° Abisso del
Profondo°
Atto.3
“LADRA,
LADRA, LADRA!”…
Si svegliò
di soprassalto, boccheggiando per scacciare la sensazione di annegare
che
ancora le attanagliava la gola, e staccandosi dalla fredda
parete che era
stata il suo sostegno durante il sonno. Purtroppo non era stato un
incubo come
aveva sperato, perché effettivamente vomitò quel
liquido indistinto su un
pavimento blu scuro. Tuttavia era asciutta, come prima. Lo scenario era
simile
al precedente, un corridoio immerso nella penombra, eppure totalmente
diverso
perché le pareti in questo caso erano dello stesso colore
uniforme delle
piastrelle su cui era seduta. Si alzò faticosamente in
piedi, mentre un ronzio
disturbante le ricordava il dolore della pressione sui timpani durante
la
discesa in quelle strane profondità, prima che venisse
ingoiata dal mostro
degli abissi. Cercava di ricordare come avesse fatto a raggiungere quel
posto e
cosa avesse effettivamente sognato perché aveva la
sensazione che vi fosse
qualcosa di importante che doveva sapere sul motivo per cui era
lì, un
dettaglio urgente che le avrebbe svelato il significato di tutto
ciò. Tuttavia
mentre si arrovellava la mente, qualcosa di bagnato le
impattò sulla fronte
facendola scattare come una molla e battere il cuore
all’impazzata nel
petto. Guardò verso l’altro pregando che nessun
essere mostruoso le stesse
tendendo un agguato dal soffitto. Fortunatamente le sue paure vennero
dissipate, ma ugualmente la scoperta non fu piacevole in quanto si
trovò difronte
ad una distesa nera di un materiale sconosciuto, che a prima vista
poteva
essere simile alla china, ed increspato da lievi onde di risacca.
<< Sono caduta da lì?>> chiese
al vuoto sconcertata, poiché non si
ricordava minimamente dell’urto con il suolo.
<< Ma come sono ancora
nella galleria?>> disse, notando due grossi quadri
affiancati che
ritraevano lo stesso tratto di cascata con rocce affioranti,
ciò nonostante
distinti per il diverso colore dell’acqua: quello alla sua
sinistra aveva uno
scroscio rosso sangue, mentre l’altro era di un celeste
chiarissimo come se un
velo ghiacciato avesse cristallizzato la superficie; eppure erano gli
unici
quadri appesi per quanto potesse vedere nella semioscurità.
Tutto il contesto
era dannatamente assurdo e per questo pensò davvero che
quanto era successo
fino ad allora fosse soltanto una sua fantasia, un incubo che stava
facendo
appisolata da qualche parte nella mostra per sfuggire alla visita
forzata. Ma
si poteva sognare in un sogno? Altrimenti Ib non poteva spiegarsi
ciò che era
appena accaduto. Comunque decise di sperimentarlo sulla sua pelle con
un
classico trucchetto, per capire se si era ancora svegli o meno: si
pizzicò un
braccio con forza. Il dolore le percorse tutto l’arto
raggiungendo il centro
del suo sistema nervoso.
“ Decisamente non sto avendo un incubo”
decretò trattenendo le lacrime perché
aveva ecceduto con il vigore della stretta. Appurato che era desta,
questa
consapevolezza le diede le vertigini. Non riusciva a capacitarsi, era
impossibile! Non poteva essere…
Era persa nella sua incredulità, quando il mare al contrario
sopra la sua testa
incominciò ad incresparsi violentemente, formando cavalloni
degni di una
tempesta.
“ Forse è meglio che sposti da qui”
pensò la ragazza, guardando apprensiva le
onde infrangersi con uno scroscio contro le pareti laterali. Ora le si
presentava un nuovo dilemma. “Da che parte andare? Destra o
sinistra”. Decise
di andare a caso, non che potesse fare molto altro e prese la strada
alla sua
destra seguendo il corridoio. L’oscurità era fitta
e a malapena riusciva a
vedere dove stesse andando, perciò per tutto il tragitto di
diversi minuti,
tenne una mano sul muro per non inciampare o andare a sbattere contro
qualche
ostacolo improvviso. Finalmente raggiunse la fine, dove un quadro di
una lisca
di pesce in nero spiccava contro la parete blu. Non
osò leggere la
descrizione e puntò direttamente verso la porta di un tono
di turchese più
scuro. Afferrò la maniglia e con fermezza
strattonò l’uscio, ma la porta
era chiusa. Riprovò nuovamente sbatacchiando il legno contro
la cornice e ciò
nonostante non successe niente. Allora si chinò per
osservare attraverso il
buco della serratura cosa vi fosse al di là, dove il nero
più totale si
estendeva a perdita d’occhio.
