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Autore: aniretacs    23/09/2015    1 recensioni
"... un RAGAZZO DISTRUTTO incontra una RAGAZZA DISTRUTTA,
hai detto di aver già tentato di tutto
ma che ha solo peggiorato ogni cosa
Oh ma questa volta... forse questa volta
due ERRORI diverranno una cosa giusta..."
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Qualcosa si sta muovendo in me. Non sono ancora in grado di rendermene conto. Non so neanche se sarò mai in grado di accorgermene. Non so quando, come ne' perché tutto ciò stia accadendo proprio ora. Non so se lo scoprirò mai. Ma qualcuno mi sta portando a galla. A galla dall' oceano di confusione e autodistruzione in cui stavo annegando. O forse... mi sta spingendo ancora più in profondità.

*****

Senza pensarci due volte, mi ritrovo davanti alla sua porta, battendo con tutta la forza che ho per farmi sentire, e per farmi aprire. Se mi vedesse qualcuno, ora, in preda a quest'attacco di collera, mi prenderebbero e porterebbero direttamente in un manicomio.

So che tutto questo è sbagliato. Suvvia, le persone normali accetterebbero la cosa e continuerebbero a vivere. Le persone normali hanno il cosiddetto istinto di sopravvivenza, che li blocca dal fare cazzate. Tu invece, Ally, stai cercando guai, stai correndo loro incontro. Oh cristo, ditemi che non sto davvero parlando con me stessa!
Sembra come se qualcosa si stia letteralmente impossessando di me facendomi perdere ogni capacità di controllo e l'uso della ragione.
Faccio un respiro profondo per tentare di ricompormi un po', consapevole dell'effetto negativo che questo sentimento ha su di me. Tutto inutile.

La porta si apre.

«Ciao!» dice il possessore dei due enormi pettorali (che un misera e povera T-shirt nera sta tentando di contenere) che mi trovo davanti. Credo sia uno dei ragazzi adocchiati da Sjana. Quello che avrebbe dovuto sollevare me e lei contemporaneamente. Sì, sono più che certa che sarebbe in grado di farlo.

Imbarazzato dal mio silenzio, il ragazzo aggiunge:
«Sono arrivato da poco e ancora non conosco quasi nessuno. Piacere, sono Ashton.»

Il ragazzo è poco più alto di me e ha il volto di un bambino cresciuto troppo in fretta. Mi sta sorridendo e due profonde fossette compaiono ai lati del suo viso. Se fossi in grado di provare un qualsiasi tipo di sentimento, avrei già stretto quel bambino un po' troppo cresciuto tra le braccia assicurandogli che tutto sarebbe andato per il meglio. Anche se, probabilmente, non avrei creduto ad una singola parola che sarebbe fuoriuscita dalla mia bocca.
Ha i capelli mossi che gli cadono, sbarazzini, sugli occhi, e sono biondi. I miei muscoli si irrigidiscono immediatamente al solo pensiero di QUELLA particolare sfumatura di biondo, che tutta via non combacia con quella del ragazzo che mi trovo di fronte.

«No. Non sei tu!» mi sfugge dalle labbra.

«Oh! Sono più che certo che sia questo il nome che mia madre mi ha dato quando sono nato!» esclama estendendo ancora di più il suo sorriso e facendo diventare quelle due fossette ancora più profonde.

«Io non intendevo...Scusa...Volevo solo...» Che figura di me**a , «Senti, io devo parlare con il tuo amico. L'ho visto entrare qui.» dico indicando la porta alle sue spalle.

«Emmmh...non credo sia una buona idea. Non potevi arrivare in un momento più sbagliato...»spiega. Il suo sorriso si spegne improvvisamente, lasciando posto ad un'espressione particolarmente dispiaciuta. Ma mai rimandare a domani ciò che può essere fatto oggi, no?

«Fidati, è il momento giusto, il luogo giusto e... scommetto che anche le stelle siano tutte allineante, oggi, per evidenziare quanto GIUSTO sia questo MOMENTO! »

«Mi piacerebbe aiutarti, davvero. Ma non credo sia il caso di...» Sto iniziando ad alterarmi. Non lo lascio neanche terminare la frase che lo afferro per un braccio, come in una forte stretta di mano, e lo tiro a me.

«Ashton! E' il tuo nome, vero?» chiedo mantenendo la stretta e iniziando a ruotargli attorno.

«Ehmm...sì.» risponde, confuso, il ragazzo.

