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Autore: milly92    08/09/2015    2 recensioni
Sheldon ed Amy hanno trentacinque anni, una figlia di diciannove, sono sposati da diciassette e separati da tre.
Cosa è successo alla famiglia Cooper-Fowler?
“Figlia?!”. Penny spalancò gli occhi, incredula. [...]
“Sì”. Sheldon sospirò, stanco di dover dire sempre la stessa cosa a chi lo fissava così. “Ho una figlia di diciannove anni, è nata quando ne avevo sedici. Come può ben vedere, non solo Juno e varie cantanti pop possono procreare a quella età, ci riescono anche i geni. Nel raro caso in cui trovino una ragazza, certo”.
“Oh, no, ma si figuri, è solo che... Sembra solo giovane, ecco, dai dati che mi ha fornito posso garantirle che mostra meno dei suoi trentacinque anni” cercò di svignarsela Penny. “E poi è bello avere figli giovani! Immagino che lei, sua moglie e sua figlia formiate una bella famiglia, tutti giovani e intelligenti, vero?”.
“Io e mia moglie siamo separati, comunque nell’ultimo anno ho deciso di lavorare a casa quindi potrò farle quel favore” replicò freddamente, prendendo il foglio con il numero dalle mani della donna e chiudendo la porta alla velocità della luce.
[AU]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amy Farrah Fowler, Nuovo personaggio, Penny, Sheldon Cooper, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Quello che accade in palestra, rimane in palestra

Capitolo 2

     Quello che accade in palestra, rimane in palestra

 

“Buongiorno, Marie!” disse Leonard, sbadigliando, appena entrò in cucina.

“’Giorno, zio! Caffè? Se vuoi favorire, oggi è lunedì, quindi per me...”.

“Toast con burro e marmellata, sì, grazie. Assurdo che tu abbia delle colazioni prestabilite, come tuo padre” mormorò l’uomo, sedendosi su uno sgabello e afferrando la tazza blu che gli aveva porto la ragazzina.

“Assurdo? Nonna Mary invece ne è felice, dice che così è sicura che io sia sul serio figlia di papà” ribattè Marie, prendendo dei toast riscaldati e aggiungendo gli ingredienti. “Come se non esistesse il test del DNA, volendo... Ah, caro Texas, sono felice di non essere cresciuta nella tua dilagante ignoranza!”.

“Non puoi biasimarla, dai, conosci tuo padre... Comunque, sono le sette, come fai ad essere già vestita e pronta?” domandò, curioso.

Marie sorrise, alquanto raggiante, mentre gli dava la colazione e si apprestava a finire la sua.

“Non ho dormito per l’emozione! Chimica nucleare, che figo, quella Penny è una bomba!”.

“Oh, puoi dirlo forte... Cioè, si interessa di roba interessante, decisamente interessante, sì!”.

“Voglio essere come lei a trent’anni, davvero! Certo, magari non sono tagliata per l’insegnamento, però sarebbe bello!”.

“Tu sei tagliata per tutto, sei una Cooper! E come me ami dire alla gente come fare le cose, criticarle e provare che sei la più intelligente!” esclamò Sheldon, che aveva udito tutto dal bagno grazie al suo udito super allenato e raffinato.

Marie guardò il padre e ridacchiò di gusto, annuendo.

Nelle ultime dodici ore aveva dimostrato di essere quello di sempre e la cosa la riempiva di gioia, era bello vedere suo padre sorridente e pronto a dimostrare la sua bizzarra personalità.

“Ben detto papi, ti sei guadagnato la tua colazione!” esclamò, indicando il piatto di french toast alle sue spalle.

Sheldon sorrise come un bambino, prese il piatto e si sistemò alla destra della figlia, di fronte a Leonard.

Mangiò rapidamente, guadagnandosi uno sguardo di stupore da parte degli altri due, per poi guardare Marie con decisione.

“Ho una novità. Tranquillo Leonard, ti includerò in questo momento familiare, spero in un tuo supporto” disse.

