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Autore: Fenio394Sparrow    06/09/2015    2 recensioni
{Lo Hobbit|| OC|| Arya!Centric || Movieverse|| Long|| Prequel! Winter is Coming}
{«State sorvolando sulle condizioni in cui lascerete andare, signore.»
Thranduil la guardò stupito, senza capire dove stesse andando a parare Arya. «Non so quale considerazione abbiate riguardo gli uomini, signore, o delle bambine che si accompagnano ad un gruppo di nani, ma vi assicuro che io non sono stupida, e questo accordo mi puzza d’imbroglio. Ci lascerete liberi, certo, ma magari nel mezzo della foresta e senza viveri né armi e saremo alla mercé dei ragni in meno di un giorno, e tanti saluti alla nostra impresa. Perciò penso che vi convenga alzare un po’ la posta, Sire, perché io non faccio beneficenza e i miei servigi non sono a poco prezzo.» Arya sorrise amabilmente.}
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bilbo, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di Sette Regni e una Terra di Mezzo'
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~ The moon loved the sun~




Who we are
We were never welcome here,
We will never welcome here at all, no

 
 
«Qual è il tuo colore preferito?»
Quella di Kili era nata come una domanda innocente, ma non aveva idea della confusione che le stava provocando. Amava il blu, prima. Non un blu qualsiasi, che lasciava spazio ad un’ampia gamma di sfumature: un blu preciso, che era quello e nessun altro – Arya odiava quando le persone dicevano “blu” o “verde”. Quale blu? Quale verde? Nel suo caso, era un blu mare, lo stesso blu intenso e imperscrutabile dell’acqua profonda, in netto contrasto con l’azzurro dei fondali bassi. Ma qualcosa era cambiato.
 «C’è questo colore» disse con aria vaga, cercando le parole giuste. «Un azzurro molto chiaro, però non è come il cielo, più o meno la stessa tonalità di quando ci sono soffi di nuvole, hai presente? Quel colore che ogni tanto potrebbe sembrare trasparente, davvero vivido. Che non appena lo vedi ti senti trafitto come da due lame affilate.»
«Uhm, sì. A me piace il blu.»
Ecco, quello le dava i nervi. «Quale blu?»
«Blu. Punto. Quanti blu ci sono?»
«C’è il blu scuro, il blu chiaro, il blu mare, il blu oltremare, il blu nontiscordardime oppure il blu cielo. Voi con blu intendete blu e azzurro*» rispose Arya, saltando una radice. Maledette. Alzò lo sguardo per cercare il cielo, ma le fronde degli alberi occupavano completamente la sua visuale, rendendo impossibile vedere altro. Stava piovendo, ma le foglie erano così fitte che l’acqua cadeva solo in determinati punti, dove qualche foglia solitaria si piegava al peso e cadeva. Era molto umido e Arya tremava come un topolino. Bilbo aveva ragione, quella foresta era malata. Ma Thorin era stato irremovibile e Arya lo aveva seguito senza fiatare, anche perché cosa avrebbe potuto dire? La ragazza sapeva quando le parole erano fiato sprecato, perciò aveva semplicemente abbassato il capo e si era incamminata subito dietro il nano.
«Ezuro? E che colore è?» Kili provò a ripetere ciò che lei aveva detto, ma aveva una pronuncia così scarsa che provocò un eccesso di ilarità da parte della ragazza, che ora rideva facendogli il verso. «Azzurro, non ezuro! Ezuro non esiste! Azzurro sarebbe blu chiaro, come il cielo.»
«Bah.» Commentò il nano, evidentemente non convinto. Arya ridacchiò un’ultima volta e alzò gli occhi al cielo, provando a cercarne una traccia fra le fronde. Ma erano così fitte che non riuscì a scorgere niente, se non qualche pezzettino grigio nascosto fra le foglie.

