Storie originali > Epico
Segui la storia  |       
Autore: MardukAmmon    14/09/2015    1 recensioni
"Ahriman così, sporco dalla barba fino ai piedi di sangue umano, uscì fuori, presentandosi al suo popolo come un orso, che con la preda tra le fauci si esibisce davanti alla sua prole.
Alzò la lancia al cielo e disse: Non esiste Deywos , ne Dei del cielo, che può avvicinarsi alla mia potenza, non esiste forza che non può incarnarsi in me."
Queste furono le parole dette dal Re senza scettro, signore della pianura solcata dai tre fiumi. Il suo sangue era nobile, ma non il suo animo, che ambizioso e scellerato lo portò a mettere in ginocchio la terra dove lui stesso nacque, soggiogandola con eserciti stranieri alla ricerca di gloria. Solo due luminose stelle, protette dallo sguardo degli Dei, potranno ridare agli uomini la speranza perduta, in quella lunga notte, alla fine dell'età dell'Argento.
Genere: Fantasy, Guerra, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Venti passi per due Fratelli.

 

Obrázok guardò Yama, Yama guardò Obrázok, Obrázok guardò l’arco e frecce lasciate dentro la capanna dei cavalli e disse al fratello : Prendiamolo e facciamoci onore nella radura, porteremo a papà una preda che lo renderà orgoglioso di noi.

Yama si avvicinò all’arco lasciato sul fieno e prendendolo si mise a guardarlo : Ma è solo uno, come facciamo per cacciare insieme?.

L’altro fratello si mise a pensare e poi gli rispose: Bhe io prendo l’arco mentre tu prendi le frecce e poi facciamo cambio.. che ne dici?. Yama, il ragazzino dai capelli e rossi e dagli occhi color del mare guardò gli occhi verdi del biondo fratello e stretto l’arco con la destra gli disse: Mai! L’ho in mano io quindi comincio io a tenerlo.
Ma Obràzok non si diede per vinto ed raggiungendo il fratello tentò con tutte e due le mani a prendere l’arco, i due ragazzi entrambi con quattordici inverni alle spalle cominciarono a tirare l’un l’altro l’arco, facendo spazientire i cavalli dentro la capanna che cominciarono a nitrire. Obràzok deciso diede infine uno strattone strappando al fratello l’arco dalle mani, Yama subito gli gridò: Quell’arco è mio!. Ma l’altro fratello tracotante della vittoria conseguita strinse forte tra le mani l’arma e gli disse: L’idea è mia!.

E Yama prendendo la faretra con le frecce rispose solo: Tu sarai felice delle tue vittorie, ma senza queste non potrai fare nulla. E gli rise pressoché in faccia. Obràzok guardando l’espressione sfacciata di Yama lasciò cadere l’arco sul fieno vicino alla porta e con forza cerco di dare un pugno al viso del fratello che sapientemente si spostò facendo qualche passo indietro, facendo perdere l’equilibrio a Obràzok, che non riuscendo a prendere il volto e la testa del fratello con un pugno si accontentò di stringergli i capelli rossi tra le dita della mano destra cominciando a tirare verso di se: Chi ti credi?Eh?Un Mahavir?. Ma Yama non rispose a parole, furono i fatti a parlare, il ragazzo colpendo il fratello sul fianco riuscì a fargli abbassare la mano dal capo. Obràzok allora furioso gli disse : Preparati alle botte!. Anche Yama silente si preparò allo scontro, chiudendo le mani a pugno. Solo il suono di due passi dietro l’entrata della capanna costrinse i due fratelli alla resa.
Il lembo di pelle si spostò ed entrò nella capanna un giovane ragazzo dai lunghi capelli biondi, dalla barba rada segno della giovane età e dalle braccia tatuate con disegni zoomorfi, simboli della sua maturità conseguita nei campi di battaglia. Filolykos dall’alto dei suoi diciotto inverni guardò i ragazzini e disse: Che state facendo qui?. Subito i due nobili principi si fermarono e senza terrore gli risposerò: Stavamo andando a caccia del cervo bianco!.
Il giovane ragazzo sentendoli rise e scuotendo il capo disse ai due ragazzini: Legate il laccio intorno al collo del cavallo, mettete il panno sul dorso e datemi l’arco.
Gli occhi azzurri di Filolykos si posarono sull’arco gettato a terra, sospirò aggiungendo: Pulitelo con un panno e datemelo, prendete i bastoni che si va a portare le vacche fuori.


Era già passato mezzo giorno, davanti alla mandria di vacche c’era l’imponente figura a cavallo di Filolykos e dietro i due ragazzini con i bastoni ponevano i confini pronti a picchettare con la punta appuntita la schiena di qualsiasi capo uscito fuori dal gruppo. La mandria dal manto marrone e dalle corna forti e grandi era per la gente di Kuhburg un enorme vanto, tanto da chiamare di fatto il loro villaggio con il nome dei loro animali totemici, le vacche, animali costosi e portatori di enormi ricchezza; la perdita di un solo capo per i Vyria di Kuhburg ne risulterebbe un gravissima tragedia, ecco perché ogni mandria portata a pascolo veniva scortata da uomini a cavallo armati e pronti alla battaglia senza tregua nelle pianure.

Senza dubbio il sole alto tardo primaverile non aiutava ne i pastori ne il cavaliere, ma la mandria non sembrava curarsene abituata al cocente sole di mezzogiorno, i piccoli vitelli nascosti dietro le madri cercavano riparo ed ombra ma con scarsi risultati, poi alla vista di un piccolo bosco di roveri il cavaliere indicandolo con la mano sinistra disse ai due ragazzini: Spostate la mandria sotto gli alberi, facciamoli riposare li!.
E Yama, più bravo del fratello picchettando senza usare la punta e girando intorno al gregge senza trovarsi nella traiettoria delle loro zampe cominciò a dirigere parte della mandria sotto gli alberi, anche Obràzok ci provò correndo intorno alla mandria, usando però impunemente la punta anche quando non era necessario, spaventando l’altra parte della mandria, anch’essa accorsa sotto l’ombroso boschetto, Filolykos lo vide ma non disse nulla.

