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Autore: Mayo Samurai    17/09/2015    1 recensioni
Raccolta di One shot tutte BartNat, seguendo la traccia amorevolmente offerta da internet, alias la "100 word challenge".
Cento capitoli per cento prompt.
Sperando di riuscire a completare la sfida, vediamo almeno di iniziarla!
Buona lettura!
Genere: Comico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Bartimeus, Nathaniel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Piccola precisazione: io sono ossessionata da Nathaniel coi capelli lunghi.
Avete presente quelle bellissime zazzere ricce/boccolose che stanno così bene a certi ragazzi?
Stessa cosa.
Per me Nathaniel, a meno che di precisazioni, è più o meno riccio coi capelli lunghetti, tipo metà collo.
 
 
 
Fumo.
 
 
 
“Essere un jinn è figo.
Sei forte, sei intelligente e se sei fortunato, pure bello.
Non è nemmeno così difficile mascherarsi agli umani, sono molto disattenti, e la vita procede tranquilla.
Questo avviene se non hai alle calcagna qualcuno come Nathaniel, pronto a rovinarti la vita.
Poi dipende molto dalla tua visione del mondo, alcuni preferiscono Toma, a Roma.”
 
 
 
 
 
 
“Mi scusi, ha da accendere- Oh.”
Uno sguardo veloce, sembrava sorpreso.
Un attimo di silenzio, poi il ragazzo si tastò le tasche come l’ultima volta: ”Non con me, non fumo.”
Davvero?
“Però non ho ancora chiuso il negozio, dentro dovrei avere un accendino.”
“Grazie.”
Lo seguì, il negozio appariva tetro senza le solite luci allegre che lo illuminavano, e i tavoli erano tutti ammassati in una figura scura, in un angolo della panetteria.
Il ragazzo superò il bancone, e armeggiò con qualcosa.
Poi emerse.
“Ecco qui.”
Ed eccolo di nuovo.
Era sicuro, non erano le paste, non era il pane, in quel momento il locale era vuoto.
Era lui.
 
 
 
Dapprima Nathaniel non era così sicuro della cosa.
Forse se l’era solo immaginato, dopotutto era in una panetteria, un po’ di odore c’era.
Così le prime volte non ci aveva dato molto peso, scambiandolo per una cosa ordinaria.
Però l’odore era rimasto.
Di sottofondo, qualcosa che non riusciva a centrare.
Aveva annusato il pacchetto (no, non potevano essere i suoi amatissimi biscotti), e non era quello; con più discrezione s’era annusato prima i polsi, che profumavano pungenti, poi i capelli, e quando oramai solo, anche le ascelle.
Eh no.
Non era lui.
Non poteva mettersi ad odorare ogni cliente, così s’era messo a pensare.
Quello poteva permetterselo.
 
 
 
La sua indagine agiva a rilento: non poteva indugiare troppo al bancone, perché aveva i minuti contati prima dell’inizio della lezione e nessuno si presentava con briciole di biscotto ai lati della bocca, che maleducazione.
Un breve pensiero quando l’odore tornava, e giù di nuovo nei cassetti mentre trotterellava per la strada, avvicinandosi alla fermata del bus più vicino.
 
 
 
