Capitolo 2
Quello che accade in palestra, rimane in
palestra
“Buongiorno,
Marie!” disse Leonard, sbadigliando, appena entrò in cucina.
“’Giorno,
zio! Caffè? Se vuoi favorire, oggi è lunedì, quindi per me...”.
“Toast
con burro e marmellata, sì, grazie. Assurdo che tu abbia delle colazioni
prestabilite, come tuo padre” mormorò l’uomo, sedendosi su uno sgabello e
afferrando la tazza blu che gli aveva porto la ragazzina.
“Assurdo?
Nonna Mary invece ne è felice, dice che così è sicura che io sia sul serio
figlia di papà” ribattè Marie, prendendo dei toast riscaldati e aggiungendo gli
ingredienti. “Come se non esistesse il test del DNA, volendo... Ah, caro Texas,
sono felice di non essere cresciuta nella tua dilagante ignoranza!”.
“Non
puoi biasimarla, dai, conosci tuo padre... Comunque, sono le sette, come fai ad
essere già vestita e pronta?” domandò, curioso.
Marie
sorrise, alquanto raggiante, mentre gli dava la colazione e si apprestava a
finire la sua.
“Non
ho dormito per l’emozione! Chimica nucleare, che figo, quella Penny è una
bomba!”.
“Oh,
puoi dirlo forte... Cioè, si interessa di roba interessante, decisamente
interessante, sì!”.
“Voglio
essere come lei a trent’anni, davvero! Certo, magari non sono tagliata per
l’insegnamento, però sarebbe bello!”.
“Tu
sei tagliata per tutto, sei una Cooper! E come me ami dire alla gente come fare
le cose, criticarle e provare che sei la più intelligente!” esclamò Sheldon,
che aveva udito tutto dal bagno grazie al suo udito super allenato e raffinato.
Marie
guardò il padre e ridacchiò di gusto, annuendo.
Nelle
ultime dodici ore aveva dimostrato di essere quello di sempre e la cosa la
riempiva di gioia, era bello vedere suo padre sorridente e pronto a dimostrare
la sua bizzarra personalità.
“Ben
detto papi, ti sei guadagnato la tua colazione!” esclamò, indicando il piatto
di french toast alle sue spalle.
Sheldon
sorrise come un bambino, prese il piatto e si sistemò alla destra della figlia,
di fronte a Leonard.
Mangiò
rapidamente, guadagnandosi uno sguardo di stupore da parte degli altri due, per
poi guardare Marie con decisione.
“Ho
una novità. Tranquillo Leonard, ti includerò in questo momento familiare, spero
in un tuo supporto” disse.
“Esci
con qualcuna?” domandò speranzosa la ragazza.
“Cosa?
No! Perché me lo domandi sempre?!”.
“Perché
mamma esce con altri uomini, quindi...”.
“Vuole
il divorzio e ha messo in mezzo un avvocato, ecco la novità” sbottò Sheldon,
non amando i momenti in cui ascoltava quel tipo di storie sulla donna che aveva
sposato.
Marie
battè numerose volte le palpebre, deglutì e infine annuì con un sospiro.
Leonard,
invece, si portò una mano alla bocca, dispiaciuto.
“Sta
seguendo l’ordine logico dei fatti, no? Brava mamma” sbottò la ragazza,
alzandosi di scatto. “Non me lo spiego, davvero. Le sue coetanee pagherebbero
oro per avere un uomo come te e lei... Dille che quando firmerà i documenti non
so se mi andrà di fingere che vada tutto bene” sentenziò.
Silenziosamente,
Leonard andò in camera su per lasciarli soli in un momento così delicato.
“Marie,
so che qui sono il padre, ma non so cosa dirti se non che.... Non so più
niente, voglio dire, sarebbe impossibile, ho una memoria eidetica e...”.
