Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldmackerel    10/09/2015    3 recensioni
Levi/Eren | Hospital AU
Una commedia sull'essere morti.
Levi, finalmente, torna a lavorare come infermiere dopo essersi ripreso da un incidente d'auto che l'aveva quasi ucciso. Non c'è niente di meglio a darti il 'bentornato' quanto il realizzare di aver perso la testa e riuscire a vedere gli spiriti dei pazienti comatosi del reparto sei. Così, si trova, controvoglia, ad aiutarli a imparare a vivere da morti. Eren, l'ultimo paziente dell'ala sei, ha sei mesi per imparare ad essere morto. Buona fortuna, ragazzo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Qui Seth, la traduttrice. Un po' in ritardo, considerando che il capitolo non è stralungo, ma ci sono. Purtroppo sono cambiate un po' le carte in tavola per quel che riguarda i miei programmi (sempre per il solito motivo) ma, fortunatamente, in questi giorni mi sono portata avanti con la traduzione quindi penso di riuscire ad aggiornare nei canonici dieci giorni circa. Grazie mille a tutti per il supporto, a chi ha inserito la storia tra i preferiti/seguiti/da ricordare e soprattutto chi commenta... sono veramente occupata con l'ospedale etc. ma spero di riuscire a continuare a rispondervi tra domani e i prossimi giorni. Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: a parte possibili errori di battitura, volevo dirvi che la parte del capitolo dove i ragazzi si scambiano una serie di frasi apparentamente senza senso (non siete i pastelli più belli dell'astuccio etc. etc.) aveva in realtà molto senso in inglese, dal momento che la cosa era basata su una serie di giochi di parole risultati intraducibili, ma che ho cercato di riportare (letteralmente o no) in modo da far sembrare il tutto il più plausibile possibile... ma se qualcuno ha suggerimenti per migliorare li accetterei volentieri. 'La famiglia Brady' è una vecchia sitcom americana. Sasha cita la scena finale di 'Die Hard'.


The 6th ward
CAPITOLO 22: Fatti della stessa pasta

1 mese, 10 giorni

“Avete paura?” chiese Eren in un sussurro.

Connie e Sasha si scambiarono uno sguardo, confrontando le proprie opinioni, anche senza bisogno di dirsi una sola parola. Era come se ognuno dei due possedesse metà cervello, ma che funzionava normalmente quando le due parti erano insieme.

“Non so se impaurito è la parola giusta,” disse Connie pensierosamente, e Sasha annuì, concordando. “A dirla tutta mi sento un po’ colpevole.”

Eren fece una smorfia confusa. “Colpevole?”

Era una giornata fastidiosamente soleggiata nel boschetto nord, come a voler lasciare a Connie e Sasha una nota positiva in quello che era il loro ultimo giorno. Il sole del tardo pomeriggio, quasi sul punto di tramontare, era intenso ma piacevole, mentre i suoi raggi danzavano sulla neve, sparsa disordinatamente sul prato, dell’area del giardino dedicata ai pazienti. Eren era appollaiato su uno dei rami più bassi di una vecchia quercia imbiancata, mentre Connie e Sasha si trovavano più in altro, come a voler testare la forza dell’albero anche nelle sue diramazioni più giovani. Levi era in piedi nelle vicinanze ad innaffiare il sempre più grande alberello di Giuda, come da routine.

Gli ultimi giorni erano veramente passati in un attimo. In un’improvvisa esplosione di energia, Connie e Sasha avevano preteso di essere portati nei loro posti preferiti, facendo correre Levi avanti e indietro come se fosse il loro autista personale, e spesso pregandolo di andare oltre i limiti di velocità o fare qualche strana manovra senza dubbio illegale. Sembrava quasi che il loro ultimo desiderio prima di morire fosse o di riprovare i brividi che avevano vissuto durante i loro ultimi attimi di vita, o di causare il decesso prematuro di Levi, e nessuna delle due opzioni sarebbe stata veramente sorprendente per l’infermiere.

Ma il loro ultimo giorno stava volgendo al termine, e, invece di chiedergli di fare un altro viaggio, erano semplicemente voluti rimanere ad oziare nel boschetto dei pazienti, per un’ultima volta. Levi trovava imbarazzante ammetterlo, ma sentiva di essere quello con l’umore peggiore di tutti – e proprio quando lui era l’unico che non era veramente ad un passo all’essere morto.