Gli ci vollero tre settimane prima che potesse capire che cosa fosse.
Niente lezioni quel giorno, i professori si davano malati, e altri erano a conferenze o altre lezioni.
Un attimo di pace, finalmente.
Anche se la ruotine scolastica venne spezzata, di certo Nathaniel non si sarebbe perso per nulla al mondo la ronda alla panetteria sotto casa.
I soldi contati se ne stavano sul fondo della tasca, tintinnando ad ogni passo.
La panetteria profumava di buono come sempre, e con tranquillità, Nathaniel si mise a controllare con occhio esperto, e in un modo assolutamente ridicolo, la vetrinetta.
Orrore!
L’unica cosa rimasta della sua ancora di salvezza erano poche e parche briciole sconsolatissime, abbandonate sull’enorme e di solito pieno vassoio.
“Mi dispiace, una scolaresca ha fatto piazza pulita.”
La voce dell’impiegato che lo serviva sempre.
Nathaniel alzò la testa come un re sconfitto, ritrovandosi a fissare l’espressione mal nascosta di divertimento dell’altro.
“Se aspetti dieci minuti però, ne arriva una teglia calda, appena sfornata.”
Il buonumore tornò, e fatto posto a un paio di signore che s’affrettavano a prendere brioche e dolcetti, Nathaniel s’appoggiò blandamente al bancone, girovagando un po’ su facebook.
Notifica di qua, stupidi messaggi di là- Oh, anche domani le lezioni erano sospese: un’indisposizione burocratica degli insegnanti, detta anche:” Non ciò la sbatta di lavorare”, liberava la giornata di molti studenti, compreso Nathaniel.
“Andrò a far la spesa, oppure in spiaggia…” come a schernirlo, la pelle pallida rifletté malata la luce della vetrina.
“O forse no.”
I minuti passarono, ma non dieci, forse cinque, prima che l’impiegato si chinasse sul bancone e lo fissasse con quei grandi occhi scuri.
“Arriverai in ritardo a scuola, perché non prendi altro?”
Alzò lo sguardo:” Niente lezioni oggi.”
“Sciopero?”
“Indisposizione degli insegnanti.”
“Non ciò la sbatta di lavorare.”
Un mezzo sorriso si fece strada sulla bocca sempre tesa di Nathaniel.
“Più o meno. Ma come fai a sapere che sono uno studente?”
L’altro alzò le spalle:” Più di una volta sei entrato con libri in mano oppure progetti che stavi ricontrollando. Studi… lingue?”
Nathaniel annuì lentamente.
L’impiegato sorrise, e si scostò.
Ed eccolo.
Quasi, il mondo si fermò, e timidamente per non sembrare uno stramboide, Nathaniel annusò l’aria.
Eccolo.
L’odore, lo sentiva!
Si voltò verso le cucine, e l’unica persona che c’era era il panettiere, che ora controllava pigramente qualche scontrino.
Inspirò più a fondo.
Si, si!
Era l’odore!
Ma non riusciva a capire quale.
L’aveva già sentito, ma dove?
Finalmente i suoi biscotti furono pronti e, caldi e fragranti come non mai, furono infilati in un bel sacchetto marrone e poi consegnati.
Guardò rapito i rivoletti di vapore alzarsi dalla pasta, e l’intuizione lo colpì come uno schiaffone.
Fumo!
Era odore di fumo!
Si guardò attorno allarmato, ma nulla faceva pensare a un incendio (perché diciamocelo, quello era odore di fumo di legno, non di sigaretta, la differenza è molto grande).
“Ecco a te, spero che non debba ricordarti quanto costano, vieni qui ogni giorno.”
Pagò, accorgendosi del modo particolarmente penetrante con cui l’impiegato lo fissava.
Mha, pensò uscendo, forse s’era solo sbagliato.
 
 
 
C’erano stati parecchi incendi negli ultimi due mesi.
Certo, era estate e faceva un gran caldo, e certo, la madre degli imbecilli è sempre incinta, ma l’allarme incendio e l’allerta piromante erano scattati dopo il sesto incendio.
Tutte cose piccoline, nulla di che, tutti domati dagli stessi proprietari della casa in cui erano scoppiati.
Solo che il panico dilagava in ogni caso.
E fu questo a mettere la pulce nell’orecchio a Nathaniel.
Non ne era sicurissimo, gli incendi dilagavano per tutta Londra, senza uno schema preciso, e visto che non aveva ancora infranto la legge infiltrandosi negli archivi della polizia come in certi film, Nathaniel aveva le mani legate con la testa che correva veloce.
 
 
 