“Esci con qualcuna?” domandò speranzosa la ragazza.

“Cosa? No! Perché me lo domandi sempre?!”.

“Perché mamma esce con altri uomini, quindi...”.

“Vuole il divorzio e ha messo in mezzo un avvocato, ecco la novità” sbottò Sheldon, non amando i momenti in cui ascoltava quel tipo di storie sulla donna che aveva sposato.

Marie battè numerose volte le palpebre, deglutì e infine annuì con un sospiro.

Leonard, invece, si portò una mano alla bocca, dispiaciuto.

“Sta seguendo l’ordine logico dei fatti, no? Brava mamma” sbottò la ragazza, alzandosi di scatto. “Non me lo spiego, davvero. Le sue coetanee pagherebbero oro per avere un uomo come te e lei... Dille che quando firmerà i documenti non so se mi andrà di fingere che vada tutto bene” sentenziò.

Silenziosamente, Leonard andò in camera su per lasciarli soli in un momento così delicato.

“Marie, so che qui sono il padre, ma non so cosa dirti se non che.... Non so più niente, voglio dire, sarebbe impossibile, ho una memoria eidetica e...”.

“Hai ragione, quello che divorzia sei tu, non io, scusami. Sono qui per te. Stasera, quando torno dalla palestra, vediamo Gotham e ti preparo la cioccolata calda con i marshmellow, che dici?” sussurrò Marie, sforzandosi di non piangere e di farsi forza.

Suo padre le era sempre stato vicino e ora toccava a lei provare a farlo stare bene, standogli vicino e facendogli ricordare che la vita poteva essere bella anche senza sua madre.

“Grazie, Marie. Sono così felice di avere te...”.

Rincuorata come non mai, la ragazza abbracciò il padre con calore, sentendosi fortunata per ciò che aveva. Sentirsi dire una frase del genere dopo aver speso gli ultimi tre anni a domandarsi se i tuoi genitori non fossero più felici senza di te era davvero un toccasana.

 

 

Ferma davanti allo specchio, Marie osservava la sua figura fin troppo alta e un po’ ossuta. Fisicamente era tutta suo padre e la cosa le aveva causato non pochi disagi visto che non era piacevole essere una sorta di bambina gigante sin dalle elementari. Mangiava molto – roba non sana soprattutto – ma non riusciva a dire addio alle spalle ossute e alla cosiddetta forma tipica della “donna rettangolo”, senza fianchi, quasi senza seno. Sperava che la palestra l’avrebbe aiutata a mettere un po’ di massa, anche se non amava affatto l’idea di sudare e mostrare la sua goffaggine in tutto.

Guardò la maglia a mezze maniche che indossava, blu con su disegnata la faccia di Catwoman. Era uno dei pochi regali di sua madre che aveva apprezzato ultimamente, ma tenerla addosso, ora che sapeva del divorzio, le risultava impossibile, le sembrava di star indossando una bugia.

Con rabbia, se la tolse di dosso, la gettò per terra e si avvicinò alla valigia che non aveva ancora disfatto per prendere la prima cosa che le capitava.

Trovò una t-shirt verde con il logo di Breaking Bad – il suo telefilm preferito per eccellenza – e la indossò di corsa.

Si riguardò allo specchio nella speranza che non fosse troppo maltrattata e notò che sembrava decisamente giù di tono.

I suoi occhi blu esprimevano una tristezza che non le donava e aveva voglia di disfare quella maledetta coda in cui aveva stretto i capelli – forse perché erano identici a quelli di sua madre e non voleva avere nulla che la riguardasse, al momento -.

Quel giorno voleva essere felice, iniziare qualcosa di nuovo, mentre lei, la donna che più l’aveva delusa negli ultimi anni, aveva rovinato tutto in un secondo.

