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Autore: _ A r i a    19/09/2015    4 recensioni
[Ispirata al libro "Il linguaggio segreto dei fiori" di Vanessa Diffenbaugh | questa storia partecipa alla challenge D'infiniti mondi e AU indetta da AleDic sul forum di Efp]
Kidou gli lancia un’occhiata dubbiosa, sorpreso, dopodiché torna a puntare lo sguardo cremisi sul terreno davanti a sé mentre spiega:«Quelle non sono delle semplici piante infestanti, Kageyama, bensì dei cardi. Qualche giorno fa mi è capitato di leggere, su un vecchio manuale che ho trovato nella tua libreria che, secondo il linguaggio vittoriano dei fiori, il cardo rappresenta la misantropia, vale a dire la caratteristica di chi è solitario, odia il mondo intero e rifugia ogni genere di compagnia. Rivedendomi molto in tale sentimento, ho ben pensato che avere sempre a portata di mano un paio di cardi a ricordarmi sempre chi sono facesse proprio al caso mio».
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jude/Yuuto, Kageyama Reiji
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Cardi e spighe di grano



Il cielo è grigio, tetro, ampie nubi cariche di pioggia che si stagliano in alto.

La portiera del passeggero cigola mentre si apre, lasciando scendere un’esile figura.
Un rumore improvviso attira l’attenzione del giovane appena sceso dalla vettura, portandolo ad alzare lo sguardo sopra di lui:dei corvi neri volano in circolo in aria, come un cattivo presagio.
Mentre lascia che la propria portiera si chiuda alle sue spalle, sente quella dal lato opposto cigolare mentre si schiude appena, lasciando sgusciare fuori un’altra persona.
Kidou si sente osservato, uno sguardo puntato sulla sua schiena che lo infastidisce e non poco … detesta essere osservato. Muove qualche passo, l’asfalto è ancora umido per un recente temporale. L’aria è fredda e frizzante, un vento leggero soffia sul panorama, facendo vibrare qualunque cosa gli capiti a tiro, compresa la schiena del ragazzo.
«Ricordami perché siamo qui, te ne prego».
Una voce calda, eppure dal tono leggermente sbigottito, lo distrae dal suo ragionare. Scuote la testa, come per riprendersi da una qualche sorta di stato di trance, quindi muove qualche passo in direzione del guardrail metallico di fronte a lui, incerto.
Sospira appena ma è quasi un’azione di riflesso la sua, non tanto dettata da emozioni o qualcosa di simile.«Ho bisogno di una cosa»si limita a replicare«e questo è l’unico posto dove posso trovarla».
Le scarpe di tela nera si muovono ora più rapide e decise, tanto che finalmente raggiunge la barriera, scavalcandola. Altri passi risuonano nel silenzio più assoluto alle sue spalle, fino a che non avverte la presenza di un corpo accanto al suo.
«Non penserai davvero di saltare giù»sente commentare quasi in un soffio quella stessa voce, ora carica di angoscia.
Kidou flette appena le ginocchia, sorridendo serafico.«Perché, se anche fosse cosa cambierebbe?».
Prima che possa ricevere una risposta spicca un balzo leggiadro, atterrando con grazia al suolo. Non era un gran dislivello quello che gli si proponeva davanti ma evidentemente il suo accompagnatore era stato colto da un improvviso attacco di apprensione.
 Kidou si volta, un sorriso vittorioso dipinto in volto, quindi lo provoca:«Non avrai paura di scendere, no? Oppure se preferisci ci vado da solo …».
In risposta riceve un’occhiata stizzita ma sente comunque ribattere:«Va bene, va bene, ho capito, ci vengo pure io», dopodiché si limita a seguirlo con lo sguardo mentre scende lentamente lungo un avvallamento del terreno, alzando un po’ di polvere nei punti in cui la terra non è stata colpita dalla pioggia.
Quando finalmente raggiunge a sua volta il suolo  sfoggia un’espressione trionfante e fa per avvicinarsi al ragazzo, tuttavia Kidou si volta rapidamente, rivolgendogli nuovamente le spalle, mentre si avvia lungo una strada apparentemente aperta in mezzo ad un campo di grano che pare sconfinato, così non gli rimane altro da fare che seguirlo.
Yuuto cammina sicuro, seppur il sentiero sia un po’ intralciato da rovi e rami secchi, tra le dorate spighe di grano del campo, appena ondulate dal vento. Gli steli sono incuneati verso il basso, piegati dai recenti piovaschi. Kidou stende un braccio verso l’esterno, lasciandolo planare sul morbido tappeto dorato intorno a lui, il vento che muove anche la sua camicia azzurrina, dalle maniche rassettate fino ai gomiti, così che gli avambracci sottili rimangano scoperti ed esposti anche loro al vento leggero, mentre un lembo della maglietta si alza appena, lasciando intravedere un lembo di pelle nuda, così rosea e morbida, del fianco.