Ancora non riusciva a concepire come si potesse sopportare un viaggio di una tale portata, considerando soprattutto che per loro era più che normale. Erano mesi che andavano avanti così. Avrebbe mentito a sé stesse se avesse detto che non aveva cominciato ad averne abbastanza. Non per la compagnia – non poteva desiderare compagni migliori – ma per la stanchezza. Ogni giorno si fermavano al tramonto e ripartivano all’alba, si riposavano un’oretta per pranzare e ricominciavano a camminare fino alla sera e ogni singolo giorno andava avanti per inerzia, come una ruota difettosa di un carro, che si muove a fatica grazie al moto esercitato dal cavallo che trainava tutto.
Quella maledetta foresta non aveva mai fine. Una volta, svegliata di soprassalto in seguito ad un brutto sogno, si era resa conto di non sapere quanto distante fosse la loro meta, di non sapere quanti kilometri avevano percorso né quanti ne rimanevano e aveva sentito la stessa sensazione di disagio che aveva provato quando all’inizio di quell’anno scolastico aveva capito che avrebbe dovuto sostenere l’esame di maturità. Aveva realizzato che di lì a poco sarebbe tutto finito. Quella consapevolezza l’aveva gettata nel panico e aveva svegliato in fretta e furia Thorin per calmarsi. Lo aveva tempestato di domande per far combaciare i puntini e dopo era ricaduta in un sonno leggero ma senza sogni. Sapere che sarebbe stata costretta ad abbandonare i suoi amici – coloro che ormai considerava come una famiglia – l’aveva riempita di terrore.

Si riscosse da quei pensieri con disappunto, visto che a quanto diceva Thorin doveva essere passato da un’ora mezzogiorno e potevano ristorarsi. A lei sembrava perennemente sera, con quel cielo plumbeo e gonfio di pioggia, ma si fidava della loro guida e accolse con felicità quella decisione. Era da un po’ di tempo che Bofur era impegnato ad intagliare un oggettino nel legno, riprendendo il lavoro ogni volta che si fermavano per fare una pausa. Arya era curiosa di vedere il lavoro terminato, quindi non gli dava fastidio. Stava notando come tutti apparissero un po’ più smunti e, di conseguenza, più scontrosi del solito. Quella foresta era dannatamente odiosa. Come facessero gli elfi a vivere lì dentro rimaneva un mistero per lei. Probabilmente era dimagrita anche lei – sentiva i pantaloni andarle più larghi sulle cosce, ma non se ne rallegrò, perché di quel periodo aveva perennemente fame e non aveva un dannatissimo snack da sgranocchiare. Il che era quello che succedeva ad ogni singola donna che decideva di incamminarsi verso quella tortuosa strada conosciuta come “dieta dimagrante”. Molte fallivano nell’impresa, cedendo alle tentazioni che il frigorifero offriva – tipo Arya, che al primo squilibrio emotivo si buttava sul gelato al cioccolato – e poche riuscivano. In ogni caso, non è una bella esperienza. «Ucciderei per un Tronky» borbottò la ragazza.
«Io per una torta di mele!» sospirò Bilbo.
Fili emise un verso disgustato. «Torta di mele? Bleh, non dirai sul serio, spero»
«Non dirai sul serio tu!»  rispose Nori.
«Infatti!» gli fece eco Arya. «Davvero non ti piace? E pensare che è la cosa che mi riesce meglio!»
«Io la odio.» sentenziò Fili. «Non prepararmi mai una torta di mele se vuoi essere mio amico! Ai mirtilli, lamponi, fragole … ma le mele proprio no.»
«Nemmeno a me piacciono così» replicò la ragazza. «Ma nella torta … dai, è l’unico modo che mia madre ha trovato per farmele mangiare!»
«Non dovresti avere questo atteggiamento, Fili» lo rimbeccò Bombur. «Il cibo non si butta mai via, perché è tutto buono! Non so che darei per qualche torta di mele, mi sto deperendo!»
«Eh sì, proprio deperito!» fece Kili e tutti si unirono alle risate, perfino Thorin e Dwalin. Bombur tirò su col naso, offeso, e ritornò a cucinare. «Ridete tutti quanto vi pare, ma se non ci fossi io, qui sareste tutti magri come scheletri per la fame! E il cibo sta finendo, tocca a me razionarlo per farlo durare più a lungo!»
«Vero!» replicò Kili, che non riusciva a placare le sue risate. «Guarda Arya, per esempio, con quelle guance scavate non è più  così bella!»
Arya, che stava ridendo a crepapelle assieme agli altri, si bloccò all’improvviso, le si imporporarono le guance e rispose con tutta l’eleganza che la sua lingua poteva offrire – meglio non riportare: confido nella vostra immaginazione.
 «Cosa?»
«Ho detto che prima di parlare devi aspettare che ti cresca la barba!»
«Ooooooooooh!» Fece Fili, piegandosi in due dalle risate. «Beccati questa, fratello!»
 «Te l’ha fatta, nipote» commentò con un sorriso Thorin.
Kili era ammutolito. Lui e Arya si guardarono negli occhi, silenziosi, prima di scoppiare a ridere come se niente fosse accaduto. Mentre si asciugava una lacrimuccia che minacciava di scendere dall’occhio, la ragazza pensò che avrebbe preferito viaggiare in quel modo fino alla fine dei suoi giorni, piuttosto che finire la ricerca in tempi brevi e separarsi da loro.

