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Autore: evelyn80    11/09/2015    4 recensioni
Dopo aver espresso il desiderio di poter salvare Boromir dalla sua triste fine, Marian si ritrova catapultata nella Terra di Mezzo grazie ad un gioiello magico che la sua famiglia si tramanda di generazione in generazione. Si unirà così alla Compagnia dell'Anello per poter portare a termine la sua missione. Scoprirà presto, però, che salvare Boromir non è l'unica prova che la attende.
Ispirata in parte al libro ed in parte al film, la mia prima fan fiction sul Signore Degli Anelli.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La mia Terra di Mezzo'
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La battaglia

 

Per un breve tratto Éowyn cavalcò al mio fianco, con Merry che brandiva la spada dietro di lei, agitandola al vento. Poi, la Scudiera di Rohan seguì Nevecrino nella sua galoppata, mentre io mi diressi verso Boromir che continuava a gridare, spronando il suo cavallo alla massima andatura.
L’esercito di Orchi che circondava la città si faceva sempre più vicino. Riuscii a rimirare la bianca torre di Echtelion solo per pochi istanti, poi Freccia si lanciò come una forsennata nella mischia e non potei fare altro che cominciare a combattere.
Infilzai la lancia nella schiena del primo Orco che mi capitò a tiro, senza fare il minimo tentativo di recuperarla. Non ero abituata ad usarla e per me costituiva soltanto un peso inutile ed un impaccio. Estrassi Hoskiart dal fodero e cominciai a mulinarla a destra ed a sinistra, tagliando teste e menando fendenti. La mia era una spada della gente di Eorl ed, infatti, era maneggevolissima da usare a cavallo. Sembrava quasi che anche essa stessa ricordasse le vecchie battaglie affrontate, muovendosi quasi di sua spontanea volontà nella mia mano.
L’impeto della corsa si arrestò pian piano mentre mi addentravo nelle file avversarie. Avevo ormai perso di vista Boromir o qualsiasi altro dei Rohirrim: c’erano solo nemici intorno a me. Nonostante gli Orchi fossero in superiorità numerica, la loro organizzazione tattica era pressoché assente e, spesso, sembravano andare allo sbaraglio, come se non avessero una guida precisa. Quando si resero conto che l’esercito di Rohan stava cavalcando verso Minas Tirith, in parecchi, invece di combattere, si dettero alla fuga. Quelli che rimasero si lanciarono a testa bassa contro le spade, senza curarsi minimamente di difendersi ma seguendo soltanto il loro istinto bellicoso. In questo modo, molti di essi caddero sotto i fendenti degli Eorlingas. Io stessa ne abbattei diversi.
Freccia mi aiutava nella lotta, combattendo pure lei a calci e morsi, impennandosi sulle zampe posteriori e tirando pugni con quelle anteriori, frantumando crani e lasciando lividi a forma di zoccolo. Ogni tanto, un altro cavaliere mi sfrecciava vicino e, per un attimo, ebbi l’impressione di intravedere Éowyn, con Merry ancora aggrappato alle sue spalle.
Avevo già ucciso molti Orchi, ma tanti altri ne arrivavano. Sentivo nell’aria l’odore del sangue, che mi ubriacava. Non udivo più nulla, solo il rimbombo dei battiti del mio cuore. Avevo consapevolezza soltanto del mio corpo e di quello di Freccia, i cui muscoli possenti guizzavano sotto di me mentre galoppava a destra ed a manca, menando calci in direzione dei nemici.
Pian piano riuscii ad avvicinarmi alle mura di Minas Tirith. Oltre all’odore di morte, riuscii a percepire anche quello acre del fumo che si sprigionava dalla città. A poche centinaia di metri di distanza dalla porta della capitale del regno di Gondor si trovava una guarnigione di Haradrim, in sella ad enormi elefanti. Erano bestie colossali, molto più grandi dei loro parenti africani e con quattro zanne invece di due. Diressi Freccia fra gli arti di uno di quelli, cercando di ferirlo alle zampe – che erano grosse come tronchi d’albero – ma riuscendo soltanto a procurargli qualche graffio. Piena di disappunto mi allontanai, in cerca di qualche nemico alla mia portata. Non appena uscii dall’ombra del pachiderma, però, mi cadde addosso una gragnuola di frecce, lanciata dagli Haradrim in groppa al mastodonte. Mi riparai la testa con lo scudo, bestemmiando come una turca, mentre Freccia d’Argento scartava di qua e di là, facendo la gimcana tra i dardi che piovevano dall’alto.