Quando il gruppo si fermò il giovane scese da cavallo e lo lasciò pascolare insieme alla mandria sotto l’ombra fresca degli alberi, i due ragazzini alloera raggiunsero l’amico più grande ed insieme a lui si sedettero a bere dell’acqua ed a mangiare del miele per riprendere il senno dopo la stancante camminata sotto il sole-; mentre mangiavano nessuno osò parlare, solo quando finì Filolykos osò dire qualcosa ai due: Vorrei andare ai confini verso il fiume, voi che dite? Ve la sentite? Cos’ le vacche potranno bere e rinfrescarsi come si deve. Obràzok annuì ma Yama no, anzi aprì le labbra e disse al ragazzo più grande: La ci stanno i guerrieri Turani, non temi che possano attraversare il fiume insieme ai cavalieri di Yamhpur? E poi ci sono lupi, perché invece non andiamo alla fonte vicino al nostro villaggio?.

Il ragazzo più grande scosse il capo: Ho le armi, non temo nulla e poi voi appena vedere qualcosa di strano fischiate, va bene?Inoltre il fiumiciattolo vicino alla città non è come un grande fiume che fresco sveglia tutti, animali e Vyria allo stesso modo.

Yama davanti alle parole dette da un adulto con rispetto annuì, riposatosi le gambe e legatosi intorno alla cinta una borraccia si passò la mano destra tra i capelli rossi sistemandoseli e disse al fratello Obràzok: Allora mettiamoci in marcia. Ignari di cosa sarebbe successo di li a poco, spinta la mandria verso nord est partirono, allontanandosi dall’ombroso boschetto si mossero lungo una prateria ricca di arbusti verdi e fioriti, in cielo a seguirli un’aquila dalle piume nere poggiava lo sguardo fiero sulla mandria in marcia. Passarono sei ore prima di vedere svettare una torre d’avvistamento e delle capanne con recinti, quasi un’altra ora di marcia per raggiungere quel piccolo villaggio all’orizzonte che piano si faceva sempre più vicino, i due bambini ormai stanchi di tutta quella camminata si coprivano il capo con manti e coperte, Obràzok, il biondo, osò dire al mandriano a cavallo più lontano: Ma quanto ci vuole?

Filolykos sentendolo rispose indicando ancora il villaggio con la sinistra: Ci vorranno ancora altri venti passi e poi ancora altri venti, ma non oltre!.

Ma Yama vedendo stanco il fratello, dalla parte destra della mandria si spostò verso di lui porgendogli con la sinistra la borraccia, il fratello la prese e bevve dicendogli poi: Grazie, almeno tu capisci che non ha senso questa camminata, avrei dovuto ascoltarti prima.

Qualche guaito di cani era ben udibile dal centro abitato ormai vicino, dalla torre di guardia s’elevò una colonna di fumo e alcune tende cominciarono a riaccendere i fuochi spenti dopo il pranzo, Il giovane a cavallo disse ai due pastori: Su forza ci hanno avvitato, venderemo un po’ di latte, in cambio ci daranno cibo e ristoro per la notte e domani mattina saremo al fiume sicuramente..
Ed i ragazzini, stanchi e stremati picchettando sopra i dorsi delle vacche e manzi, spinsero mandria verso il villaggio sempre più vicino, fino ad arrivare davanti alla porta sacra d’ingresso all’insediamento, ornata da rami verdi di rovere. Subito alla porta arrivò una donna, giovanile ma ormai matura, con al fianco un giovane armato di lancia e con vicino un ragazzino di una quindicina d’inverni, Filolykos li guardò e sorridendo disse: Ti saluto Dwulja vedova di Nervir, ti rivolgo il mio cuore in saluto. Poi spostato lo sguardo azzurro vivo sui due giovani disse: Vi saluto amici miei.

La vedova rivolgendosi al ragazzo a cavallo disse: Perché sei qui? Cosa cerchi dalla nostra umile fattoria?.

Il giovane stringendo con la destra la corda intorno al collo del cavallo, senza tirare guardò fisso la donna e le rispose: Ho portato la mia mandria a rinfrescarsi lungo il fiume, Dnepr, ti chiediamo con umiltà la vostra ospitalità degna di una matrona della vostra importanza.

La donna annuì e disse: Vi darò allora le tende vicino ai recinti.

E così fecero, passata la sera intorno al fuoco aspettarono la tarda ora per riposarsi , rimanendo ad osservare il cielo stellato fino a notte inoltrata .
Qualche ora prima della levata eliaca l’affannoso nitrito del cavallo arrivò al sensibile orecchio del giovane Filolykos, assopito vicino ai ragazzini stremati dal lavoro estenuante dietro le vacche, aprendo le palpebre si guardò intorno, si stropicciò gli occhi e si alzò in piedi, al suono continuo di zoccoli, il guerriero si mise in spalla l’arco e frecce, prese uno dei legni appuntiti usati dai ragazzini ed uscì dalla stalla, ritrovandosi davanti il recinto chiuso, con ancora le vacche dentro. Rientrato nella stalla, si mise sopra la schiena del cavallo tenendosi alla corda intorno al collo dell’animale, spronatolo con una leggera pressione dei talloni nel basso ventre uscì dalla struttura in sella al destriero.

Affinato l’udito, continuò a sentire quel rumore di zoccoli sempre più vicino, ma lo sguardo anch’esso affinato non gli mostrò nulla in quella notte ormai prossima all’alba.