Correre non era mai stato il suo forte. Quando era una bambina era veloce come una scheggia, ma a dieci anni era caduta dalla bicicletta e si era rotta un ginocchio, mettendo fine ai giorni di “più veloce della classe”. Non era mai stata fortunata con le articolazioni: questo lo ricordava perché ogni volta che il tempo era in procinto di cambiare il ginocchio e il polso le dolevano – quest’ultimo si era rotto dopo un match di pallavolo alquanto combattuto, quando aveva cercato di ricevere una schiacciata e l’unica cosa a schiacciarsi erano state le sue povere ossa. Di recente, si era anche aggiunta la caviglia offesa. Il suo corpo non poteva aiutarla, in quel caso. L’Orco Pallido era alle loro calcagna, lei era rimasta indietro e correva con tutte le sue forze, ma non riusciva ad avanzare: sembrava che il terreno le corresse sotto come un tapis roulant e più aumentava la velocità più restava ferma al suo posto e Azog si avvicinava ogni secondo di più, pronto a prenderla ….
Un lupo le azzannò il polpaccio. Arya gridò di dolore, ma tutto ciò che uscì dalla sua gola fu un miagolio debole e spento, e mentre il mannaro la scuoteva e le lacerava la carne come se fosse stata una bambola di pezza Arya urlava sempre con più disperazione e sentiva le lacrime solcarle il viso sporco di fuliggine. Ma più forte urlava, meno la voce le usciva dalla gola, che sembrava bruciare come pugnalata da mille coltelli. Adesso apriva la bocca in un disperato tentativo di farsi sentire, ma non ne usciva alcun suono. Era uno dei suoi incubi ricorrenti, quello di urlare senza farsi sentire, e la verità la colpì come una pallonata in faccia: questo non è reale. Ma la consapevolezza di essere dentro un incubo non rendeva il dolore meno presente. Sentiva di star perdere i sensi, quando percepì i denti del mannaro lasciarla e udì un tonfo. Allo stremo delle forse, si girò e un debole sorriso spunto sulle sue labbra: una figura a lei cara stava facendo fuori tutti quanti per salvarla e in breve ogni mannaro, escluso quello bianco montato da Azog, cadde a terra, morto. Non ci fu tempo per gioire, perché l’Orco Pallido scese dalla sella e piantò la propria lama nel cuore del nano, ed Arya si svegliò cadendo.