“Devi essere felice. Andrai a lezione e sarai la prima della classe. Andrai in palestra e contribuirai ad un banale processo fisiologico quale l’eleminazione delle tossine. A tal proposito, Marie Cooper, ricorda di bere due litri d’acqua al giorno e ricorda che Coca Cola e Sprite non sono la stessa cosa. Certo che non lo sono, l’acqua è composta da... Oh, accidenti, datti un tono e sii felice!”.

Litigare con se stessa era una cosa normale, in mancanza di una disputa era solita parlare da sola allo specchio per dimostrare che aveva ragione – era una cosa da pazzi, sì, ma non riusciva a farne a meno -.

A pochi passi da lei, dietro la porta, Leonard stava per bussare per dirle di muoversi, ma sì bloccò, rassegnato.

Andò in cucina, dove l’amico stava già lavorando alla sua amata lavagna.

“Tutto ok, parlava da sola, credo davanti allo specchio come al solito, e mi sa che ha appena finito” borbottò.

“Devo dire che le lezioni di Chimica l’aiuteranno”.

“Per approfondire le sue conoscenze?”.

“No, Leonard. Per avere qualche compagno di classe con cui discutere e provare che ha ragione, così non avrà bisogno di dibattere con se stessa allo specchio”.

Il fisico sperimentale alzò gli occhi al cielo, alquanto scioccato dal senso di quel discorso.

“Che carina, giuro che è in questi casi che mi pento di non avere figli” disse sarcastico.

Ovviamente l’amico non comprese il tono della sua voce e gli sorrise.

“Sono qui, sono pronta, andiamo!” esclamò Marie, correndo in direzione della cucina.

Purtroppo per lei, però, durante l’atto troppo acrobatico per i suoi gusti, inciampò e cadde, salvandosi semplicemente grazie alla prontezza dei suoi riflessi che l’aiutarono ad appoggiare le mani davanti.

“Marie!” urlò il padre, impietrito.

“Cara, sicura che andare in palestra sia una buona idea?” osservò premuroso Leonard, piegandosi per soccorrerla.

“Zitto, zio” lo rimbeccò la ragazza, seduta sul pavimento e massaggiandosi la caviglia.

“Sai, anche dopo che hai fatto i tuoi primi passi sei caduta così. Un ritorno alle origini, direi” ridacchiò suo padre, salvo poi avvicinarsi e aiutarla ad alzarsi con l’aiuto dell’amico.

“Zitti tutti. Posso farcela, davvero” mormorò, seppur piagnucolante.

 

 

“Marie, buongiorno! Posso accompagnarti io, è il minimo che possa fare visto che al momento ho un lavoro solo grazie alla tua iscrizione!” l’accolse Penny quando si incrociarono fuori al pianerottolo. “Così eviti di prendere l’auto”.

Marie sorrise, imbarazzata. “Buongiorno. Io non guido, in realtà, grazie per il penisero ma sto andando con Leonard, è il suo ultimo giorno prima delle ferie”.

“Oh, ok, allora se ti va posso accompagnarti da domani”.

“Grazie!”.

Penny sorrise e ripose le chiavi in borsa, impiegandoci più del dovuto per riuscirci, forse a causa del nervosismo causato dalla prospettiva di insegnare. “Come mai non guidi?”.

“Ho la patente, sia chiaro, ma... E’ più forte di me, mi metto sempre nei guai, rischio incidenti di continuo! Sono negata come mio padre!” spiegò la ragazza, sospirando.

Penny ridacchiò ma non aggiunse altro perché era arrivato Leonard.

“Oh, oh, buongiorno Penny!” esclamò, schiarendosi la voce.

“Buongiorno Leonard. Da domani accompagno io Marie così potrai goderti le vacanze!”.

Leonard sorrise, ringraziandola, e si avviarono insieme verso il parcheggio, verso l’inizio di una nuova avventura.

 

“... Per qualsiasi informazione sono nel mio ufficio fino alle due. Ci vediamo mercoledì, ragazzi”.

Una Penny alquanto assetata per aver parlato senza sosta ma anche felice congedò la sua classe con un sorriso per poi avvicinarsi alla lavagna e cancellare le formule che aveva spiegato.