“Hai
ragione, quello che divorzia sei tu, non io, scusami. Sono qui per te. Stasera,
quando torno dalla palestra, vediamo Gotham e ti preparo la cioccolata calda
con i marshmellow, che dici?” sussurrò Marie, sforzandosi di non piangere e di
farsi forza.
Suo
padre le era sempre stato vicino e ora toccava a lei provare a farlo stare
bene, standogli vicino e facendogli ricordare che la vita poteva essere bella
anche senza sua madre.
“Grazie,
Marie. Sono così felice di avere te...”.
Rincuorata
come non mai, la ragazza abbracciò il padre con calore, sentendosi fortunata
per ciò che aveva. Sentirsi dire una frase del genere dopo aver speso gli
ultimi tre anni a domandarsi se i tuoi genitori non fossero più felici senza di
te era davvero un toccasana.
Ferma
davanti allo specchio, Marie osservava la sua figura fin troppo alta e un po’
ossuta. Fisicamente era tutta suo padre e la cosa le aveva causato non pochi
disagi visto che non era piacevole essere una sorta di bambina gigante sin
dalle elementari. Mangiava molto – roba non sana soprattutto – ma non riusciva
a dire addio alle spalle ossute e alla cosiddetta forma tipica della “donna
rettangolo”, senza fianchi, quasi senza seno. Sperava che la palestra l’avrebbe
aiutata a mettere un po’ di massa, anche se non amava affatto l’idea di sudare
e mostrare la sua goffaggine in tutto.
Guardò
la maglia a mezze maniche che indossava, blu con su disegnata la faccia di Catwoman.
Era uno dei pochi regali di sua madre che aveva apprezzato ultimamente, ma
tenerla addosso, ora che sapeva del divorzio, le risultava impossibile, le
sembrava di star indossando una bugia.
Con
rabbia, se la tolse di dosso, la gettò per terra e si avvicinò alla valigia che
non aveva ancora disfatto per prendere la prima cosa che le capitava.
Trovò
una t-shirt verde con il logo di Breaking Bad – il suo telefilm preferito per
eccellenza – e la indossò di corsa.
Si
riguardò allo specchio nella speranza che non fosse troppo maltrattata e notò
che sembrava decisamente giù di tono.
I
suoi occhi blu esprimevano una tristezza che non le donava e aveva voglia di
disfare quella maledetta coda in cui aveva stretto i capelli – forse perché
erano identici a quelli di sua madre e non voleva avere nulla che la
riguardasse, al momento -.
Quel
giorno voleva essere felice, iniziare qualcosa di nuovo, mentre lei, la donna
che più l’aveva delusa negli ultimi anni, aveva rovinato tutto in un secondo.
“Devi
essere felice. Andrai a lezione e sarai la prima della classe. Andrai in
palestra e contribuirai ad un banale processo fisiologico quale l’eleminazione
delle tossine. A tal proposito, Marie Cooper, ricorda di bere due litri d’acqua
al giorno e ricorda che Coca Cola e Sprite non sono la stessa cosa. Certo che
non lo sono, l’acqua è composta da... Oh, accidenti, datti un tono e sii
felice!”.
Litigare
con se stessa era una cosa normale, in mancanza di una disputa era solita
parlare da sola allo specchio per dimostrare che aveva ragione – era una cosa
da pazzi, sì, ma non riusciva a farne a meno -.
A
pochi passi da lei, dietro la porta, Leonard stava per bussare per dirle di
muoversi, ma sì bloccò, rassegnato.
Andò
in cucina, dove l’amico stava già lavorando alla sua amata lavagna.
“Tutto
ok, parlava da sola, credo davanti allo specchio come al solito, e mi sa che ha
appena finito” borbottò.
“Devo
dire che le lezioni di Chimica l’aiuteranno”.
“Per
approfondire le sue conoscenze?”.
“No,
Leonard. Per avere qualche compagno di classe con cui discutere e provare che
ha ragione, così non avrà bisogno di dibattere con se stessa allo specchio”.
