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Autore: Mary P_Stark    19/09/2015    1 recensioni
Krilash mac Lir è secondo in linea di successione al trono di Mag Mell, oltre a essere grande stratega militare dell'esercito fomoriano. Suo è il rarissimo dono della trasmutazione degli elementi, che lo rendono soldato temibile in battaglia e ottimo guerriero. Questo dono, però, porta con sé anche immense responsabilità... e incubi. Incubi che Krilash tenta di cancellare con una condotta di vita il più spensierata possibile. Nel suo infinito tentativo di concedersi qualche attimo di tregua dai suoi ricordi orribili, incontra l'umana Rachel O'Rourke e sua figlia Faelan, che risvegliano in lui improvvise quanto impreviste sensazioni. Sentimenti che pensava di non poter provare lo portano a compiere azioni per lui inusitate... e lo avvicinano a un segreto che riguarda direttamente le donne O'Rourke. Un segreto che, forse, potrebbe cambiare per sempre la loro vita e quella di Krilash. 3° RACCONTO DELLA SERIE "SAGA DEI FOMORIANI"-Riferimenti alla storia nei capitoli precedenti.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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12.
 
 
 
 
 
Il momento tanto atteso, infine giunse.

Seppure a malincuore, Rachel mise in vendita la gelateria, delegando allo studio legale dello zio tutto quello che riguardò l'aspetto burocratico degli atti.

L'appartamento subì la stessa sorte, così come ciò che in esso era contenuto.

Fay fu ritirata da scuola, adducendo come scusa un trasferimento improvviso e, da ultimo, io e Rachel ci recammo in Comune per il matrimonio.

Dovemmo aspettare dicembre, perché tutto fosse rispettato a livello burocratico e, nel frattempo, tagliammo i ponti con il passato.

Rachel provò a parlare con i suoi genitori, mettendoli al corrente che, entro breve tempo, sarebbe stata pressoché irreperibile.

Fu come parlare al vento e questo mi spiacque molto, ma lei non disse nulla e Fay, con noncuranza, non diede adito di essersela presa.

I suoceri non solo si disinteressarono alla sua chiamata ma, più semplicemente, le dissero di non farsi più sentire.

Era evidente quanto, l’ultima batosta subita, li avesse irritati e allontanati dai loro propositi.

A quel punto, non rimaneva che salutare l’unica persona, nella famiglia O’Rourke, che contasse qualcosa per le mie due donne.

A tal fine, ci dirigemmo verso la casa dello zio di Fay e Rachel, l’unico che si era prodigato per loro nel momento di massimo bisogno.

Donovan O’Rourke abitava in una villetta fuori dai confini di Dublino, abbarbicata sulla scogliera a est della città, nella contea di Howth.

Il cottage a due piani, circondato dalla bassa vegetazione della zona e da un muricciolo di sassi a secco, era rivolto fieramente verso l’oceano.

Isolato e riparato dalla cacofonia della città, pareva in ascolto delle voci del mare, dei suoi lamenti, delle sue risa.

Quando lo vidi, sorrisi spontaneamente. Era un bellissimo luogo, dove vivere.

«E’ sempre bello venire a trovare zio Donovan» mormorò Fay, quando Rachel fermò l’auto e scese.

Io la imitai, al pari di sua madre.

E in egual modo mi stiracchiai, inspirando l’aria salmastra, i suoi profumi, le parole portate dal vento, le voci delle sentinelle di pattuglia, gli umori delle creature del mare.

Fay mi sorrise, e in quel sorriso vidi tutta la sua gioia, tutta la soddisfazione provata all’idea di non apparire pazza, o anche solo vanesia.

Ora sapeva con certezza che, quello che avvertiva, non era frutto della sua fantasia, ma del suo sangue ancestrale.

Rachel ci sorrise con eguale amore e, presi per mano entrambi, ci disse: «Andiamo. E’ ora.»

Assentii e, mano nella mano, scendemmo gli scalini in pietra che conducevano verso Whitewater, il cottage degli O’Rourke.

Lì, suonammo il campanello e, quando un uomo robusto e dal fisico imponente venne ad aprirci, la sorpresa si dipinse sul suo volto.

Un attimo dopo, l’uomo abbracciò Rachel, diede un buffetto sulla guancia a Fay e, con curiosità, allungò una mano verso di me, asserendo stentoreo: «Io sono Donovan O’Rourke, lo zio di queste due bellezze. Entrate, coraggio. Il tè si fredda, ed Eilis è ansiosa di vedervi.»

Lo seguimmo all’interno e, come potei notare subito, la mano sapiente di una donna aveva saputo ammorbidire le rigide mura in pietra grigia dell’antico cottage.

Pizzi e merletti rivestivano mobili di mirabile fattura, mentre quadri di scuola fiamminga si intervallavano a dipinti di Fay, che riconobbi all’istante.

Nel farci accomodare nel salotto di fronte all’oceano, non potei che apprezzarne la vista magnificente. Era come essere immersi nelle acque tempestose e purulente dell’Atlantico.

Sorrisi spontaneamente, quando la donna che stava servendo il tè si volse verso di noi… e, per poco, quel gesto la fece svenire.

I suoi grandi occhi color delle perle si spalancarono, sorpresi e sgomenti e, nel passare lesta lo sguardo da Rachel a Fay, esalò: «Non… non è possibile…»

Confuso, guardai dubbioso Mr O’Rourke che, premuroso, mormorò: «Eilis, tesoro, stai bene?»

Lei tornò a guardarmi e, con mano tremante, scostò il foulard di seta che portava al collo.

Fu il mio turno di apparire sconvolto e Fay, facendo tanto d’occhi, esclamò: «E’ la rihall dei mac Leogh! E’ come quella di Konag!»

L’uscita di Fay fece sobbalzare sia me che Eilis che, affrettandosi a poggiare la teiera sul tavolino da salotto, si produsse in una riverenza fomoriana, mormorando ossequiosa: «Mai avrei immaginato di incontrarvi una seconda volta, mio principe. E in compagnia delle mie nipoti, per di più!»

Rachel mi fissò a bocca aperta, e così pure Donovan che, sbattendo le palpebre, esalò confuso: «Principe? Eilis, che vuoi dire? Quale dei principi?»

Io scrollai le mani, affrettandomi a risollevare Eilis perché non restasse prostrata oltre e, ponendo il mio sguardo sul padrone di casa, chiosai: «Oserei dire che lei sia al corrente di ogni cosa, visto che non mi pare poi così sconvolto dall’uscita di sua nipote. Né da quella di sua moglie.»

Lui ci guardò tutti, pregandoci di accomodarci e, dopo aver preso un bel respiro, ci spiegò di Eilis, del suo incontro con lei, della scoperta della sua identità.

Ci mostrò poi la sua rihall sbiadita, poco sopra il polso, la voglia a forma di stella a tre punte dei mac Cumhaill e, sorridendo alle nipoti, asserì: «Non ve ne ho mai parlato perché, in tutta onestà, non avrei saputo da che parte cominciare. E dubitavo mi avreste creduto.»