Purtroppo non c’era altra soluzione; doveva tornare indietro
e prendere l'altra strada oppure trovare la chiave per aprire
quell’ingresso. Ripercorse i
suoi stessi passi stando attenta al pavimento e sperando di trovarvi,
per un
miracolo, ciò che le serviva. Passò davanti ai
due quadri gemelli e proseguì
oltre nella direzione opposta. Questa volta la superficie su cui
poggiava la
mano le sembrò fredda e viscida al tocco. Ib
osservò i polpastrelli su cui era
depositato uno strato appiccicoso color rubino. Col panico negli occhi
ispezionò la parete che la sovrastava balzando
all’altro capo del corridoio.
Per tutta la lunghezza del muro color oceano, era scritto con vermiglie
lettere
cubitali: “ VIENI VIENI VIENI VIENI”. Dunque era
quella la strada giusta da
prendere? Non voleva andare ulteriormente avanti, ma nemmeno voleva
rimanere
bloccata lì, in quella terra di nessuno, con una burrasca
che infuriava sopra
la sua testa, inoltre non aveva nessun altro luogo dove andare.
Ingoiò il
groppo che le occludeva la gola e si incamminò, tesa come
una corda di violino,
mentre le diciture la seguivano come un ombra comparendo con schiocchi
sul
colore monocromatico e con le lettere che pendevano sempre
più sbilenche. Toccò
un tavolino all’estremità del percorso che
sbarrava l’ennesima porta sprangata.
Guardando meglio però, Ib notò che sullo
scrittoio dal design retrò e scuro,
c’era un vaso di terracotta con appoggiata al suo interno una
rosa scarlatta
dai petali chiusi. Le sembrò una visione troppo bella in
quello spazio così
cupo e pieno di orrori per essere finta là per
puro caso. Con lo scopo di
accertarsi che non fosse una scultura, sfiorò con la punta
dei polpastrelli i
petali setosi e questa si dischiuse rilasciando il suo
peculiare ed
intenso aroma. Alla ragazzina erano sempre piaciuti quei fiori, li
riteneva
fragili e tenaci allo stesso tempo perché difendevano la
loro corolla con dure
e pungenti spine, inoltre nel linguaggio botanico erano sinonimo di
passione e
regalità. Invece il colore scarlatto simboleggiava
l’amore, la vita, il sangue
e il fuoco, oltre ad essere considerato il colore del Dio della
felicità nelle
culture antiche e non solo.
Era davvero incantevole e si domandò nuovamente come mai
fosse stata lasciata
là a marcire nell’oscurità, quando
ancora nessuno aveva assistito alla sua
fioritura.
“ È tua Ib. Tu e la tua rosa siete la
stessa cosa ed ora conosci il peso
della tua vita. Dunque devi prenderla se vuoi andare avanti, altrimenti
il
tavolino non si sposterà” disse una voce
fuoricampo a cui era impossibile
dare un’età o anche solo un genere. Era saggia
come d’un anziano ma giovane,
gentile ma profonda come di un uomo.
<< Chi sei? E perché sono finita
qui?!>> chiese allora Ib
sospettosa, sebbene mossa dal desiderio di appagare il suo interesse.
Era
sempre stata un tipo curioso, oltre ad essere anche molto avventurosa,
però un
conto era cercarsele le avventure ed un altro era finire in un mondo
surreale e
horrorifico; per quest’ultimo motivo il suo spirito
spericolato era al momento
annichilito e tutto quello che non poteva vedere, e non solo, era una
potenziale minaccia. Però la rosa era davvero stupenda e non
seppe resistere
all’invito di coglierla. Immediatamente il tavolino
si disintegrò
mandando in frantumi il vaso, che sparse le sue schegge appuntite e
l’acqua che
conteneva, su tutto il pavimento.
La ragazza rimase di sasso, mentre l’eco rimbombava in ogni
dove, mischiandosi
allo sciabordio della mareggiata. Se non altro adesso il passaggio era
sgombro
e la porta socchiusa, perciò non farsi domande al momento
era la soluzione
migliore. Fece attenzione a non ferirsi con i cocci e varcò
la soglia. Entrò in
una stanzetta quadrata dello stesso intonaco delle pareti là
fuori, ma la cosa
che la impressionò maggiormente fu il ritratto di donna
difronte a lei. Era insolitamente
pallida e aveva gli occhi chiusi, come se stesse riposando con un
leggero
sorriso sulle labbra. Inoltre una cascata di lunghissimi capelli neri
le
ricadeva sulle spalle fasciate di bianco, scavalcando addirittura la
cornice.