Il cavaliere allora curioso si mosse intorno alla fattoria cercando di raggiungere lo spiazzo tra la abitazione della donna e la torretta d’avvistamento alta una decina di metri. Nel girare intorno alla fattoria, lo sguardo riconobbe la fonte del suono sordo e continuo, un gruppo di circa venti cavalieri, armati alcuni di lancia e scudo altri con corde lunghe s’avvicinavano pericolosamente verso il centro abitato dall’umile famiglia. Il giovane Filolykos con la destra cercò di prendere il corno legato alla cinta, ritrovando solo una borraccia: E’ nella stalla.

Disse tra se e sospirando, con il palato secco per la tensione, prese l’arco, fermò il cavallo aspettandoli nascosto dietro un basso rovo e continuò a guardarli, osservandone il passo veloce: Ma perché la sentinella non avverte nessuno?.
Si chiese tra se, esclamando subito dopo verso l'alto: Ci sono dei cavalieri e stanno venendo da questa parte, avverti tutti!. Lo gridò a voce così alta che svegliò la famiglia all’interno, ma dalla torre nessuna risposta.

Dopo pochi ma interminabili secondi il figlio più grande, pronto a combattere uscì dalla casa con uno scudo rettangolare, lancia e legata sul fianco destro ben visibile c’era l’ascia dal brillante filo di rame. Ma venti guerrieri sono venti guerrieri, alla loro vista sia Filolykos che Drosmig, il figlio maggiore della vedova, ingoiarono una pesante saliva, spaventati ma non atterriti.

Il guerriero tesa la corda, “nascosto” con il suo cavallo dietro l’arbusto dalle larghe fronde cominciò a mirare verso il gruppo compatto di cavalieri, Drosmig anche lui celato da un basso rovere stava aspettando il momento migliore per lanciare il proprio giavellotto.
Arrivato per entrambi il l’attimo non si fecero attendere davanti all’azione, la freccia di Filolykos fendendo l’aria arrivò proprio sul petto di un guerriero, che cadde da cavallo non lontano dai due giovani ormai divenuti visibili, Drosmig invece approfittando della confusione creata dalla freccia lanciò il giavellotto contro il gruppo, riuscendo a colpire al ventre il cavallo di un nemico facendo cadere il cavaliere sul terreno, con un sordo tonfo.
Il loro capo, a cavallo di un esemplare grande, dal pelo quasi lucido e pezzato, armato di lancia cominciò ad indicare il ragazzo armato d’ascia e giavellotti, uscito allo scoperto dopo l’attacco.

Nella pianura intorno alla fattoria si sentì dire solo una parola: Prendetelo!

Quell’ordine emanato dall’imponente cavaliere dalla bionda chioma, fu pronunciato con un accento totalmente differente da quello usato dagli uomini della pianura.
Tre uomini armati di lazzo ed uno con una lunga lancia si gettarono al trotto raggiungendo senza problemi il giovane Drosmig, che brandendo un giavellotto si mise a guardarli uno ad uno in faccia.

Il ragazzo senza paura disse con tono colmo d’ira: Chi siete?

Uno degli uomini a cavallo, puntandogli la lancia disse: Siamo Turani, razziatori di Ahriman.

Spostando dopo lo sguardo sui fratelli in armi disse: Prendetelo.

Il ragazzo non si diede per vinto, caricato con il braccio la lancia esclamò: Fermi o vi uccido, non lo farò solo io ma i cavalieri di Kuhburg che verranno dopo il suono della guerra. Ma prima che potesse lanciare il giavellotto un cavaliere gli prese, sbagliando, lo scudo con il lazzo, che il giovane inaspettatamente tirò con forza inaudita contro di se, riuscendo a disarcionare l’uomo.
Il capo dei razziatori nel frattempo rallentando il passo dei cavalli insieme al resto del gruppo cominciò a girare intorno alla fattoria, alla ricerca dell'arciere che uccise un loro uomo, nessuno di loro si accorse in quell’alba ancora troppo poco illuminata, dell’arbusto largo, Filolykos allora aggirando le folte frasche della pianta raggiunse Drosmig, ora attorniato da tre uomini a cavallo, tesa la freccia, al suono della corda tirata si volsero tutti guardando il ragazzo a cavallo, che rilasciando la corda riuscì solo a sfiorare l’uomo a cavallo armato di lancia.

Guadagnato tempo il giovane Filolykos volgendo le spalle ai tre cavalieri cominciò a galoppare dalla parte opposta da dove era venuto, Drosmig ritrovandosi ignorato dai guerrieri di Ahriman, preso il giavellotto, mirò al cavaliere più vicino, ancora non partito al galoppo e lanciò l’asta, che fendendo l’aria colpì lo colpì alla schiena, ora erano due contro due. Il cavaliere armato di lancia abbandonò la corsa forsennata dietro al giovane al galoppo, girò l'animale e prese a caricare puntando la lancia proprio verso Drosmig, l’altro razziatore armato di lazzo invece continuò a rincorrere il giovane armato d’arco e coraggio, entrambi si fronteggiavano l’uno al fianco dell’altro in un galoppo forsennato, troppo vicini per il lancio di una freccia, ma nella giusta distanza per essere legati da un lazzo; Filolykos lo capì e cercò di colpire con un calcio il ventre del cavallo vicino ma nulla, non cambiò rotta, il razziatore con abilità inaudita lanciò il lazzo prendendolo oltre le spalle, bloccandogli così i movimenti delle braccia.

Ad ogni movimento il lazzo si faceva sempre più stretto, Filolykos rallentò il passo del cavallo e fermandosi lo guardò gli occhi taglienti e dalla forma a falce così strani, ed osò dire digrignando i denti: Che cosa vuoi farmi!.