Finalmente l’università chiuse i battenti, e agli studenti non rimase che aspettare l’esito degli esami.
Era stato un mese duro, e Nathaniel aveva mancato il solito giro d’ispezione in panetteria più di una volta.
Con l’umore baldanzoso di chi s’aspetta molto, Nathaniel scese le scale del proprio appartamento, trotterellò fino alla panetteria, e s’accorse della saracinesca abbassata.
Controllò l’orologio e sbuffò contrariato: a quanto pare era stato fin troppo mattiniero.
Si sedette sul muretto, giochicchiando con le cinghie della borsa: aveva ogni intenzione di appropriarsi di un posticino in panetteria, magari l’angolino più fresco, e di rimanere lì a leggere, divorando biscotti come un morto di fame.
Dopo forse una decina di minuti, il panettiere fece la sua comparsa.
Nathaniel rimase colpito vedendolo senza il solito grembiule e targhetta, ma solo con una maglietta bianca e pantaloni corti; era come quella volta che vide il suo professore di letteratura al supermercato: un disagio incredibile.
Quella volta non fu disagio, ma solo sorpresa.
“Mattinieri, eh? Messo la sveglia troppo presto?” Lo schernì il proprietario, aprendo la saracinesca.
Nathaniel alzò le spalle:” Credevo fosse già aperto.”
“Mi sono preso la libertà di ritardare, il negozio compie due anni, oggi.”
Due anni?
Erano già due anni che entrava lì dentro?
“Oh.”
“Mi offendi, sei un mio cliente abituale e non lo sapevi?” gli fece un gran sorriso, com’erano bianchi i suoi denti…
Arrossì un poco, scrollando le spalle:” Non ci ho dato molto peso.”
L’altro ridacchiò, finendo di armeggiare con la porta ingresso.
Entrò: aprì le finestre, diede una pulita al pavimento, sistemò i tavoli, accese le luci e ordinò a Nathaniel di aiutarlo, visto che s’era presentato così presto e ci voleva un po’ prima che i biscotti fossero pronti.
“Non hai mai pensato di lavorare qui?”
Alzò la testa, il ragazzo dalla pelle scura lo fissava assorto da dietro al bancone.
Nathaniel si strinse nelle spalle: “Uhm… no, gli studi mangiano tanto del mio tempo, ne rimane poco anche per me.”
L’altro annuì.
“Forse dopo l’anno prossimo…” borbottò a se stesso, sicuro che l’altro non lo avesse sentito.
Nathaniel attese il suo ordine seduto distrattamente a un tavolo, mentre fissava la vetrina e le persone passare affrettate.
Non entrò nessuno, anche se erano già le sette passate.
Si mise a cercare il suo libro, e le dita incontrarono il pacchetto di sigarette che non fumava mai.
Capitava di rado: quando lo studio lo stancava così tanto da mandarlo in esaurimento nervoso, invece che gettarsi sul frigo, s’accendeva una sigaretta, la fumava fino a scottarsi le dita e ricominciava più tranquillo.
Una, ogni tanto.
Il pacchetto era praticamente pieno.
“Ecco a te, dodici biscotti di numero appena sfornati.”
Alzò lo sguardo sul panettiere, e prima che potesse fermarsi chiese:” Hai da accendere?”
La sigaretta era già comparsa tra le sue labbra, con l’intuizione che aspettava di esser accesa come la paglia.
L’altro sembrò sorpreso.
Si tastò le tasche e scosse la testa:” No, non fumo.”
Ah.
“Non importa.”
Prese il sacchetto, pagò, e se ne andò.
 
 
 
Gli incendi continuarono, e il piromane, perché non poteva che essere un pazzo e non incidenti singolari, non era ancora stato consegnato alla giustizia.
Ognuno si guardava le spalle anche in casa, e si mormorava che anche ai piani superiori, più ardui da raggiungere, avessero iniziato a prendere fuoco.
Nessuno capiva come, non c’erano segni di effrazione, e nessun rimasuglio di accendi-fuochi.
Nulla.
 
 
 
Teneva la sigaretta con due dita, guardandola assorto: rovinarsi i polmoni solo un poco di più per smascherare un criminale era un prezzo più che giusto da pagare.
Poi era solo una, non fumava mai.
La saracinesca scricchiolò, e silenziosamente Nat le diede la schiena.
Fece finta di cercare qualcosa nelle tasche e borbottò qualche imprecazione.
Poi, teatralmente, si voltò, come se si fosse appena accorto della presenza alle sue spalle.
“Mi scusi, ha da accendere- Oh.”
Uno sguardo veloce, sembrava sorpreso.
Un attimo di silenzio, poi il ragazzo si tastò le tasche come l’ultima volta: ”Non con me, non fumo.”
Davvero?
“Però non ho ancora chiuso il negozio, dentro dovrei avere un accendino.”
“Grazie.”
Lo seguì, il negozio appariva tetro senza le solite luci allegre che lo illuminavano, e i tavoli erano tutti ammassati in una figura scura, in un angolo della panetteria.
Il ragazzo superò il bancone, e armeggiò con qualcosa.
Poi emerse.
“Ecco qui.”
Ed eccolo di nuovo.
Era sicuro, non erano le paste, non era il pane, in quel momento il locale era vuoto.
Era lui.
 