Il
fisico sperimentale alzò gli occhi al cielo, alquanto scioccato dal senso di
quel discorso.
“Che
carina, giuro che è in questi casi che mi pento di non avere figli” disse
sarcastico.
Ovviamente
l’amico non comprese il tono della sua voce e gli sorrise.
“Sono
qui, sono pronta, andiamo!” esclamò Marie, correndo in direzione della cucina.
Purtroppo
per lei, però, durante l’atto troppo acrobatico per i suoi gusti, inciampò e
cadde, salvandosi semplicemente grazie alla prontezza dei suoi riflessi che
l’aiutarono ad appoggiare le mani davanti.
“Marie!”
urlò il padre, impietrito.
“Cara,
sicura che andare in palestra sia una buona idea?” osservò premuroso Leonard,
piegandosi per soccorrerla.
“Zitto,
zio” lo rimbeccò la ragazza, seduta sul pavimento e massaggiandosi la caviglia.
“Sai,
anche dopo che hai fatto i tuoi primi passi sei caduta così. Un ritorno alle
origini, direi” ridacchiò suo padre, salvo poi avvicinarsi e aiutarla ad
alzarsi con l’aiuto dell’amico.
“Zitti
tutti. Posso farcela, davvero” mormorò, seppur piagnucolante.
“Marie,
buongiorno! Posso accompagnarti io, è il minimo che possa fare visto che al
momento ho un lavoro solo grazie alla tua iscrizione!” l’accolse Penny quando
si incrociarono fuori al pianerottolo. “Così eviti di prendere l’auto”.
Marie
sorrise, imbarazzata. “Buongiorno. Io non guido, in realtà, grazie per il
penisero ma sto andando con Leonard, è il suo ultimo giorno prima delle ferie”.
“Oh,
ok, allora se ti va posso accompagnarti da domani”.
“Grazie!”.
Penny
sorrise e ripose le chiavi in borsa, impiegandoci più del dovuto per riuscirci,
forse a causa del nervosismo causato dalla prospettiva di insegnare. “Come mai
non guidi?”.
“Ho
la patente, sia chiaro, ma... E’ più forte di me, mi metto sempre nei guai,
rischio incidenti di continuo! Sono negata come mio padre!” spiegò la ragazza,
sospirando.
Penny
ridacchiò ma non aggiunse altro perché era arrivato Leonard.
“Oh,
oh, buongiorno Penny!” esclamò, schiarendosi la voce.
“Buongiorno
Leonard. Da domani accompagno io Marie così potrai goderti le vacanze!”.
Leonard
sorrise, ringraziandola, e si avviarono insieme verso il parcheggio, verso
l’inizio di una nuova avventura.
“...
Per qualsiasi informazione sono nel mio ufficio fino alle due. Ci vediamo
mercoledì, ragazzi”.
Una
Penny alquanto assetata per aver parlato senza sosta ma anche felice congedò la
sua classe con un sorriso per poi avvicinarsi alla lavagna e cancellare le
formule che aveva spiegato.
Salutò
tutti e quindici gli studenti con vari sorrisi e notò che Marie era l’ultima
rimasta visto che si stava dilungando nel sistemare la cancelleria usata per
prendere appunti.
Alzò
lo sguardo e notò che l’insegnante la guardava con evidente curiosità.
“Scusami,
è che quando prendo appunti uso la penna nera unita a quella rossa per le
definizioni, la blu per sottolineare un concetto che devo approfondire, la
verde per gli asterischi e quella fuxia per le spiegazioni vicino gli
asterischi e poi devo mettere il tutto in ordine di colore seguendo
l’arcobaleno” spiegò, tornando alla sua occupazione.
“Oh,
fai... Pure” mormorò la donna. Ne aveva conosciute di ragazze come lei, ma
Marie era decisamente unica. Una diciannovenne che ha la patente ma non guida,
usa mille penne per gli appunti e deve anche ordinarle in base al colore.