Ma il Vyria non si lasciò abbattere dall’apparente sconfitta, con la gamba cercò di prendere il lazzo, tentando di attorniare la fune intorno al polpaccio, ma senza dire nulla il razziatore lo notò e tirò con forza la fune per stringerla alle spalle del guerriero, che colpito dall’acre dolore della stretta desistette a compiere quella mossa folle e pericolosa. Solo ora, dopo averlo sconfitto il cavaliere sputò la sua sentenza contro il giovane: Diventerai uno schiavo, se ti finirà bene, magari un giorno combatterai anche per il Kahn. Drosmig, invece fermo, spaventato alla vista del guerriero a cavallo con la lancia, prese l’ultimo giavellotto, caricò il colpo e tendendo il braccio ed il busto nella carica si apprestò a rilasciarlo.

Nel momento stesso un uomo, alle spalle gli bloccò le braccia, legandolo, e tirandolo indietro facendogli perdere l’equilibrio; era il razziatore caduto da cavallo e nel buio nascosto tra le fronde degli arbusti.

Il razziatore armato di lancia, si mise a ridere, il volto fiero, coronato da una bionda barba ora cominciava ad essere ben visibile, l’alba era arrivata, ma non la vittoria.

L’altra decina di guerrieri a cavallo arrivò con dietro gran parte della mandria, il loro capo, teneva la fune del cavallo con sopra legata la donna, mentre i ragazzini erano invece in piedi sul terreno, con i polsi legati ad un lazzo che teneva uno dei tanti razziatori.
Quella strana carovana, lasciandosi alle spalle la fattoria in fiamme proseguì verso nord est, attraversò il fiume, rinfrescò le vacche e proseguì per tutta la giornata lungo il sentiero che portava a Yahmpur. Filolykos sorridendo guardò in cielo tre aquile e mormorando qualche parola tra le labbra rimase li ad osservare le nuvole, venendo trasportato solo dal volere del cavallo e dei razziatori che ne tenevano la corda, poi lo sguardo del giovane scese dalle hiperuraniche vette e guardò i cavalieri intorno a se, alcuni erano Vyria, altri avevano visi schiacciati, altri ancora avevano occhi stretti come fessure, il giovane osò chiedere: Non siete Vyria?

Non tutti risposero, solo il più grande, dal cavallo pezzato azzardò: Alcuni si, altri no, ed ora fai silenzio!. Venendo strattonato e stretto dalla corda chiuse le labbra, costretto a rimuginare nei suoi pensieri rivolse lo sguardo dietro di se, ai due principi che insieme al’altro ragazzino erano legati ed in marcia per quasi tutta la mattinata, nel guardarli però il giovane non si rese conto di fissare anche la vedova, ancora piena di grazia e bellezza femminile, ma dallo sguardo perso nel vuoto, la vista di tutto ciò riempì i suoi occhi ed il suo cuore, di tristezza e sgomento.

Il sole era ormai alto, il mezzodì era già passato ma la calura tardo primaverile non tardava a scemare, senza cibo ne acqua i bambini irrequieti a stento si spingevano in quella pianura, il capo dei cavalieri, guardandosi indietro lo notò e tirando la corda intorno al cavallo fermò la propria cavalcatura e tutta la carovana.

Volgendo lo sguardo azzurro, assassino e spregevole verso i prigionieri disse: Siate felici, ci riposeremo e riprenderemo la marcia.

Scesi tutti da cavallo, legate le cavalcature a rovi e alberi bassi si sedettero quasi tutti intorno al fuoco con sopra della carne di cinghiale messa a rosolare, la mandria di vacche mentre era controllata da due cavalieri che si alternavano a ruota con il resto dei predoni. Ma oltre le vacche era di vitale importanza mantenere in vita e attivi gli schiavi e per questo gli venne passata dell’acqua dentro una ciotola che si passarono l’uno con l’altro.
Filolykos ricevendo tra le mani la ciotola dalla bella Dwulja non riuscì a non guardarla negli occhi e così accadde anche lei che inconsciamente incrociò il proprio sguardo con quello di lui. Il giovane inclinando il capo la ringraziò placidamente e prese a bere, ma rialzando gli occhi la ritrovò con le spalle girate, a parlare con i propri figli ora riuniti.

Yama, suo fratello e il ragazzino loro amico rimanevano impietriti ed in silenzio, l’acqua non bastava per tutti e tre, ed ancora stanchi si poggiavano tutti e tre alle proprie schiene, l’una contro l’altra, poi una nuvola si pose davanti al sole e gettò il suo contenuto sopra la carovana in sosta, i ragazzi riaprirono gli occhi, la bocca e cercarono di rinfrescarsi, Filolykos sorrise e ridendo insieme a Drosmig si bearono di quella sosta ora rinfrescante e refrigerante in un momento così tragico. L’unica a non dire nulla, chiusa in se stessa era la vedova, dallo sguardo sempre triste.

Quando il capo dei cavalieri vide i due giovani ridere, mentre guardò i propri uomini, colpiti dal lutto dei propri fratelli persi a causa loro, si rialzò in piedi e con voce marziale esclamò: Andiamo!

Ed ritornati in marcia, tutti ora a piedi, chi dietro i cavalli e chi al fianco delle vacche si apprestarono a raggiungere la città, ora divenuta fortezza, di Yamhpur, riconoscibile per le alte mura dal perimetro ottagonale, circondata da svariate e svariate capanne, in grande quantità, quasi a formarne un altro villaggio, che però circondava tutta la cinta muraria della città. Ora erano ben visibili le due lunghe palizzate ai lati della via sacra che portava alla capitale, palizzate fatte da piloni di legno lunghi e stracarichi di ossa legate con qualche corda, spettacolo straziante ma sacro agli occhi di qualsiasi Vyr passato sotto la loro ombra.
Filolykos non riuscì a non notare un mercato presidiato da uomini armati, un mercato non di verdure o merci usuali, ma di uomini, donne e bambini. I cavalieri Turani continuarono a marciare verso il palco attorniato da bancarelle di utensili di varia origine, quando arrivarono a destinazione il capo dei razziatori scese da cavallo, lo diede ad uno stalliere e stringendo la lunga lancia con la destra, vestito con pelli e pellicce richiamò l’attenzione di uomo, alto, dal capo rasato e dalla lunga barba, pure lui coperto da pesante lana, i due parlarono per quasi due ore, lasciando, la donna, i tre ragazzini ed i due giovani con polsi legati allo steccato per tenere i cavalli. I ragazzi più giovani a stento trattenevano le lacrime infantili, anche i giovani al solo sguardo si poteva leggere la disperazione portata dalla cattività, solo la donna rimase impassibile davanti a tutto ciò.