«Hai rinunciato alla tua pelle, Eilis?» domandai a quel punto, vedendola annuire con foga.

Le sorrisi compiaciuto, prima di rivolgermi a Donovan. «Non ha considerato l’idea di abbandonare la terraferma per Mag Mell. Perché?»

«Se Fay conosce Konag mac Leogh, credo saprà anche cosa è capitato alla sua famiglia.»

Annuii, aggrottando la fronte. Eilis, allora, prese la parola.

«Non solo Konag rimase sconvolto da quello che successe al fratello. Pur essendo solo una sua cugina, il fatto mi colpì nel profondo. Compresi senza fatica alcuna le ragioni che spinsero Konag a portare via i suoi famigliari dal Protettorato, per dirigersi a Mag Mell. Per molto tempo, volli farlo anch’io.»

Sospirò e, lanciando un sorriso carico d’amore a Donovan, proseguì. «Litigai ferocemente con la mia famiglia, quando espressi il mio desiderio di raggiungere Konag e i suoi, così fuggii da casa e raggiunsi la terraferma. Conoscevo piuttosto bene la lingua, ma mi ritrovai spaesata di fronte a una cultura che conoscevo a malapena. Fu Donovan a darmi una mano.»

Lui le strinse le dita in una leggera stretta e, sorridendole, aggiunse: «Non faticai a capire che si trattava di una creatura unica… visto che la vidi mutare in un delfino dinanzi a me.»

Fay si coprì la bocca, ridacchiando e Rachel, sorridendo agli zii, esalò: «Un battesimo del fuoco ben peggiore del mio.»

«Direi di sì. E questo ci porta a voi. Che ci fai qui con voi il principe Krilash mac Lir di Mag Mell, tesoro?» le domandò a quel punto Eilis, lanciando a me un’occhiata curiosa quanto maliziosa.

Non riuscii a impedirmi di arrossire, nonostante tutto.

Rachel guardò la figlia e, sommessamente, le disse: «Mostra loro il polso, Fay.»

Annuendo, lei fece come richiestole e, nel mettere in mostra la rihall completamente destata, dichiarò: «Andremo a Mag Mell, per questo siamo qui.»

Se Eilis sospirò di sorpresa, Donovan aggrottò la fronte e mormorò contrariato: «Quindi, è questo il vero motivo della vostra partenza. Mi era parsa strana la tua reticenza, quando me ne parlasti al telefono ma, visto che mi avevi promesso una tua visita, ho preferito soprassedere.»

Lanciando poi un’occhiata a me, dichiarò irritato: «Vuoi davvero metterla in quei diavolo di recinti per…»

Fay interruppe l’arringa dello zio, replicando torva: «Non cominciare anche tu, zio. Ho già litigato con la mamma, per questo. Sono pronta… e addestrata. Nessuno mi metterà i piedi in testa, nelle senturion

«E tu sei d’accordo, figliola?» mormorò allora l’uomo, rivolgendosi a Rachel.

Lei annuì, pur se avvertii senza problemi la sua ansia e, nello stringerle la mano con forza, asserii: «Fay è pronta. Molto più pronta di tanti fomoriani che entrano per la prima volta nelle senturion.»

Eilis sospirò, annuendo grave e, nel sorridere alla nipote, disse: «So che sei sempre stata molto percettiva, perciò usa questa tua capacità per comprendere subito di chi ti puoi fidare. I fomoriani non usano come dovrebbero questo dono, ma tu sai usarlo. Sfruttalo, Fay cara.»

«Lo farò, zia» assentì lei, con convinzione.

«Sarei lieta se poteste darmi notizie su mio cugino, principe. Sta bene? E come mai si trova anch’egli sulla terraferma?» mi domandò poi Eilis, curiosa.

«Ti lascerò il numero di telefono, Eilis e, per favore, dammi del tu. Non siamo alla Corte. E ora, o tra poco, saremo parenti.»

La notizia non li sorprese più di tanto, ma ugualmente Eilis volle tributarmi il bacio delle madri che accolgono i mariti delle figlie, e io gliene fui grato.

Era bello sapere che, anche in quelle lande, qualcuno aveva voluto veramente bene alla mia Rachel e alla mia Fay.

Spiegai loro i nostri piani, e Donovan ci mise al corrente di una recente notifica della famiglia del padre di Fay.

A quanto pareva, i nonni avevano diseredato la nipote, imponendo alla nuora di non farsi mai più vedere, né di pretendere da loro alcunché.

Ed ecco spiegato il motivo di tanta ritrosia, da parte loro, al telefono. Beh, per lo meno, non ci avrebbero più disturbato.

Nel firmare i documenti che lo zio le diede da firmare, Rachel addirittura sogghignò e, nel sorridermi, dichiarò lapidaria: «Mai notizia mi ha reso più felice… a parte sapere che ti sposerò.»

«E’ già qualcosa» chiosai, scatenando l’ilarità generale.

Quando, ore dopo, ci avviammo per tornare a Dublino, Donovan baciò le nipoti prima di dirci: «La nostra casa sarà sempre aperta se, un domani, vorrete venire a trovarci. Come vedete, c’è posto in abbondanza.»

«Lo faremo senz’altro» promisi loro, prima di sorridere a Eilis, aggiungendo: «Chiama Konag. Sono sicuro che sarà felicissimo di sapere che una sua parente è qui.»

«Lo farò, e ancora grazie. Per loro, e per Konag» mormorò, ringraziandomi con un cenno del capo.

Assentii e, nell’allontanarmi assieme a Rachel e Fay, dissi: «Ora sono più tranquillo. Per tutto.»

«E io sono pronta.»

Fay annuì all’indirizzo della madre, annuendo a sua volta.

Era tempo. Nulla ostacolava più la nostra partenza.

 
***

La mia seconda pelle era stesa su un ripiano da lavoro, che Rohnyn aveva sistemato nel garage della sua casa sul mare.

Nella mia mano, un pugnale cerimoniale.

Rachel e Fay, accanto a me, scrutarono ansiose il tessuto luminescente, così simile ai colori di una madreperla, e deglutirono preoccupate.

Sapevano ormai più che bene che, quel mantello dalla trama sottile, era in realtà molto di più.

Ed erano al corrente che, praticare delle incisioni su quel tessuto, avrebbe voluto dire infliggermi un dolore immane.

Ma era l'unico modo per portarle a Mag Mell da donne libere e, per loro, avrei sacrificato ben di più di qualche lembo di pelle.

Quando avvicinai la lama, Rachel mi afferrò il polso, bloccandomi, e domandò: «Sei sicuro che non ci sia altro modo?»

«Più che sì, Rachel. L’alternativa, sarebbe farvi bere parte del mio sangue, ma questo vi confinerebbe per sempre entro le pareti della barriera che protegge Mag Mell, e questo non lo farò mai. Perciò, state pronte, per favore. Sanguinerò un poco.»

