Strani patti di mutuo aiuto
Jack-Jack
respirava profondamente, cercando di mantenere tutto il suo sangue freddo.
Questa volta Steve e Melanie erano decisamente più tranquilli, ma non era
semplice per lui mantenere la concentrazione necessaria per volare. Aveva la
testa piena di pensieri.
Tanto per
cominciare, per poter volare aveva dovuto far uscire le ali, e solo per quello
ci aveva perso una ventina di minuti. Aveva voluto a tutti i costi avere solo
le ali del demone, rimanendo se stesso, e la cosa non era stata affatto
semplice. Poi, quando ci era finalmente riuscito, si era reso conto di un altro
problema non indifferente: J.J. Parr
non aveva la forza di sollevare di peso entrambi i suoi amici e di sostenerli
in volo. Aveva fatto diversi tentativi a vuoto, e proprio quando stava per
rinunciare improvvisamente Steve e Melanie sembrarono essersi fatti
leggerissimi. Ma non erano loro ad essere cambiati, lo sapeva bene. Sembrava
quasi che in quel momento avesse la superforza, come suo padre. Ma che gli stava
succedendo? Quella mattina non aveva neanche un potere, e ora sembrava averne
diecimila! Alcuni corrispondevano a quelli che ricordava gli avevano raccontato
avere da piccolo: la trasformazione, il fuoco, i raggi laser... ma la super
forza? Quella era un’esclusiva di suo padre! Che avesse ereditato anche quella? E se sì, perché non riusciva a
usarla sempre? Suo padre doveva controllarsi per limitarla, non per usarla!
Troppi
dubbi, troppe preoccupazioni affollavano la mente di Jack-Jack. Quanto avrebbe
voluto avere vicino la sua famiglia: loro lo avrebbero aiutato a capire e a
controllarsi, ne era sicuro. Ma ora non c’erano e l’unica persona che gli era
venuta in mente che fosse in grado di aiutarlo abitava molto lontano da lì. Il
che da una parte era un bene, se fosse stata anche lei in città sarebbe svanita
insieme a tutti gli altri.
«Tutto
bene? Tra non molto dovremmo esserci!»
Steve
rispose: «Tu, piuttosto, ce la fai?»
«Sembra
che non abbia molte altre alternative.»
Nonostante
non si sentisse per nulla stanco, J.J. ringraziò il
cielo quando i suoi piedi toccarono terra. Ce l’aveva fatta, di nuovo.
Gli ci
volle di nuovo qualche minuto per far scomparire le ali, poi, quando ebbe
recuperato più o meno il controllo di sé, cercò di suonare il campanello con
tutta la delicatezza possibile, nel terrore di avere ancora la super forza.
Un uomo
sconosciuto apparve in un schermo.
«Avete un
appuntamento?»
J.J. sospirò.
Ogni volta la stessa storia.
«Sono
Jack-Jack Parr, figlio di Robert Parr.
Avrei urgente bisogno di parlare con la signorina Mode.»
«Mi
dispiace, si ricevono visite solo per ap...»
Eccola,
come sempre. Da quando si poteva ricordare ogni visita in quella villa iniziava
sempre così.
Sotto lo
sguardo perplesso di Steve e Melanie e quello divertito e rassegnato di J.J., l’uomo venne allontanato dallo schermo a bacchettate,
mentre una vocina stridula diceva: «Fatti in là, tu, ci penso io!»
Un occhio
enorme apparve sullo schermo: «Chi c’è? Chi sei tu? Cosa vuoi?»
J.J. fece un
sorrisino imbarazzato: «Ciao Edna.»
«Oh! Il
piccolo Jejè!»
Il
ragazzo arrossì, ma la donna parve non farci caso: «E il resto della
famigliola?»
«Sono qui
da solo. Vedi, c’è...»
Edna lo
interruppe immediatamente: «Bravo, fai bene, apprezzo gli uomini indipendenti,
quelli che non stanno attaccati alle gonne di mammà. Entra,
entra.»
I
cancelli si aprirono, mentre Melanie diede una gomitata a J.J.
picchiettandosi la testa con il dito. Il ragazzo sorrise imbarazzato.