 
 
Nathaniel uscì di casa di tutta fretta, rimestando nella borsa come un forsennato: non aveva molto tempo, o avrebbe perso il bus.
Stramaledetta sveglia che aveva deciso di non collaborare scaricando le batterie proprio quella mattina!
Si catapultò giù per le scale saltando i gradini e si lanciò in strada, dandosi pochissimi secondi per decidere se fermarsi oppure no.
La vista del bus che si fermava e la fila al bancone fece gemere di disperazione Nathaniel, che superò di gran carriera la panetteria.
 
 
 
La sera era alle porte, e l’aria iniziava a farsi più fresca.
Con le guance congestionate e il passo leggero Nathaniel scese dal bus come in trance, guardando di fronte a sé con un’espressione sognante.
Salì le scale canticchiando e tirò fuori le chiavi di casa, emettendo tanti tintinnii che risuonarono per tutta la tromba.
Poi si fermò.
Qualcosa dentro di lui gli gridò di fermarsi, e così fece, rimanendo a contemplare la serratura dell’ingresso.
Poi alzò le spalle e avvicinò le chiavi alla toppa.
Una mano scura calò sul suo polso, facendolo sobbalzare: le chiavi caddero.
“Se fossi in te non lo farei.”
“Cosa?”
Sentì del movimento sopra di loro e il ragazzo dalla pelle scura alzò lo sguardo: oh, era il panettiere.
“Merda.”
Lo riguardò, dritto negli occhi:” Ti consiglio di uscire, non voltarti indietro.”
Con un leggero sorriso, si voltò, sprintando su per le scale.
Dopo un attimo di completo blackout celebrale, Nathaniel lo seguì.
 
 
 