Salutò tutti e quindici gli studenti con vari sorrisi e notò che Marie era l’ultima rimasta visto che si stava dilungando nel sistemare la cancelleria usata per prendere appunti.

Alzò lo sguardo e notò che l’insegnante la guardava con evidente curiosità.

“Scusami, è che quando prendo appunti uso la penna nera unita a quella rossa per le definizioni, la blu per sottolineare un concetto che devo approfondire, la verde per gli asterischi e quella fuxia per le spiegazioni vicino gli asterischi e poi devo mettere il tutto in ordine di colore seguendo l’arcobaleno” spiegò, tornando alla sua occupazione.

“Oh, fai... Pure” mormorò la donna. Ne aveva conosciute di ragazze come lei, ma Marie era decisamente unica. Una diciannovenne che ha la patente ma non guida, usa mille penne per gli appunti e deve anche ordinarle in base al colore.

“Piaciuta la lezione?” aggiunse, speranzosa.

Finalmente Marie terminò la sua opera, chiuse la borsa e la raggiunse vicino la cattedra.

“Sì! L’ho adorata, la chimica nucleare è affascinante! Non vedo l’ora di svolgere gli esercizi!” esclamò, fin troppo entusiasta.

Penny sorrise, prese la sua borsa e insieme si incamminarono verso la mensa dell’università.

“Ne sono felice, fino ad ora ho svolto solo ricerca, ma mi era scaduto il contratto in Florida e così sono qui...”.

“Sei portata invece, voglio dire, quando quel ragazzo ti ha fatto quella stupidissima domanda sui legami chimici io l’avrei sbattuto fuori, non potrà mai stare al passo con le lezioni!”.

“Ehm, Marie, la pazienza e la disponibilità sono i primi requisiti per insegnare”.

“Non dovrebbe essere sapere ciò che si insegna?”.

Penny guardò Marie, decisamente stranita, per poi decidere di non ribattere e guardarsi intorno alla ricerca della mensa.

 

 

“Ma come fai ad indossare qualcosa del genere? Io morirei, i pantaloni così attillati mi fanno sentire soffocata”.

Circa quattro ore dopo, Penny era a casa Cooper per aiutare Marie a sistemarsi per la palestra visto che il trasloco procedeva tranquillamente. Non era esperta e non aveva mai messo piede in una palestra, ma l’idea di dare una mano ad una ragazza le piaceva, era cresciuta con una famiglia composta quasi interamente da fratelli e cugini e non era mai stata brava nel relazionarsi con il mondo femminile a causa delle sue regole assurde e alquanto cattive.

“Sono gli unici che mi andavano, gli altri erano larghi” sbuffò Marie.

“Ecco perché dovresti fare shopping come me al Wallmart a Huston, lì sì che hanno le taglie perfette per i Cooper!” borbottò suo padre. “Chiedi a tua nonna e ti invierà tutto!”.

Penny rise di cuore, sempre più sorpresa dalla stramberia di quella famiglia, e pensò che invece la madre le era sembrata diversa, più severa, fuori luogo.

Qualcuno bussò alla porta e Marie andò ad aprire, trovandosi davanti una Bernadette in tuta decisamente entusiasta. “Andiamo a tonificare, su!” esclamò.

Marie annuì, seppur poco convinta, prese la borsa e si congedò.

“Ci vediamo alle otto, papi, prepara i pop corn per le serie tv!” esclamò, dandogli un bacio sulla guancia e salutando Penny con un sorriso.

“Ciao, ragazzi!” li salutò Bernadette, così nel giro di qualche secondo l’appartamento tornò ad essere improvvisamente silenzioso.

Penny guardò il padrone di casa e si decise a dire ciò che pensava da qualche ora, dopo aver chiesto a Marie del lavoro del padre.