Tra queste tende nere si poteva intravedere un fogliettino
giallo del
tipo usato per i promemoria. Si avvicinò cauta, pensando che
come era successo
con i quadri in galleria, anche questo potesse prendere vita e nel qual
caso,
era meglio evitarlo.
Quello che lesse alla fine fu: “Quando la rosa appassisce
anche tu morirai”.
“ Che significa?” pensò Ib. La frase era
talmente surreale che non riusciva ad
afferrarne il senso, come le parole che poco prima aveva sentito
e poi,
come se potesse morire in un posto simile. Quel bizzarro post-it le
sembrò solo
uno scherzo di cattivo gusto di qualcuno che voleva metterle paura,
perciò
smise di lambiccarsi su quello che accadeva lì dentro, non
aveva senso perché
anche chiedendoselo non avrebbe comunque trovato una risposta. In
compenso era
sicura di una cosa, ovvero avrebbe trovato l’autore e gliene
avrebbe dette
quattro.
Nel resto della sala non vi era nulla degno di nota, dunque che fare?
Stava per
uscire in cerca di una strada alternativa quando un luccichio sul
pavimento
catturò la sua attenzione. Alla fine aveva trovato
l’oggetto delle sue
ricerche, ovvero una chiave blu notte che poteva essere solo della
porta
all’altro capo e della stessa sfumatura.
Contenta come non mai per la prima cosa che andava nel verso giusto,
rimirò il
manufatto dalle forme tondeggianti ed infantilmente semplici.
Un guizzo nero nella penombra la fece girare sui talloni e fissare il
dipinto
che fino ad allora l’aveva osservata assopita.
“ Sarà stata la mia immaginazione” si
disse per tranquillizzarsi, infilando la
sua via di salvezza nella tasca della gonna, ma appena puntò
il riquadro nella
stanza, la donna spalancò di scatto gli occhi neri e
iniettati di sangue. Sul
volto era comparso un ghigno demoniaco, rivelando una chiostra di denti
aguzzi
e macchiati di sangue, mentre una schiuma cremisi tingeva le labbra ed
il mento
di rosso.
“ Ladra!” urlò una
voce femminile nella sua testa, che nulla aveva di
gentile rispetto alla prima, e le tenebre presero a tremolare. Adesso
poteva
capire cos’era stato il movimento che l’aveva
distolta dai suoi pensieri, si
trattava dei capelli della donna che, cresciuti smisuratamente, adesso
tappezzavano tutta la stanzetta.
“LADRA!” ripeté
nuovamente in tono rabbioso, nel mentre che ciocche di
capelli si disponevano come lance nello spazio che le separava.
Ma non aveva rubato nulla perciò non capiva come mai quel
mostro ce l’avesse
tanto con lei. Che fosse colpa della rosa? Ma le era stato detto che
era sua e
poi sentiva uno strano legame con quel fiore solitario, non poteva
volerlo. Non
rimaneva che la chiave, ma le era necessaria per spostarsi, dunque non
gliel’avrebbe ceduta e senza pensarci due volte si
catapultò in direzione della
porta, sperando di essere più veloce di quella chioma di
tentacoli.
Sfortunatamente appena varcata la soglia, una ciocca serpentina
riuscì ad
afferrarla per la caviglia, strattonandola all’indietro.
Ruzzolò sul pavimento
finendo dritta sul legno ed i cocci del contenitore rotto, battendo
violentemente il gomito e l’addome sulla pavimentazione
divenuta una grattugia.
Il dolore fu rapido ma intenso come una scarica elettrica.
Sentì le schegge
graffiarle gli arti e penetrare nella pelle, facendole sfuggire un
rantolo,
mentre la capigliatura, improvvisatasi un lazzo, continuava a
trascinarla verso
la padrona come un cane fedele, ed incurante dei frammenti acuminati su
cui era
riversa la ragazza. Ib doveva liberarsi ed in fretta,
altrimenti aveva la
sensazione che se non fosse riuscita a sfuggire al dipinto, non sarebbe
mai più
uscita da quella camera; così si aggrappò allo
stipite della porta e con un
immenso sforzo vi si ancorò trattenendosi con le braccia.