Lo dissi con un mezzo sorriso, ma non convinsi nessuna delle due.

Fay strinse al petto le pezzuole pulite che avrebbero usato per curarmi mentre Rachel, con un sospiro, lasciò la presa dal mio polso.

Senza attendere oltre, affondai la lama nel tessuto e, istantaneo, un dolore cocente riverberò sulla mia schiena, portandomi a digrignare i denti.

Sia Rachel che Fay ansarono spaventate e, a giudicare dal bruciore alla spalla, ipotizzai fosse comparsa la prima ferita.

Intaccare la pelle di delfino, non era un processo che si potesse attuare senza aspettarsi dei danni collaterali.

Essa era legata a doppio filo con il nostro sistema nervoso centrale e, ciò che veniva fatto a lei, si ripercuoteva su di noi.

Era un'ottima difesa in battaglia ma, se lacerata, lasciava strascichi sul nostro corpo.

Resistente sì, ma non indistruttibile.

«Tampona la ferita, per favore» mormorai a denti stretti, lanciando un'occhiata a Rachel.

Lei assentì, afferrando dalla mano di Fay una delle pezzuole.

Quando avvertii il suo tocco, soffiai tra i denti per il bruciore, ma proseguii nell'incisione.

Avrei dovuto ottenere due lembi di tessuto da stringere attorno alle loro rihall, così da sopperire alla mancanza della loro pelle di delfino.

Sapere se sarei riuscito a portare a termine quell’impresa, però, fu difficile a dirsi.

Ogni millimetro in più era fuoco che mi divorava le carni e, pur avendone avuto piena coscienza prima di iniziare, sentirlo su di me fu ugualmente sconvolgente.

Erano davvero troppi secoli che non combattevo seriamente, e non rammentavo più cosa volesse dire ferirsi a quel modo.

Avanzai comunque con decisione, per ridurre al minimo il tempo di incisione e, palmo dopo palmo, la ferita sulla spalla di allargò.

Rachel però non disse niente e, a giudicare dallo sguardo volitivo di Fay, neppure lei sarebbe crollata.

Immaginai quanto costasse loro guardarmi mentre mi infliggevo quelle ferite, ma erano anche consapevoli che, questo gesto, avrebbe dato loro la libertà.

E un nuovo futuro.

Quando infine ottenni una striscia abbastanza lunga per entrambe loro, tolsi il coltello dal tessuto e tagliai in due il lembo ottenuto.

Rachel continuò a tamponarmi la ferita sanguinante e, competente, iniziò a fasciarla stretta perché non perdessi troppo sangue.

A quel punto, mi volsi verso Fay e, con un mezzo sorriso, le dissi roco: «Allunga il braccio, lehen, tesoro, per favore.»

Assentendo tremula, mi mostrò la rihall e, quando avvolsi la mia pelle al suo polso, questa si ancorò al suo simbolo dinastico come una ventosa.

Sorrisi, soddisfatto del risultato.

Sapevo solo in teoria che, una cosa del genere, avrebbe dovuto accadere, ma vederlo dal vivo fu tutt'altro affare.

Quando Rachel ebbe terminato di curarmi, mi volsi infine verso di lei, notando le sue lacrime trattenute a stento.

Le carezzai una guancia, baciandola teneramente, e sussurrai: «Guariranno. E le cicatrici le porterò con onore.»

Ciò detto, mi inginocchiai e avvolsi la sua caviglia.

Come era successo per Fay, anche in quel caso la pelle aderì perfettamente.

Rialzandomi a fatica – il dolore alla spalla quasi mi accecava – asserii perentorio: «Ora, arriva la parte più difficile. Dovrete compiere un autentico atto di fede, perché vi chiederò di entrare in acqua... e di respirare a pieni polmoni.»

Nessuna delle due parve, all'apparenza, spaventata, ma i loro pensieri errabondi mi giunsero con violenza, smentendo ciò che stavo vedendo.

Erano terrorizzate, e non diedi loro torto.

Al loro posto, se fossi nato come umano, sarei corso via urlando.

Ugualmente, le presi entrambe per mano e, insieme, ci dirigemmo verso la spiaggia.

Faceva freddo, quel giorno, e i miei abiti da fomoriano non mi proteggevano per nulla dall'aria gelida proveniente dall'oceano.

Non vi badai e, rafforzando la stretta sulle loro mani, mormorai: «Andiamo.»

Quasi all'unisono, sia Rachel che Fay si volsero indietro per lanciare un'ultima occhiata alla casa di Rohnyn.

Non era un addio definitivo, ma entrambe sapevano che, da quel momento in poi, la loro vita sarebbe cambiata per sempre.

Nulla di strano che la paura stesse facendo capolino proprio in quel momento.

Lasciai perciò loro il tempo necessario per abituarsi, per lasciare agli ultimi residui di panico di abbandonare i loro corpi, dopodiché mi avviai.

Immergemmo i piedi nell'acqua gelida e Fay, sbuffando, si lagnò per la temperatura bassissima.

Le sorrisi comprensivo, baciandole la chioma fulva.

Per l'occasione, li aveva legati in una lunga treccia.

Avanzammo lentamente, sperando che si abituassero alla temperatura e, pur tremando, entrambe proseguirono verso il largo.

Quando divenne impossibile camminare, mi immersi per primo e, per diretta conseguenza, loro dovettero seguirmi.

E fu lì che ebbi paura per loro.

Avevo dovuto chiedere lumi ai Tre Saggi, per conoscere correttamente il modo giusto per portarle a Mag Mell, ma non sapevo di nessuno che aveva compiuto gli stessi gesti.

Se fossero morte per colpa mia, come avrei fatto a sopravvivere?

Non impiegarono molto a farsi prendere dal panico.

L'atavica paura di affogare prese presto il sopravvento e, tappandosi la bocca, entrambe cercarono di non prendere fiato.

Tutto fu vano.

A un certo punto, i polmoni agirono per riflesso, obbligandole a prendere una boccata d'aria. Che, in quel caso, era acqua.

Le guardai terrorizzato, più che cosciente del loro terrore puro ma, quando entrambe ebbero deglutito la prima boccata di acqua salata, si chetarono.

I loro movimenti frenetici si ridussero e, sorprese e sgomente assieme, mi guardarono al colmo dello stupore.

«Potete anche parlare, ora» dissi loro, ascoltando il suono della mia voce, distorto dalle correnti marine.

Fay rise e, a occhi sgranati, provò a dire qualche parola.

Io, allora, guardai Rachel e le chiesi: «Tutto bene?»

«E' … è strano. E l'acqua è amarissima!» esalò, scoppiando a ridere un attimo dopo per poi abbracciarmi.

La strinsi a me, lieto che tutto avesse funzionato alla perfezione e, nell'osservare Fay alle prese con l'acqua, fui felice di aver rischiato.

Loro erano la mia nuova famiglia, e niente avrebbe potuto spezzare questo legame.

Le ripresi per mano e, con un sorriso che avrebbe illuminato anche l'antro più oscuro, dissi loro: «Ci aspetta una nuotata di almeno un'ora. Siete pronte?»