“Piaciuta
la lezione?” aggiunse, speranzosa.
Finalmente
Marie terminò la sua opera, chiuse la borsa e la raggiunse vicino la cattedra.
“Sì!
L’ho adorata, la chimica nucleare è affascinante! Non vedo l’ora di svolgere
gli esercizi!” esclamò, fin troppo entusiasta.
Penny
sorrise, prese la sua borsa e insieme si incamminarono verso la mensa
dell’università.
“Ne
sono felice, fino ad ora ho svolto solo ricerca, ma mi era scaduto il contratto
in Florida e così sono qui...”.
“Sei
portata invece, voglio dire, quando quel ragazzo ti ha fatto quella
stupidissima domanda sui legami chimici io l’avrei sbattuto fuori, non potrà
mai stare al passo con le lezioni!”.
“Ehm,
Marie, la pazienza e la disponibilità sono i primi requisiti per insegnare”.
“Non
dovrebbe essere sapere ciò che si insegna?”.
Penny
guardò Marie, decisamente stranita, per poi decidere di non ribattere e guardarsi
intorno alla ricerca della mensa.
“Ma
come fai ad indossare qualcosa del genere? Io morirei, i pantaloni così
attillati mi fanno sentire soffocata”.
Circa
quattro ore dopo, Penny era a casa Cooper per aiutare Marie a sistemarsi per la
palestra visto che il trasloco procedeva tranquillamente. Non era esperta e non
aveva mai messo piede in una palestra, ma l’idea di dare una mano ad una
ragazza le piaceva, era cresciuta con una famiglia composta quasi interamente
da fratelli e cugini e non era mai stata brava nel relazionarsi con il mondo
femminile a causa delle sue regole assurde e alquanto cattive.
“Sono
gli unici che mi andavano, gli altri erano larghi” sbuffò Marie.
“Ecco
perché dovresti fare shopping come me al Wallmart a Huston, lì sì che hanno le
taglie perfette per i Cooper!” borbottò suo padre. “Chiedi a tua nonna e ti
invierà tutto!”.
Penny
rise di cuore, sempre più sorpresa dalla stramberia di quella famiglia, e pensò
che invece la madre le era sembrata diversa, più severa, fuori luogo.
Qualcuno
bussò alla porta e Marie andò ad aprire, trovandosi davanti una Bernadette in
tuta decisamente entusiasta. “Andiamo a tonificare, su!” esclamò.
Marie
annuì, seppur poco convinta, prese la borsa e si congedò.
“Ci
vediamo alle otto, papi, prepara i pop corn per le serie tv!” esclamò, dandogli
un bacio sulla guancia e salutando Penny con un sorriso.
“Ciao,
ragazzi!” li salutò Bernadette, così nel giro di qualche secondo l’appartamento
tornò ad essere improvvisamente silenzioso.
Penny
guardò il padrone di casa e si decise a dire ciò che pensava da qualche ora,
dopo aver chiesto a Marie del lavoro del padre.
“Non
vorrei intromettermi ma... Marie amerebbe vederti a lavoro, oggi non faceva
altro che dirmi che vorrebbe che smettessi di lavorare a casa. So di essere
un’estranea, solo che quando avevo la sua età avrei tanto voluto che qualcuno
dicesse a mio padre ciò che non riuscivo a dirgli” sussurrò, un po’ intimorita
dalla reazione dell’uomo, che non si fece attendere: indurì il volto, si alzò e
si avvicinò alla lavagna dove c’erano ancora i calcoli a cui stava lavorando da
quella mattina.
“So
quello che faccio, Marie lo sa”.
“Certo,
non lo metto in dubbio. Scusami, torno da me, buon lavoro” mormorò sconfitta
Penny, vedendo avverarsi la sua premonizione.