Raggiunti dal capo dei razziatori, i sei prigionieri dovettero sentire l’amara sentenza: Fattori, figli di allevatori e guerrieri, siete stati catturati, siete merce di scambio e di guadagno, sul vostro capo ci sono a testa una decina di pecore per i maggiorenni e la donna, mentre cinque pecore ciascuno per i ragazzini, se con il vostro lavoro raggiungerete questa somma potrete ritornare a casa.

Filolykos osò dire: Non puoi farlo! Ci sono due principi tra i prigionieri, questa si chiama guerra e lo sai bene.

Il Turanide, carezzandosi la barba bionda, osservando ad uno ad uno i prigionieri scosse il capo: Non vedo nessuno dal sangue nobile, eppure io ho visto capi e signore dei vostri villaggi e non ne riconosco somiglianze.
Il giovane guerriero scosse il capo: Menti! Loro sono due figli di Xshathra, sicuro di volerli rendere schiavi?. Ma il razziatore scosse il capo, prese un nervo e scagliò un colpo con il fusto affusolato contro la gamba del giovane, un colpo che gli fece piegare le gambe.
Le labbra dell’uomo atroce e malvagio s’aprirono :Tu invece menti, stai cercando di salvarti, te e la tua gente, stai cercando di evadere dalla tua situazione di senza libertà, di senza nazione.

Il Vyr dal capo calvo davanti a questa scena si avvicinò ai prigionieri, con uno spintone allontanò il Turanide dicendogli: Se gli rompi qualcosa, se non potrà lavorare, allora stai sicuro che non ti darò il compenso che tanto desideri.

Gli occhi verdi di quell’uomo alto, dal viso austero e calmo si posarono sul segno prodotto dal colpo e disse a Filolykos: Ora te la medicheremo, non è successo nulla.

Poi dopo aver guardato il giovane guerriero ormai fatto prigioniero, cominciò a scrutare Dromsig e gli chiese: Che lavoro facevi? Hai braccia forti, tu andrai con i manovali richiesti ad ovest, mi frutterai parecchio.

Il giovane interrogato rispose: Taglio Legna, conduco greggi e caccio, questo è quello che serve alla mia tribù.

E continuando a camminare lungo la palizzata cominciò a studiare la bella Dwulja, iniziò a guardare attentamente il suo corpo, i suoi rossi capelli, i suoi due occhi azzurri, le sue gambe e le sue vesti di pelli e lana intrecciata: Sei molto bella, potrei persino tenerti per me se non ci sarà un degno offerente.
Sentendo questo discorso, la donna non disse nulla, solo il Turanide che intento a sistemare le corde era rimasto ad ascoltare osò dire: A dire il vero avevo intenzione di comprarla io e penso di poterci raccogliere pure qualche capo fino a quando non diventerà vecchia e brutta, proprio come mia moglie.

Il mercante sentendo la frase del Turanide si mise a parlare con lui più lontano dal resto del gruppo.

Il Vyr testa a testa con il capo dei razziatori prese a dire: Vuoi averla come prostituta? Nel caso invece di dartela a dieci pecore te la darò a cinque ma pretendo che i ricavati siano divisi tra me e te, pensaci potremmo guadagnarci parecchio, proprio ora che le donne ricercano solo in sposa guerrieri e grandi mandriani, c’è gente che pagherebbe ingenti quantità di bestiame per poter avere prole o passare notti meno insonni, credimi, Aspayetenkli.
Solo Dromsig osò rompere quel discorso esclamando con rabbia: Non prenderete mia madre!Al costo di sgozzarvi nel sonno, state attenti a ciò che farete.

Ma Dwulja rimase in silenzio.

Il mercante di schiavi ritornò a guardare il forte giovane: Cosa faremo di tua madre lo decidiamo noi, quando avrà guadagnato con il suo lavoro la somma potrà andarsene anche lei come tutti.

E riprese a camminare vicino ai prigionieri, prese a guardare i ragazzini e chiese a quello con i capelli rossi, Yama: Sai si dice che quelli che hanno i capelli di questo colore abbiano antenati così antichi che i loro stessi nomi siano adesso per noi incomprensibili. Il ragazzino non rispose e lo lasciò continuare,: come ti chiami? Cosa sai fare?.

E con fierezza presa aria, riempiti i polmoni osò dire: Io sono Yama, principe di Kuhburg, sono colui che ti punirà quando avrò la destra libera per prenderti il bastone! Quindi stai attento a procurarmi dolore!. 

Il Mercante si mise a ridere: Certo un principe che porta le vacche e che sta in una umile fattoria invece che stare nel villaggio dentro la tenda del padre, ma non prendermi in giro, nessun principe come Xshathra o gli altri Mahavir lascerebbe il proprio figlio vagare per la prateria con vacche ed un ragazzo da poco diventato adulto.
Yama osò ribattere:Perché mio padre vuole che conosca il mondo e che lavori per poter aspirare a governare un giorno una terra.
Annuendo il Vyr sorrise e disse: Lavorerai in miniera, le cave di pietra ti si addicono. Dicendo ciò, continuò la sua ispezione dei prigionieri, guardando Obràzok chiese come di rito: Come ti chiami? E cosa sai fare con maestria?.