Salì fino al tetto, col fiato corto e i capelli appiccicati alla fronte.
I rumori che l’avevan accompagnato per tutto il tragitto ora erano più forti: petardi? No, aspetta, rocce che si spaccano- questo era un grido?
Fece gli ultimi gradini accelerando, gettandosi contro il muro per poter sbirciare aldilà della porta di ferro del tetto.
Un lampo di luce s’infranse a terra, lasciando segni neri sul pavimento, un’imprecazione, una risatina divertita e poi di nuovo botti.
Che diamine stava succedendo?
Uscì allo scoperto baldanzoso come non sapeva di essere, ritrovandosi ad osservare esterrefatto una scena da libro o da fumetto.
Due figure, una più slanciata e l’altra massiccia, volteggiavano, e qui Nathaniel si diede un pizzicotto, agili nell’aria serale, dandosele di santa ragione.
Un secondo lampo squarciò l’aria rendendola calda e crepitante, e Nathaniel si coprì il viso, indietreggiando un poco.
Un’ombra nera macchiava il muro accanto a sé, e alzando lo sguardo, vide gli altri due occupanti del tetto stretti in una furiosa lotta corpo a corpo, dove non mancavano di volare calci, pugni e morsi piuttosto scorretti.
La figura più magra mollò un calcio ben assestato nella pancia dell’altra, mandandola a ruzzolare oltre delle prese d’aria.
Nathaniel si ricordò in quel momento di esistere, e la figura si voltò verso di lui.
“Ma non ti avevo detto di uscire!?”
Boccheggiò una risposta, guardandosi attorno: i chiari segni di una lotta si raffreddarono velocemente, e qualche borbottio contrariato si levò oltre le prese d’aria.
“Io…”
“Io cosa!? E’ una fortuna che la Deflagrazione di Jabor non ti abbia preso! Non ha mai avuto una mira eccelsa, ma se ti piglia ti assicuro che di te non rimarrebbe nemmeno la cenere.”
Ora che s’avvicinava, riuscì a distinguerne meglio i contorni: era un gargoyle.
Più o meno della sua stessa altezza, aveva ampie ma aggraziate ali di pietra, ed a ogni passo unghioni e piedi scioccavano secchi, risuonando per il tetto.
Il muso aquilino lo scrutò pensieroso:” Mha, si, ci basterebbe davvero poco per eliminarti.”
Nathaniel iniziò a sudare freddo: che significava “per eliminarti”? La creatura intendeva ucciderlo?
E in che senso gli aveva già detto di uscire?
Si leccò le labbra secche, lanciando un’occhiata veloce alle spalle del gargoyle.
“Tranquillo che per ora non si rialza, l’ho sistemato per bene.”
Sobbalzò, strisciando le scarpe sul cemento, arretrando.
“E non fare quella faccia, non ho intenzione di ucciderti, se tu non hai intenzione di parlare!”
Nathaniel scosse violentemente la testa.
Il gargoyle annuì.
“Bene, bravo.” Poi si fermò a pensare:” Anche se… c’è qualcosa che mi sfugge…”
In quel momento, un’esplosione ai piani inferiori fece tremare il palazzo, spaventando i due.
S’affacciarono al parapetto, e le speranze che Nathaniel nutriva dopo aver udito il botto, morirono, cascando giù dal palazzo.
Non c’erano molti calcoli da fare, quello che era appena esploso in una miriade di vetri e mattoni era il suo appartamento.
Lentamente, s’accasciò a terra, portandosi le gambe al petto e nascondendo il viso.
Il gargoyle si grattò la nuca e fece schioccare il becco:” Erm… mi dispiace… per quello non ti ho fatto entrare, ho sorpreso Jabor usare… il tuo divano, si, come falò.
Credo anche altro, ma… ma non sono sicuro.”
Le sirene dei pompieri riempirono l’aria e in poco furono evacuati i condomini.
“Se vuoi ti posso far scendere illeso, le scale devono essere un inferno.”
I vigili del fuoco non avevano visto Nathaniel e il panettiere (era tornato umano nel momento in cui sentì le sirene), e tenendo il capo chino per non farsi vedere ed evitare molte domande scomode, i due strisciarono dall’altra parte del tetto, scoprendo che il fantomatico Jabor se l’era battuta.
“Tsk, forse era messo così male da non voler creare altro panico, strano, da parte sua.”
Nathaniel non rispose e se ne tornò nella stessa posizione di prima.
“Possiamo scendere da qui, non c’è nessuno qui sotto.”
Il ragazzo dalla pelle scura alzò la testa, aggrottando le sopracciglia in segno di disapprovazione alla vista di Nathaniel.
“Non è la fine del mondo, sarai assicurato, no? E in più sei vivo, puoi sempre rifare tutto da capo. Certo, sarà una sbatta immane, ma di certo ne uscirai vittorioso.”
Nathaniel non trovò il benché minimo conforto in quelle parole, tantè che nemmeno il panettiere sembrava convinto di ciò che aveva appena detto.
“Senti… cos’è’ che stai ancora tenendo in mano?”
Il moro alzò il braccio senza levare il volto dalle ginocchia, e il panettiere prese in mano il fascicoletto, sfogliandolo.
“Facoltà di lingue… Laureato summa con laude?” il tono sorpreso dell'altro riuscì a dare un po’ di buon umore a Nathaniel.
Il panettiere fece un fischio ammirato:” Bhè, con questa in tasca puoi anche mandare a quel paese il tuo appartamento, è una fortuna che ce l’avessi con te. Che è, te la porti in giro tutti i giorni?”
“L’ho ritirata questo pomeriggio.”
“Davvero?”
“Sì.” Nathaniel alzò la testa, togliendosi i capelli dal volto accaldato.
Fece un gran sospiro e si rialzò, armeggiando con la borsa.
Si mise la sigaretta tra le labbra e scoccò un’occhiata al ragazzo accanto a sé.
“Hai da accendere?”
 
 
 