“Sì, colpevole,” insistette Connie. “Nel senso che, di solito, abbiamo sempre risolto ogni situazione, qualsiasi cosa avessimo combinato. E non mi fraintendere, è stato tutto una figata. E’ solo che le nostre famiglie sono ancora a pezzi sulla cosa, e non c’è modo per fargli sapere che va bene così – che ci siamo divertiti. E che questo era tutto quello che desideravamo. Tutti si ostinano a pensare che passare attraversare una fase ‘irresponsabile’ non dovrebbe ‘rovinarti la vita’, ma quella era la mia vita, e io mi sono divertito, te l’assicuro. Non vale per tutti il pensiero che mettersi a posto, trasferirsi in periferia, avere una carriera e 2 figli e mezzo sia la definizione di una vita di successo. La mia vita era perfetta per me. Non l’ho rovinata, come pensano i miei genitori, ma l’ho vissuta a pieno.”

“Non stavamo cercando di ferirli.” aggiunse Sasha.

Eren annuì. “Penso di capire. Sapendo che per quanto voi possiate aver accettato la cosa, per la vostra famiglia non sia lo stesso, fa decisamente schifo. Sarebbe più facile se riuscissimo a non sentirci responsabili anche di quello che provano tutti gli altri, no? Come sarebbe un mondo dove ognuno debba preoccuparsi solo della sua dannata vita?”

Sasha rise. “Mi piacerebbe.” Poi si mise a grattare distrattamente la corteccia del ramo su cui era seduta. “Un mondo fatto di creature solitarie che non si devono nulla tra loro.”

Ridacchiando, Connie si arrampicò su uno dei rami più alti dell’albero. “Non è più o meno il modo in cui viviamo? Siamo tutti degli stronzi, sotto sotto.”

“Sì, ma tu non ti senti comunque colpevole?” replicò Eren. “Non riusciamo comunque a non sentirci responsabili di quello che provano gli altri. Siamo senza speranza.”

Accigliandosi, Sasha si mosse per raggiungere Connie tra i rami più alti, emettendo un leggero grugnito, a causa dello sforzo fisico. “Quindi abbiamo fallito?”

Connie afferrò Sasha per un braccio, aiutandola a salire sul suo stesso ramo. “Fallito a fare cosa? Essere dei totali stronzi?” ridendo leggermente, spazzò via delle foglie secche dalla spalla della ragazza.

“Insomma,” rispose riflessivamente lei. “Direi più nel senso che abbiamo fallito a condurre una vita senza legami. Nell’essere completamente liberi. C’eravamo vicini, ma alla fine ci sentiamo ancora male per tutto.”

“E il senso di colpa né è la prova?” chiese Eren, decidendo di raggiungerli sui rami alti.

“Il senso di colpa ne è la prova,” confermò Sasha. “E nessuno riuscirà mai a non averne.”

Il sole brillava di una morbida sfumatura aranciata, e Eren fermò improvvisamente la sua arrampicata. “Ed è veramente una cosa cattiva?”

Allungando una mano per aiutare anche lui a salire più in altro, Connie rise. “Abbiamo sempre pensato che lo fosse. Ma ora chissà. Purtroppo non siamo esattamente i migliori della classe, per cui lascia giudicare qualcun altro.”

Sorridendo, Eren afferrò la sua mano. “Sì, non siete neanche i pastelli più belli dell’astuccio, effettivamente.”

Connie iniziò a tirare su Eren, sorridendo a sua volta. “Sì, o un mazzo di carte con i jolly.”

Afferrando Eren per l’altro braccia, Sasha aiutò entrambi a salire. “O un hamburger con le patatine.” aggiunse.

Levi spense la pompa con cui stava innaffiando, e li chiamò da sotto: “Siete come dei panini in meno ad un picnic!”

“O un circo senza clown!” rispose Eren, finalmente trovando la sua posizione sul ramo, seduto in mezzo a Connie e Sasha.

Alla fine tutti rimasero in un piacevole silenzio che quasi minacciò di diventare stabile, prima che Sasha sussurrasse: “Come un episodio de ‘la famiglia Brady’ senza la famiglia.”

Per qualche ragione, anche Levi aveva iniziato a salire sull’albero, solo di qualche ramo più giù dei mocciosi. Si trovò a ridere di gusto a quello strano scambio di frasi, concedendosi un gesto confortante a cui non era del tutto abituato. Non cercò di arrivare in alto tanto quanto ci erano riusciti i mocciosi, ma si trovò un comodo angolino un paio di metri sotto di loro e si rannicchiò lì, mentre il sole toccava la linea di terra, iniziando la sua pigra discesa oltre l’orizzonte da loro visibile. “Voi invece siete una famiglia di imbecilli.” disse con una soddisfazione dovuta al sorprendentemente piacevole posticino che si era trovato tra i rami della solida quercia.