Si alzò di scatto, sudata e tremante. Si guardò attorno, tranquillizzandosi solo quando contò tredici figure più o meno grandi che dormivano. Bombur sembrava avere un talento speciale per attirare farfalline da ogni dove ed espirarle ed inspirarle mentre russava. Gloin faceva la guardia e le chiese se stava bene e lei rispose sì, solo un brutto sogno. Si poggiò a terra e mormorò la sua lista, come faceva ogni volta prima di addormentarsi. «Mamma, papà, Martina, Leo. Mamma, papà, Martina, Leo.» C’era un nome in meno nella lista, ma non ricordava quale.
 
Il giorno successivo accadde qualcosa di strano. Non sapeva dire da quanto stessero camminando dentro quella stramaledetta foresta – Io ne ho piene le tasche! Mi basta per tutta la vita questa stupida camminata e guai a chi mi proporrà di fare una gita per boschi! – ma si sentiva strana. Barcollava ed era finita in fondo alla fila, senza che riuscisse a mettere a fuoco chi le stava davanti. Sospettava che avesse smesso di piovere. Mettere un piede dietro l’altro sembrava una cosa così difficile … così stupido …  perché invece non si fermavano un po’? Solo un po’, solo per riposare … Solo per schiacciare un pisolino … Solo … Solo …
Perché non ti stendi un po’, Arya? Le domandò una voce. Perché non ti stendi sull’erba soffice  e ristori un po’ il tuo cuore?
Non posso, ribattè la ragazza, devo seguirli oppure mi perderò.
Ma non vedi quanto procedono lenti, sempre sul sentiero? Anche se dovessero lasciarti indietro ti basterà restarci sopra, seguirlo. Li ritroverai in un batter d’occhio.
Perché aveva pensato che fosse sinistra? Era una voce molto dolce, invece, materna. Così bassa e tranquilla …
Dormi, le disse, dormi. Non vedi quanto sei stanca, quanto hai bisogno di ristoro, di qualcuno che vegli su di te? Chiudi gli occhi.
Ma loro …
Loro non sono più tua preoccupazione, dolce Arya. Chiudi gli occhi. Stenditi. Dormi.
Io …
Dormi.
«Ho detto di no!»
Tutti si voltarono verso di lei e la squadrarono interrogativi.
«Stai bene, Arya?» le chiese Bilbo.
«Non … » Non le sentite le voci? «Sì, sto bene.»
«Non devi stare laggiù, lo sai» ringhiò Dwalin. «Vieni dentro la colonna, non è sicuro stare dietro»
Arya si affrettò a mettersi dove diceva lui.
 
La cosa più frustrante di quel viaggio nella foresta? Ogni giorno era peggiore del precedente. Ogni giorno le voci si facevano sempre più invadenti ed ogni giorno diventava più difficile opporre resistenza. Se all’inizio erano solo un mormorio seducente, ora erano diventate conversazioni frustranti – era come avere un angioletto e un diavoletto poggiati sulle spalle, che battibeccavano nella sua testa lasciandola confusa e arrabbiata, incredibilmente stanca per tutte le volte che aveva provato a combatterle. Alla fine, aveva deciso di concentrarsi su altro, anche se risultava ogni giorno sempre più difficile. Stavano seguendo il sentiero da giorni, ed erano giorni che si sentiva prosciugata da ogni forza. Anche i nani sembravano molto più deboli del solito, più lenti, con tanto di riflessi meno pronti. Arya finiva sempre più spesso all’ultimo posto, in fondo alla colonna, ma Dwalin sembrava non farci più caso – non sapeva se la cosa la sollevasse o meno. Stava cercando di dare un senso a quella piccola fatina che vedeva svolazzarle accanto, brillante e luminosa, quando andò a sbattere contro Bofur e quella si sdoppiò, lasciandola ancora più confusa di prima. Percepì solo vagamente la voce di Thorin che chiedeva a qualcuno perché si fossero fermati, ma dalla coltre oscura che aveva invaso la sua mente, ovattando tutto il resto, capì che avevano perso il sentiero.
«Trovatelo!» Ordinò Thorin. «Tutti voi, cercare! Cercate il sentiero!»