Appena
sentì la porta richiudersi, Sheldon lasciò perdere il pennarello e contemplò un
ritorno alla Caltech, con Kripke che lo derideva, i pranzi con Leonard e Howard
e il preside che non ascoltava i suoi suggerimenti.
Tutto
normale, tranne per il fatto che non ci sarebbe stata Amy ad aspettarlo
all’uscita, per poi tornare a casa insieme e raccontarsi gli avvenimenti della
giornata.
Il
solo pensiero lo fece sentire un povero stupido, uno stupido che a breve
avrebbe dovuto firmare i documenti del divorzio... Non riusciva a
capacitarsene, quindi come faceva a spiegare tutto ciò a sua figlia?
Amy
stava per uscire, le mancavano le ultime cose da mettere in borsa.
Non
andava di fretta, si era anticipata di molto visto che dopo il lavoro non aveva
nulla da fare, era un lusso che ormai poteva concedersi.
Lanciò
uno sguardo alla busta gialla sul tavolo della cucina, era lì da giorni e
ancora non l’aveva aperta. Che senso aveva? Sapeva che erano i documenti per il
divorzio, sapeva che un paio di firme avrebbero posto fine agli ultimi
diciassette anni.
Sapeva
anche che il suo avvocato le aveva detto che l’avrebbe assistita dopo l’estate
visto che a breve il suo studio si sarebbe spopolato.
“La
legge non va in vacanza, certo, ma i divorzi possono aspettare” le aveva detto
sbrigativamente, come se fosse un qualcosa di superfluo e lussuoso.
Come
se fosse una cosa stupida come rifarsi il naso o il seno!
Dovevano
prima vedersi, esporre le proprie motivazioni davanti all’avvocato...
Se
doveva aspettare l’autunno la sua sofferenza si sarebbe protratta, e non perché
odiasse essere legalmente sposata ma perché sapeva che sapararsi da lui,
nonostante fosse una sua scelta, le sarebbe risultato sempre più difficile.
Sospirò
e udì il cellulare vibrare, lo prese e lesse un messaggio.
Ci vediamo alle 8 al
solito posto, gattina.
Deglutì
e si affrettò a rispondere, dicendosi che doveva smetterla di sentirsi in
colpa.
Ragazze
super in forma, ragazzi decisamente muscolosi e persone, al contrario, con dei
chili di troppo. Marie notò che in quella palestra non esisteva una via di
mezzo e la cosa la fece sentire più a disagio che mai visto che era consapevole
di essere una sorta di stampella vivente per i soliti standard.
“Dove
dobbiamo andare?” domandò, decisamente impaurita.
“A
lezione di Total Body, te lo avevo detto, no? E’ perfetto, ci ammazeremo ma ne
varrà la pena!” esclamò Bernadette, fin troppo entusiasta. “Guarda, gli
spogliatoi sono a destra” aggiunse, vedendo un cartello indicatore.
Marie
la seguì, per poi trovarsi in una stanza fin troppo calda piena di armadietti,
donne mezze nude e ragazze che si asciugavano i capelli davanti a dei piccoli
specchi rettangolari.
Scelsero
gli armadietti e iniziarono a sistemare le borse quando una voce familiare le
richiamò all’attenzione.
“Marie!
Bernadette! Anche voi qui?”.
Marie
si bloccò nell’atto di chiudere l’armadietto quando notò che quella che si
stava avvicinando era proprio sua madre. Era parecchio sudata e decisamente più
naturale del solito, ma sorrideva speranzosa in loro direzione.
“Mamma”
disse, più dura del solito.
“Amy,
ciao! Anche tu qui? Stiamo per iniziare Total Body!” la salutò Bernadette.
“Sì,
non sapevo aveste deciso di venire qui! Io faccio sia zumba che pilates”
spiegò. “Se ti fa piacere domani potremmo andare a comprare delle tute nel mio
negozio di fiducia, che ne dici?” aggiunse speranzosa, rivolta alla figlia.