Una volta che mi sono assicurata di essere posizionata esattamente nel punto in cui devo essere, ribatto:
«Bene, Ash! E' stato un vero piacere conoscerti. Ora devo andare. Ciao!»
Un malefico sorriso si impossessa del mio volto. Interrompo il contatto, lasciandogli il braccio. Faccio un passo indietro. E proprio mentre lo osservo sgranare gli occhi, in realizzazione di ciò che sta per accadere, gli sbatto la porta in faccia chiudendolo fuori dalla sua stessa camera. E, di conseguenza, chiudendo, ME, al suo interno.

*****

Sento Ashton battere alla porta, pregandomi di aprire. Troppo tardi, caro. 
Wow. Non ricordo abbia mai fatto nulla del genere in tutta la mia vita. Non so neanche cosa sia questa "cosa" che ho appena fatto. Come dovrei chiamarla? Un dispetto? Di qualsiasi cosa si tratti SONO CERTA di non averla mai fatta prima. Semplicemente, non ho mai fatto. Sono sempre stata chiusa in me, nella mia stanza, guardando la vita scorrermi addosso. Ed ora cosa mi ritrovo a fare? Un dispetto? Uno di quei semplici atti di quotidianità che tanto amo osservare dagli altri?
E' successo tutto così in fretta. E' come se il mio corpo e i miei pensieri fossero stati due entità distinte. La mia mente pensava, mai il mio corpo reagiva a modo suo. Come aveva previsto la Dott.ssa Kells, ho perso il controllo! E per cosa poi?

«Brava! Complimenti, sei dentro! E ora?» chiede una voce alle mie spalle, distraendomi dal mio flusso di pensieri. Bella domanda: e ora?
Negli ultimi due giorni, sono stata talmente presa da questa improvvisa esplosione di rabbia e da questa sensazione di potenza assoluta, che non mi sono mai fermata a meditare su come avrei reagito, o cosa avrei detto una volta che mi fossi trovata avanti al mio misterioso cafone.

Mi volto verso la voce che mi ha parlato. Sul bordo di uno dei due letti che occupano la stanza principale siede un ragazzo. Tento di esaminarlo meglio, nella fioca luce del tardo pomeriggio che penetra dall'unica finestra nella stanza. Gli skinny neri, combaciano; le vecchie converse nere, combaciano; la larga felpa altrettanto nera con tanto di cappuccio ancora alzato, combacia. E' lui.

E' seduto con il corpo inclinato in avanti, gomiti appoggiati alle ginocchia e la testa retta tra le mani. Fissa un punto indefinito a terra. Sembra un'anima in pena. Quasi che mi dispiacerebbe per lui se non fosse per i danni fisici che mi ha procurato negli ultimi due giorni.

«Ora parliamo.» dico usando un tono il più autoritario possibile.

«E di cosa dovremmo mai parlare noi due, dolcezza?» dice senza neanche tirare su la testa, come se non fossi nemmeno degno di essere osservata negli occhi durante un discorso.
E poi...non mi ha chiamata dolcezza, vero?

«"Dolcezza"?!» chiedo, sbalordita.

«Beh, non conosco il tuo nome.» Spiega come fosse un dato di fatto, e senza nascondere un vena di disprezzo nella sua voce.

«Ne' lo saprai mai» rispondo secca, «dobbiamo parlare di te, di me, e di...» Mi interrompe prima che possa terminare la frase.

«"Di me e di te"?» chiede ripetendo le ultime parole che sono stata in grado di pronunciare «non vuoi neanche dirmi il tuo nome e già vuoi parlare di noi? Non ti sembra di correre un po' troppo, dolcezza?» dice ponendo particolare enfasi sull'ultima parola. Sa che mi da fastidio, e continua ad usarla. Coglione.
Le sue mani, impegnate a reggere il suo pesante testone, continuano a impedirmi di vedere il suo volto, e tutto ciò che riesco ad esaminare è la sua voce. E non mi piace. Non mi piace nulla di lui.

«Parliamo di ME; di TE; di TE che ti fiondi come una furia addosso a ME mentre scendo un dannato treno, e rischio di fratturarmi tutte le ossa; di TE che mi rispondi alzandomi un dito medio, come se fosse stata colpa mia; di TE che mi spingi, facendomi cadere su di un tizio in bicicletta; di TE che mi dedichi di nuovo un dito medio, perché, a quanto pare, è stato di nuovo colpa mia; e di TE che mi fai versare una tazza di liquido BOLLENTE, addosso!» termino la paternale.

Non risponde. Ma ride. Ride di gusto.