«L’avevo
detto che era un tipo originale.»
«È una
supereroina?»
«Credimi,
lei non ha bisogno di superpoteri. Basta e avanza così.»
Steve
ridacchiò: «Posso chiamarti anch’io Jejè?»
J.J. rise
mostrando un pugno: «Provaci e ti ustiono.»
I ragazzi
entrarono titubanti in quella che sembrava una dimora enorme e ultratecnologica,
bizzarra e originale come la sua proprietaria. L’attesa non durò a lungo,
perché subito una donnina piccolissima ma con un enorme paio di occhiali entrò
camminando velocissima nella sala.
Edna allargò
le braccia, accogliente: «Jèjè! Ma quanto sono
contenta che mi sei venuta a trovare... bacio-bacio.»
Con una
forza insospettabile, la stilista aveva tirato un braccio di Jack-Jack fino a
portare il volto alla sua altezza per poterlo baciare. Il ragazzo aveva
un’espressione imbarazzata ma rassegnata, come se avesse vissuto quella scena
moltissime volte.
«Scusami,
Edna, se salto i convenevoli, ma ci sarebbe...»
Ma la
donna non lo stava già più ascoltando: «Oh, ma vedo che abbiamo altri ospiti. Siete
gli amici di Jèjè, bene! Lo vedo sempre piuttosto asociale,
il ragazzo, il che è un gran peccato...»
Jack-Jack
si sentì di nuovo ribollire di rabbia, ma cercò di mantenere la calma: «Edna, per favore, ascoltami, è importante.»
«Oh,
anche fare gli onori di casa lo è.»
«EDNA!»
Fu un
attimo. Il ragazzo sbatté un piede a terra dalla frustrazione e improvvisamente
una profonda crepa si allargò su tutto il pavimento. Steve e Melanie gridarono,
mentre Edna balzò di lato con una piccola e lenta
piroetta, quasi con nonchalance, con una classe che indubbiamente poteva
appartenere a lei e a lei sola. Spaventatissimo, Jack-Jack s’inginocchiò sul
pavimento e, non sapendo neanche lui perché lo stesse facendo, mise le mani sui
due lati della crepa e fece il gesto di avvicinare i due lembi. Il terreno,
obbedendogli, si richiuse, come se nulla fosse successo. Il ragazzo rimase lì,
immobile, terrorizzato da quanto aveva appena compiuto. Edna,
invece, lo osservava con un sopracciglio alzato, come se lo stesse analizzando
ai raggi X.
«Inizio a
farmi un’idea del motivo per cui sei giunto da me, Jèjè...»
Il
ragazzo gli rispose con una vocina stridula: «Meno male, perché io non riesco a
capirci nulla da un pezzo...»
La
stilista fece un cenno con la mano: «Venite, ne parleremo di fronte a un tè.
Sempre che tu non preferisca altro, Jèjè, nel caso
dimmelo a voce e non spaccarmi il servizio buono, caro. Sai, farmene mandare un
altro da Hong Kong non è impossibile, ma una gran scocciatura, quello sì...»
Jack-Jack
non osò prendere in mano nulla, anzi, non osò neppure sedersi. Raccontò quanto
accaduto lentamente, cercando di comprendere lui stesso alcuni punti che non
gli erano chiari. Steve e Melanie si limitarono a sorseggiare il tè, mentre Edna, stranamente, rimase in silenzio ad ascoltare, in un
atteggiamento rispettoso quanto innaturale per lei che agitò ancora di più J.J. .
«A
proposito, Edna, volevo chiederti una cosa... da
quanto tempo mi trucchi gli abiti?»
La
stilista fece un gesto di nonchalance con la mano: «Ma da sempre, Jèjè. Certo, quando era tua madre a comprarti i vestiti,
era più semplice, potevo anche permettermi di aggiustare un pochino lo stile di
quegli straccetti, ma ora che ti compri gli abiti da solo, tua madre mi ha
imposto con irripetibili minacce di non modificare nulla... il che, ragazzo
mio, per il mio povero cuore di stilista è ogni volta un martirio. Sei un bravo
ragazzo, nulla da dire, ma il tuo stile è... perdonami, non mi viene in mente
il superlativo di orrido.»