Il ragazzino con altrettanta fierezza proprio come il fratello rispose: Io sono Obràzok, fratello di Yama e principe di Kuhburg! E quando avrò la destra libera, ti farò pentire di avermi lasciato qui, figlio di una scrofa.
Si carezzò con la destra la barba e chiese nuovamente: Di chi sono figlio io? E senza attendere una risposta diede un sonoro schiaffo al ragazzino. Ed emise la sentenza: Anche tu miniere insieme al tuo regale fratello.

Poi venne il turno dell’ultimo ragazzino, lo sguardo dell’uomo riuscì a fargli abbassare il volto dalla paura: Mi temi? Perchè? Se mi tratti bene io ti tratterò bene, chi sei?E cosa sai fare?. E l’ultimo ragazzino, di qualche anno visibilmente più grande rispetto a gli altri, parlò: Non ti temo, mi fai pena, mia madre è vedova, se tu proverai a toccarla, offenderai la mia famiglia e gli Dei.

A quelle parole la mano destra del mercante andò a tirare i lunghi capelli del ragazzino, avvicinando di poco il proprio viso al suo: Non hai risposto alla mia domanda.

Ma il ragazzino non domato dalla stretta gli sputò in faccia.

L’adulto rimessosi ritto con la schiena guardandolo in faccia aggiunse: Tu aiuterai il fabbro per fondere il rame oltre che lavorare nelle miniere con i tuoi amici.
Passato il primo giorno nella tenda per riposare gli schiavi, la mattina seguente, entrò dentro la tenda un uomo armato di lancia e con nella mano mancina una corda dicendo a gran voce: I bambini mi seguano! Oggi si lavora!

E legando con la lunga corda le mani dei ragazzini l'uomo prese a camminare fuori dalla tenda, tra gli accampamenti militari e le stalle, strattonandoli dietro di se, da li in poi la camminata fino ai colli petrosi a nord ovest di Yamhpur sotto il sole di primavera cominciò a diventare una tortura per i giovinetti gettati lungo le rade praterie e folti boschi, fino a quando una grande vallata collegata alla città da una strada sterrata si pose davanti a loro, al centro di essa vi era una struttura quadrata fatta di pietre grezze ancora in costruzione, ai lati di questa struttura minacciosa maestose ed ampie v'erano quelle alte colline coperte di pietra fino al loro cuore, loro capo indicando quei rilievi con la lancia osò dire: Li voi vi guadagnerete la libertà.

E senza fermare la carovana, senza far riposare i deboli piedi, il capo del gruppo si fermò davanti a quella struttura dicendo infine: Le pietre che luccicano le mettete dentro la struttura, quelle che non lo sono fuori, quando entrambe saranno in una quantità necessaria, dividerò i gruppi, quaranta di voi andranno a portare le pietre verdi luccicanti al fabbro, mentre il resto continuerà la costruzione , ricordatevi dovete scavare lungo i cunicoli laterali, non in quello principale!.
I ragazzini minacciati dalle lance dei razziatori arrivati ad accoglierli, presi con la destra i picconi di pietra e nella sinistra dei lumini colmi di resina, liberati dalla stretta corda e messosi sulle spalle ceste intrecciate e robuste andarono a dividersi in gruppi formati da quattro e si gettarono dentro il ventre della terra, in piccoli cunicoli grandi quanto basta per farli passare con la schiena piegata in avanti.

Dentro quel lungo cunicolo principale non v'era nemmeno una luce oltre a quelle delle fiammelle, ad entrambi i lati della stretta e bassa galleria partivano due piccoli cunicoli e ciò si ripeteva per ben sei volte, i ragazzini divisi in gruppi entrarono in ben dodici cunicoli lunghissimi e colpendo le pareti cominciarono a lavorare, alcuni per la prima volta, scavando e staccando pietra da quelle pareti profonde, a loro era precluso solo scavare alla fine del tunnel principale bloccato da una grossa pietra coperta di segni e visi scavati e stilizzati. Yama, Obrázok ed il figlio minore di Dwulja, Elanul, nello stesso gruppo cominciarono a scavare nel cunicolo più vicino all'uscita, riservato a coloro che erano appena arrivati alle miniere, i suoni assordanti dei picconi contro la nuda pietra risuonavano per tutti i cunicoli fino a quando raggiunto il giusto peso sopra le spalle, i ragazzini con la cesta colma cominciando ad uscire dalla profonda buca si ritrovarono con gli occhi stanchi e sensibili alla luce forte del sole.

I due fratelli e l'amico di sventura presero a camminare piegati in avanti verso la struttura che piano cominciava a prendere le forme di una modesta fortezza, spaziosa e robusta. Dall'alba al tramonto i ragazzini continuarono ad andare avanti ed indietro dentro i cunicoli della collina, riposandosi solo per mangiare e compiere i bisogni naturali dell'uomo. Il primo giorno passò con gran fatica, distruttivo come un grosso macigno caduto sopra delle fragili tende, Yama il rosso durante il secondo giorno nell'abisso della collina uscendo dal cunicolo si mise a contare i passi fatti insieme al fratello dl cumulo fin sotto le mura del forte, che piano s'alzavano verso il cielo terso, venti passi affannati che voracemente si prendevano quelle poche energie dentro i poveri ragazzi sempre più curvi in avanti, i due ragazzi erano così stanchi che poggiando la schiena sopra il cumulo di pietre aguzze si immaginarono di distendersi sopra le morbide pellicce dei giacigli domestici, solo il terrore di essere usati come distrazione folle dai razziatori messi a presidiare il luogo li convinse a non addormentarsi sopra il cumulo e li spinse a riprendere a lavorare dentro quella buia terra assassina per un altro intero giorno.

Il terzo giorno Yama, Obrázok ed Elanul messi a scavare lungo il braccio più vicino alla strana parete di pietra, posta a chiudere il corridoio principale, cominciarono a sentire strane voci, alcune incomprensibili, il fulvo Yama chiese allora ad un giovane più esperto intento a colpire la pietra brillante con forza: Fratello di Lavoro, sono folle io o le senti come me anche tu queste voci pesanti e malsane?