«Lo trovi divertente? Guardami, cazzo, e dimmi cosa ci trovi di così dannatamente divertente!» gli ordino alzando la voce, e chiaramente infastidita dal suo comportamento.

Contro ogni mia aspettativa, il ragazzo alzo lo sguardo verso di me. Dannata luce troppo fioca e dannato cappuccio in testa, non riesco ancora a distinguerlo in volto. Ma lui riesce ad vedere me e si lascia scappare un "Ohh" divertito, chiaramente riferito alla mia condizione fisica attuale: ai miei jeans macchiati di olio di catena di bicicletta; alla mia maglietta coperta di polvere di strada e bagnata di camomilla bollente; ai miei capelli arruffati e al mio meraviglioso bernoccolo in piena fronte!

«Immagino già cosa vuoi dirmi. Dolcezza!»

«Ti ho già detto di non chiamarmi in quel modo. E dubito tu sappia qualcosa. Coglione!» rispondo a denti stretti.

Evidentemente il mio nomignolo non è stato granché apprezzato, perché improvvisamente il ragazzo si alza e fa come per scaraventarsi contro di me. La furia chiaramente dipinta in volto. Ma, a circa mezzo metro di distanza da me, si blocca di colpo serrando violentemente i pugni e i muscoli della mascella, come se stesse lottando contro se stesso per evitare di fare una cazzata.

A questa distanza riesco a definire bene i suoi contorni. E' dannatamente alto, cosa che non avevo notato prima dato che durante i nostri precedenti incontri, prima che potessi davvero accorgermi di lui, finivo per trovarmi stesa a terra, dolorante (e da laggiù tutti sembrano particolarmente alti). 
Durante il suo scatto di furia il cappuccio è scese dal suo capo. Una leggera barbetta incolta gli copre parte del volto, facendo risaltare il lipring nero che, delicatamente, buca l'angolo sinistro del suo labbro inferiore, Gli occhi del colore del cielo primaverile quando il sole splende alto a mezzogiorno. E finalmente, riesco a definire la particolare tonalità dei suoi capelli: sono di un biondo più scuro d'inverno.

Dopo un lungo minuto di totale silenzio, il ragazzo sembra ricomporsi.
«Quello che vuoi dirmi è che sono uno stronzo, un bastardo, un figlio di puttana e qualche altro prevedibile e scontato insulto.» spiega guardandomi dall'alto, utilizzando la propria altezza come mezzo per incutere terrore. E ci sarebbe riuscito se non fosse che tutta quest'arroganza non fa altro che alimentare l'ira in me. Vorrei strappargli il collo a morsi. Agggh!

«Sai cos'è preoccupante? Il fatto che tu sappia di essere così e, tuttavia, non sembra che voglia far nulla per impedirlo. E, perché no?, magari anche per migliorarti!»

Il ragazzo scoppia in una vivace risata.
«Sei ridicola. Vieni qui a sputare sentenze e neanche mi conosci. Vieni qui a parlare di "migliorarsi", ma ti sei vista? Tutta rabbia e parole sprezzanti. Una rabbia che ora ti convinci a scaricare su di me. Ma la domanda è: cos'è che ti fa provare tutto questo disprezzo nella tua piccola inutile vita? Da cosa ti stai nascondendo?» questo non è affatto il modo in cui avrei pensato questo confronto potesse concludere.

«TU non sai nulla di me. TU, mi fai disprezzare la mia piccola e inutile vita! TU sei l'unico ad usare parole sprezzanti e prive di senso.» sibilo tra i denti.

«Già. Chiamiamola legittima difesa. Infondo non sono io a ritrovarmi in camera di un completo estraneo, ad importunarlo perché nessuno mi ha aiutato ad alzarmi per strada.»

«Sei uno stronzo. Ecco cosa sei. » Sentenzio stringendo le mani a pugni. Solo dio sa la forza di volontà che sto mettendo per non prenderlo a pugni. La cosa più frustrante è che mi sembra di discutere con un 13enne, anziché con un giovane uomo di 19-20 anni. E' esasperante.

«Eccolo, il famoso e patetico insulto con cui credi di potermi ferire.»

«Non è colpa mia se questa parola ti rispecchia alla perfezione.» sputo senza neanche pensare.