Jack-Jack
arrossì: «E perché non mi avete mai detto nulla?»
«Per
evitare che reagissi come stai reagendo ora...»
Il
ragazzo stava per rispondere alla provocazione, quando fu assalito da un
raccapricciante sospetto: «Edna... non hai messo anche nei miei abiti i
rilevatori che metti in tutte le tute delle mia famiglia, vero?»
«Ma certo
che sì, tesoro. Sei un adolescente a ruota libera, dopotutto, per di più probabile
supereroe, era il minimo...»
«Cioè...
vuoi dire che i miei controllano ogni mio movimento?»
«Questo
non lo so, Jèjè. Posso solo dirti che io a loro ho
fornito solo un rilevatore di
posizione.»
J.J. sbiancò.
Conosceva Edna abbastanza bene da sapere cosa voleva
dire quel solo.
«Qualcun
altro è in possesso di qualcosa di più di un rilevatore di posizione?»
La
donnina alzò le spalle: «Mi piace la vita giovanile... anche se devo essere
sincera, la tua è un po’ monotona...»
Il
ragazzo improvvisamente s’infuocò, facendo saltare i suoi amici sulle poltrone:
«EDNA! MAI SENTITO PARLARE DI LEGGE SULLA PRIVACY??? CHI TI HA AUTORIZZATO A
SORVEGLIARMI???»
Edna lo
guardò con calma serafica: «Rilassa i bollenti spiriti, Jèjè,
non cambierai la situazione.»
J.J. si rese
conto di aver perso di nuovo il controllo e si sedette a terra, nel tentativo
di calmarsi. Solo dopo alcuni minuti di respiri profondi riuscì nuovamente a
spegnarsi.
«Non
posso andare avanti così...»
«Sono
d’accordo.»
«Puoi
aiutarmi?»
La
stilista sospirò, per poi tirare fuori la sua adorata bacchetta e puntarla
sulla fronte del ragazzo: «Jèjè, sono una persona
molto impegnata, dovresti saperlo... potrei anche aiutarti, ma solo se tu aiuterai me.»
J.J. fece una
smorfia: «Devo di nuovo falciarti il prato?»
«Ma che
prato e prato! Cosa vuoi che m’interessi del prato, ho i giardinieri per
questo!»
«E allora
quella volta perché...»
Di tutta
risposta J.J. ricevette un paio di dolorose
bacchettate in testa: «Basta pensare al passato! È il momento di guardare cosa
dobbiamo fare ora! E ora abbiamo
parecchio da lavorare. Vuoi che ti aiuti a controllare i tuoi poteri? Sta bene,
ma anche io ho una proposta da fare.»
Steve e
Melanie si sentirono sempre più di troppo nella discussione, che ormai era
diventata da un pezzo un dialogo a due.
«E
sentiamo, quale sarebbe il tuo prezzo?»
La
donnina sorrise: «Semplice... voglio la completa esclusiva per la tua tuta.»
Il
ragazzo la guardò in un misto di sorpresa e perplessità: «CHE? Di che tuta stai parlando? Edna, io
non voglio mettermi a fare il supereroe. Vorrei solo evitare di prendere fuoco
ogni due minuti, o spaccare terreni, o chissà quali stranezze!»
La
stilista fece roteare la sua bacchetta: «E io voglio superare me stessa
creandoti una tuta in grado di adattarsi ad ogni
tuo potere. Usala per questa volta, poi non m’interessa cosa ne farai:
indossala, abbandonala in un cassetto, regalala, non m’importa, ma ti cucirò la
tuta perfetta per te. Allora, Jèjè, siamo d’accordo?»
Jack-Jack
impiegò qualche secondo a rispondere. L’idea di doversi adattare alle stranezze
dei supereroi gli faceva venire un sincero moto di repulsione, ma dovette
ammettere con se stesso che il patto che gli stava proponendo Edna era molto conveniente per lui. La stilista era una
pazza furiosa a piede libero, e più che mai in quel momento ne aveva avuto la
conferma, ma era anche la più grande esperta sui superpoteri che conoscesse.