Il Giovane sporco di polvere e terra rispose solo tra un colpo e l'altro: Questo perchè lavoriamo vicino alla parete che blocca la porta all'abisso, voi non ci pesante e lui non penserà a voi. Ma Yama non comprese ed anche se Obràzok e Elanul ritornarono a lavorare nei cunicoli, il piccolo Principe decise di prendere piccone e lumino ed a mettersi davanti alla parete arcana cominciando a colpire con l'arma contro la nuda pietra smossa e poi levigata per non far notare la profanazione di quella terra.

Il ragazzino colpì più volte ed ancora con più forza quella parete fino a farla crollare dinnanzi a lui, tutto ciò senza essere notato da nessuno, troppo intenti a lavorare e a spaccarsi la schiena. Facendosi strada dentro quel dritto cunicolo si ritrovò circondato da piccole luci minuscole e veloci, che seguendo ogni sua mossa lo accompagnarono lungo quella passeggiata sotterranea, la luce rossa del lumino insieme a quella di quei piccolissimi fuochi mostrava le pareti perfettamente levigate agli occhi del ragazzino: Ma che posto è?.

Gli scappò a bassa voce, ma non smise di camminare fino a quando terminato il cunicolo agli occhi del giovinetto si aprì una gigantesca sala rotonda, illuminata da miriadi di piccole fiammelle sferiche, piena di pilastri naturali appuntiti, ben trentasei, che salivano e scendevano o dal tetto della caverna o dal suolo su cui erano scolpiti vari simboli sempre diversi tra di loro. Poggiato a terra il lumino, il rosso Yama prese a fissare il tetto, pieno di graffiti rossi e neri, con cavalli, bisonti, alci e foreste; ogni occhio degli animali scavati sulla nuda pietra, ogni punto sopra le pareti alte era riempito da quelle piccole fiammelle, facendo diventare quei graffiti un fantastico cielo stellato, con la stella polare in primo piano, iride del cavallo più grande e maestoso; ma quel fantastico gioco di luci durò poco o niente, infatti subito tutto si dissolse, le luci divennero fievolissime fino a quasi scomparire, tanto che l'unica luce ben visibile che rimase fu quella del lumino, fino a quando non molto lontano dal giovane Principe due nuove fiamme brillanti si riaccesero, rosse, incandescenti e minacciose.

 Poco dopo il ragazzino intravide allora il volto di un grosso serpente dalla pelle completamente nera: Un'altro piccolo cuore da spezzare, un'altra piccola anima da mandare nelle fiamme dell'abisso di Ahriman. Osò dire il Mostro strisciante.

Il giovane figlio di Ohrmazd tenendo tra le mani il piccone osò dire: Non ti temo!

Solo il serpente gigante osò rispondere: Io figlio di Vritra, il serpente cosmico, aspettavo solo questo, una bella resa dei conti, anzi con te dentro non mi servirà neanche essere un arconte di Ahriman per governare il vostro mondo e gli altri, che gran fortuna che ho avuto!.
Continuò uscendo la lingua rossa illuminata dagli abbaglianti occhi rossi, il giovane Yama, di soli quattordici anni tenendo tra le mani il piccone, invece di indietreggiare avanzò senza paura. Il serpente nero come la morte ergendosi sopra il principe allora prese a caricarlo aprendo le sue ampie fauci, ma il ragazzino, anche se preso dal timore non rimase li fermo a subire l'attacco, lo colpì con il piccone e gli fece spostare la testa mortifera, rendendo vano il suo tentativo. Le piccole luci chiare come le stelle nel frattempo ritornarono a brillare su quel tetto, in un gigantesco firmamento inciso nella pietra, una figura umana tra tutte, armata di lancia prese ad irradiare luce, il ragazzino allora prendendosi di coraggio davanti a quello spettacolo mosse il braccio verso sinistra riuscendo ad infilare la punta del piccone dietro la testa del mostro, che di rimando prese a stritolarlo lungo gli arti inferiori, salendo lentamente su quel fragile corpo: No!.

Esclamò Yama, terrorizzato, cominciando a colpire violentemente la testa della serpe con la pietra appuntita, le luci presero subito a muoversi caoticamente verso il giovinetto ponendosi sopra la sua pelle, vestita di stracci e pelli strappate.

Il Piccone così cominciò a emanare luce propria, ed ogni colpo che incideva tra le scaglie di quell'essere sporcava con vermigli schizzi di sangue la pallida pelle del piccolo principe, ma non riuscì ancora a fermarlo, le spire riuscirono a salire fin quasi al petto del giovane tanto da fargli perdere le forze. Sul tetto roccioso insieme alla figura armata di lancia prese ad illuminarsi un'altra figura, identica alla prima sia per equipaggiamento che per altezza, queste furono le ultime immagini che vide il ragazzino prima di abbandonarsi tra le spire mortali del serpente.

Anche Obràzok, spinto dalla curiosità, andando contro le voci che nella sua testa lo spingevano a desistere, prese a camminare in quel cunicolo profondo, da solo, nell'indifferenza passiva degli altri ragazzi intenti a spaccare pietre, ma a differenza del fratello ormai spacciato, davanti ai suoi occhi non si mostrò nessun cielo stellato inciso sulle pareti, riuscì a vedere solo due figure chiare illuminate nella roccia e poi non lontano due occhi ardenti di braci, avvicinarsi ad un corpo luminoso e stretto nelle spire del mostro. Senza domandarsi nulla, il giovane Obràzok dalla chioma bionda saltò tenendo il suo piccone con entrambe le mani, colpendo al centro della fronte la bestia tramortendola, Yama allora riaperti gli occhi guardandosi intorno vide il fratello illuminato dalle stesse luci che lo stavano ricoprendo: Mi hai salvato...!