Per un momento, forse troppo lungo, gli occhi della persona dietro di lui si soffermano su quel fianco scoperto, quasi avvertendo la necessità di allungare una mano per lasciare che le dita traccino un percorso invisibile su quella pelle perfetta … l’istante dopo però quegli stessi occhi si costringono a cambiare direzione, quasi in collera con loro stessi per i pensieri ben poco licenziosi che hanno permesso alla mente di elaborare, mettendosi così a fissare il frumento dorato ed appena appassito.
«Una cosa che non potevi trovare da nessun’altra parte se non in un campo nel bel mezzo del nulla?»domanda ancora quella voce, forse più per convenzione che per altro.
Kidou ritrae il braccio, sbuffando sonoramente mentre replica:«Possibile che non debba mai andarti bene niente?».
Stavolta dall’altra parte non giunge risposta, così Yuuto si limita a proseguire lungo quel campo immenso, gli unici rumori che gli tengono compagnia sono ora il suo respiro mite, lo scalpiccio dei passi tra le sterpaglie ed il fischio del vento, intervallato di tanto in tanto dallo sporadico gracchiare dei corvi. Di colpo Kidou si ferma, notando un piccolo avvallamento a pochi passi da lui. Dopo un attimo d’incertezza ci si dirige sicuro, fermandosi solo non appena ne raggiunge il limite.
Si inginocchia sul terreno umido, forse macchiandosi appena i jeans mentre protende le braccia verso il basso, sporgendosi pericolosamente in direzione di quei rovi pungenti.
«Ti farai male»si sente ammonire dalla voce sopra di sé.
Finge di non aver sentito quel rimprovero e si limita a ribattere:«Il vaso. Presto».
Sente la zip di una borsa aprirsi, gli oggetti al suo interno vengono rivoltati mentre le mani frugano alla ricerca di qualcosa. Poco dopo vede un vasetto di vetro di quelli delle confetture, accuratamente lavato e privo di etichetta, che cala fino all’altezza dei suoi occhi, già privo del tappo color oro.
Yuuto armeggia ancora un po’ con la pianta, una smorfia di dolore sempre più evidente che si forma sul suo volto. Alla fine però, con uno strattone deciso, riesce a sradicarla, stringendola finalmente per intero tra le sue mani. La fa cadere quasi subito nel vasetto, i palmi ormai fin troppo indolenziti e sanguinanti per tenerla oltre, dopodiché torna a chinarsi e riprende il suo lavoro.
Quando ritiene di aver recuperato piante a sufficienza si rimette in piedi, se non avesse paura di macchiarsi ulteriormente i pantaloni con il sangue cercherebbe di cancellare le tracce di terra, tuttavia si limita a rimettersi nuovamente in cammino, stavolta percorrendo all’indietro la strada fatta in precedenza.
Sente dei passi svelti che lo raggiungono, le piante che tintinnano contro il vetro mentre si sente domandare:«Posso sapere per quale motivo abbiamo fatto tutta questa strada se quello che ti serviva era una semplice pianta infestante?».
Kidou gli lancia un’occhiata dubbiosa, sorpreso, dopodiché torna a puntare lo sguardo cremisi sul terreno davanti a sé mentre spiega:«Quelle non sono delle semplici piante infestanti, Kageyama, bensì dei cardi. Qualche giorno fa mi è capitato di leggere, su un vecchio manuale che ho trovato nella tua libreria che, secondo il linguaggio vittoriano dei fiori, il cardo rappresenta la misantropia, vale a dire la caratteristica di chi è solitario, odia il mondo intero e rifugia ogni genere di compagnia. Rivedendomi molto in tale sentimento, ho ben pensato che avere sempre a portata di mano un paio di cardi a ricordarmi sempre chi sono facesse proprio al caso mio».
Reiji vorrebbe obiettare che, se il suo desiderio era quello di raccogliere delle piante che crescono praticamente ovunque non c’era motivo alcuno di fare tutta quella strada, tra l’altro i cardi sono rinomati per avere lo stelo ricoperto di spine particolarmente aguzze, tanto che Yuuto si è riempito le mani di tagli e quando arriveranno a casa la prima cosa che farà sarà disinfettargliele per bene, oltretutto sono anche sporche di terra a causa dell’ambiente nel quale si trovano. Però decide di non dirglielo, di non farglielo pesare, non vorrebbe mai farlo soffrire, così si limita ad aprire le braccia, come se in questo modo volesse circondare tutto il panorama intorno a loro per poi domandare:«E queste spighe di grano, allora? Anche loro hanno un significato?».
Yuuto arriccia le labbra, come se stesse pensando a qualcosa che lo infastidisce, oppure nel tentativo di afferrare qualcosa di lontano nella sua memoria, sepolto sotto strati e strati di conoscenza, quindi lancia una rapida occhiata a Kageyama prima di rispondere: «Prosperità. Oserei dire che non ne sento bisogno alcuno».
Cala di nuovo il silenzio e nessuno dei due sembra intenzionato ad aggiungere altro. Per un attimo Kidou rimane ad osservare Kageyama che, sempre al suo fianco, lascia scivolare una mano sulle spighe, quasi carezzandole. Poi si limita a proseguire rapidamente, lasciandoselo alle spalle mentre continua ad avvicinarsi sempre di più alla strada.