Entrambe annuirono e, insieme, ci dirigemmo verso Mag Mell, verso il nostro futuro assieme.

 
***

Non seppi dire chi, delle due, fu più sorpresa, quando oltrepassammo la barriera difensiva di Mag Mell.

Quello di cui fui sicuro fu che, entrambe, si guardarono intorno stranite, sorprese di trovare un'autentica metropoli sul fondo dell'oceano.

Fino a qualche istante prima, i loro occhi avevano scorto solo fondali sabbiosi, rocce e pesci di ogni genere e forma.

Alcuni banchi di sardine si erano intervallati a radi cacciatori notturni, ma nulla le aveva preparate a quello spettacolo.

Perché immaginavo che, agli occhi di uno spettatore occasionale, Mag Mell apparisse grandiosa come i dipinti su Atlantide.

I suoi alti palazzi si inerpicavano verso l'alto, arrampicandosi sui fondali marini sconnessi.

Alcuni, quasi lambivano la cupola protettiva creata con la magia.

Le sue piazze, ampie ed ellittiche, si intervallavano a lunghe vie interminabili, abbellite da statue, fontane e creazioni naturali in roccia o corallo.

La reggia, poi, risplendeva per bellezza e grandiosità, sulla parte più alta della città.

Il più imponente tra i palazzi di Mag Mell, si estendeva per centinaia di iarde in tutte le direzioni, e le sue alte torri svettavano longilinee e fiere.

Variopinto come una conchiglia di madreperla, il palazzo reale era composto da più ali, ma il corpo principale svettava nel mezzo con la sua cupola a campana.

Lì, risiedeva il potere centrale, la Sala del Trono, il luogo in cui i Reali incontravano il loro popolo.

Lo stendardo del re sventolava sulla più alta delle torri a coda di rondine e Rachel, nel mettere finalmente piede a terra, esalò esterrefatta: «Ma... come diavolo fa a sventolare?»

«Sfrutta il movimento delle correnti marine all'esterno. Ma se vuoi la spiegazione tecnica, ti farò parlare con uno dei nostri Saggi. Ne sa di sicuro più di me» le spiegai succintamente, sorridendole comprensivo.

Immaginavo senza fatica quanto, tutto questo, potesse confonderle.

A quell’ora, le uniche persone presenti erano i militari di ronda presso il palazzo, perciò non avremmo trovato, lungo la strada, curiosi e ficcanaso.

Non che la curiosità dei militari non avrebbe destato qualche ansia nelle mie compagne di viaggio, ma era sempre meglio dell’occhio acuto della Corte.

Prese per mano entrambe, mi diressi perciò verso il palazzo reale, sperando di potervi entrare prima che i servizi segreti del re comunicassero il nostro arrivo.

Non persi tempo a spiegare ciò che incrociammo lungo il cammino – avremmo avuto tempo per questo – e, nel raggiungere il cortile esterno, mormorai: «Lasciate parlare me, per ora.»

Entrambe annuirono e, quando uno dei soldati si avvicinò a noi, rizzai le spalle e persi qualsiasi desiderio di sorridere.

Salutai il soldato, riconoscendolo subito e, quando lui notò la presenza di Rachel e Fay, si fece immediatamente guardingo.

«Principe Krilash, sono davvero spiacente, ma sapete bene che non posso far entrare nessuno, a quest’ora tarda. Ordini di vostro padre.»

«Conosco benissimo le regole, Thiar, ma converrai con me che non stai parlando con l’ultimo arrivato, bensì con uno dei figli del Re.»

Mi espressi con tono vagamente ampolloso, lo ammetto, ma l’occasione richiedeva un po’ di sfacciataggine.

Il fomoriano arrossì di rabbia, indispettito dal mio dire, ma si mantenne calmo nonostante tutto.

«Vorrei poter fare un’eccezione, ma non ho scritto io le regole. Nessuno può entrare a palazzo, dopo il doppio rintocco della campana.»

Maledette, stupide regole. Come se potessi fare qualche danno, giungendo a casa mia a notte inoltrata.

Passandomi una mano tra i corti capelli, borbottai disgustato: «Non mi lasci altra scelta, allora. Chiama Sua Altezza il principe Stheta, e fallo venire qui.»

«Che cosa?!» esalò allora il soldato, impallidendo per diretta conseguenza.

«Se io non posso entrare, qualcuno all’interno può dirmi di farlo. Perfettamente entro le regole di mio padre il Re» replicai, lasciando che un sogghigno beffardo si dipingesse sul mio viso.

«Ma Altezza…» tentennò Thiar, non sapendo bene che fare.

Disturbare un principe a quell’ora tarda, non era esattamente quello che uno qualsiasi dei soldati di guardia avrebbe voluto ricevere come ordine.

Ma visto che mi ci aveva costretto…

«Già, Sua Altezza starà sicuramente dormendo assieme alla sua compagna, nella migliore delle ipotesi, e troverà assurdo essere svegliato per una cosa simile. E con chi se la prenderà? Con te, è ovvio.»

Sbuffai, volendo calcare la mano, e aggiunsi: «Andiamo, Thiar, lascia perdere e fammi entrare. Le due signore, con me, hanno bisogno di un cambio d’abito perché, al più presto, dovranno conferire con il Re mio padre, e non possono certo farlo con abiti umani, ti pare?»

La confusione del soldato divenne sempre più evidente, così come la sua indecisione su quale fosse la cosa migliore da fare.

L’arrivo di Stheta, in peplum bianco e rosso e con la lunga e fluente chioma sparsa sulle spalle, raggelò però Thiar, impedendogli così qualsiasi decisione.

In compenso, sul mio viso, apparve per diretta conseguenza un sorriso soddisfatto.

Mi ci era voluto un po’ per raggiungere la mente di mio fratello, nel guazzabuglio di pensieri presenti a palazzo, ma alla fine c’ero riuscito.

E lui aveva risposto al mio appello con la sua solita solerzia, condita con un bel po’ di imprecazioni.

Avrei pensato in seguito a scusarmi con lui e Ciara ma, in quel momento, dovevo pensare a Rachel e Fay.

Thiar fu lesto a inchinarsi e, mentre Stheta lo fissava con espressione irritata, borbottò: «E’ mai possibile che, in tanti secoli, ancora tu non abbia capito come si comporta quello scellerato di mio fratello?»

«Grazie, eh?» brontolai, accigliandomi leggermente a quelle parole.

Rachel fece di tutto per non ridere. A Fay risultò più difficile.

«Le mie più sentite scuse, Altezza, ma le regole parlano per me» mormorò ossequioso il soldato, continuando a profondersi in inchini.

Scuotendo nervoso una mano, Stheta lo lasciò perdere e, con un cenno a me e il mio gruppo, disse: «Prego, seguitemi. L’ora è tarda e il tempo è tiranno.»