E te pare facile, pensò Arya. Qualcuno la prese per mano. Lo seguì placidamente, la vista che si faceva sempre più offuscata. Balin stava farneticando qualcosa riguardo all’essersi persi, e Dwalin borbottava che non ricordava nemmeno che giorno fosse. Stiamo messi bene, insomma.
Si ritrovò vicino a Thorin, che la guardava come se fosse qualcosa di strano e fuori posto. Desiderava soltanto potersi poggiare a terra, smettere di vagare, schiacciare un pisolino giusto per riprendere le forze. Quei nani erano tutti zucconi, se non ci fosse stata lei a fare da balia sarebbero andati a sbattere contro la prima quercia che incontravano. Poi ripresero la marcia, ed Arya trascinò i piedi alla fine della colonna, i mormorii insistenti che le ottenebravano la mente.
Dormi … dormi, dolce Arya, poggia il tuo capo sulla soffice terra e goditi un po’ di ristoro.
L’aria era così pesante e satura di umidità che sentiva la testa farsi sempre più lontana.
Dormi.
Arya cadde a terra proprio quando qualcuno raccoglieva un portatabacco delle Montagne Blu.
 
Bilbo sapeva che per recuperare un po’ di lucidità restare fra un branco di nani impegnati in una zuffa non era il rimedio adatto. Gli alberi erano grandi e solidi, le radici e i rami offrivano numerosi punti d’appoggio, e le fitte fronde sembravano invitarlo a nascondersi lì dentro. Arrivò con facilità in cima, sbucando fuori con la testa riccia fra le foglie vermiglie. Subito, l’aria fresca gli schiarì le idee. Ne inalò quanta più possibile, osservando con ritrovata gioia ciò che lo circondava. La foresta si estendeva ai suoi piedi, immensa e meravigliosamente incantevole, tinta nei viola e arancioni dell’autunno; un nugolo di farfalle cobalto sciamò dalle fronde, agitando le loro ali e danzando attorno a lui con estrema grazia: brillavano vivide contro i colori caldi delle foglie. Bilbo si ritrovò a ridere senza nemmeno rendersene conto, e le belle notizie non erano finite. Il cielo era punteggiato di nuvole rosa, il sole splendeva ad ovest, volgendo i propri raggi sopra le acque limpide di un lago. Faceva capolino fra i monti bassi e Bilbo non sembrò di aver mai visto niente di più bello. Era giorno, allora! La lunga notte non li aveva avvolti, il sole aveva continuato a splendere ogni giorno da quando erano entrati nella foresta! «Riesco a vedere un lago! E un fiume!» scostò con forza un cespuglio di foglie «E la Montagna Solitaria! Ci siamo quasi!»