“Ho
già comprato tutto con Bernadette, grazie” replicò freddamente la figlia. “Ma
posso farti compagnia quando andrai a comprare il vestito da indossare per
l’udienza per il divorzio, se vuoi” aggiunse, senza riuscire a trattenersi.
Chiuse
l’armadietto con forza, tanto da far girare alcune donne per la curiosità.
“Tesoro,
scusami, non credevo che tuo padre ti avesse già detto...”.
“Papà
mi dice tutto e subito, a differenza tua. Non cova rancori per sedici anni per
poi sputarli fuori con veleno” ribattè, pungente più che mai.
“Ma
no, cosa...”.
“Non
troverai mai uno come lui, sappilo! Avresti potuto aiutarlo a superare con il
distacco quando sono partita per il college, visto che per te è stata una
passeggiata andartene di casa e lasciarmi lì da un giorno all’altro, invece te
ne sei fregata!” continuò a sbraitare, rossa in viso come non mai, finchè
Bernadette non le poggiò le mani sulle spalle per calmarla.
“E’tardi,
dai, magari ne parlate con calma...” disse, a disagio.
“No
perché sarebbe impossibile, da quando sono tornata non mi ha invitato nemmeno
mezza volta a stare sola con lei!”.
“Ma
se l’ho appena fatto e hai rifiutato!”.
“Fare
shopping non è la stessa cosa. Serve per evitare di parlare delle cose serie.
Vado a lezione, ciao”.
Ancora
scossa, prese con rabbia l’asciugamano e una bottiglina d’acqua e si avviò
verso l’uscita.
“Dovete
chiarire, Amy. Ci soffre troppo! Dille la verità e l’apprezzerà. Ciao” la
salutò Bernadette, seria più che mai, seguendo sua figlia.
Amy
rimase ferma, sforzandosi di non piangere davanti a tutte. Vedere sua figlia
covare così tanto rancore era orribile e pensare di dire la verità le faceva
paura perché l’aveva detta solo alla sua analista.
“Distendete
la gamba destra e alzate il braccio sinistro, su! Ora fate pressione sulla
gamba, così...”.
Marie
non ce la faceva più, quella disciplina che serviva ad allenare e mettere in
funzione tutti i muscoli del proprio corpo era qualcosa di orribile per una
come lei che non riusciva nemmeno a correre qualche metro senza inciampare e
cadere.
Anche
Bernadette, nella fila avanti alla sua, sembrava provata, ma non come lei.
Sentiva
tutti i muscoli indolenziti e qualcosa sullo stomaco, come se dovesse vomitare
un pranzo eccessivamente abbondante e in più si sentiva debole.
Le
luci soffuse blu della stanza non l’aiutavano affatto, a un tratto vide tutto
sfocato, tanto che si decise a fregarsene della lezione – aveva già resistito
quaranta minuti, accidenti! – e scappò via dalla sala, sforzandosi di non fare
rumore. Ci riuscì visto che nemmeno Bernadette notò la cosa.
Prendere
un po’ d’aria appena uscì fu un toccasana ma non riuscì a resistere e si
accasciò per terra, sentendosi troppo debole.
“Ehi,
tutto bene?”.
Una
voce dall’accento straniero le si rivolse, alquanto concitata.
Marie
alzò lo sguardo e vide che un uomo in tuta ma decisamente affascinante le si
stava avvicinando di corsa.
“Non
proprio... E’ la mia prima lezione e mi sembra di avere un peso sullo stomaco e
mi fa male tutto” rivelò, sentendo le gambe tremare.
L’uomo
subito notò il tremore e si accovacciò davanti a lei.
“Cosa
hai mangiato prima di venire qui?” chiese, analizzando la situazione.
“Uno
yogurt e un cappuccino”.
“Quando?”.
“Un’ora
prima della lezione, credo”.