“Non vorrei intromettermi ma... Marie amerebbe vederti a lavoro, oggi non faceva altro che dirmi che vorrebbe che smettessi di lavorare a casa. So di essere un’estranea, solo che quando avevo la sua età avrei tanto voluto che qualcuno dicesse a mio padre ciò che non riuscivo a dirgli” sussurrò, un po’ intimorita dalla reazione dell’uomo, che non si fece attendere: indurì il volto, si alzò e si avvicinò alla lavagna dove c’erano ancora i calcoli a cui stava lavorando da quella mattina.

“So quello che faccio, Marie lo sa”.

“Certo, non lo metto in dubbio. Scusami, torno da me, buon lavoro” mormorò sconfitta Penny, vedendo avverarsi la sua premonizione.

Appena sentì la porta richiudersi, Sheldon lasciò perdere il pennarello e contemplò un ritorno alla Caltech, con Kripke che lo derideva, i pranzi con Leonard e Howard e il preside che non ascoltava i suoi suggerimenti.

Tutto normale, tranne per il fatto che non ci sarebbe stata Amy ad aspettarlo all’uscita, per poi tornare a casa insieme e raccontarsi gli avvenimenti della giornata.

Il solo pensiero lo fece sentire un povero stupido, uno stupido che a breve avrebbe dovuto firmare i documenti del divorzio... Non riusciva a capacitarsene, quindi come faceva a spiegare tutto ciò a sua figlia?

 

 

Amy stava per uscire, le mancavano le ultime cose da mettere in borsa.

Non andava di fretta, si era anticipata di molto visto che dopo il lavoro non aveva nulla da fare, era un lusso che ormai poteva concedersi.

Lanciò uno sguardo alla busta gialla sul tavolo della cucina, era lì da giorni e ancora non l’aveva aperta. Che senso aveva? Sapeva che erano i documenti per il divorzio, sapeva che un paio di firme avrebbero posto fine agli ultimi diciassette anni.

Sapeva anche che il suo avvocato le aveva detto che l’avrebbe assistita dopo l’estate visto che a breve il suo studio si sarebbe spopolato.

“La legge non va in vacanza, certo, ma i divorzi possono aspettare” le aveva detto sbrigativamente, come se fosse un qualcosa di superfluo e lussuoso.

Come se fosse una cosa stupida come rifarsi il naso o il seno!

Dovevano prima vedersi, esporre le proprie motivazioni davanti all’avvocato...

Se doveva aspettare l’autunno la sua sofferenza si sarebbe protratta, e non perché odiasse essere legalmente sposata ma perché sapeva che sapararsi da lui, nonostante fosse una sua scelta, le sarebbe risultato sempre più difficile.

Sospirò e udì il cellulare vibrare, lo prese e lesse un messaggio.

 

Ci vediamo alle 8 al solito posto, gattina.

 

Deglutì e si affrettò a rispondere, dicendosi che doveva smetterla di sentirsi in colpa.

 

 

Ragazze super in forma, ragazzi decisamente muscolosi e persone, al contrario, con dei chili di troppo. Marie notò che in quella palestra non esisteva una via di mezzo e la cosa la fece sentire più a disagio che mai visto che era consapevole di essere una sorta di stampella vivente per i soliti standard.

“Dove dobbiamo andare?” domandò, decisamente impaurita.

“A lezione di Total Body, te lo avevo detto, no? E’ perfetto, ci ammazeremo ma ne varrà la pena!” esclamò Bernadette, fin troppo entusiasta. “Guarda, gli spogliatoi sono a destra” aggiunse, vedendo un cartello indicatore.

Marie la seguì, per poi trovarsi in una stanza fin troppo calda piena di armadietti, donne mezze nude e ragazze che si asciugavano i capelli davanti a dei piccoli specchi rettangolari.

Scelsero gli armadietti e iniziarono a sistemare le borse quando una voce familiare le richiamò all’attenzione.

“Marie! Bernadette! Anche voi qui?”.

Marie si bloccò nell’atto di chiudere l’armadietto quando notò che quella che si stava avvicinando era proprio sua madre. Era parecchio sudata e decisamente più naturale del solito, ma sorrideva speranzosa in loro direzione.

