare un saluto.
Un ragazzo, in puro accento romano, esclamò "Ammazza aò, che
voi del Nord siete pelosi, eh?"
Non capendo quella lingua mi
girai verso l'altro ragazzo dai tratti mediterranei.
"Dice que tienes pelos.",
aggiunse.
A
quel punto mi girai verso il ragazzo dai tratti nordici, che si
complimentò con me per il mio pigiama.
Decisi
quindi di salire nella mansarda che mi avevano messo a disposizione a
mettermi dei pantaloni.
La mansarda in questione non era una suite presidenziale, per intenderci, era una classica 4mx4m dove si stivano gli studenti stranieri che non possono permettersi di fare reclami a proposito.
Il
pomeriggio prima giunsi ad Abingdon-upon-Thames, una piccola
cittadina con piccoli cittadini nella non così piccola contea
dell'Oxfordshire, e più precisamente in una piccola casa-corridoio
su quattro piani dal lato corto di circa due metri e mezzo (piccolo
inconveniente quando ci sono 4 studenti e 4 membri della famiglia),
quella che sarebbe stata la mia casetta per i 21 giorni seguenti,
tuttavia non me ne ero ancora accorto.
Il mio corpo ovviamente se ne era accorto, se ne era talmente
accorto che aveva pure conosciuto la famiglia ospitante.
Mike e "l'altra", la moglie.
C'era
un solo difetto in quella casa, o meglio, due.
Due bulldog francesi con una sfrenata passione per il mordere e per
il fare la cacca la mattina presto vicino alla cucina.
“Sai, sono stato ad Abingdon una volta” aggiunse Francesco. “È un mortorio, ad eccezione del rateo pub/metri”
“Ne avevo uno a tre metri dall'uscio di casa e un altro a dieci metri. Peccato nessuno mi abbia mai dato da bere lì.”
Cari
ormai undici lettori, presupponendo un eventuale suicidio, sapevate
che suono l'ukulele?
Ora
vi chiederete cosa è un ukulele.
Un
ukulele è uno strumento che è come una chitarra malformata, nana e
con quattro corde.
Il suono non è sempre piacevole, e lo si suona più che altro
per rimorchiare.
Esattamente come una chitarra.
Il
mio, un modello molto semplice, porta le firme di tutti i
partecipanti della mia vita che conoscerete o non conoscerete più
avanti.
Beh,
tutto iniziò il ventuno luglio del 2013, durante il mio primo
viaggio a Oxford.
"Marco,
taglia corto."
"Mi
comprai un ukulele.
Fine.
Contento, Wren?"
"Pensavo
fosse solo poco interessante."
"Ricordami
di chi è il libro, per favore."
"Tuo."
"E
chi decide cosa scrivere?"
"Un
connubio di licenza poetica e fatti semi casuali?"
"Esatto.
Ergo, mi lasci dire perché è importante sapere che suono
l'ukulele?"
"Perché
una ragazzina milanese se che hai conosciuto se l'è preso nello
stesso negozio in cui l'hai preso tu"
"Ah,
capisco, ora sei tu lo scrittore.
Deliziaci."
"Marco
e un ragazzo svedese con cui girava avevano formato un gruppo di
suonatori d'ukulele principianti che sono stati cacciati da
Piccadilly Circus con una multa per accattonaggio."
"Così
passiamo per cattivi."
"Eravate
cattivi.
Avete inciso "Hipster Jam" su un albero.
Su un povero albero che non vi aveva fatto alcun male. Riesci a
dormire sonni tranquilli sapendo il male che hai causato?"
"Stai
aggravando la tua posizione già molto instabile, coscienza."
"Dai,
scrivi il tuo capitolo e passiamo oltre."
Quindi,
dopo lo spoiler che ha fatto Christopher, sapete come sono finito a
suonare l'ukulele.
"Ma
questo che cosa centra con il capitolo?" vi chiederete.
Sapete
il gruppo di tre milanesi che tentò di socializzare con me
all'aeroporto?
Solo
una era di Milano, e il 12 mi son ritrovato a passare tutta la
giornata con loro.
Fuori
i taccuini, lettori, presento dei personaggi.
La
milanese, che chiameremo "Parrot", era una ragazza
mediamente bassa, capelli tinti e una propensione al parlare che la
faceva assomigliare ad un uccello del paradiso canterino.
Le
due non milanesi, di Torino, che chiameremo "Frida" e
"Venere" per semplice censura, erano sicuramente più
piacevoli da avere nelle proprie vicinanze per il semplice fatto che
emettevano
suoni a una frequenza umanamente sopportabile.
Il
primo giorno ero molto eccitato (anche se scoprii che mi sarei dovuto
fare due ore di bus al giorno solo per arrivare a Oxford e tornare a
casa) ma per il semplice fatto di essere ritornato in quel posto mi
faceva stare bene.
C'è
un edificio, o meglio, un edificio ed una piazza, che per qualche
strana ragione, vengono sempre nascosti nei documentari o nei
film.
Piazza
Bonn e Carfax Tower.
La
prima è nascosta forse per l'immenso traffico di stupefacenti che
avviene nei tunnel vicini, la seconda perché nessuno ha aneddoti
validi con cui spiegare la sua esistenza.
Fino
ad oggi.
Era
il 2013, ero arrivato da dieci minuti circa a Oxford ed era l'una del
mattino.