Aveva creato gli abiti di centinaia di supereroi, e per farlo aveva dovuto
studiare a fondo tutti i loro poteri. Senza contare che dandole uno stimolo
come il dovergli creare un costume su misura sicuramente si sarebbe impegnata
molto di più nell’aiutarlo, e lui aveva un disperato bisogno di aiuto in quel
momento.
Con un
profondo sospiro, J.J. allungò la mano: «E va bene.»
Edna gliela
sfiorò appena, per poi saltare sulla sedia in preda all’entusiasmo: «Perfetto!
Dovremo andare subito in laboratorio, fare dei test, e poi dovrò sistemare
tessuto, misure, colore e...»
Il suo
sguardo passò di colpo agli altri due ragazzi presenti: «... e voi cosa avete intenzione
di fare?»
Melanie
rispose senza esitazione: «Vogliamo aiutare anche noi.»
Steve
annuì: «In città ci sono le nostre famiglie e i nostri amici... senza contare J.J.! Non possiamo lasciarlo solo.»
Il
ragazzo non ebbe tempo di dire nulla, perché Edna
fece un sorriso tutto fuorché rassicurante: «Ottimo, era quello che volevo
sentire... andiamo, allora, abbiamo poco tempo e una marea di lavoro da fare,
avevo proprio bisogno di due aiutanti.»
Steve
deglutì e commentò con un filo di voce: «Aiutanti?
Di quella pazza?»
Jack-Jack
gli diede una manata sulla spalla: «Auguri... e consolati. Almeno tu non sei la
cavia...»
Il
terzetto seguì la donnina attraverso vari corridoi sotterranei. Pur conoscendo
il laboratorio segreto di Edna, J.J.
non era totalmente tranquillo. Fino a quel momento ci era entrato solo un paio
di volte, per accompagnare qualche suo familiare a vedere i miglioramenti dei
vari costumi. Era la prima volta che ci entrava senza di loro, e sapeva bene
quanto Edna potesse essere pericolosa, se eccitata da
qualche esperimento. E la donna in quel momento era particolarmente eccitata, lo poteva vedere da quel luccichio che le
brillava negli occhi. Si chiese per un attimo se era ancora in tempo per
cambiare idea, poi gli venne in mente suo padre e cercò di mettere a tacere la
paura.
Si
fermarono davanti a una porta blindata ed Edna iniziò
la sua classica trafila di sicurezza, che fece impallidire Steve e Melanie:
inserimento di un codice numerico, controllo delle impronte digitali
dell’intera mano e della retina, controllo del dna tramite un capello,
scannerizzazione a raggi X dello scheletro e infine controllo dell’impronta
vocale.
«Edna Mode.»
Steve e
Melanie saltarono praticamente addosso a un indifferente Jack-Jack quando dalle
pareti uscirono armi di ogni sorta pronte a sparare.
J.J. si
limitò a sospirare e a scimmiottare sottovoce Edna
mentre diceva al microfono: «Sono ospiti.»
Immediatamente
le armi si ritirarono e le porte di aprirono, ma la stilista si voltò verso i
ragazzi: «Jèjè, ti consiglio di moderare la lingua,
d’ora in poi. Qui siamo nel mio mondo... e potresti rimpiangere molti dei tuoi
scherzetti passati.»
Il
ragazzo cercò di non pensare a come la donna avrebbe potuto vendicarsi di tutte
le volte che da bambino le aveva nascosto tessuti e strumenti ed entrò
mostrandosi molto più spavaldo di quanto si sentisse.
Steve e
Melanie rimasero a bocca aperta nel vedere il laboratorio di Edna: si erano aspettati una sorta di sartoria, invece
quello che avevano davanti era più simile a un laboratorio scientifico. Steve aveva
la mascella quasi a terra.
«Uao...»
Edna avanzò
nella stanza: «L’hai detto, ragazzo...»
Indicò un
tavolo con tre sedie, con l’implicito ordine di accomodarsi. Steve e Melanie si
avviarono, ma J.J. venne immediatamente afferrato per
la maglia.