È tutto buio. Ancora una volta.
Quasi riesce a sentire di nuovo quell’odore stantio e le schegge di legno che, lente ed inesorabili, penetrano dolorosamente nella pelle, incidendola, ferendo quel corpo nel profondo della sua anima.
Ed eccolo di nuovo lì, lo spettro di quell’esistenza così infima, sembra quasi allungare le sue mani fuligginose verso di lui, come se quelle dita così arcigne volessero afferrarlo nuovamente, per trascinarlo nel loro baratro oscuro, infinito, senza via d’uscita.
Quelle grida … quasi riesce a sentirle di nuovo.
Per favore … aiutatemi! Fatemi uscire di qui! Non … non riesco a respirare …


Yuuto si risveglia, ancora una volta, boccheggiando. Balza a sedere in piedi, gli occhi spalancati per il terrore, il fiato corto per le immagini che, ancora una volta, gli sono passate indisturbate davanti agli occhi.
Di nuovo quella stanza … di nuovo quell’incubo. È da così tanto tempo che ne è perseguitato da averne ormai perso il conto.
D’altronde, come biasimarlo? Per anni era stato costretto a subire quella tortura, rinchiuso in una stanza in cima alle scale ad ogni occasione. Quel posto era terribilmente piccolo, si ritrovava perennemente schiacciato tra la porta e la parete lignea che si stagliava alle sue spalle, costringendolo in quell’ambiente dal calore asfissiante, senza finestre, così che l’aria fosse viziata ed irrespirabile.
Nessuno apriva mai la porta e lui rimaneva bloccato in quel posto orribile per giorni, piangendo e pregando di essere liberato, senza ovviamente che la sua richiesta fosse accettata.
Alla morte dei suoi genitori era stato affidato ad un orfanotrofio. Nessuno si era mai accorto delle torture che aveva subito, erano state ben occultate. Non uno si era proposto di adottarlo, d’altronde chi mai avrebbe voluto un bambino taciturno e perennemente imbronciato e pensieroso, con strane cicatrici rossastre che, secondo alcune voci malvagie che giravano di stanza in stanza, erano state causate da riti satanici.
Perché non credervi, dopotutto? Con gli occhi rossi che si ritrovava certe dicerie potevano sembrare più probabili della realtà stessa.
Yuuto avrebbe di gran lunga essere figlio del diavolo in persona e forse era proprio questa la verità, dopo tutto il male che aveva subito portare ancora il cognome Kidou gli faceva venire il voltastomaco.
Eppure, per questioni burocratiche, quel cognome lo avrebbe perseguitato per il resto dell’eternità, come un marchio indelebile di una colpa che non aveva e che, tuttavia, non poteva cancellare in nessun modo.
Si guarda intorno, con ancora il fiato corto, cercando di fare mente locale. Si trova in una stanza accogliente, seduto su di un letto morbidissimo, avvolto tra lenzuola dal candido color panna, l’odore del tè al bergamotto che aveva sorseggiato ormai ore fa che ancora aleggiava tranquillo nella camera da letto, il suo preziosissimo libro sul significato dei fiori assegnato in epoca vittoriana poggiato sul comodino.
È tutto tranquillo, fuori è ancora notte, il buio appena rischiarato dalla luna, alcuni raggi filtrano timidamente dalla finestra, rivestendo la moquette a terra di chiazze di luce meravigliose.
È fortunato ad aver trovato quel posto che, dopo mesi, finalmente si sente di definire “casa”.
Quando, compiuta l’età necessaria per essere autosufficiente, era stato dimesso dall’orfanotrofio, si era ritrovato in un mondo freddo ed oscuro, del quale ignorava ogni cosa. Incontrare, in quel mondo folle e frenetico, una persona tanto gentile come Kageyama era stata la sua più grande salvezza, un’ancora in una società in tempesta.
Ci sono voluti mesi perché imparasse a fidarsi di lui ed a non rivolgergli, spesso e volentieri, un’espressione scontrosa. È stata dura ma ora, perlomeno da quel punto di vista, può dire di aver fatto grandi passi in avanti. Si sente quasi sollevato nell’aver trovato, per la prima volta in vita sua, una persona che, sebbene conosca tutta la verità su di lui, non gli rivolga quegli sguardi compassionevoli che odia, sebbene per tutto il resto del mondo sembri ormai essere una prassi sfiorarlo con quel genere di emozione negli occhi.
Ci aveva messo molto a raccontare tutta la verità a Kageyama ma alla fine l’aveva fatto. Ne era valsa la pena.
Guarda quel corpo disteso accanto a sé, sempre pronto a stringerlo ed a rincuorarlo nel cuore della notte, al sopraggiungere di ogni singolo incubo. C’è un’espressione beata dipinta su quel volto, mentre riposa tranquillamente sotto le coperte.
Anche a Yuuto viene da sorridere, mentre lascia che il suo sguardo si posi sulla cassettiera in fondo alla stanza. Lì, nell’angolo più vicino alla finestra, giacciono i cardi che ha raccolto quel pomeriggio, nel loro vaso di vetro:la luce della luna li irradia completamente, con delicata grazia.
È vero, si è ferito per prenderli … eppure ne è fiero. Le sue mani ora sono ricoperte di bende e Kageyama ha curato con estrema attenzione la pelle lesa, riversandovi sopra grandi quantità di disinfettante. Non sono però nemmeno quelle attenzioni ad inorgoglirlo tanto:è piuttosto la loro presenza, lì, in quell’angolo della cassettiera che lo rende felice, ricordandogli il suo passato. Non è detto, infatti, che quello debba essere anche il suo futuro.
Si accorge solo ora che, tra i cardi, spunta una piccola spiga di grano. È abbastanza certo che l’abbia messa Kageyama ma non ha la più pallida idea di quando l’abbia fatto, né tantomeno del perché.
Chissà che un giorno, magari, il futuro non possa riservare un po’ di prosperità anche per loro due.
Si distende di nuovo sul morbido materasso, accoccolandosi contro quel petto caldo e nudo che sa di speranza, sa di salvezza.
Va tutto bene, ora. Era solo un brutto sogno.