Tuttavia il tentacolo
non demordeva anzi, trovando resistenza incominciò a tirarla
con intensità
crescente, strattonando la gamba con tale violenza che Ib ebbe
l’impressione
che potesse staccargliela in tronco. La prima cosa da fare in ogni
caso, era
sciogliere il nodo di capelli che le imprigionava e a tale scopo
afferrò un
frammento liscio e tagliente come un rasoio, o almeno così
le sembrava sotto l’effetto
stimolante dell’adrenalina. Strinse la sua arma con forza
finché non ne sentì i
bordi affilati inciderle la pelle, trovando in una sensazione fisica
una
motivazione per non lasciarsi andare. Non poteva avvicinare la gamba
alla
scheggia, perché la forza della chioma era più
forte della sua, allora,
trovando determinazione nel suo spirito di sopravvivenza,
lasciò
improvvisamente il suo appiglio sicuro ed assecondando la spinta
trainante, si
mise a sedere per tranciare più facilmente la ciocca con un
colpo secco e
deciso. I fili neri si tramutarono subito in un povere cupa che si
disperse
nell’aria scossa dalle urla del quadro femminile. Col cuore
che batteva
all’impazzata, Ib si voltò di scatto e veloce come
il vento, fece schiantare la
porta nella sua stessa cornice. Si allontanò di corsa
chiedendo alle sue gambe
uno sforzo sovrumano, essendo in quel momento inseguita da minacciose
lettere
scarlatte che la identificavano come una ladruncola. Le bruciavano i
polmoni ed
i suoi occhi sondavano in vano nell’oscurità, ma
proprio per questo non
si fermò finché non raggiunse la destinazione.
Prese allora la chiave che aveva
custodito al sicuro in tasca e, lottando contro la frenesia del momento
che la
faceva incespicare, tentò di farla combaciare perfettamente
con la serratura. I
tentacoli erano riusciti in qualche modo a superare
l’ostacolo ed ora
convergevano nuovamente su di lei, poteva percepire
nell’ombra chiazze
d’inchiostro ancora più nere , dense e ondeggianti.
“ Ib calmati altrimenti sarai davvero spacciata!”
urlò mentalmente e
finalmente, con un gesto urgente, la chiave scattò nella
serratura.
La ragazza scivolò contro la parete della stanza oltre la
soglia, fino al
pavimento. Ce l’aveva fatta per un soffio e, non appena era
riuscita a bloccare
l’uscio, facendo girare nuovamente la chiave nella toppa
questa si era
disintegrata lasciando il posto ad un mucchietto di polvere celeste.
Ora era
bloccata in quel nuovo limbo, incerta su dove andare e su che fare per
l’ennesima volta. Raccolse le gambe contro il petto,
circondandole con le
braccia, e si lasciò andare ad un pianto disperato, dando
finalmente sfogo alla
paura ed alla frustrazione, mentre la sua rosa perdeva silenziosamente
quattro
petali ormai raggrinziti.
Non sapeva
di preciso quanto tempo era rimasta in quella posizione a versare
salate
lacrime amare, tuttavia dopo quell’esplosione di sentimenti
negativi, si sentì
se non meglio, per lo meno svuotata come un recipiente pronto per un
nuovo
compito di contenimento. Quando si riprese del tutto, si accorse di un
cartaceo
riquadro giallo ai suoi piedi.
|Aiuta
la formica e guadagna l’uscita|
dicevano quei curiosi e
bambineschi segni neri sul foglietto.
“ Certo che le sorprese non hanno mai fine … e poi
quale formica?” pensò Ib
apatica ed ormai rassegnata a seguire il filo di quelle stramberie.
<< Ciao! Ehi, ehi, sono qua
giù!>> la sorprese una vocina stridula
e flebile. Spostando lo sguardo un po’ in giro, vide una
macchiolina nera sul
pavimento, era disegnata eppure si muoveva come l’insetto di
cui portava il
nome. << Hai visto il mio quadro?>> le
chiese descrivendo ampi
cerchi con il corpo minuto.
<< Il tuo quadro?>> ripeté la
ragazza.
<< Sì, mi raffigura. Dovresti vedere che bello
che è! Sai prima era in
quella stanzetta laggiù, poi è stato spostato
più lontano e non riesco a
raggiungerla, così adesso non posso più
vederlo.>> stridette amareggiata.