«Tu no, Jèjè. Il tuo posto è là dentro.»
«Dietro
al vetro dei test?»
La donna
lo guardò con un ghigno: «L’hai detto tu, caro, oggi sei la nostra cavia...»
Con
pochissima convinzione, il ragazzo entrò nel tunnel laterale che lo condusse
davanti al suo piccolo pubblico.
Edna gli
sorrise, in modo un pochino più rassicurante: «Non ti preoccupare, Jèjè, il vetro serve a noi, non a te.»
«Non
voglio farvi del male.»
«Invece è
proprio quello che voglio che tu faccia.»
«Eh?»
Edna si
accese una sigaretta, tirò una lunga boccata e lo guardò con lo stesso
luccichio che aveva avuto negli occhi molti anni prima, quando aveva preparato
per J.J. il primo costume formato bèbè: «Incendiati
come prima, ragazzo, e dacci dentro. Voglio vedere qual è il tuo limite.»
Jack-Jack
scosse violentemente la testa: «Non so farlo a comando, Edna,
è proprio questo il problema! Non so fare nulla a comando!»
«Ma ci dev’essere un interruttore che ti fa scattare...»
«Non so
quale sia!»
Melanie,
che fino a quel momento era stata innaturalmente silenziosa, improvvisamente
parlò: «Non è vero che non sai come fare. La verità è che hai solo paura.»
Steve la
guardò preoccupato e fece per zittirla, ma la ragazza continuò: «Hai paura di
tutto, sei sempre stato un fifone. Non hai mai avuto il coraggio di dirci nulla
fino ad oggi, avevi paura persino di entrare là dentro! Vuoi salvare il mondo?
Vuoi fare l’eroe, J.J.? Mettiti il cuore in pace, non
potrai fare nulla finché non troverai un po’ di coraggio.»
Jack-Jack
improvvisamente prese fuoco: «IO NON
VOGLIO FARE L’EROE! NON VOGLIO ESSERE CORAGGIOSO! NON VOGLIO SALVARE IL MONDO! VOGLIO
SOLO AVERE UNA VITA NORMALE, CHIEDO FORSE TROPPO?»
Melanie
rivolse un sorriso soddisfatto alla stilista: «Voleva che premesse
l’interruttore?»
Edna le
sorrise di rimando: «Il tuo stile mi garba parecchio, ragazza... e ora vediamo
cosa fa il nostro Jèjè...»
Quella
torcia umana che fino a poco prima era stato Jack-Jack Parr
quasi non ricordava nemmeno più il motivo per cui si era arrabbiato. Aveva solo
in mente la frase di Edna.
Doveva darci dentro per mostrare il suo
limite.
Sorrise,
in un sorriso che assomigliava tremendamente a un ghigno.
Quale, limite?
Allargò
le braccia e il fuoco si diffuse per tutta la teca. Gli avevano chiesto di
bruciare al massimo? Lo avrebbe fatto più che volentieri, perché in quel
momento era il suo solo e unico desiderio: bruciare tutto, qualunque cosa lo
circondasse, e trasformare quella stanza in un inferno di fuoco e lava.
Edna
osservava la scena senza battere ciglio e senza più dire una parola. Di tanto
in tanto buttava giusto un occhio allo schermo di un computer, controllando la
temperatura all’interno della piccola stanza, che aumentava vertiginosamente.
Per J.J. faceva ancora troppo freddo. Non si stava nemmeno
avvicinando alla sua temperatura ideale. Fece scorrere un piede sul terreno e
questo divenne di pura lava. Così si iniziava a ragionare. Ma ancora non
bastava. Non bastava per niente.
Edna mantenne
un’aria molto seria: «Va bene, Jèjè, puoi smettere,
stai raggiungendo i limiti di resistenza della stanza...»
Ma invece
che fermarsi, Jack-Jack aumentò ancora di più l’intensità delle fiamme.
Edna chiuse
gli occhi, sospirando: «Come temevo...»
Steve
stava iniziando a sudare, nonostante il vetro protettivo, che però in qualche punto
sembrava sul punto di sciogliersi. Melanie deglutì a vuoto: voleva stuzzicarlo
un po’, vero, ma non immaginava di averlo provocato a tal punto.