In quel momento, un’ombra alata oscurò il cielo – in cui era da poco tornato visibile il sole – lanciando un grido orripilante che trasmise, nell’animo di tutti, terrore e disperazione. Era il Re degli Stregoni che, alla vista della carica dei Rohirrim, aveva lasciato la sua postazione al cancello di Minas Tirith e si dirigeva verso Re Théoden, per abbatterlo.
Il mio cuore si empì di sgomento nel sentire quello strido terribile, ed anche la mia giumenta si spaventò a morte, impennandosi e scalciando come impazzita. Ancora con lo scudo sopra la testa mi ritrovai sbilanciata e, quando lei si imbizzarrì all’improvviso, mi colse alla sprovvista. Non feci in tempo a stringere le gambe e ad afferrare le redini, così fui sbalzata via di sella. Caddi pesantemente a terra, sbattendo con l’elmo contro un grosso sasso e, per un attimo, rimasi intontita. La vista si annebbiò, e fui costretta a lottare con tutta me stessa per non perdere i sensi. Quando finalmente riuscii a mettermi seduta e ad alzare lo sguardo, vidi Freccia, con gli occhi fuori dalle orbite per la paura e la schiuma alla bocca, che continuava ad impennarsi ed a nitrire. Feci per raggiungerla e calmarla ma, all’improvviso, il suo nitrito si innalzò in una specie di urlo di dolore. Uno dei sudroni a cavallo dell’elefante aveva scorto un punto debole nella sua armatura e le aveva scagliato contro un dardo, colpendola alla base del collo.
Come al rallentatore, la vidi cadere a terra sul fianco sinistro, mentre dalla ferita cominciava a sgorgare un fiotto di sangue rosso scuro che andava ad imbrattare il suo manto argentato.
"FRECCIAAAAAAAA! NOOOOOOOOOOOOOO!"
Il mio grido si perse nel caos generale. Mi rialzai faticosamente in piedi e, barcollando, la raggiunsi, buttandomi su di lei e cingendole il collo.
"Freccia!” ansimai, disperata. “È tutta colpa mia! Non avrei mai dovuto coinvolgerti in tutto questo!"
La cavalla nitrì debolmente ed io, scossa per quanto stava succedendo alla mia più cara amica, mi isolai completamente dal resto del mondo, dimenticando la battaglia, i nemici e persino l’Oscuro Signore. Ero completamente ignara che, a poche decine di metri da me, Théoden stava morendo schiacciato da Nevecrino e che Merry ed Éowyn stavano combattendo contro il Negromante. Non mi importava più di nulla: pensavo solo al fatto che Freccia d’Argento stava morendo e che la colpa era soltanto mia.
Nemici ed amici mi correvano intorno, le spade continuavano a cozzare e le frecce a volare, ma tutto mi lasciava perfettamente indifferente. Ero come avvolta da una bolla di sapone che racchiudeva solo Freccia e me, isolandoci da tutto il resto, ovattando i rumori e soffocando gli odori. Avevo occhi solo per la povera giumenta, che si agitava debolmente a terra con il sangue che continuava a sgorgarle dalla ferita.
Un Orco cadde al mio fianco, trapassato da un colpo di spada, ma nemmeno me ne accorsi. Un altro lo seguì subito dopo e poi un terzo, ma io continuavo a non reagire. Allora, come da molto lontano, mi giunse una voce: un timbro che conoscevo molto bene.
"Ennòn! ENNÒN! Reagisci, cavaliere!"
Mi voltai lentamente in direzione del richiamo. Boromir, ritto in sella, con l’armatura completamente imbrattata di sangue, menava colpi con la sua spada a destra ed a sinistra, uccidendo gli Orchi che venivano verso di me. Tra un fendente e l’altro continuava a spronarmi, incitandomi a combattere.
"Lo so che per voi Rohirrim i cavalli sono come fratelli ma, per l’amor dei Valar, reagisci!” gridò, interrompendo brevemente la sua lotta, facendo voltare il suo stallone nella mia direzione. “La battaglia non è ancora terminata! Vendica la tua cavalcatura! Combatti, cavaliere!"
Lo ascoltai quasi senza capire ciò che stava dicendo, fissandolo con occhi persi nel vuoto. Poi, mentre si voltava di scatto verso destra per colpire un altro nemico, la “Stella di Fëanor” uscì fuori da sotto la sua armatura, brillando fulgida nella luce incerta del giorno. Quella visione mi fece tornare in me: scrollai il capo, come a schiarirmi le idee, afferrai la spada che era caduta poco lontano, mi alzai in piedi e, con un grido, tornai a lanciarmi nella mischia.