“Questa non era neanche carina,” si lamentò Sasha. “Sei il solito guastafeste, Levi.”

“Mi stavo solo assicurando che non si perdesse il messaggio in mezzo a tutte queste metafore.” la prese in giro Levi.

Connie sospirò con appagamento, poggiando la testa contro il tronco dell’albero. “Quante possibilità ci sono che tu dica alla mia famiglia che mi dispiace?”

Anche se non poteva vederli sopra di lui, Levi sorrise tristemente. “Ah, al diavolo. Tanto tutti già pensano che sono completamente pazzo. Ma mi devi un favore, e non pensare che me lo sarò dimenticato quando arriverà il mio momento di tirare le cuoia!”

“Allora te lo devo anche io,” disse Sasha risolutamente. “Segnami nella tua lista di debitori.”

Facendo un mugugno per farle capire di aver sentito, Levi chiuse gli occhi, trovando un’insolita consolazione nell’aria gelida che gli risaliva tra gli strati di vestiti, facendogli venire la pelle d’oca. La neve era tinta di una piacevole colorazione tra l’arancione e l’azzurro grazie al riflesso dei raggi di sole del tramonto, e lo stava cullando in una sorta di pacato compiacimento.

“Sai, io penso che noi siamo stati liberi, nonostante tutto,” disse Connie risolutamente. “Non rimpiango neanche una sola dannatissima cosa. Quante persone potrebbero dire lo stesso?”

“Sicuramente non abbastanza.” ridacchiò Eren, allargando le braccia per metterle intorno alle spalle degli altri due.

“Annie aveva ragione,” disse Sasha incredula. “Noi parliamo tutti troppo, mentre lei non diceva quasi mai niente, ma diamine se aveva ragione. Facciamo tutti grandi discorsi, ma era Annie quella che aveva capito veramente.”

“Sì, ma cosa?” chiese Connie curiosamente.

“Che è stato bello,” gli ricordò Eren. “Quando ha detto che è stato bello – tutto.”

Annuendo, Sasha iniziò a scalciare in aria con contentezza. “E’ stato bello.” ripeté.

“Quindi dovrei ancora scusarmi con le vostre famiglie?” chiese Levi scetticamente. “Dovrei guardarli tutti negli occhi e dirgli che vi dispiace, anche se non vi dispiace?” Connie e Sasha guardarono in basso, verso di lui, con confusione. “Che ne direste se gli dicessi che l’unica cosa di cui siete pentiti è non aver avuto tempo di fare altre stupidaggini? Se gli dicessi che non c’è stato tempo per fare altre cazzate, anziché risolvere quelle già fatte. Che ne direste se gli dicessi la verità?” Poi alzò le mani, in un raro gesto appassionato. “Che ne direste se gli dicessi che eravate liberi? Perché, e che Dio mi fulmini se mento, è quello che eravate. Che siete ancora adesso.”

Sasha nascose il volto tra le mani, mentre Connie alzò gli occhi al cielo. “Ah fantastico. L’hai fatta piangere,” rise, incapace di nascondere un sorrisetto di apprezzamento. “Datti un tono Sasha.”

Ma era ovvio che, tra le lacrime, Sasha stava sorridendo.

“Gli dirò la verità,” decise Levi. “E poi gli dirò che l’unica ragione per cui vi sentite in colpa è che non li volete veder piangere. E se essere liberi, ed essere comunque in grado di dispiacersi per coloro che vi negherebbero la libertà, solo perché vi amano troppo, non è la cosa più folle che qualcuno possa fare, allora diamine. Che altro c’era?”

Connie a quel punto lo stava veramente guardando come se fosse sul punto di piangere anche lui, ma cercò valorosamente di trattenersi. “Certo che tu sei diventato un chiacchierone negli ultimi mesi.” commentò con voce strozzata dal pianto, ma comportandosi come se fossero risa.