Valeria,
la responsabile a cui ero stato affidato, per spiegarmi come dovevo
arrivare a Carfax Tower, incominciò a gridare, per colpa delle
orecchie tappate, "Devi chiedere di una torre che si chiama
Carfax, Car come macchina, Fax come fax!"
Sorvolando che il
mio bus si fermava esattamente a 50 metri da questa torre, riuscii a
perdermi comunque.
Io
e quello che era il mio compagno di stanza del 2013 prendemmo un taxi
per fare 50 metri. 4£.
"Marco"
"Cosa
c'è, Wren?"
"Ti
sei dimenticato di dire una cosa."
"Cosa?"
"Di
dire che è il tuo secondo viaggio a Oxford."
"Si
capiva."
"Non
penso."
"Wren,
da ora in poi parlerai quando ti sarà rivolta la parola, o quando
avrai qualcosa di veramente pertinente da dire.
Non puoi rovinarmi i tempi comici.
Già devo faticare per rendere questo libro relativamente piacevole
da leggere, non ho bisogno di tu che mi metti i bastoni fra le
ruote!”
La
mattina del 12 luglio andammo a fare il "sightseeing"[2] di
Oxford, e io ebbi l'opportunità di conoscere le tre ragazze
sopracitate.
Con
la mia tracolla e il mio ukulele sotto braccio, ero la guida
perfetta.
Sicuramente
migliore della svampita della leader che l'STS ci aveva dato.
Una
ventitreenne di Cuneo che tentò più e più volte di farci perdere
la pazienza che con la sua impreparazione cronica e con il suo
accento da piemontese espatriata a Genova non era per niente
piacevole da avere vicino.
O
dietro.
O
in un'area di 50km intorno a te.
Era completamente disorientata.
Non
sapeva dove mettere i piedi, e per poco non si faceva investire in un
area pedonale.
Passando
per Cornmarket Street[3], famosa per la coda che si crea da
Starbucks, notai che tutto era rimasto uguale, tranne per il negozio
di dischi, che era fallito.
Strano,
con tutti i soldi che ci buttai in poster e cd avrei potuto tenerlo
aperto.
Parrot
era molto interessata alle mie varie storie da lupo di mare, come
quando scalai il K2 con un gatto.
"Marco,
quello non è mai successo" disse Parrot ridendo.
"Volevo
vedere se stavi attenta.
Guarda, lì è dove abbiamo preso gli ukuleli."
Le
indicai il Blackwell Music Shop, affianco alla Blackwell Library, una
delle librerie più vecchie e belle di Oxford, dove spesi circa 140£
di libri nel 2013.
"Magari
me lo prendo anche io un ukulele.
Mi insegneresti a suonarlo?" chiese gentilmente
Parrot.
"Comprati
un ukulele, se tanto lo desideri"
In
quel momento ero talmente distratto dal culo di una norvegese, uno
dei culi più belli che io abbia mai visto, che probabilmente mi
avrebbe tormentato le notti del resto della mia vita, uno di quelli
per cui creare pick up lines perfette tipo “hey bby wunna fuk”,
che accettai senza rendermene conto.
Non
sapevo a cosa stessi andando in contro, non sapevo la tortura
infernale che i miei polpastrelli avrebbero dovuto sopportare subito
dopo.
Due
ore dopo, stavo girando le corde di un ukulele da destro perché
Parrot è mancina.
Con
le mie dita lunghe è stato difficile fare i nodi, ma, credetemi o
no, non è stata la parte più dolorosa della giornata.
L'STS
ha un modo per punire i propri studenti che, da molte associazioni
per i diritti umani, è stato dichiarato "un secondo olocausto"
e ha lasciato traumatizzati tutti i testimoni di questi riti.
I
Crazy Games.
Se
nell'antica Grecia si infilavano ravanelli negli orifizi[4], a Oxford
si fanno strisciare gli studenti in competizione.
Le
regole dei giochi erano abbastanza semplici.
Bisognava
far arrivare una pallina da tennis da un punto A ad un punto B, e poi
dal punto B al punto A.
Dal
punto A al punto B potevi spostare la pallina solo con le ginocchia,
mentre strisciavi.
Dal punto B al punto A, ti toccava usare la testa.
Vi
starete chiedendo come sono riuscito a sopravvivere a tutto
ciò.
Semplicemente,
sono entrato in uno stato di ibernazione cerebrale, e il mio corpo
svolgeva tutte le azioni che gli venivano urlate da altri dietro di
me.
Dopo
questi spassosissimi e pazzissimi Crazy Games, il mio corpo si
diresse dal parco dell'università a Carfax Tower per prendere il bus
e tornare a casa, dove trovai i miei compagnucci di alloggio, quei
ragazzi che si complimentarono con me la mattina.
Pizza, un ragazzo di Roma Nord, Thor, un ragazzo del nord, e Juan
Pablo Clichè Rodriguez Diaz de la Vivar, un ragazzo di Barcellona
Nord.
Ma è poco importante, perché non ci feci molta amicizia dato
che ero già di malumore.
Il
giorno dopo sarei dovuto andare a Londra.
[1]
Programma mattutino che tratta di giardini di signore di mezza
età.
[2]
Giro turistico
[3] Viale commerciale principale di
Oxford.
[4] ραφανιδοω
“Manca ancora tanto? Io vorrei anche ascoltare le tipe che si mettono al banco per farmi vedere le tette in cambio di drink gratis.”
“Te le faccio vedere io?”