Oltrepassando la prima griglia di sicurezza del palazzo, mi affiancai a Stheta, mormorandogli: «Perdona l’intoppo, ma non ho guardato l’orario. Contavo di arrivare prima, a Mag Mell.»

«Non fa nulla. Tanto, ero sveglio a controllare alcuni documenti, e Ciara era impegnata con Lithar» borbottò Stheta, sbadigliando suo malgrado.

«In che senso?» esalai, sorpreso.

Sbuffando esasperato, Stheta sorrise alle nostre ospiti e disse: «Quelle due si sono messe in testa di rimanere sveglie fino al vostro arrivo, così avrebbero potuto aiutarvi con gli abiti.»

«Oh… ma non era necessario!» esalò Rachel, avvampando d’imbarazzo.

«Quando scoprirai come far loro cambiare idea, dimmelo, Rachel. In migliaia di anni, io non l’ho ancora scoperto» replicò ironico mio fratello, dando una pacca sulla spalla alla mia donna.

Fay, prendendomi per mano, mi domandò: «Pensi che i tuoi genitori avranno dei problemi, ad accoglierci?»

«Posso essere certo che il sole sorge a est e che, sulle nostre teste, ci sono centinaia di milioni di metri cubi d’acqua, … ma dare una risposta alla tua domanda mi è impossibile» ammisi, ammiccandole benevolo.

Lei allora sospirò, annuì e chiosò: «Beh, se sono riuscita a fare lo sgambetto a un licantropo, posso affrontare anche il re dei mari.»

Stheta rise sommessamente a quel nomignolo e, guardandomi, domandò: «Perché lo chiama così?»

«Di fatto, il nostro regno si trova nei mari. E chi è il Re?»

«Verissimo. Penso addirittura che potrebbe piacergli, come epiteto» ammiccò divertito Stheta, dando un buffetto sulla guancia a Fay. «Io me lo terrei come jolly, quel nomignolo.»

«Buono a sapersi» assentì lei, sorridendo poi speranzosa alla madre.

Non impiegammo molto a raggiungere l’ala di palazzo dove si trovava Lithar.

Lì, dopo aver bussato alle sue stanze, trovammo ad attenderci uno stuolo di cameriere, già pronte a mettere le mani sulle due nuove arrivate.

Non solo Lithar e Ciara si trovavano lì, ma anche diverse delle loro cameriere che, vedendo Fay, letteralmente si aprirono in sorrisi estasiati.

All’orecchio di Rachel, quindi, le dissi: «Ti avevo detto che ai fomoriani piacciono i capelli rossi?»

«No, ma mi pare evidente» esalò, notando come le cameriere stessero tastando riverenti la treccia di Fay.

Sorridendo, la sospinsi all’interno. «Vi lascio nelle loro buone mani. Noi ci rivedremo più tardi. Prima, ho un paio di cose da sistemare.»

«A dopo» mormorò lei, avvicinandosi solo per darmi un bacio.

Quel gesto, che sulla terraferma sarebbe stato innocuo e normale, scatenò le risatine e i commenti maliziosi delle cameriere.

Mentre Rachel spariva oltre la porta, un po’ sorpresa dalla reazione delle donne, sperai che non fossero troppo insistenti con le domande.

Tante femmine messe assieme, potevano essere pericolose. E inverosimilmente ficcanaso, anche se avevano sangue fomoriano.

Rimasto con mio fratello, ci guardammo vicendevolmente per alcuni istanti, dopodiché dissi: «Possiamo andare. Ho una ferita da far sistemare, e la mia divisa da indossare.»

Stheta assentì, seguendomi lungo il corridoio per raggiungere l’infermeria di palazzo, che si trovava nel seminterrato dell’immensa costruzione.

Se avessi tardato ancora un po’, sarei sicuramente svenuto.

E dubitavo che Stheta avrebbe gradito dovermi trasportare per due rampe di scale, sulle spalle.

 
***

Seduto sul mio letto, terminai di allacciare lo schiniere destro, prima di alzarmi e ammirare allo specchio l’opera completa.

La mia pelle di delfino, ormai completamente rigeneratasi, brillava lucente alle mie spalle.

I bracciali in cuoio e lamine d’oro erano perfetti, lucidati con oli ammorbidenti e borchiati di recente.

Controllando che la corazza fosse sistemata correttamente, passai una mano sulle incisioni, ricavate sull’acciaio con un bagno d’acido e ottime mani di artigiano.

Il simbolo della mia famiglia capeggiava nel mezzo mentre, ai lati, erano state riprodotte le figure sinuose di due delfini.

Le parti in cuoio erano scure, morbide e sagomate alla perfezione sul mio corpo, così come il gonnello a frange borchiate.

La spada pendeva ricurva al mio fianco, mentre un pugnale con l’elsa in avorio era sistemato alla cintura, dietro la schiena.

«Più ufficiale di così, non potrei essere.»

«Manca l’elmo, ma penso potrai farne a meno» replicò Stheta, approvando la mia scelta di presentarmi al meglio.

Sarebbe stato in ogni caso un incontro difficile, ma dimostrare a nostro padre la mia buona volontà, e la mia serietà, avrebbe giovato.

«E’ giunto il tempo. Avete un’ora, prima che inizino i riti del mattino» mi rammentò mio fratello, dandomi una pacca sulla spalla, incoraggiante.

Assentii e, in quel momento, qualcuno bussò alla porta.

Entrambi ci voltammo e Lithar, infilando dentro la testa, disse: «Noi siamo pronte.»

Per l’occasione, aveva indossato a sua volta un peplum come Stheta, con ricami fiorati sull’orlo.

Un lungo mantello le copriva le spalle, ed era fissato tra i suoi seni con la spilla che le avevo regalato.

Sorrisi nel vederla e lei, carezzandola con affetto, mormorò: «Pensavi che non l’avrei portata? Allora, sei più sciocco di quanto pensassi.»

«Mi fa piacere vederla» asserii, uscendo assieme a Stheta.

Nel corridoio, trovammo Ciara, abbigliata similmente a Lithar, solo sui toni del verde, contrariamente a mia sorella, che indossava il bianco e il viola.

Accanto a loro, con la sorpresa negli occhi, vidi per la prima volta Rachel con gli abiti di una fomoriana.

Rimasi a bocca aperta, e lei sorrise nel vedermi così strabiliato, così ammaliato da ciò che vidi.

Le lunghe chiome ramate erano state raccolte in una crocchia sopra la testa, attraverso una rete intricata di fili di seta, a cui erano intervallate miriadi di perle.

Alcune ciocche le scivolavano attorno al viso sottile, mettendone in evidenza le linee aggraziate.

Il peplum era sontuoso, nei toni del verde, dell’oro e del caramello.

Raffinati ricami richiamavano lo stemma del sole a otto punte, simbolo della sua famiglia.

Ai piedi, indossava calzari dorati mentre, ai polsi, tintinnavano sottili bracciali a forma di serpente.

Fay non era meno bella.

La treccia era stata sciolta per formare una trina, fissata con precisione millimetrica dietro la nuca.