Il ragazzo non risponde subito. Rimaniamo in silenzio per un paio di minuti. Sento i suoi occhi penetrare nei miei come alla ricerca di qualcosa. Tento di ricambiare lo sguardo, di analizzare la persona in piedi a pochi centimetri da me. Ma è come fissare una parete completamente bianca. Nulla. Nulla di significativamente rilevante da poter usare come arma. Lo sento scavare all'interno dei miei pensieri, mentre io non ho assolutamente nulla per ferirlo. Si sta nascondendo. Si sta proteggendo. Da me.Ormai questa è una guerra.

«Sì» esclama, semplicemente, dopo un po'.

«Sì, cosa?» chiedo confusa, tentando di non interrompere il contatto visivo. Non sarò io a perdere questa battaglia.

«E' colpa tua se ti trovi in queste condizioni fisiche ora. Di certo non è colpa mia se sei invisibile ai miei occhi. Invisibile agli occhi della gente per strada. Invisibile agli occhi del mondo. Semplicemente, è come se non esistessi.»

Tutta la rabbia accumulata negli ultimi due giorni sembra improvvisamente dissolversi, lasciando il posto a qualcosa di più pericoloso. Mi sento come nuda di fronte al mio cecchino.

Sono sempre stata io a cercare l'invisibilità. Tentare di eclissarmi con lo sfondo del mondo per osservare l'intero universo vivere e mettersi in funzione. Ho sempre aspettato in disparte lasciandomi trasportare dalla mia vita, e non viceversa.

Ho sempre cercato l'invisibilità. Ho sempre cercato la solitudine. Ho chiuso la vera me, la parte più fragile del mio essere, in un posto molto nascosto nel mio cuore. Lontano da occhi indiscreti. Lontano da tutti. Ed ora mi ritrovo davanti a un completo estraneo che tenta di leggermi dentro, di scavare negli abissi più profondi del mio essere, solamente con lo scopo di ferirmi, a causa di qualcosa più grande di noi che non riusciamo a controllare.
Perché lui è come me.
Certi cose, ceri comportamenti, certe verità nascoste dietro a sguardi e a parole apparentemente senza senso, sei in grado di comprenderli solamente se vivi e provi simili pene a quelle dell'altro.

Quello che provo ora? Paura. Paura che tutte le difese che ho costruito tra me e il mondo possano essere fatte distruggere. Paura che l'universo possa finalmente vedermi: fragile, spezzata, completamente distrutta al mio interno.
Con il tempo mi sono auto-educata a stare lontano dalle persone, a evitare contatti inutili, con lo scopo di proteggermi. Questo ha fatto crescere uno spesso e impenetrabile muro di ghiaccio intorno al mio cuore. Un muro che ha intorpidito tutte le mie emozioni, rendendomi apatica nei confronti di tutto ciò che mi circonda. Ma ora, è come se una piccola crepa si stia formando sullo strato più esterno del ghiaccio. Fa male, quasi fisicamente. 
Non avrei mai pensato che la prima emozione che fossi in grado di provare, dopo tanto tempo, fosse la paura.

Quello che accade ora? Si chiama istinto di sopravvivenza. Non credevo avessi mai potuto provarlo...forse perché non ho mai avuto nulla da difendere così ardentemente.

Alzo il pugno chiuso contro di lui, cercando di colpirlo al viso. Il ragazzo però è più rapido e blocca il mio pugno a mezz'aria tenendo il mio polso, con forza, nella sua mano.
Cerco in qualche modo di liberarmi, ma tutti i tentativi sono vani, Tento allora di colpirlo con l'altra mano, ma il ragazzo afferra anche questa e mi spinge con forza contro il muro in cartongesso, provocando un sonoro tonfo.
Il ragazzo mi sta spaventando.
Mi sta letteralmente schiacciando sotto il peso del suo corpo; mi tiene i polsi fermi contro il freddo muro e i suoi occhi, in cui è tornata la furia più pura, inchiodano, minacciosi, i miei. Sento il cuore martellarmi nel petto, sento l'adrenalina corrermi nelle vene, tra i miei muscoli intorpiditi.
Il ragazzo avvicina ancora di più il viso al mio.

«Non farlo mai più» mi avverte stringendo i denti. In una diversa situazione, avrei potuto ribattere con qualcosa, ma quegli occhi azzurri, con tutto ciò che nascondono dietro, mi fissano in modo così minaccioso che perdo ogni briciolo di coraggio di dire nulla.

«ALLY?» Sento, prima, la voce di Calum chiamarmi dal corridoio dall'altra parte della parete alle mie spalle, e poi Ashton borbottare qualcosa. Il ragazzo che ho chiuso deve aver chiamato rinforzi.