Levi spostò lo sguardo dai rami più alti, non volendo vedere le occhiate fastidiosamente grate che gli stavano lanciando quei due mocciosi, e tornò a concentrarsi sul sole che stava lentamente scendendo, lasciandosi inghiottire dalla linea d’orizzonte in un brillante paesaggio dipinto di tonalità di viola, rosa, arancio e blu. Questi dannati mocciosi lo facevano sempre parlare a sproposito. “Quindi gli dirò che vi dispiace,” concluse Levi piano, parlando più a sé stesso che al gruppetto seduto sulla sua testa. “Ma gli dirò il motivo per cui vi dispiace. E gli dirò anche perché non vi dispiace, e, diamine, gli potrei persino dire perché sono contento che non vi dispiace.”

“Credo che abbia bevuto.” mormorò Eren con voce un po’ troppo alta, sopra di lui.

Connie e Sasha risero, ma Levi si limitò a fare un grugnito di disapprovazione.

“Vi ho mai detto la storia della volta in cui io e Sasha ci stavamo girando tutti i bar del quartiere, tre anni fa, e siamo quasi stati reclutati nell’FBI?” chiese Connie, tentando di alleggerire l’atmosfera. “E’ fantastica.”

“Nel vero senso della parola,” confermò Sasha. “E non saltare la parte dove ho quasi vinto la lotteria grazie a quel ragazzo ubriaco.”

Levi fece a turno tra l’ascoltare la mirabolante storia di Connie e guardare il tramonto, contento di non fare veramente attenzione a nulla





1 mese, 9 giorni

“Credi che farà male?” chiese Sasha, sembrando più fredda che preoccupata.

Connie fece spallucce. “Non credo più del mal di testa che abbiamo avuto dopo esserci ubriacati lo scorso Natale.”

Spalancando gli occhi con paura a quel ricordo, Sasha annuì velocemente. “Morirei una dozzina di altre volte piuttosto che ritrovarmi a quel punto.”

Dal momento che Sasha e Connie condividevano la camera, e le loro famiglie era rimaste unite negli anni in cui avevano dovuto cacciarli fuori dai guai, accompagnarli al tribunale, e non essere mai in grado di riuscire a vederne uno senza trovarsi presente anche l’altro, avevano deciso di riunirsi nella stessa stanza anche per il loro ultimo momento. Levi era segretamente grato della cosa, perché in quel modo non era stato costretto a scegliere con quale dei due rimanere. Fortunatamente, quel giorno entrambe la famiglie erano sorprendentemente calme, nonostante alcune delle loro visite fossero state così struggenti che Levi aveva temuto di finire affogato nelle loro lacrime il loro ultimo giorno.

Il padre di Sasha aveva raccontato a tutti i presenti una delle loro storie di natale, che comprendeva un inseguimento in auto e novanta chilogrammi di maionese rubata, che si era ritrovato all’uscio come regalo di Natale da parte dei due ragazzi. In generale, fu bello – con davvero poco per cui piangere, e molti ricordi.

Alla fine, Erwin iniziò a spiegare la semplice procedura per staccare la spina e togliere la vita ai due, nel tono gentile e confortante che aveva perfezionato nel corso degli anni. Connie ne approfittò per allungare una mano verso Levi. “Credo che questo sia un arrivederci.” disse brevemente.

Senza esitazione, Levi strinse la mano che gli era stata offerta. Non seppe mai perché, ma fu colto di sorpresa quando Connie colse l’opportunità per stringerlo in un abbraccio. “Sei il mio stronzo preferito,” rise il ragazzo, facendo scuotere le spalle. “Dopo me stesso, ovviamente. E anche Sasha, direi.”

Levi non riuscì a trattenersi dal sorridere a quell’affermazione. Avrebbe veramente voluto avere qualcosa di più intelligente da dire, ma tutto quello che gli uscì fu un: “Lo so.” E, non appena Connie lo lasciò andare, Sasha lo spinse di lato per stringere Levi in un altrettanto – se non di più – stritolante abbraccio, facendo scontrare le loro casse toraciche. L’infermiere si ritrovò, inevitabilmente, a ricambiare affettuosamente.

Voleva davvero bene a quei due mocciosi.

“Grazie.” gli mormorò Sasha all’orecchio.

Levi annuì, con il volto nascosto nell’incavo della sua spalla, e un sorrisino in volto. “Mi terrò pronto per la mia fine. Mi sa che ti devo anche una rivincita a scacchi.”

Lasciandolo, Sasha si girò verso Eren per abbracciarlo nella stessa maniera. Okay, magari era stata un pochino meno violentemente calorosa di quanto lo era stata con Levi, ma l’uomo sospettava che la cosa avesse a che fare con il fatto che essendo che era stato lui quello costretto a vivere un sacco di situazioni scomodamente pietose a causa loro, il che lo aveva eletto a passatempo preferito dei due mocciosi.