“Mamma” disse, più dura del solito.

“Amy, ciao! Anche tu qui? Stiamo per iniziare Total Body!” la salutò Bernadette.

“Sì, non sapevo aveste deciso di venire qui! Io faccio sia zumba che pilates” spiegò. “Se ti fa piacere domani potremmo andare a comprare delle tute nel mio negozio di fiducia, che ne dici?” aggiunse speranzosa, rivolta alla figlia.

“Ho già comprato tutto con Bernadette, grazie” replicò freddamente la figlia. “Ma posso farti compagnia quando andrai a comprare il vestito da indossare per l’udienza per il divorzio, se vuoi” aggiunse, senza riuscire a trattenersi.

Chiuse l’armadietto con forza, tanto da far girare alcune donne per la curiosità.

“Tesoro, scusami, non credevo che tuo padre ti avesse già detto...”.

“Papà mi dice tutto e subito, a differenza tua. Non cova rancori per sedici anni per poi sputarli fuori con veleno” ribattè, pungente più che mai.

“Ma no, cosa...”.

“Non troverai mai uno come lui, sappilo! Avresti potuto aiutarlo a superare con il distacco quando sono partita per il college, visto che per te è stata una passeggiata andartene di casa e lasciarmi lì da un giorno all’altro, invece te ne sei fregata!” continuò a sbraitare, rossa in viso come non mai, finchè Bernadette non le poggiò le mani sulle spalle per calmarla.

“E’tardi, dai, magari ne parlate con calma...” disse, a disagio.

“No perché sarebbe impossibile, da quando sono tornata non mi ha invitato nemmeno mezza volta a stare sola con lei!”.

“Ma se l’ho appena fatto e hai rifiutato!”.

“Fare shopping non è la stessa cosa. Serve per evitare di parlare delle cose serie. Vado a lezione, ciao”.

Ancora scossa, prese con rabbia l’asciugamano e una bottiglina d’acqua e si avviò verso l’uscita.

“Dovete chiarire, Amy. Ci soffre troppo! Dille la verità e l’apprezzerà. Ciao” la salutò Bernadette, seria più che mai, seguendo sua figlia.

Amy rimase ferma, sforzandosi di non piangere davanti a tutte. Vedere sua figlia covare così tanto rancore era orribile e pensare di dire la verità le faceva paura perché l’aveva detta solo alla sua analista.

 

 

“Distendete la gamba destra e alzate il braccio sinistro, su! Ora fate pressione sulla gamba, così...”.

Marie non ce la faceva più, quella disciplina che serviva ad allenare e mettere in funzione tutti i muscoli del proprio corpo era qualcosa di orribile per una come lei che non riusciva nemmeno a correre qualche metro senza inciampare e cadere.

Anche Bernadette, nella fila avanti alla sua, sembrava provata, ma non come lei.

Sentiva tutti i muscoli indolenziti e qualcosa sullo stomaco, come se dovesse vomitare un pranzo eccessivamente abbondante e in più si sentiva debole.

Le luci soffuse blu della stanza non l’aiutavano affatto, a un tratto vide tutto sfocato, tanto che si decise a fregarsene della lezione – aveva già resistito quaranta minuti, accidenti! – e scappò via dalla sala, sforzandosi di non fare rumore. Ci riuscì visto che nemmeno Bernadette notò la cosa.

Prendere un po’ d’aria appena uscì fu un toccasana ma non riuscì a resistere e si accasciò per terra, sentendosi troppo debole.

“Ehi, tutto bene?”.

Una voce dall’accento straniero le si rivolse, alquanto concitata.

Marie alzò lo sguardo e vide che un uomo in tuta ma decisamente affascinante le si stava avvicinando di corsa.

“Non proprio... E’ la mia prima lezione e mi sembra di avere un peso sullo stomaco e mi fa male tutto” rivelò, sentendo le gambe tremare.