Il suo peplum era più semplice, pur se recava a sua volta lo stemma dei mac Cumhaill.

Nei toni del blu e dell’argento, aveva sottili ricami sull’orlo argentato, e la spilla che lo fissava alla spalla era in raffinata filigrana dorata.

I suoi calzari erano in tutto simili a quelli di Rachel e, al polso sinistro, portava un singolo bracciale in cuoio.

Guardai Lithar, che assentì.

Quel bracciale aveva un significato specifico. Stava a indicare che, il giovane che lo indossava, era pronto per le senturion.

Un chiaro segnale, per chi lo avesse voluto cogliere.

«Ora o mai più» assentii, incamminandomi accanto a Rachel.

Fay ci lasciò sfilare e si mise al fianco di Lithar, mentre Stheta e Ciara chiudevano la fila.

Le prime luci del giorno illuminarono i vetri iridescenti dell’alta vetrata del salone delle feste, passaggio obbligato per raggiungere la Sala del Popolo.

Creata per ricevere i postulanti in visita, la Sala del Popolo era, per grandezza e splendore, molto inferiore alla più titolata Sala del Trono.

Era però stata ricavata nel mezzo del palazzo reale, nel luogo più sicuro e inaccessibile, poiché il Re fosse al sicuro nonostante una così alta presenza estranea.

Questo, naturalmente, lo sapevamo solo noi e pochi altri.

Ufficialmente, la sala si trovava lì per dare maggiore spolvero ai postulanti.

Il popolo non poteva – non doveva – sapere quanto poco, il loro Re, si fidasse di coloro che giungevano per parlare con lui.

Le convocazioni settimanali erano un buon modo per tenere pacificato il popolino e, nei casi più fortunati, qualcuno poteva anche ottenere ciò per cui era giunto lì.

Sperai fosse il mio caso, soprattutto per Rachel e Faélán.

Dovevo abituarmi a chiamarla con il suo nome completo, perché sarebbe suonato davvero scortese usare un nomignolo in presenza dei miei genitori.

Al sicuro da orecchie indiscrete, comunque, per me sarebbe sempre stata Fay.

Giunti finalmente dinanzi alle porte della Sala del Popolo, in quel momento ancora chiuse, lanciai un’occhiata a una delle guardie e dichiarai: «Desidero conferire con le loro maestà. So che sono già all’interno, perciò avverti il cerimoniere che vorrei essere annunciato.»

La guardia assentì prima di lanciare un’occhiata incuriosita a Rachel,… e all’abito che portava.

Erano millenni che lo stemma dei mac Cumhaill non si vedeva, a palazzo, ed era quasi scontato che lui non l’avesse riconosciuto.

«Chi devo annunciare, assieme alle loro Altezze, Mio Signore Krilash?» si informò il soldato.

«Puoi dire che fhiora Rachel mac Cumhaill e fhiora Faélán mac Cumhaill sono giunte per porgere i loro omaggi al re e alla regina.”

A quel punto, la guardia fece tanto d’occhi, si inchinò e si affrettò ad aprire la porticina che collegava l’esterno con l’alcova dove si trovava il cerimoniere.

Il secondo soldato, nel frattempo, aprì le porte per noi e, fattosi da parte, ci permise di avanzare.

Levai perciò la mano, perché Rachel potesse poggiarvi la propria e, al suono musicale della voce del cerimoniere, avanzammo lungo la navata centrale della sala.

Sui loro scranni, la coppia reale si levò in piedi nel sentir nominare il nome dei mac Cumhaill e, per un istante, temetti il peggio.

«Ce la possiamo fare» mormorò Rachel, stringendo leggermente la mia mano mentre avanzavamo a testa alta.

Le lanciai un’occhiata orgogliosa, non potendo esimermi dal provare un immenso amore per lei, che stava affrontando impavida un futuro incerto.

Fidandosi unicamente della mia presenza, della mia parola.

Come avrei potuto non amarla?

Era degna del suo nome ma, se anche non fosse stata una mac Cumhaill, l’avrei amata ugualmente.

In qualsiasi modo, in qualsiasi tempo e luogo.

Tornando a scrutare i miei genitori, che attendevano impazienti il nostro arrivo, bloccai i miei passi ai piedi della scalinata che portava ai troni gemelli.

Lì, mi inchinai al pari di tutti i presenti e, con voce chiara e sicura, esclamai: “Giungo a voi, padre e madre, con liete novelle! Dopo millenni di lontananza, i mac Cumhaill sono nuovamente tornati nella loro terra natia, e io qui oggi porto alla vostra attenzione due loro discendenti.”

Muath fu la prima a parlare, gli occhi che, fin dall’inizio, non si erano allontanati da Faélán, come incatenati a un ricordo lontano.

Scese i gradini fino a giungere a noi e, oltrepassandoci, si pose innanzi alla mia adorata figlia, imponendosi in tutta la sua altezza.

“Potrei riconoscere questi tratti anche tra mille persone, e a mille anni da ora…” mormorò come ipnotizzata, levando una mano a sfiorare con un dito il contorno del viso di Faélán. “… ma vorrei vedere la tua rihall, fanciulla.”

Senza minimamente scomporsi, lei mostrò il polso, dove la stella a tre punte spiccava sulla pelle chiara.

Muath ebbe un tremito e, in fretta, si volse verso di noi, lanciando un’occhiata a Rachel.

La studiò con attenzione, sondandone i pensieri con il suo tocco possente, e infine domandò: “La tua rihall, donna?”

Rachel si piegò, scostando le balze del peplum per mostrare la rihall, visibile attraverso i lacci del calzare.

A quel punto, mia madre annuì a Tethra.

Sceso che fu dalla scalinata, ricoperta di tappeti rosso e oro, si fermò a poca distanza da noi e asserì: “E’ evidente sulle loro carni la presenza della tua pelle, figlio. Hai sacrificato una pinta del tuo sangue e la tua stessa carne, per loro?”

“Come scritto, padre. Era l’unico modo equo per condurle a voi, e alla loro eredità.”

Notai un leggero cipiglio, al mio dire, e un velo di irritata ironia che non compresi.

Il suo sguardo era tutto per Muath che, come in trance, stava osservando sia Rachel che Faélán, forse non credendo ai propri occhi.

Volgendosi finalmente verso di me, mia madre domandò perentoria: “Che legame hai con lei? Con entrambe.”

“Siamo sposati secondo le leggi umane” dichiarai con determinazione, e una sicurezza nella voce che, raramente, avevo avuto. “Abbiamo dovuto agire in un determinato modo, per non destare sospetti, o allertare le forze dell’ordine umane. Nessuno sparisce da un giorno all’altro, lassù.”

Tethra sbuffò sprezzante, ma io non vi feci caso.

“La di lei figlia, quindi, è divenuta anche tua figlia” asserì Muath, sempre continuando a guardarmi con attenzione.

Io sorrisi, lanciando a Faélán un sorriso complice, e annuii. “Sì, madre, così sulla terraferma come, spero, qui a Mag Mell.”