Con una
calma a dir poco serafica e una grazia innata, Edna
si mise in piedi sulla sedia e respirò profondamente. Poi, senza preavviso,
lanciò il suo bocchino contro il vetro.
«JACK-JACK,
TI HO CHIESTO DI PIANTARLA, MI
SENTI?»
La torcia
umana sbarrò gli occhi di scatto.
«Edna?»
La donna
fece un gesto di stizza: «No, guarda, la fata turchina... e chi sennò?»
Il ragazzo
si spense, di colpo: «Ma... mi hai chiamato con il mio nome! Non ti ho mai
sentito chiamarmi con il mio nome completo!»
«C’è
sempre una prima volta, Jèjè.»
J.J. tirò un
sospiro di sollievo. Era tutto a posto.
«Ti sei
reso conto di cosa hai combinato, ragazzo?»
Solo a
quel punto Jack-Jack si guardò intorno con orrore. Stava in piedi in un mare di
lava infuocata, senza nemmeno una goccia di sudore. Si morse un labbro.
«Ho... ho
perso il controllo. Di nuovo.»
«La trovo
una definizione piuttosto riduttiva. Mi stavi per fondere la sala test... che è
tarata per resistere a 3500 gradi kelvin. Eppure te ne stai lì, tranquillo,
come se nulla fosse successo. Meno male, da una parte, una persona comune si sarebbe
già sciolta.»
J.J. strinse
gli occhi e i pugni, cercando di trattenere le lacrime che sentiva pronte a
scendergli copiose.
«Io... io
non voglio... tutto questo...»
Lentamente,
come se qualcuno avesse tirato indietro le lancette dell’orologio, la lava si
ritirò, il vetro tornò normale, il pavimento si ricompose e la temperatura calò
di botto. Rimase solo un ragazzo, in piedi, che cercava disperatamente di non
piangere.
Edna sorrise
soddisfatta: «Eccellente. Ora è tutto chiaro, Jèjè,
puoi smettere di lagnarti e tornare a fare l’uomo.»
Il
ragazzo aprì un occhio, perplesso: «Eh? Cosa...»
Incredulo,
Jack-Jack mise una mano sul vetro, intatto e gelido: «Quando hai aggiustato la
stanza? È incredibile...»
La
stilista gli rispose con un ghigno: «Per quanto amo sentirmi adulare, no, Jèjè, stavolta
non è merito mio... hai fatto tutto tu.»
«Io? E quando?»
La
donnina tornò a sedersi, premendo qualche pulsante su una tastiera: «In
compenso, puoi iniziare a farmi i tuoi più sinceri complimenti su come abbia
risolto il mistero sui tuoi poteri...»
Il vetro scomparve
e apparve invece una poltrona, che con un brusco movimento costrinse J.J. a sedersi: «Hai capito cosa mi succede?»
«È a dir
poco elementare, tesoro, mi stupisce piuttosto che non ci sia arrivato tu.»
Il
ragazzo era più che impaziente: «No, Edna, non ci
sono arrivato. Dopotutto, il genio sei tu, non io.»
«Mi fa
piacere che lo riconosci, Jèjè, ma non giustifica la
tua ignoranza. Quando mai un supereroe è dovuto andare da qualcun altro a farsi
spiegare cosa è in grado di fare? Il tuo potere, poi, è tanto semplice quanto
straordinario... probabilmente potresti essere il più grande supereroe mai esistito.
Se solo lo volessi, naturalmente...»
J.J. sbuffò:
«Me lo sento dire da tutta la vita, ma a me non interessa. Vorrei solo capire
cosa mi succede.»
La
stilista lo guardò con aria annoiata: «D'accordo, d’accordo, cercherò di
spiegarlo in modo che persino tu
possa capire...»
La
donnina si alzò e iniziò a girare per la stanza parlando e gesticolando, in
preda a una frenesia tale che era impossibile capire se fosse data
dall'entusiasmo o dall'estenuazione.