Avrebbe dovuto sentire un coro di giubilo, voci incredule, in ogni caso molto chiasso, per questo si inquietò quando tutto ciò che ricevette in risposta fu un fruscio sinistro sotto di lui. Si erano forse arrampicati anche loro? «Mi sentite? So dove bisogna andare!» Fruscii, scricchiolii, sibili inquietanti ai suoi piedi. «Ci siete?» Bilbo non avrebbe mai voluto scendere e negarsi una lucidità e una bellezza tale, ma doveva farlo, non poteva lasciare i suoi amici lì sotto. Guardò un’ultima volta con aria sofferente il panorama e un movimento brusco delle foglie risvegliò i suoi sensi, mettendolo in allerta: decisamente non erano i suoi amici. Si accucciò nascondendosi nella selva, ma avvertì qualcosa di scivoloso sotto i piedi e cadde in avanti con uno squittio spaventato. Provò ad appigliarsi ai rami, ma mentre cadeva tutto gli sfuggiva di mano e quando finalmente trovò un ramo a cui aggrapparsi, il cuore gli si fermò in gola.  Un’enorme ragnatela, viscida, opaca, impossibile da penetrare, gli stava davanti. Se fosse stato fortunato sarebbe tutto finito lì, e invece un sospiro fetido gli carezzò le guance. Una sagoma si cominciava a distinguere fra i fili, ma lui non voleva vederla, non voleva assolutamente vederla. Otto occhi lattiginosi gli restituirono lo sguardo. Bilbo riuscì a percepire chiaramente il proprio respiro infrangersi nell’aria, il cuore battere nel petto, la paura entrare in circolo nel suo corpo. Perfino in vento sembrava essersi fermato. Poi il ragno scattò in avanti con un ruggito, snudando le proprie zanne, e Bilbo precipitò urlando, finendo sopra una matassa di ragno appiccicosa. Tentò con tutte le sue forze di liberarsi , agitandosi con disperazione, ma l’aracnide piovve con grazia e velocità dall’alto, avvolgendolo nella sua tela. Il buio giunse come un’ombra di morte, e Bilbo precipitò in un’incoscienza che sapeva di solitudine.

Quando i sensi tornarono a lui, faticarono a comprendere cosa stava accadendo. Gli ultimi ricordi si affollarono nella sua mente e afferrò la spada che gli aveva dato Gandalf, conficcandola con cattiveria nel ventre della bestia. Infilzò con tutte le forze che aveva e si voltò su un fianco, buttandola giù e facendola scomparire nel buio della foresta. Si spogliò della ragnatela e ciò che vide gli gelò il sangue nelle vene. I suoi amici erano insaccati come maiali nelle tele dei ragni, che si aggiravano fra loro sibilando come bestie fameliche qual erano. Bilbo si sentì d’improvviso molto piccolo e molto solo, e il suo cuore squittì dalla paura. Come avrebbe potuto farcela da solo?
Ma lui non era solo. Prese dalla sua tasca l’anello, e lo accarezzò amorevole e speranzoso. Lo infilò al dito.

Uccidiamoli, uccidiamoli …. Ssssì, uccidiamoli, facciamo fesssta, fesssta …  i ragni sibilavano malefici, strusciando le esse, complottando per un banchetto dove i suoi amici avrebbero fatto da portata principale. Lanciò un ciocco per attirarli lontano, perché aveva intenzione di liberarli: sul suo nome di Baggins, avrebbe aiutato i suoi amici. I ragni abboccarono all’esca e si diressero altrove, ma uno, più affamato degli altri, si accanì su una figura che lo hobbit riconobbe essere quella di Bombur, che si agitava e mugolava tentando di liberarsi. Il ragno stava sibilando quanto fosse croccante e Bilbo non ci vide più dall’odio: mulinò la sua spada con rabbia contro il corpo del ragno, che si girò cercando di capire chi lo avesse attaccato. Maledetto! Maledetto! Sibilava, dove sssei? Bilbo odiava le esse sibilate. Si tolse l’anello e gli sorrise con cattiveria: «Qui!»
Lo infilzò e quello sibilò  Pungola, pungooola! E si schiantò al suolo. Però, quella sì che era una bella idea. «Pungolo» ripetè lo hobbit assaporandone il suono. «E’ un bel nome! Pungolo.»
Cominciò a staccare i propri amici e ad aiutarli a liberarsi dalle ragnatele; per fortuna i ragni ne avevano tessute di così fitte da attutire la caduta dei compagni fino a guidarli dolcemente verso terra. Individuò Thorin e Dwalin che stavano aiutando i ragazzi e la voce di Bofur lo raggiunse: «Bilbo! Dove sei, Bilbo?»
«Sono quassù!» Non fece in tempo a rispondere che un ragno spuntò all’improvviso sbilanciandolo, lo sovrastò e ruggì, pronto ad affondare le sue fauci, Bilbo lo infilzò con Pungolo, ma quello, gemdendo dal dolore, lo strinse a sé trascinandolo nella rovinosa caduta – Bilbo stava bene, ma l’anello gli sfuggì di mano.
Si liberò a fatica dalle zampe e cominciò a frugare fra le foglie del sottobosco, cercando disperatamente il suo tesoro: «Dov’è? Dov’è?» Alzò lo sguardo e si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo: l’anello era lì, pochi metri più giù, sano e salvo. Si alzò con l’intento di andarlo a prendere, quando un cucciolo di ragno- un metro e mezzo di lunghezza- spuntò da una buca dal terreno e lo toccò con una zampa. Lo toccò con una zampa. Come. Osa. Toccare - «NOOOO» partì alla carica con un ruggito, menando fendenti e urlando parole piene d’odio, probabilmente la creature non sapeva nemmeno perché la stesse attaccando con così tanta violenza, ma a Bilbo non importava, quell’essere aveva toccato il suo anello, meritava di morire.
Lo finì con incredibile cattiveria, e se nell’uccidere i suoi parenti era stata la forza della disperazione a muoverlo, ora solo l’odio riempiva il suo animo. Registrava vagamente le voci dei suoi compagni – colluttazioni, il nome di Arya più volte ripetuto – ma tutto ciò che contava era aver riavuto il proprio anello. Lo guardò con commozione, tentando di impedire che le lacrime gli solcassero il viso. Andava tutto bene, era tornato da lui. Udì la voce di Thorin e un grido di donna in lontananza.
 