“E loro sono al corrente che, vista la sua età, dovrà entrare nelle senturion?” mi domandò ancora, tornando a guardare in alternanza sia Rachel che la figlia.

“Ne siamo consapevoli entrambe” asserirono in coro sia Rachel che Fay, parimenti determinate.

Tethra rise, si avvicinò a Faélán in tutti i suoi tre metri di altezza e, afferratale una mano, iniziò col dire: “Una giovane umana non potrà resistere neppure un…”

Non appena si rese conto della presenza di calli sul palmo della sua esile mano, mio padre la fissò sbalordito, e Faélán resse lo sguardo con coraggio.

“Non sarò capace di difendermi da voi, nonno, ma sono in grado di tirar di spada e di proteggermi con i pugni, se necessario.”

Tutti noi sgranammo gli occhi, a quell’aperta infrazione dell’etichetta, ma Tethra non vi fece alcun caso e, scoppiando nuovamente a ridere, esclamò: “La mia prima nipote, ed è mezzosangue! Questo è davvero il colmo!”

Tutti noi avremmo voluto parlare del piccolo Kevin, e Muath parve intuire la nostra reticenza, ma nessuno si espresse in merito al nipote umano del re.

Perché tutto finisse bene, non avremmo dovuto menzionarlo, pur se questo mi fece sentire meschino come poche altre volte.

Adoravo già quel bambino, e pensare di bandirlo dalla mia vita anche solo per un attimo, mi parve un’eresia.

Ma, quando si aveva a che fare con i reali di Mag Mell, tutto poteva succedere, e molte cose sgradevoli dovevano essere digerite a forza.

“Non avrei dovuto usare la parola ‘nonno’, vero?” borbottò a quel punto Faélán, lanciando un’occhiata di scuse al re. “Vi chiedo perdono, sire, ma non sono abituata a parlare con persone così importanti.”

“Sei davvero sicura di voler entrare nelle senturion, ragazza?” le chiese mio padre, indirizzando uno sguardo interrogativo al suo bracciale.

Annuendo, lei replicò con forza: “Sono una fomoriana, e mi spetta di diritto, oltre a essere un mio dovere. E papà lo fece millenni addietro, perciò…”

Tethra allora si volse verso di me, uno strano luccichio nello sguardo, e dichiarò con una certa ironia: “La bambina sembra esserti affezionata. A quanto pare, anche tu sei caduto nella trappola delle debolezze umane… ma tant’è, sono entrambe di stirpe nobile, e molto altolocate, per giunta, perciò non v’è nulla che osti il vostro legame.”

“Grazie, padre” mormorai ossequioso, reclinando il capo anche – e soprattutto – per mascherare il mio ghigno irrispettoso.

Sarebbe servito a ben poco mostrare quanto, le sue parole, mi avessero indispettito.

“Resterà da vedere se sopravvivrà o meno alle senturion e, di questo, sarai il solo responsabile” aggiunse, tornando verso il suo scranno dopo aver lasciato la mano di Fay.

“Ne sono consapevole, padre” assentii, tornando a scrutarlo con aria seriosa.

Tethra colse un istante per fermarsi accanto alla moglie, fissarla con un livore raro – se collegato a Muath – e, sibilando tra i denti, mormorò: «Ora siamo pari. Tu compisti la tua scelta, ora io ho compiuto la mia. E lei sarà la mia pupilla.»

Non compresi quella frase piena di rabbia, ma il reclinare colpevole di mia madre mi mise in allarme.

Cosa non sapevo? Cosa non sapevamo?

Mio padre proseguì, raggiungendo il trono per poi accomodarsi con la sua consueta regalità e, squadrata infine Rachel, dichiarò: «Siano rese terre e averi alle figlie dei mac Cumhaill, e venga iscritto a registro che, entro le prossime sei lune, mio figlio Krilash mac Lir prenderà in moglie l’erede della ritrovata famiglia di Niamh mac Lir, vedova mac Cumhaill.»

Il segretario personale del re scrisse tutto sulla sua pergamena e, nel lanciare uno sguardo al suo sovrano, domandò: «E per la fanciulla?»

Ghignando al mio indirizzo, Tethra dichiarò: «Che venga condotta immediatamente nei campi. Ha già passato troppo tempo al di fuori di essi, insozzata dalla feccia umana. Che riprenda contatto fin da ora con la sua vera stirpe. Mi ha già dimostrato di esserne degna.»

«Che cosa?!» esclamai, costernato di fronte alla sua scelta. «Non puoi darle almeno il tempo di…»

Mio padre mi bloccò con un gesto secco della mano e, torvo in viso, asserì: «Ha dichiarato lei stessa di essere una fomoriana e, quando riceverà la livrea, lo sarà di diritto. Perciò, non è più il tempo che stia al fianco tuo e di sua madre. Lei andrà con i soldati.»

Dalle alcove poste ai lati delle colonne, quattro soldati fecero la loro comparsa e Faélán, in un attimo, venne circondata e nascosta alla nostra vista.

Rachel non si mosse, pur se percepii senza fatica il tremore che la scosse dall’interno.

Fui io a muovermi verso di lei, ma Faélán mi bloccò con un’occhiata degna di un guerriero.

«Le regole sono queste, e le ho accettate ben prima di venire qui. Va tutto bene, papà. Davvero.» Levò poi lo sguardo per fissare Tethra e, scaltra, aggiunse: «Dopotutto, è il Re dei Mari ad averlo imposto, e io sono sua nipote. E’ giusto che sia così.»

Tethra rise stentoreo, annuendo e – per il mio sommo sconcerto – sorridendo a Faélán che, ritta e fiera, si allontanò da noi senza più guardarci.

Percepii il tremito della sua paura, e compresi il perché di quella decisione: se ci avesse guardati, la sua forza si sarebbe annullata.

E quello non era il momento di cedere, ma di dimostrare a tutti di che pasta era fatta, primo tra tutti al re.

Mentalmente, poi, aggiunse solo per me e Rachel: «Starò bene, perché so che ci sarete voi a vegliare su di me. E poi, avete visto anche voi con chi mi sono allenata. Nessun fomoriano sa come difendersi da un lupo… e io ho imparato come attaccano. Questo non se lo aspettano, da me, perciò saprò come usarlo a mio vantaggio. Ce la farò. Per me e per voi.»

Annuii a fatica, guardandola andare via assieme ai guerrieri di mio padre, uno scricciolo di fanciulla circondata da alti e possenti guerrieri.

Fremetti, ma rimasi fermo accanto a Rachel, sapendo bene che qualsiasi cosa avessi fatto, avrebbe solo peggiorato la situazione.

«Hai altro di cui discutere con me, figlio?» mi domandò a quel punto Tethra, e io fui tentato di spiattellare ogni cosa su Rohnyn e suo figlio.

L’occhiata disperata di Muath, però, mi fece desistere e, con un inchino, mi congedai assieme al mio gruppo, tenendo saldamente Rachel per mano.