Quindi il suo compito consisteva nel riportare al suo posto il
ritratto, solo
così sarebbe riuscita ad uscire? Sembrava abbastanza
semplice.
<< E sai dove l’hanno portato?>>
domandò per ottenere più
informazioni. Forse stava impazzendo, si era messa a parlare con un
disegno a
forma di formica come se fosse la cosa più naturale del
mondo. Alla fine le era
come se fosse finita nella storia del paese delle meraviglie, solo che
doveva
inseguire, invece di un bian-coniglio, un dipinto. La qual cosa, le
sembrò un
divertente controsenso: i quadri mica si spostavano di loro
volontà e per
questo dovessero essere inseguiti! Poteva quasi sorriderne. A questo
punto non
c’era nessun altra opzione plausibile se non fare quello che
le era stato
chiesto.
<< In fondo, dietro l’angolo …
credo>> rimuginò.
Per Ib era confortante sapere che nemmeno la sua ingaggiatrice avesse
la più
pallida idea di dove fosse stato appeso. Cedette perciò
all’idea di vagare a
caso in cerca dell’oggetto d’indagine.
<< Ho capito. D’accordo, lo cercherò
per te e lo rimetterò a posto, va
bene?>> sospirò esausta, rimettendosi in
piedi.
<< Grazie mille! In cambio riceverai
qualcosa>> esultò l’esserino nero
riconoscente.
“Immagino una chiave per uscire da questa stanza”
concluse mentalmente la
giovane. prima si sbrigava e prima sarebbe uscita di lì,
magari avvicinandosi
d’un passo alla conclusione di quel delirante incubo.
Si diresse e seguì il corridoio alla sua sinistra, mentre la
formichina la
incitava a tornare presto per ritirare la sua ricompensa. Strano, per
il
momento non era successo nulla di ché e la cosa le
sembrò sospetta, tuttavia
non vi si soffermò più di tanto, e raggiunse la
parete di fondo in poco tempo.
Come aveva detto l’esapode, appena dopo la svolta vi era
l’immagine descritta
che spiccava sul bianco perlaceo del foglio. Non era tanto grande e
poteva
essere trasportata facilmente, anche per una persona minuta come Ib.
Tuttavia mentre la ragazza stava per afferrare la cornice, vide la
porta
smeraldo occhieggiare poco più in là e la
curiosità ebbe la meglio. Si avvicinò
cauta e saggiò la maniglia, ma non ci fu verso di muoverla,
era chiusa. Doveva
aspettarselo. Stava per tornare sui suoi passi quando uno schianto la
fece
sobbalzare a un metro da terra. Pensava di essersi infine liberata di
un po’ di
tensione ed invece era ancora tesa come una corda di violino.
Aspettò quello
che le sembrò un’infinità di tempo,
prima di lasciare il pomello per cercare
l’origine del suono proveniente dal corridoio appena
percorso. Scoprì invece
che il rumore era stato prodotto dall’impatto della cornice
sul pavimento ed al
suo posto, sul muro , era comparsa una scritta fluorescente
perfettamente
visibile con la luce soffusa della sala.
“Non vale, vuoi barare!
Allora paghi pegno, perciò
da adesso stai attenta ai bordi!! ”
Lei barare?
Era così sbagliato voler cercare di scappare da un luogo
completamente privo di
senso?! Cercò di calmarsi e non perdere le staffe per
analizzare meglio lo
stile uguale al fogliettino di prima. Ricevere due messaggi a distanza
di dieci
minuti l’uno dall’altro, era inquietante e
praticamente impossibile,
soprattutto perché nei sogni non si potevano leggere le
scritte, così recitava
un documentario che aveva visto in Tv.
“ Devo
rassegnarmi al fatto che non si tratta di un dannatissimo
incubo”
meditò.
Quest’
informazione le era riaffiorata alla mente solo in quel momento,
che strano non se ne fosse ricordata prima. Ma cosa poteva indicare
come
effettivamente normale in tutto quello?
Perciò
c’era qualcuno che la stava seguendo e spiando, se non si
trattava di un
delirio. In un certo senso ci sperava ancora, perché era
molto meglio
impazzire, visto che non ne eri consapevole, piuttosto che essere la
vittima di
qualche macchinazione. In ogni caso, lo sconcerto si
impadronì di qualsiasi
altro sentimento e ponendole l’interrogativo sul se esistesse
davvero gente del
genere. Trattenendo a stento i brividi, la ragazza non volle pensarci,
non in quel
momento, e bai-passò il nuovo senso di inquietudine.