«Non ci fermiamo, presto!» Thorin contò i propri compagni uno ad uno, e gli si gelò il sangue nelle vene. «Arya! Dov’è Arya!?»  Un urlo acuto si librò dal folto della foresta e la figura della ragazza comparve, zoppicando, nella radura in cui si trovavano. Coperta di terra, il viso solcato dalle lacrime e sporca di sangue, arrancava verso di loro urlando frasi sconnesse, molte delle quali in una lingua incomprensibile, scansò di malagrazia il corpo di un ragno e gli si buttò addosso con le braccia al collo, singhiozzando. Thorin non l’aveva mai vista così e la cosa lo metteva un po’ a disagio: come poteva gestire una cosa che non comprendeva?
Tuttavia rispose goffamente all’abbraccio, buttandola poi di lato alla comparsa di un’altra  bestia: Arya cadde ma Nori l’afferrò al volo, e il nano si preparò a fronteggiare la minaccia. Ma la minaccia venne abbattuta, e quando capì da chi, sentì il disprezzo montargli dentro. Elfi. Avrebbe preferito mille volte affrontare un’infinità di ragni piuttosto che parlare con degli Elfi. Specie se si muovevano con una grazia e un’abilità tali da rivoltargli lo stomaco. Sentì Arya mormorare stupita un nome, Legolas, e una frase che lo lasciò interdetto: «Non c’era nel libro.» Non potè indagare, tuttavia, perché l’elfo biondo, Legolas, gli aveva puntato contro l’arco.