“Non
dovevi, mangiare cose che contengono latte e derivati non fa bene prima di un
allenamento, appesantisce lo stomaco! Meglio un bel panino un paio di ore prima,
ti aiuterà a mettere massa. Di certo non sei qui per dimagrire” notò
rapidamente, tuttavia con un tono rassicurante.
La
sua voce era calda, l’accento – tipico degli indiani – aveva un qualcosa di
affascinante.
Marie
annuì e provò a rialzarsi così l’uomo l’aiuto sorregendole la schiena con
delicatezza.
“Avrai
avuto un calo di pressione. Ti ci vuole un po’ di acqua e zucchero*” decretò,
facendole strada nel corridoio.
Giunsero
in una sala attrezzi e poi in un piccolo ufficio con tanto di scrivania e
armadietto.
“Prego,
siediti pure, mano a mano il tremore alla gambe passerà, hai sforzato troppo i
muscoli, tutto qui. Sei stata coraggiosa a scegliere Total Body” osservò,
mentre prendeva un bicchiere di plastica e una bottiglia di acqua.
“Non...
Non l’ho scelta io, sono qui con un’amica di famiglia” sussurrò.
“Immagino
tu non abbia mai fatto alcuna attività fisica”.
“Esatto.
Non ho tempo, studio ad Harvard e onestamente preferisco giocare con la xbox
quando riesco” rivelò.
L’uomo
sorrise e le diede un bicchiere pieno di acqua con dello zucchero.
“Bevi”.
Marie
obbedì, seppur disgustata dallo zucchero eccessivo. “Grazie”.
“Io
sono Raj, comunque, l’istruttore della sala attrezzi”.
“Marie”.
“Non
per farmi pubblicità ma credo che potresti avere più risultati venendo nella
sala attrezzi, potrei seguirti e darti un allenamento graduale” propose.
“Ma
sono già iscritta a Total Body!”.
“Non
cambia nulla, l’iscrizione è uguale. Tessa è stata un’incosciente, avrebbe
dovuto fare una lezione più tranquilla visto che c’erano dei nuovi iscritti”
disse Raj, mentre posava l’acqua.
“La
colpa è mia, sono negata” ammise Marie.
“Ma
no, bisogna solo prenderci la mano. Vieni qui e ti farò prendere almeno quattro
chili!” insistè Raj, sorridendole.
Aveva
dei denti bianchissimi che contrastavano con la carnagione caramello, oltre ad
essere abbastanza muscoloso.
Era
davvero un bell’uomo, pensò Marie, poteva avere al massimo una decina di anni
in più a lei.
“Va
bene, accetto” disse, vergognandosi come una scema perché voleva vedere più
spesso quell’uomo e non gliene fregava molto del resto.
Una
sensazione del genere non l’aveva mai provata, studiando chimica aveva a che
fare con molti ragazzi ma nessuno le aveva fatto un effetto simile.
“Ti
aspetto mercoledì alle sei, allora. Tessa mi odierà” aggiunse, ridacchiando.
“Come va?” chiese poi.
“Meglio.
Il peso sullo stomaco è quasi scomparso ma mi fa male tutto... Devo avvertire
la mia amica, lei non mi ha visto uscire!”.
“Ok,
ti accompagno” si offrì gentilmente Raj, aiutandola ad alzarsi e sorreggendole
la schiena con cautela.
Marie
sospirò e guardò l’istruttore, pensando che era il primo palestrato che le
suscitava un interesse così improvviso.
“Ero
davvero preoccupata” brontolò Bernadette circa venti minuti dopo, all’uscita
dagli spogliatoi. “Potevi dirmelo!”.
“Non
volevo disturbarti” si giustificò Marie, camminando lentamente a causa del
dolore. “Comunque te l’ho detto, andrò a fare sala attrezzi, l’istruttore mi
aiuterà mano a mano”.
“Come
vuoi...”.
“Aspetta,
vado a salutarlo, è stato gentilissimo. Aspettami qui”.