Infilò la cornice sotto al
braccio e ripercorse a ritroso la strada.
“ I
bordi? Perché mai dovrò starci
attenta…” si chiese, ma purtroppo, dopo
neanche un secondo, la sua curiosità venne soddisfatta. Per
qualche arcano ed
oscuro motivo, contro ogni legge della fisica, laddove c’era
stata una solida
ed interrotta parete, si protesero degli scheletrici arti neri da
entrambi i
lati. Istintivamente Ib si gettò a terra, lasciando la presa
sul quadro, seppur
rinsaldando quella sulla rosa e coprendosi la testa con le mani. Prese
a
tremare vistosamente perché gli arti erano fatti di
… capelli! Capelli neri!
“
Q-quella donna è riuscita ad estrare?! Non può
essere, ti prego basta!!!!”
strillò la sua mente febbrile congetturando una via di fuga.
Poteva strisciare
fino al punto di partenza, dove stava la formica, oppure correre e
sperare di
non essere afferrata all’improvviso. Strinse più
forte le ciocche di capelli
per risolversi e saltò in piedi, schivando quelle cose
disgustose e
trascinandosi dietro il manufatto. La ragazza ignorò la
formichina che le
chiedeva di dare un’occhiata al suo ritratto e come una furia
spalancò l’altra
porta. A sbarrarle il passaggio vi era però una voragine sul
pavimento con una
impercettibile segno più chiaro. Non ci pesò due
volte ed usò il quadro come
passerella per l’altro lato. Trascurò volutamente
il suono scricchiolante delle
suole sulla tela, insieme alle impronte rosse che lasciò in
seguito, non poteva
sopportare qualcos’altro. Riprese nuovamente fiato
appoggiandosi alla parete
della nuova stanzetta occupata da un manichino senza testa e qualcosa
di
rilucente sul pavimento vicino alle suole scarlatte della statua.
Ib in un primo
momento non si mosse, rimanendo a fissare sbigottita il quadro
che torreggiava dietro alle spalle della figura nera e coperta di
rosso: una
leggiadra farfalla veniva attaccata da un ragno striato di giallo. In
qualche
modo aveva il presentimento che se si fosse avvicinata, la scena si
sarebbe
tramutata in realtà, dove lei avrebbe interpretato il
lepidottero. Nonostante
ciò non poteva mollare ad un passo dalla possibile salvezza
e armandosi di una
corazza di coraggio, avanzò con cautela chinandosi
leggermente, senza
distogliere lo sguardo dalla statua, per afferrare rapidamente
l’oggetto e poi
darsela a gambe. Nell’istante in cui i polpastrelli lo
urtarono, la
donna-scultura si animò a scatti, protendendosi in avanti
con uno scatto per
afferrare Ib. La ragazza si ritrasse e saettò verso la
porta, usando gli
stipiti come perno per svoltare senza schiantarsi contro il muro
difronte e
oltrepassare il ponticello creato innanzi. Si voltò solo un
attimo per
calcolare quanto avesse distanziato l’essere, e vederla
precipitare nella
voragine del pavimento. Il quadro, già intaccato dal peso
seppur leggero di Ib,
aveva ceduto definitivamente sotto quello massiccio della busto,
facendolo
sprofondare nel baratro nero. Lei non se ne curò, anzi
meglio, per lo almeno un
problema se ne fosse andato. Adesso poteva correre fino
all’altra porta per
lasciarsi alle spalle anche quella tortura.
<<
Cosa è successo al mio quadro??>> stridette la
formica, vedendo
la ragazza ritornare senza. << Cosa hai
fatto!!!>> urlò.
Ib si
tappò le orecchie, impugnando l’inseparabile fiore
in una mano e la
chiave smeraldo nell’altra, zigzagando tra quei viticci
carbonizzati e bramosi
di stritolarla. Questa volta non si fece prendere dal panico e con
destrezza
sbloccò la serratura per chiuderla nuovamente, una volta
passata dall’altro
lato. E come prima questa si disintegrò, lasciando che una
polverina verde che
scivolò tra le sue dita. Si voltò, appoggiando le
spalle sempre all’assito ed
osservando il nuovo scenario. Davanti a lei il corridoio si biforcava
ai lati
di due gialle iridi ferini dalle pupille strettissime che la
osservavano
ossessivamente dal muro.
Spalancò
gli occhi per l’ennesima brutta sorpresa.
“Quando
finirà tutto questo?” si chiese Ib in preda ad un
rinnovato sconforto.