«Non credere che non ti uccida, nano, lo farei con molto piacere.» Decine di elfi li circondavano, tutti che puntavano i loro archi contro di loro. Un urlo squarciò l’aria, facendo mancare un battito al cuore del nano. Arya e Fili urlarono il suo nome in sincrono: «KILI!»
Come aveva fatto a cacciarsi nei guai di nuovo? Quando lo avrebbe preso … Per fortuna giunse un elfo – o un elfa? Non riusciva mai a capire bene la differenza, tutti con quei capelli lunghi e i volti glabri – giunse in suo soccorso, uccidendo i ragni che lo minacciavano. Suo malgrado, si riscoprì riconoscente per lei – aveva sentito la sua voce, era decisamente una donna – e ringraziò Mahal per aver risparmiato la vita di suo nipote.
«Perquisiteli » ordinò Legolas. Si ritrovarono con le loro sporche mani elfiche addosso, mentre i suoi compagni ringhiavano per il disgusto. Arya osservava incantata Legolas, anche se sul suo viso era presente una nota accigliata che raramente aveva visto.
Si lasciava perquisire senza aprir bocca, ma aveva occhi solo per lui – Thorin sentì più di una fitta di gelosia invadergli petto. Non capiva perché sorridesse come se la sapesse lunga, come se fosse sempre un passo avanti rispetto agli altri e avesse il controllo della situazione. Notò che si era asciugata le lacrime in fretta e furia, e che aveva dei tagli, molti dei quali sanguinanti. Sembravano piuttosto profondi. Che avesse combattuto da sola con dei ragni? «E basta!» ringhiò, alzando le mani: «Sono disarmata! Andate a controllare qualcun altro!»
«Dove l’hai presa questa?» chiese Legolas, maneggiando la sua spada. «Quella mi è stata data» rispose Thorin. L’elfo rigirò la lama puntandogliela al collo. «Non solo un ladro, ma anche un bugiardo.»
Thorin non sopportava che gli venisse dato del bugiardo. Non potendo fare niente, si incamminò con i suoi compagni, affiancando Arya e Fili. La ragazza, forse casualmente, fece scivolare la propria mano nella sua; Thorin ricambiò la stretta tentando di confortarla: avrebbero parlato dopo. Bofur si girò verso di lui e gli sussurrò: «Thorin, dov’è Bilbo?»
Dov’era il mezz’uomo?
It’s who we are,
doesn’t matter if we’ve gone too far,
doesn’t matter if it’s all okay,
doesn’t matter if it’s not our day
  - Who we  Are, Imagine Dragons –
 
*Azzuro: Gli inglesi dicono “blue”e intendo blu e azzurro, per questo Arya fa questa precisazione e per questo ho usato il corsivo e un carattere differente per evidenziare le parti in cui usa la nostra lingua.

Angolo Autrice
Ciao, ragazzi! Spero non vi siate dimenticati di me perchè io non ho dimenticato voi. E’ dal sei luglio che il capitolo marcisce nella mia cartella, e ho finalmente deciso di pubblicare. Non nego che ho persino pensato di eliminare questa long: ricevo sempre meno pareri, e mi sento inutile, visto che c’è molta gente che segue la mia storia ma soltanto due hanno il tempo di lasciare un piccolo commentino che per me vuol dire tanto. Insomma, mi ero un po’ depressa. Ma alla fine ho deciso di partire alla carica. Io finirò questa storia. Me lo sono ripromesso.
Detto questo, passiamo al capitolo: la canzone degli Imagine Dragons ( Dio li benedica) è stata scelta perché essendo ciò che sono, cioè nani (Who we are) sono intrusi, non sono i benvenuti a Bosco Atro né fra gli elfi o, in futuro, dagli uomini, proprio per il loro modo di essere. Per questo ho scelto questa colonna sonora. Tenete a mente i sogni che fa Arya, i pensieri che sembrano futili - l'inizio del capitolo non è messo a caso!- perchè dicono molto riguardo la storia.
Le voci. No, Arya non è pazza. Ma gli uomini hanno la tempra meno forte dei nani e degli hobbit – Bilbo infatti è l’unico che mantiene un po’ di lucidità- e ho voluto manifestare il potere malvagio del bosco in questo modo. Non mi ricordo se anche nel libro era così; se così non fosse, prendetela come una licenza poetica, se invece è così, buon per me. Per quanto riguarda le fatine che vede, sono delle allucinazioni. Arya è il tipo di persona che ha queste visioni.
Ringrazio tutti voi e le mie speciali lettrici – voi sapete a chi – per essere passati e vi invito a lasciarmi un parere. Vi prego. Scusatemi eventuali errori di distrazione, non avendo una beta me ne devo occupare io, fatemeli notare e rimedierò al più presto.
Feniah <3
 
 

 
   
 
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