* Angolo dell’autrice *

Di ritorno dal mondo dei morti, eccomi di nuovo qui!
{con questa storia altamente deprimente, certo, but who cares?}
Buon salve, gente! Come va?
Io, ve lo dico subito, malissimo:la scuola è ricominciata e mi sento uno zombie come mai prima d’ora in vita mia.
Comunque.
Ci tenevo ad informarvi –alcuni già lo sanno– che ho modificato il mio nickname da Aria_black a _Porpora_ .
Ma sono sempre io, eh. Un po’ esaurita dalla scuola, certo, ma sempre io.
Passiamo alle cose serie:le spiegazioni riguardanti la shot. Allora, come avrete potuto notare è ispirata al libro “Il linguaggio segreto dei fiori” di Vanessa Diffenbaugh, che amo profondamente. I significati dei cardi e del grano (o frumento che qualsivoglia dire) sono quelli riportati nel dizionario alla fine del libro. Ammetto che inserire anche il significato del frumento è stata una decisione presa all’ultimo momento:l’ambientazione della prima parte della shot mi frullava in mente già da un paio di giorni, quando poi per curiosità sono andata a controllare il significato del frumento mi sono accorta che poteva starci bene pure come messaggio da reinserire a fine shot … una sorta di bagliore di speranza, insomma.
E così è stato.
Come al solito mi piacerebbe sapere che impressione vi ha fatto questa storia, le recensioni sono sempre ben accette, lo sapete.
Bene, penso che per me sia finalmente arrivato il momento per tornare a rintanarmene nel mio angoletto. Chiedo scusa se sono scomparsa di recente ma la mia voglia di scrivere si è presa una vacanza permanente e non ho idea di quando tornerà del tutto. Per ora l’ha fatto sotto forma di questa shot, la prossima … chissà! Okay, mi taccio.
A presto (spero)
Aria ~
   
 
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