Nathaniel sbucò tra i pompieri come se avesse visto il palazzo prendere fuoco solo da lontano.
Sudato e affannoso, s’era fatto spazio come un disperato, chiedendo spiegazioni e dandone, dicendo che pensava di aver perso le chiavi di casa sul bus, invece di accorgersi che gli erano cadute sul pianerottolo quando era uscito di casa nel pomeriggio.
Nessuno pensò che fosse lui l’artefice di ciò o che dietro agli incendi colposi che divulgavano a Londra si nascondesse una creatura sovrannaturale.
Anche se poco dopo, gli incendi cessarono.
Nathaniel non era una persona che teneva i soldi sotto al cuscino, e ritirato molti risparmi dalla banca, s’era riaccasato in un altro quartiere di Londra.
All’inizio la laurea non aveva fruttato molto, ma s’era trovato bene come bibliotecario in attesa che i suoi studi attecchissero.
Seme che non tardò a germogliare, permettendogli di diventare un traduttore di tutto rispetto e di leggere quanti libri volesse, anche nelle lingue più disparate.
Col tempo, riuscì a farsi spiegare sotto velatissime minacce mescolate a qualche implorazione, che diamine fossero il panettiere e quel Jabor.
Senza mezzi termini e altrettanti avvertimenti sulla brutta fine che poteva fare, Bartimeus, così si chiamava, gli spiegò di essere un jinn.
“Uno squisito jinn di amabile fattura.”
Nathaniel gli aveva risposto con uno sguardo scettico e un’occhiata da capo a piedi.
Bartimeus lo ignorò e attaccò raccontandogli che erano millenni che si trovava sulla terra, come ogni altra dannatissima creatura sovrannaturale, solo che gli umani erano troppo stupidi per accorgersi di loro.
Passava il proprio tempo a bighellonare, ad affrontare viaggi infiniti e ogni tanto, giusto perché si annoiava, trovava un lavoro che gli garbava, se ne stava lì il tempo necessario per non dare sospetti sul suo mancato avanzamento d’età, e poi ripartiva, leggero come il vento.
“In questi ultimi mesi stavo tenendo d’occhio Jabor. E’ uno a cui piace rompere e spaccare e non fare domande.
Per quanto siate inutili, farsi scoprire da voi per colpa di un deficiente che sbandiera ai quattro venti i propri poteri, sarebbe alquanto imbarazzate.”
“Io ho assistito al vostro combattimento.”
“Ripeto, imbarazzante.”
Nathaniel sbuffò, e gli chiese perché avesse scelto proprio il panettiere.
“Per mascherare ciò che ti ha messo sulle mie tracce.”
“Il tuo odore?”
“Forse la laurea te la sei meritata per davvero.
Comunque sì, in panetteria si nascondeva abbastanza bene, finchè non arrivò Lassie che iniziò ad annusare in giro come un bracco sulle tracce di un coniglio.”
Nathaniel arrossì:” L’ho fatto perché girava un piromane, e tu odori di fumo, chiunque avrebbe pensato la stessa cosa!”
In ogni caso, disse Bartimeus, non gli interessava più fare il panettiere, troppo monotono, troppe signore anziane e troppi studenti ficcanaso.
Nathaniel gli mollò un calcio.
“E ora che pensi di fare?”
“Viaggiare ancora?”
Nathaniel non replicò, limitandosi a spostare lo sguardo sulla città.
 
 
 
Il suo lavoro di traduttore gli lasciava un sacco di tempo libero, che riempiva con la sua oramai sedentaria occupazione di bibliotecario, trovandolo il lavoro più affascinante al mondo.
Si crogiola nei variopinti e numerosi viaggi che lo ficcavano negli angoli più disparati del mondo, staccandolo dalla quotidiana ruotine, a cui tornava come un marinaio torna nella sua amata terra d’origine.
Era felice, e ogni tanto, ripensava a quel giorno in cui il suo vecchio appartamento era scoppiato come un petardo, costringendolo a ricomprare ogni cosa, ripartire da zero.
“Come una fenice.”
E al pensiero della fenice, si concedeva una sigaretta, di pacchetti sempre pieni e sempre più vecchi.
Si portava la paglia alle labbra, sospirava e se la rimetteva tra due dita.
“Hai da accendere?”
Allora, prima che la riportasse alla bocca, una fiammella compariva sotto la cicca e ne accendeva la punta, seguita da borbottii vari e commenti di quanto fosse clichè e ripetitivo.
Allora Nathaniel sorrideva e ringraziava, perché doveva concedergli che come accendino, purchè millenario e con una parlantina irritante, faceva un lavoro magnifico.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
FRRRRRRRRRrrrrr-
 
 
Vero che i jinn nell’ambientazione originale non hanno odore o comunque emettono quello che preferiscono.
Ma visto che si tratta di ambientazioni sempre diverse, spero che abbiate gradito in ogni caso-
 
 
Fumo è una delle one shot più lunghe che ho scritto fin ora, ne ho pronte altre, un paio anche da finire, spero di riuscire a farmi venire in mente qualcos’altro e non arrendermi subito-
 
 
Bhè, spero vi sia piaciuta e bho, ho mille idee per delle long fic e dovrei smetterla perché mi sto rovinando la vita.
 
 
Ah una cosa, anche se non rispondete pazienza, ma tutti quelli che leggono ste fic sono fan della saga o è gente a caso che capita per di qua?
Cioè, sto dubbio mi assale la notte, chi diamine è che legge la mia roba? XD
A parte una persona che conosco di persona, eh-
   
 
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