L’uomo subito notò il tremore e si accovacciò davanti a lei.

“Cosa hai mangiato prima di venire qui?” chiese, analizzando la situazione.

“Uno yogurt e un cappuccino”.

“Quando?”.

“Un’ora prima della lezione, credo”.

“Non dovevi, mangiare cose che contengono latte e derivati non fa bene prima di un allenamento, appesantisce lo stomaco! Meglio un bel panino un paio di ore prima, ti aiuterà a mettere massa. Di certo non sei qui per dimagrire” notò rapidamente, tuttavia con un tono rassicurante.

La sua voce era calda, l’accento – tipico degli indiani – aveva un qualcosa di affascinante.

Marie annuì e provò a rialzarsi così l’uomo l’aiuto sorregendole la schiena con delicatezza.

“Avrai avuto un calo di pressione. Ti ci vuole un po’ di acqua e zucchero*” decretò, facendole strada nel corridoio.

Giunsero in una sala attrezzi e poi in un piccolo ufficio con tanto di scrivania e armadietto.

“Prego, siediti pure, mano a mano il tremore alla gambe passerà, hai sforzato troppo i muscoli, tutto qui. Sei stata coraggiosa a scegliere Total Body” osservò, mentre prendeva un bicchiere di plastica e una bottiglia di acqua.

“Non... Non l’ho scelta io, sono qui con un’amica di famiglia” sussurrò.

“Immagino tu non abbia mai fatto alcuna attività fisica”.

“Esatto. Non ho tempo, studio ad Harvard e onestamente preferisco giocare con la xbox quando riesco” rivelò.

L’uomo sorrise e le diede un bicchiere pieno di acqua con dello zucchero.

“Bevi”.

Marie obbedì, seppur disgustata dallo zucchero eccessivo. “Grazie”.

“Io sono Raj, comunque, l’istruttore della sala attrezzi”.

“Marie”.

“Non per farmi pubblicità ma credo che potresti avere più risultati venendo nella sala attrezzi, potrei seguirti e darti un allenamento graduale” propose.

“Ma sono già iscritta a Total Body!”.

“Non cambia nulla, l’iscrizione è uguale. Tessa è stata un’incosciente, avrebbe dovuto fare una lezione più tranquilla visto che c’erano dei nuovi iscritti” disse Raj, mentre posava l’acqua.

“La colpa è mia, sono negata” ammise Marie.

“Ma no, bisogna solo prenderci la mano. Vieni qui e ti farò prendere almeno quattro chili!” insistè Raj, sorridendole.

Aveva dei denti bianchissimi che contrastavano con la carnagione caramello, oltre ad essere abbastanza muscoloso.

Era davvero un bell’uomo, pensò Marie, poteva avere al massimo una decina di anni in più a lei.

“Va bene, accetto” disse, vergognandosi come una scema perché voleva vedere più spesso quell’uomo e non gliene fregava molto del resto.

Una sensazione del genere non l’aveva mai provata, studiando chimica aveva a che fare con molti ragazzi ma nessuno le aveva fatto un effetto simile.

“Ti aspetto mercoledì alle sei, allora. Tessa mi odierà” aggiunse, ridacchiando. “Come va?” chiese poi.

“Meglio. Il peso sullo stomaco è quasi scomparso ma mi fa male tutto... Devo avvertire la mia amica, lei non mi ha visto uscire!”.

“Ok, ti accompagno” si offrì gentilmente Raj, aiutandola ad alzarsi e sorreggendole la schiena con cautela.

Marie sospirò e guardò l’istruttore, pensando che era il primo palestrato che le suscitava un interesse così improvviso.

 

 

“Ero davvero preoccupata” brontolò Bernadette circa venti minuti dopo, all’uscita dagli spogliatoi. “Potevi dirmelo!”.

“Non volevo disturbarti” si giustificò Marie, camminando lentamente a causa del dolore. “Comunque te l’ho detto, andrò a fare sala attrezzi, l’istruttore mi aiuterà mano a mano”.