«Allora è Hayley, eh?» chiedendo il mio nome. Non rispondo. Mi limito a scuotere la testa. Mi sento talmente distrutta dentro che ho paura di sentire la mia stessa voce spezzarsi nel bel mezzo di un discorso. Notando il mio silenzio, continua «Non fai più tanto la spavalda, eh Hayley?» mi schernisce, sorridendo perfidamente e continuando a fissarmi dritto negli occhi.

«TUTTO A POSTO LI DENTRO?» chiede la voce proveniente da fuori.

La presa del ragazzo sui miei polsi si fa sempre più stretta, mi sta facendo male.
Mi lasci sfuggire un debole «lasciami», ma il ragazzo non si muove di un centimetro.

«Lasciami» ripeto con più convinzione, «lasciami, cazzo!» esclamo iniziando a dimenarmi.

«Vedi di non rompermi più, Hayley, altrimenti giuro che te la faccio pagare.»

«LASCIAMI, DANNAZIONE!» urlo rafforzando i miei tentativi di liberarmi dall'inflessibile presa del ragazzo.

«ALLY! CHE STA SUCCEDENDO?» chiede Calum preoccupato , in risposta alle mie urla. Nel frattempo qualcuno riprende a battere alla porta e muovere la maniglia nel tentativo di aprirla. Darei qualsiasi cosa per raggiungere il ragazzo dall'altra parte della parete.

Sono stufa di questa situazione. Sono stufa della persona che ho di fronte. Voglio solo porre più distanza possibile tra me e lui. Non voglio più vederlo. Avrò anche i miei problemi, ma lui non è di certo messo meglio. 
Una volta che ho capito che tutti i miei tentativi di liberarmi sono inutili, gli assesto una ginocchiata nei gioielli di famiglia.
Il ragazzo si piega in avanti dal dolore, lasciando andare i miei polsi. 
Non perdo un attimo di tempo e approfitto di questo momento per sgattaiolare via, e correre ad aprire e uscire fuori dalla porta.

Una volta fuori trovo Calum (e Ashton) ad aspettarmi, e mi fiondo tra le sue braccia. Sento il ragazzo inizialmente sorpreso da quest'improvviso contatto, ma una volta che avvolgo le mie braccia intorno al suo busto, lui non esita a ricambiare l'abbraccio.

Sento il mio "aggressore" seguirmi fuori dalla porta.
«STRONZA! GIURO CHE TI FACCIO MALE!» mi urla contro.

Calum istintivamente, indietreggia facendomi scudo con il suo corpo e, contemporaneamente, stringendomi ancora di più a se'. Mentre Ashton blocca l'amico.
«LUKE, cazzo! DATTI UNA CALMATA.»

Luke.
"Poco mi importa delle tue minacce, perché ora mi sento al sicuro e protetta".Penso, affondando il mio viso tra le braccia del ragazzo che mi tiene strettaal suo corpo, e inspirando in un grande respiro il suo profumo a me tantofamiliare.

 

______________________________________________________________

Woah. Questo capitolo è lungo o.O

Prima di tutto chiedo scusa per il ritardo, ma "qualcuno" ha deciso di annunciare un nuovo Derpcon. E così, senza pensarci, mi sono messa a disegnare. Anche se già me ne sono pentita...insomma, non ho più l'età per questi concorsi! Non riesco a stare dietro ai voti, all'uni, e alla mia vita contemporaneamente. Pfff, la vecchiaia!

Comunque:

1) da una prima lettura sembra che abbia descritto Ashton come un "quasi culturista" (hahaha) e Luke come una sottospecie di criminale che picchia le donne. E tutto in un unico capitolo. Wow. Forse è meglio che la interrompa questi miei tentativi di scrittura;)

2) Calum <3

3) Hey, hey, Hayley, won't you save meeeeeee!
 

Tengo molto a questa storia (per quanto confusionaria sia), ma ammetto che mette tanta angoscia anche a me, sia a scriverla che rileggerla.

Quindi pensavo, nel frattempo, di pubblicare, in un opera a parte, tante piccole OneShot/Imagine sui ragazzi (magari su argomenti più allegri e vivaci), e pensavo di farlo SU RICHIESTA. 
Potreste richiedermi qui, su Wattpas o su twitter,.. ciò che volete leggere e io ve lo scrivo.
Interesserebbe a qualcuno?

Grazie ancora a chi legge, sia qui che su Wattpad...vi voglio bene <3
Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo,
keep smiling 
e a presto

Cate xx

 
   
 
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