“Va
bene, ti prendo qualcosa al distributore” replicò la donna, avvicinandosi alla
macchinetta piena di merendine e snack poco salutari. Inserì le monete e notò
che una donna la guardava con aria di superiorità. “Ehi, carina, non è per me,
è per la mia amica che ha avuto un calo di zuccheri!” s’infervorò.
Dall’altra
parte della struttura, Marie entrò nella sala attrezzi, trovandola vuota. Si
avviò verso l’ufficio ma era vuoto a sua volta.
Stava
per rinunciarci quando sentì delle voci provenire da un’altra porta che era
leggermente aperta.
“Lo
so che è squallido ma dovremmo entrare in uno dei bagni, la porta non si
chiude”.
“Come
vuoi tesoro, ho capito che vuoi mettere alla prova la mia agilità...”.
Il
cuore di Marie perse un battito. La stanchezza le faceva un brutto effetto, non
poteva conoscere sul serio quelle voci!
“L’ho
già provata, sei la ventinovenne più agile che conosca, gattina...”.
“E
tu il ventinovenne più sexy che abbia mai conosciuto...”.
Le
bastò sporgersi di poco per vedere riflessa nello specchio alla sua destra
un’immagine assurda, pazza, senza senso, scabrosa.
Raj
stava togliendo la camicetta ad una donna bruna, più bassa di lui, con una voce
a lei nota.
Raj
era in atteggiamenti piuttosto intimi con sua madre.
Sua
madre aveva una storia con il suo futuro istruttore e a quanto pare diceva di
avere sei anni in meno.
Non
riuscì a rimanere lì per un altro istante e sfidò il dolore, camminando
rapidamente fino all’uscita, dove Bernadette la stava aspettando.
Poi,
non riuscendosi a trattenere, si piegò in due e vomitò di colpo, con grande
preoccupazione dell’amica.
Inutile
negarla, quella era la degna conclusione di una giornata decisamente schifoso e
iniziata, come si suol dire, con il piede storto.
*piccola
nota: l’episodio della lezione di Total Body è vero ed è successo a me, lo
scorso ottobre xD ero iscritta a zumba ma la prima lezione l’istruttrice decise
di cambiare per una volta, avevo bevuto un cappuccino e dopo quaranta minuti
circa sono scappata dalla sala, sentendomi male. Ricordando la cosa ho pensato
di far succedere una cosa simile anche a Marie eheheh.
*°*°*°*°*°
Ed ecco il secondo capitolo, pubblicato
esattamente dopo dieci giorni anche se è mezzanotte passata, purtroppo domani
ho tanto da studiare e aggiornare richiede tanto tempo come ben saprete.
Coooomunque...
La famiglia incasinata continua ad esserlo: Marie ha saputo del divorzio, ha
conosciuto Raj e ha scoperto che ha una relazione intima con sua madre :O
Sheldon,d’altro
canto, non riesce a tornare a lavoro a causa dei ricordi ma cerca la sua
felicità in Marie.
Che
dire, questo non è ancora nulla perché sono al settimo e vi anticipo che ci
saranno dei colpi di scena ma spero troviate interessante questi primi sviluppi
^^
Grazie
a chi ha letto e ha recensito il primo capitolo <3
Vi
lascio qualche anticipazione del prossimo capitolo che pubblicherò verso il 19
(anche un po’ prima se va tutto bene :D):
“Non
ho niente a cui pensare, non esco con le bugiarde. Bella foto” la prese in
giro, voltandosi e avvicinandosi alle scale che conducevano all’uscita del
condominio.
“Comunque...
Come si chiede ora a una ragazza se vuole venire a cena con te?” domandò, con
un tono decisamente basso.
Marie
spalancò la bocca. “Ho sentito bene?”.
“Direi
di sì, Marie, l’ultima visita dall’otorino l’hai superata con successo” replicò
impaziente il padre. “Allora?”.
A
presto,
milly.