"Ti vendicherò amica mia! Ti vendicherò!" urlai, rivolta alla giumenta morente.
Rincuorato da quella vista, Boromir tornò a combattere, allontanandosi pian piano da me. Avevo ancora, davanti agli occhi, l’immagine della “Stella” che splendeva appesa al suo collo e quella mi dette la forza di continuare a lottare, anche se ormai le forze mi stavano venendo meno ed i nemici sembravano non finire mai.
Uno degli Esterling mi assalì all’improvviso da dietro e, prima che potessi voltarmi ed infilzarlo, quello riuscì a colpirmi recidendo, con la sua scimitarra, il laccio di cuoio che teneva agganciato il pettorale dell’armatura alla mia spalla destra, facendo scivolare la placca metallica verso il basso. Il fendente fu così potente da lacerare il tessuto della tunica di lana che indossavo al di sotto, fino ad aprirsi un varco nella mia carne. Il dolore fu lancinante, atroce. Gridai di rabbia e di frustrazione mentre lo passavo a fil di spada, rendendomi conto, mentre lo facevo, di non riuscire più a maneggiare Hoskiart con il braccio destro.
Sia Arwen che Boromir mi avevano insegnato a duellare con entrambe le mani, perciò gettai via lo scudo e tentai di continuare ad andare avanti nella lotta. In quelle condizioni, però, combattere era diventato molto più difficile. Avevo perduto completamente il controllo del braccio destro. Sentivo il sangue caldo ed appiccicoso che scorreva sotto l’armatura, andando ad inzuppare il tessuto di lana della casacca che indossavo al di sotto.
Lo squarcio nella stoffa lasciava intravedere una buona porzione della mia spalla, compresa la rosellina azzurra che avevo tatuata in quel punto. Quella macchia blu fu come il centro di un bersaglio per il Sudrone in groppa all’elefante che avevo tentato di azzoppare poco prima. Prese la mira e scagliò il dardo, che si conficcò pochi centimetri alla sinistra del disegno.
Mi sembrò di essere stata colpita da un pugno d’acciaio, che mi fece volare in avanti e piombare a faccia in giù sul corpo agonizzante di Freccia d’Argento. Non avevo la minima idea di chi o che cosa mi avesse ferito, così voltai la testa, riuscendo infine ad intravedere l’impennaggio rosso di una lunga freccia. Il dolore era insopportabile, un martellare sordo e pulsante che avevo già provato quando avevo guarito Boromir. Questa volta, però, sarebbe stata la fine: non ci sarebbe stata Galadriel, non ci sarebbe stato Celeborn. Non ci sarebbe stato nessuno.
"Freccia… Perdonami, se puoi…" mormorai abbracciando, tremante, il collo della giumenta, chiudendo gli occhi.
Non avrei assistito alla fine del Re degli Stregoni, colpito a morte da Merry prima e da Éowyn poi. Non avrei visto l’arrivo trionfale di Aragorn a bordo delle navi dei Corsari di Umbar, alla testa dell’Esercito dei Morti. Non avrei partecipato all’assalto al Nero Cancello di Mordor. Dopo tutto, Galadriel aveva ragione: il suo specchio mostrava anche cose che dovevano ancora verificarsi ma che potevano essere cambiate. Non avrei mai risanato la terra di Mordor con la “Stella di Fëanor”.
Con quegli ultimi pensieri agonizzanti, trassi un lungo sospiro e persi i sensi, sprofondando nel buio.
Era il quindici di Marzo, e fu così che feci la mia parte nella Battaglia dei Campi del Pelennor.



Spazio autrice: Buonsalve a tutti! Ed ecco a voi il nuovo capitolo riveduto e corretto. Siamo arrivati infine alla Battaglia dei Campi del Pelennor. In questo caso, ho seguito le immagini del film per cercare di descrivere le scene della battaglia, e non avete idea di quanto sia stato difficoltoso. Infatti, come avrete notato, il capitolo è il più corto fra quelli pubblicati fino ad ora. Vi ho lasciato con il fiato sospeso? Mi auguro di si… Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!
Vi lascio, infine, con un'immagine di Marian in versione Rohirrim, realizzata con un giochino per creare Avatar.
Bacioni e grazie, come sempre, a voi che leggete e recensite!
Evelyn

 
  
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