Quegli imbecilli.

Subito dopo, tutti diressero la propria attenzione verso i pulsanti centralinizzati che il padre di Connie e la madre di Sasha si stavano preparando a premere, per fermare tutte le macchine che li legavano ancora al mondo terreno.

“Ultime parole da dire, Sasha?” chiese Connie, con un sorriso genuino sul volto.

Sasha aggrottò la fronte con concentrazione. “Onestamente pensavo che mi sarebbe venuta in mente perlomeno una sola buona citazione di qualche bel film, ma invece tabula rasa.”

Connie allora fece una finta espressione seria, puntando una pistola immaginaria con fare drammatico. La sua voce era profonda e ridicola quando disse: “Che cos’è che mi avevi detto prima?”

Spalancando gli occhi dopo aver capito, Sasha imitò il suo gesto, cambiando il suo tono di voce per farlo abbinare a quello di Connie. “Yippie-ki-yay, pezzo di merda.” terminò lei.

“Die Hard?” chiese Eren con fare derisorio.

“Alan Rickman l’ha detto meglio la seconda volta, non provare neanche a contraddirmi,” disse Connie, puntandogli contro un dito con fare minaccioso. “Non ci provare neanche.”





“Quali idioti si danno il cinque mentre stanno morendo?” chiese Eren con sarcasmo, guardando le famiglie dei due lasciare la stanza in silenzio, ma con relativo buon umore.

Levi tentò invano di trattenersi dallo scoppiare a ridere, ma finì per farsi comunque sfuggire una serie di risatine. Si guadagnò una serie di sguardi sconcertati, persino scandalizzati, da parte dei parenti di Sasha e Connie che si trovavano ancora nella stanza, ma alla fine riuscì a darsi un tono abbastanza velocemente.

Quando furono finalmente soli, Levi si permise di fare un sospiro frustrato. “Ho parlato tanto, ma non credo che riuscirò a dire qualcosa alle loro famiglie. Non so come mettere insieme le parole senza sembrare un catechista stronzo.”

Eren lo guardò con la coda dell’occhio, con un sorrisino malizioso. “Sei molto diverso, sai? Rispetto alla prima volta che ci siamo incontrati, dico.”

Levi sbuffò. “Ne dubito altamente.”

Pensandoci su, Eren annuì, concordando. “A dirla tutta, forse hai ragione. Forse era che avevamo bisogno di conoscerti meglio.”

“Quindi, come faccio a mantenere la promessa a quei due idioti?” chiese di nuovo Levi, cambiando discorso. Non era così facile dire a un gruppetto di conosciuti che aveva passato parecchio tempo con la versione fantasma dei loro figli morti, negli ultimi sei mesi. Qualcosa gli diceva che non l’avrebbero presa molto bene.

“Non glielo devi dire subito,” disse Eren pensierosamente. “Prenditi del tempo per pensarci. Non credo che le tue parole possano valere di meno se dette con un paio di settimane di ritardo – o anche un paio d’anni. Dille quando sarai sicuro di quello stai dicendo.”

Levi annuì. Quello era un buon consiglio.

“Mi mancheranno.” osservò Eren brevemente.

“E’ normale che ti mancheranno,” replicò subito Levi. “E’ quello che fanno le persone. Si fanno voler bene, e poi scompaiono. Ci feriamo sempre tra noi. Ma sai cosa? E’ fantastico così.”

Eren rise. “Sì, ma perché lo facciamo?”

Afferrando le cartelle cliniche – ormai chiuse – di Connie e Sasha, Levi scosse la testa. “E’ l’unica cosa che riusciamo a fare, e credo che sia proprio il fatto di essere umani che ce lo fa fare. Che alternative ci sarebbero, se no?”

Facendo spallucce, Eren si grattò la nuca. “Be’, Sasha sembrava pensare che fosse possibile un mondo dove ognuno pensa a sé stesso, e non sente la responsabilità degli altri.”

“Tu ti senti responsabile per loro?” chiese Levi retoricamente. Già conosceva la risposta.

“No, direi di no.” disse Eren, accigliandosi.

E quello era il punto, per Levi. “Allora non c’è una risposta. Niente risposte. Il dolore è una cosa buona, Eren,” sussurrò, uscendo dalla stanza. “E’ quello che permette di misurare quanto abbiamo amato qualcuno.”

   
 
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