«Ho
incontrato nella mia lunga carriera molti supereroi in grado di trasformarsi,
ma al massimo assumevano due, tre forme. Anzi, no, ho avuto un’eccezione. Siete
troppo giovani, immagino, per ricordarvi di Animalboy,
il supereroe che diventava ogni sorta di animale. Poverino, un giorno non si è
più ricordato come tornare umano e ha finito i suoi giorni in una gabbia dello
zoo dell’Oklahoma. Jèjè, saresti in grado di
trasformarti in un animale?»
«Non lo so,
non ci ho mai pensato...»
Edna sfoderò nuovamente
la sua adorata bocchetta, per poi darla sulla testa del malcapitato Jack-Jack:
«Ovvio, non che me lo fossi aspettato. Te lo dico io, Jèjè,
no, non ne sei capace. Non così almeno. Ma se ti dessi un piccolo aiutino, lo
faresti senza problemi.»
«Io?»
La
stilista gli sorrise in modo falsissimo: «E chi sennò, il cane dei vicini?
Ragazzo mio, alle volte sei così lento...»
Steve
alzò la mano: «Veramente, non ho capito nemmeno io.»
«E non
per nulla sei amico suo. Jèjè, tu non hai tanti
poteri, ne hai uno solo, tanto potente quanto pericoloso.»
«COSA? È
assurdo, non posso aver fatto tutta quella roba con un solo potere!»
Edna gli
diede una serie di bacchettate sulla testa, una per ogni parola che stava
pronunciando: «E allora non mi stai ascoltando, Jèjè,
eppure l'ho detto: Hai. Un. Solo. Potere.»
Jack-Jack
sembrava confuso: «Aspetta, aspetta un attimo: mi stai forse dicendo che posso
usare qualunque superpotere esistente?»
Edna, ormai
presa dall'entusiasmo, diede un'ultima bacchettata a J.J.
e volteggiando per la stanza iniziò a spiegare: «Alleluia, ragazzo, ci sei
arrivato! Semplice quanto incredibile, vero? Quando hai bisogno di qualcosa... puff, hai esattamente il superpotere che ti serve, e lo sai
usare perfettamente, d’istinto, senza che nessuno te lo debba spiegare. Poi,
appena non ti serve più, scompare e non ricordi più nemmeno come lo hai usato.
Meglio così, o impazziresti.»
Jack-Jack
non rispose ma rimase lì pensieroso. Era assurdo, incredibile, inconcepibile,
eppure era l'unica spiegazione che avesse senso. Edna
aveva spiegato con una semplicità disarmante quello che lui non era stato in
grado di spiegare a voce, e che probabilmente non sarebbe mai stato in grado di
spiegare davvero. Ecco perché non riusciva a usare i suoi poteri a comando e
perché invece quando lo faceva sapesse perfettamente come usarli.
Ma la
stilista aveva fatto molto di più: inserito nel discorso, come se nulla fosse,
gli aveva anche spiegato perché ogni tanto perdesse il controllo.
«Sono
come quel tizio finito allo zoo. A volte dimentico come tornare indietro.»
Edna gli
ridiede una bacchettata: «Non traviare quello che dico, Jèjè,
ti ho forse detto che diventerai un sacco di pulci? No! Il tuo problema non è
la memoria, per quella basterebbe solo una buona cura di fosforo. No, ragazzo
mio, il tuo problema è molto più semplice e molto più serio. Ti farò una sola
domanda, e vedi di rispondermi con molta attenzione.»
Edna gli si
avvicinò di scatto, arrivando a pochi millimetri dal suo naso e lo guardò
dritto dritto negli occhi: «Chi sei tu?»
Il
ragazzo la guardò molto perplesso: «Jack-Jack Parr,
che io sappia.»
Edna non
sbatté neppure le palpebre: «E se ti avessi fatto questa domanda poco fa,
quando eri tutto un fuoco? Cosa mi avresti risposto?»
Il
ragazzo abbassò lo sguardo. Si rese conto di non avere una risposta. In quel
momento, come quando si era trasformato nel demone nero, si era reso
perfettamente conto di non essere più Jack-Jack, ma di essere diventato una
persona completamente diversa.