Disse con gioia al fratello, respirando con affanno, Obràzok annuì e gli disse: Uccidilo ora, io mi metto su di lui e lo tengo.

E così fece, il biondo si mise sopra il dorso dell'animale mostruoso e Yama, ritrovata la forza tenendo il grosso piccone lo uccise colpendo la sua testa squamosa più e più volte.

Così facendo, piano le luci che ricoprivano la pelle dei due si rialzarono sul tetto, ritornarono a riempire i loro spazi incisi sulla pietra e presero ad illuminarsi di luce nuova. Dal buio della caverna rischiarata da quelle costellazioni scolpite con dovizia, una bianca figura prese ad avvicinarsi ai due giovani, coperta da lunghe vesti di pelliccia e lana, dalla pelle chiara e dagli occhi lucenti, che arrivata nei pressi dei due osò dire: Vi ringrazio principi dei Vyria, avete risanato la mia dimora insediata dal male, io Jorwyr Primo, padre di Tuistore e Phollux, i due Ekuhvin che fondarono Yamhpur, dall'alto del mondo in cui risiedo e che presiedo vi do la mia benedizione, avete indebolito il male ma ancora molto ci vuole per batterlo.

E detto questo l'anziano signore barbuto cominciò a svanire, per ritornare su quel tetto luminoso, con le braccia aperte sotto la stella polare, intento ad abbracciare i suoi figli rinati, armati di lancia. I due ragazzini allora liberata quell'antica grotta dalla serpe strisciante, ripresero le ceste colme di pietre poggiate sul terreno, raccolsero i lumini ancora accesi ed uscirono dalla caverna entrando nel cunicolo principale, ma prima uscire i due si voltarono, ed uno aiutando l'altro iniziarono a richiudere l'entrata dell'antro abissale ora libero. Ricostruirono la parete crollata incastonando tra loro le pietre e poi terminato il muro entrambi ritornarono a lavorare staccando pietre negli altri cunicoli, l'uno accanto all'altro, uniti insieme da una nuova sfida, vinta grazie all'unione delle due forze nel combattere insieme le avversità.


Erano passati tre giorni dalla partenza da Kuhburg e nella mente dei due ragazzini c’era, oltre al ricordo della lotta nelle viscere dei colli, la loro casa e l’affetto dei loro genitori. I prigionieri, la sera, erano tenuti sotto una capanna grande e larga, abitata da altri uomini legati in attesa di raggiungere i loro compratori, era l’ora della cena, i ragazzini, i due giovani e la vedova tenendo tra le mani quella misera zuppa di carne di cavallo, latte di giumenta ed erbe cominciarono a mangiare, in quel momento, solo in quello la donna azzardò a dire al figlio più piccolo: E’ meglio che tu ti metta a mangiare.
E così il figlio più giovane della vedova riprese a nutrirsi di quella poltiglia pressoché informe.

Non passò poco tempo che fece il suo ingresso dentro la capanna un razziatore Turanide, che si mise a guardare i presenti, esordendo: Voi siete qui perché lo voglio io, voi mangerete solo se lo vorrò io, quindi fate qualcosa contro di me e non mangerete, dite qualcosa di sbagliato e non mangerete, uno sguardo di traverso e beh non mangerete, è abbastanza chiaro a tutti giusto? Non sono ne un vostro amico ne un vostro parente, è inutile chiedermi grazie o perdono .
Poi il suo sguardo azzurro si spostò sulla donna dicendole: Sono venuto qui anche per te, vieni che ti faccio conoscere dove lavorerai, vedrai che ti piacerà e finalmente scomparirà quel triste broncio.

E senza farsi attendere prese la donna con la destra e la portò a se strattonandola e tenendole le braccia già legate dalle corde, alla vista di ciò i figli si alzarono e dissero: Madre!.

Ma il razziatore esordì: Fermi, o rimarrete digiuni!
Dromsig rispose rimanendo in piedi: Preferisco rimanere digiuno che avere mia madre senza onore, senza rispetto per il suo lutto ed ancora più infelice di come sta ora!
Ma il Razziatore senza ascoltarlo strattonando la donna, uscì fuori dalla tenda portandosela con se nel cuore dell’oscurità, in quel labirinto di capanne e stalle.
I figli della vedova rimasero tutta la notte svegli, solo Filolykos ed i due principi riuscirono ad addormentarsi, stanchi e provati dall'estenuanti mansioni servili.
Ad ogni ora della notte, si poteva sentire chiaramente le voci lamentose, volgari ed esaltate provenire dalle tende e dalle stalle adiacenti, solo i fieri e lugubri versi degli animali notturni riuscivano a smorzare il chiasso notturno di quegli eserciti fermi al bivacco.

Quella notte, così lunga, soprattutto per i figli di Dwulja rimasti senza madre, venne interrotta da grida, tumulti, suoni di corna e versi di animali, qualcosa stava succedendo fuori, qualcosa di terribile; non c'erano razziatori a presidiare la tenda, tuoni e lampi erano visibili ben oltre fessura dell'entrata, subito Dromsig ed Elanul si alzarono per svegliare i due principi fratelli ed il guerriero, che destati si resero subito conto di cosa stava avvenendo, ed aiutandosi l'un l'altro presero a slegarsi i polsi, finalmente non più sorvegliati dai razziatori, sempre vigili lungo tutta la notte ma ora scomparsi insieme alle loro armi e alle loro minacce. Alle orecchie dei ragazzi erano ben udibili oltre ai tuoni, anche i canti di uccelli tipici del fiume non lontano, confusione e caos avevano preso il sopravvento in quella terra già martoriata. Ma Obràzok e Yama spalla a spalla guardandosi negli occhi, persa la paura uscirono fuori la tenda affrontando ciò che di li a poco sarebbe accaduto con cuore saldo.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Epico / Vai alla pagina dell'autore: MardukAmmon