“Come vuoi...”.

“Aspetta, vado a salutarlo, è stato gentilissimo. Aspettami qui”.

“Va bene, ti prendo qualcosa al distributore” replicò la donna, avvicinandosi alla macchinetta piena di merendine e snack poco salutari. Inserì le monete e notò che una donna la guardava con aria di superiorità. “Ehi, carina, non è per me, è per la mia amica che ha avuto un calo di zuccheri!” s’infervorò.

Dall’altra parte della struttura, Marie entrò nella sala attrezzi, trovandola vuota. Si avviò verso l’ufficio ma era vuoto a sua volta.

Stava per rinunciarci quando sentì delle voci provenire da un’altra porta che era leggermente aperta.

“Lo so che è squallido ma dovremmo entrare in uno dei bagni, la porta non si chiude”.

“Come vuoi tesoro, ho capito che vuoi mettere alla prova la mia agilità...”.

Il cuore di Marie perse un battito. La stanchezza le faceva un brutto effetto, non poteva conoscere sul serio quelle voci!

“L’ho già provata, sei la ventinovenne più agile che conosca, gattina...”.

“E tu il ventinovenne più sexy che abbia mai conosciuto...”.

Le bastò sporgersi di poco per vedere riflessa nello specchio alla sua destra un’immagine assurda, pazza, senza senso, scabrosa.

Raj stava togliendo la camicetta ad una donna bruna, più bassa di lui, con una voce a lei nota.

Raj era in atteggiamenti piuttosto intimi con sua madre.

Sua madre aveva una storia con il suo futuro istruttore e a quanto pare diceva di avere sei anni in meno.

Non riuscì a rimanere lì per un altro istante e sfidò il dolore, camminando rapidamente fino all’uscita, dove Bernadette la stava aspettando.

Poi, non riuscendosi a trattenere, si piegò in due e vomitò di colpo, con grande preoccupazione dell’amica.

Inutile negarla, quella era la degna conclusione di una giornata decisamente schifoso e iniziata, come si suol dire, con il piede storto.

 

 

*piccola nota: l’episodio della lezione di Total Body è vero ed è successo a me, lo scorso ottobre xD ero iscritta a zumba ma la prima lezione l’istruttrice decise di cambiare per una volta, avevo bevuto un cappuccino e dopo quaranta minuti circa sono scappata dalla sala, sentendomi male. Ricordando la cosa ho pensato di far succedere una cosa simile anche a Marie eheheh.

 

*°*°*°*°*°

 Ed ecco il secondo capitolo, pubblicato esattamente dopo dieci giorni anche se è mezzanotte passata, purtroppo domani ho tanto da studiare e aggiornare richiede tanto tempo come ben saprete.

Coooomunque... La famiglia incasinata continua ad esserlo: Marie ha saputo del divorzio, ha conosciuto Raj e ha scoperto che ha una relazione intima con sua madre :O

Sheldon,d’altro canto, non riesce a tornare a lavoro a causa dei ricordi ma cerca la sua felicità in Marie.

Che dire, questo non è ancora nulla perché sono al settimo e vi anticipo che ci saranno dei colpi di scena ma spero troviate interessante questi primi sviluppi ^^

Grazie a chi ha letto e ha recensito il primo capitolo <3

 

Vi lascio qualche anticipazione del prossimo capitolo che pubblicherò verso il 19 (anche un po’ prima se va tutto bene :D):

 

“Non ho niente a cui pensare, non esco con le bugiarde. Bella foto” la prese in giro, voltandosi e avvicinandosi alle scale che conducevano all’uscita del condominio.

 

“Comunque... Come si chiede ora a una ragazza se vuole venire a cena con te?” domandò, con un tono decisamente basso.

Marie spalancò la bocca. “Ho sentito bene?”.

“Direi di sì, Marie, l’ultima visita dall’otorino l’hai superata con successo” replicò impaziente il padre. “Allora?”.

 

A presto,

milly.

  
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