«La tua identità è la cosa più preziosa che
hai, difendila ad ogni costo. Lo dice spesso mia madre a mio fratello, solo
ora mi rendo conto di quanto sia vero.»
Melanie
intervenne: «Vediamo se ho capito bene: quando usi i poteri di qualcun altro,
ti fai prendere troppo dall'entusiasmo e... rischi di non riuscire più a
tornare indietro, giusto?»
J.J. si
limitò ad annuire, mentre Edna sbatté le mani: «Bene,
ora che è tutto chiaro è ora di mettersi all'opera. Abbiamo tanto da fare e poco
tempo per farlo.»
Il
giovane Parr si alzò in piedi ed esclamò con tutta la
voce che aveva in corpo: «E a cosa servirà? Anche se davvero imparassi a
controllare i miei poteri, poi che cosa farò? Non riesco neppure a trovare di
nuovo la città dove sono nato e cresciuto!»
La
donnina sorrise, forse intenerita dall'ingenuità del ragazzo: «Sciocchino, se
davvero impari a controllare i tuoi poteri, credo che sarà un giochetto da
ragazzi ritrovare la tua famiglia. Tuttavia, se proprio hai ancora dei
dubbi...»
Edna afferrò
da un tavolo lì vicino un piccolo tablet e lo accese.
Al centro lampeggiava un puntino luminoso, mentre in alto a sinistra sullo
schermo ce n'erano altri quattro, tutti vicini.
Si lasciò
sfuggire un sorriso molto soddisfatto: «... fidati almeno dei miei rilevatori, Jèjè!»
Il
ragazzo prese l'apparecchio e lo guardò, pensieroso. Come aveva sperato, Edna gli stava dando davvero tutti gli strumenti per poter
salvare la sua famiglia. Ne sarebbe stato all'altezza?
Melanie,
intuendo cosa gli stava passando per la testa, lo cinse con un braccio e disse:
«Ce la possiamo fare, tutti insieme! Nessuno pretende che tu diventi un
supereroe in una notte, ma insieme possiamo fare molto, vedrai!»
La
stilista diede una gomitata al ragazzo: «Invitami al matrimonio, Jèjè, pretendo di fare la damigella... e la testimone,
ovviamente!»
Il
ragazzo arrossì di colpo: «EDNA!»
Con
nonchalance la donna prese sottobraccio Steve: «Ragazza, occupati tu del nostro
eroe in erba... sai come farlo scattare, cerca anche di capire come calmarlo.
Noi ci occuperemo del costume.»
Il
ragazzo si aggiustò gli occhiali: «Noi? Come
noi?»
«E cos’è,
pensavi di essere qui per fare la bella statuina? Nossignore, tu lavorerai
esattamente come tutti gli altri. E ora lasciamo i due piccioncini da soli e
andiamo a lavorare al costume, che abbiamo molto da fare.»
Ignorando
bellamente le proteste del ragazzo, Edna uscì dalla
stanza e Jack-Jack e Melanie rimasero soli, a guardarsi sconvolti.
«Avevi
ragione, J.J., è stramba forte...»
«Già...»
«Allora...
te la senti di cominciare?»
J.J. annuì
con una smorfia: «E tu?»
Prima che
potesse rispondere, dall’alto calò uno schermo che proiettò il faccione di Edna in dimensioni enormi: «E non fate cose strane, che poi
devo vedermela io con i vostri genitori! Dovete lavorare!»
I due
ragazzi si guardarono e scoppiarono a ridere. Sì, forse era il momento di darsi
da fare.
Ed eccola, la tanto attesa Edna! Spero di
non aver deluso le vostre aspettative, ce l’ho messa tutta per renderla... unica, come nel film! È incredibile come
questo personaggio abbia in realtà solo 8 minuti in tutto il film...
E cosa ne pensate dei poteri di J.J.? Vi
soddisfa la mia spiegazione?
Spero proprio di sì, intanto ringrazio chi ha commentato lo scorso
capitolo, ovvero mergana e Myrenel_Bea.
Vi aspetto tutti al prossimo capitolo... all’assalto della città
scomparsa!
Alla prossima!
CIAO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Hinata 92