Quando finalmente fummo all’esterno della sala, la abbracciai, sapendola ormai prossima a un crollo e, con voce resa roca dalla rabbia, ringhiai: «Me la pagherà cara… poco ma sicuro.»

Ciara, ben più pratica di me, si volse verso uno dei soldati di guardia alla sala - che per secoli aveva guidato di propria mano - e gli ordinò: «Assicurati che la figlia del principe non abbia problemi. Nel caso, avvisami.»

«Sarà fatto,… nei limiti del possibile» assentì il soldato, allontanandosi alla svelta per passare l’ordine ai suoi commilitoni.

Io la ringraziai con lo sguardo ma Ciara, con una spallucciata, replicò: «Sai benissimo che non sarebbe la prima, né l’ultima volta, in cui un soldato aiuta uno dei ragazzi della senturion. Tu e io ne beneficiammo più di una volta, ricordi?»

«Lo rammento benissimo, per questo ti ringrazio» assentii, sorridendo mesto.

Ciara ricambiò con maggiore convincimento e, nell’abbracciare Rachel, mormorò: «Sono tua sorella, Krilash, e ci si prende cura gli uni degli altri, in famiglia. Lascia che pensi io a tua moglie. Le mostrerò le senturion da un punto di osservazione sicuro, così saprà dove recarsi per vedere la figlia.»

Annuii, lasciando che Ciara portasse via con sé Rachel.

Stare al suo fianco sarebbe servito a rendere più tranquilla Rachel e, al tempo stesso, avrebbe impedito a me di impazzire.

Lithar, ferma al mio fianco e più determinata che mai, mi disse: «Proverò a parlare con i nostri genitori. Chissà che a me non diano un po’ retta.»

«Va bene così, Lithar. Non voglio che tu finisca nei guai per causa mia» scossi il capo, pur ringraziandola. «Inoltre, vorrei parlarti di una cosa molto importante.»

Sorpresa, lei annuì e mormorò: «Il tempo di parlare con loro,  e sarò da te.»

Mi sorrise, dandomi un bacetto veloce sulla gota, e poi scappò via.

Stheta, a quel punto, mi poggiò una mano sulla spalla, domandandomi: «Te la senti di affrontare a tua volta le senturion

«E vederla lì, in mezzo a ragazzi e ragazze che tenteranno di farle più male che ad altri, solo perché è mia figlia?» ironizzai, sentendomi tremare dentro.

Era così facile capire Rohnyn, ora!

Cosa aveva dovuto patire la prima volta, perdendo suo figlio, e cosa aveva dovuto pensare, nel vedere crescere il secondo nel ventre della moglie!?

Avrei preferito di gran lunga combattere di mia mano per mille anni, piuttosto che sopportare di vedere per un solo giorno la mia bambina nelle senturion.

Ma Faélán si era dimostrata abbastanza coraggiosa da accettare la sfida, e io e Rachel avremmo dovuto combattere allo stesso modo.

Mi avviai perciò con Stheta per raggiungere i recinti ma, nel passare sul retro della Sala del Popolo, nostra madre ci bloccò il passaggio.

Entrambi ci irrigidimmo, ma lei ci sorprese con il suo sguardo spiacente, una cosa davvero rara, per Muath.

«Se tu mi avessi avvertito che avresti portato qui le nipoti di Niamh, forse…» mi accusò debolmente, senza la sua consueta forza.

«Ricordo ancora bene cosa successe con Ciara» replicai venefico, lanciando un’occhiata veloce a Stheta, che annuì torvo.

Muath accusò il colpo e si accigliò, ma non demorse.

«Solo la parvhein l’ha salvata dal cappio, e tu lo sai bene. Quanto ai Saggi, non fatico a credere che ci sia stato lo zampino di Stheta, visto quanto li ha sempre visitati con assiduità.»

Nel dirlo, fulminò con lo sguardo il figlio maggiore, che però non mosse ciglio.

«Cos’avreste dunque fatto, ditemi? Se non rammento male, inveiste contro Niamh per anni e anni, per aver scelto un mortale come marito.»

«Avrebbe dovuto parlarmene… l’avrei consigliata in merito, invece fece tutto di testa propria» si lagnò nostra madre, mostrando un dolore vecchio di secoli.

Possibile che il legame tra cugine fosse stato così saldo, e quell’episodio le avesse divise solo in apparenza?

«Sapevo bene che Oisín agognava a tornare nella sua terra natia, e niente di quello che gli offrì Niamh, sarebbe servito a convincerlo a rimanere» proseguì Muath, torva in viso. «Questo avrebbe voluto dire perderlo per sempre, nel momento stesso in cui lui avesse messo piede in Irlanda. E così fu. Oscar e Plon rimasero senza padre, e Niamh si lasciò andare, secolo dopo secolo, morendo di tristezza. Persi sia lei che i suoi figli, che decisero di vivere da mortali, come lo era stato il padre. E tu ora mi chiedi perché avresti dovuto dirmelo? Le avrei protette entrambe, ecco perché!»

«Scusatemi, madre, se non vi credo neppure un poco» replicai, gelido.

Non mi interessava di ferirla. Io ero già stato piagato a sufficienza dai loro modi insensibili.

Muath si accigliò non poco, adombrandosi in viso, ma non rispose.

Io e Stheta, allora, ci allontanammo un poco ma lei, richiamandoci, domandò: «Stanno bene?»

Ci bloccammo, avendo capito perfettamente a chi si stesse riferendo.

Reclinando il capo, mormorai: «Sia Sheridan che Kevin stanno bene. E Rohnyn pensa che potranno avere altri figli.»

Non ci domandò altro, limitandosi a tornare nella Sala del Popolo, e noi proseguimmo lungo la nostra strada.

Quando raggiungemmo una delle balconate più alte del palazzo, guardammo dabbasso, dove si potevano scorgere i confini esterni delle senturion.

Laggiù, scorsi non meno di una quarantina di ragazzi dalle chiome brune, bionde e ramate.

Ma non faticai a capire chi, fra essi, fosse Faélán.

E risi quando, in risposta a uno spintone, lei assestò un degno pugno in faccia al suo assalitore.

Stheta, al mio fianco, dichiarò lieto: «Con pugni simili, si farà strada senza problemi.»

«Lo credo anch’io.»

Mi guardò, sorrise, e infine aggiunse con orgoglio: «E, come ha detto lei, è tua figlia. Basterà questo a tenerla in piedi.»








Note: Oserei dire che, in qualche modo, il comportamento dei reali di Mag Mell può aver sconcertato. Le parole di Tethra alla moglie, poi, sono state sibiliine, foriere di ciò che avverrà nel racconto di Lithar. A quale scelta si riferisce? E perché Tetrha lo ricorda alla moglie con tanto astio?
Fay sembra aver colpito positivamente sul nonno e sulla nonna, e forse questo la aiuterà nelle senturion, ma non credo ne avrà molto bisogno, vista la sua tempra.
Grazie per essere arrivate fin qui, e alla prossima!
  
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