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Autore: Eleanor S MacNeil    24/09/2015    2 recensioni
Vol. I – La Figlia dello Scorpione
Di sangue grondano le mani. Di vendetta sono le voci che si alzano dalla terra.
Immersa nell'acqua del mare e nel sangue è riposta la corona degli scorpioni.
Posta sul capo del cervo e del lupo brilla la corona di foglie e ferro.
D'oro e sabbia è la corona dei leoni e nella terra è custodita quella dei serpenti.
Ascolta i bisbigli del silenzio, ascolta il clangore della battaglia, poiché la guerra è alle porte e il vento della vendetta soffia più forte.
Loro vogliono Sangue.
Loro vogliono Vendetta.
Loro porteranno Morte.
Quando i re cadranno nuovo sangue regnerà.
Possa il sangue di Tanaros vivere in eterno.
Revisionata.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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I Figli di Tanaros – Trailer

I Figli di Tanaros – This is War

Soraya an Sgairp – Broken Crown



Cap. 1

Crùn








In piedi, sopra la scarpata, guardava la valle sotto di lei. Cadaveri e sangue ornavano la terra, corvi neri dalle ampie ali banchettavano sui corpi dei caduti, il canto dei lupi la travolse, nefasto e terrificante. Un teatro di orrori e supremazia, quanto poteva essere oscuro l'animo degli uomini.

Soraya guardava quello scempio con occhi terrorizzati. Sentiva il cuore batterle all'impazzata mentre scrutava tra i volti dei cadaveri, cercando qualcuno di sua conoscenza.

All'improvviso il cielo si fece terso e nuvole rosse oscurarono il sole, rendendo quella visuale più cupa e tetra. La pioggia cominciò a cadere, ma a bagnarle il volto non era acqua, ma sangue caldo e denso che cominciò a sporcarle la veste bianca. Sentiva il sapore ferreo nella bocca, la vista si offuscò e sentì il terreno cedere sotto i suoi piedi, lasciandola cadere in mezzo ai cadaveri. Si sollevò, cercando di tenersi in equilibrio tra quei corpi e arti morti, ma era tutto inutile, sembrava che le sue gambe fossero paralizzate. Poi, guardandosi attorno, scorse uno stendardo sventolare su una lancia. Il blu marino con lo scorpione nero degli an Sgairp era logoro e sporco, ma sembrava svettare in mezzo a quel mare di morte e sangue.

«Devi fermarlo.»

Soraya si voltò di scatto, cercando la fonte di quella voce, ma c'erano solo i corvi che volavano sopra la sua testa.

«Prima che un'altra alba giunga.»

«Chi sei?» urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, guardandosi attorno. «Cosa vuoi da me?»

«Sono io, mio piccolo scorpione.» Occhi blu come il mare, capelli biondi come il grano e una veste bianca che pareva non toccare terra, ma sporca di sangue sul ventre. Sua madre la stava osservando con le mani giunte, il volto pallido e lo sguardo vuoto di chi aveva perso la vita.

«Madre.»

«Ogni uomo combatterà la propria guerra, è inevitabile, figlia mia. Il nostro è un mondo di cenere e morte e nessuno vi può sfuggire.» Parole criptiche quelle di Seraphi, tanto quanto quel campo di battaglia dove la carneficina aveva avuto luogo.

Cercò di muoversi, ma le sue gambe erano come bloccate, inghiottite dalla terra sporca di sangue. Si divincolò nel tentativo di liberarsi, ma più si muoveva, più sprofondava.

Paura, ansia, rabbia. Poi il buio e tutto divenne ombra.

Soraya spalancò gli occhi, alzandosi di scatto. Era nella sua stanza, nel suo letto, a Rìoghachd. Si guardò attorno, respirando affannosamente. Un altro sogno, un altro incubo.

Fuori la notte regnava sulla capitale del regno di Crùn e il mare s'infrangeva contro l'alta scogliera su cui sorgeva la Rocca. D'istinto si alzò, uscendo sul balcone per osservare il mare di Iar.

Il castello sorgeva su uno dei corni che delimitavano la baia di Liath, da lì poteva scorgere il faro e il porto. Alla sua destra il mare, alla sua sinistra la baia e, dietro di lei, Clagh e le miniere.

Lasciò che la brezza marina le sfiorasse il viso, muovendo i lunghi capelli sciolti sulla schiena. Era così inebriante, restare ferma con gli occhi chiusi ed il rumore delle onde ad animare i suoi pensieri. Le navi ondeggiavano nel porto, il faro illuminava la baia conducendo le imbarcazioni in acque sicure. Perfino le stelle, quella notte, sembravano voler alleviare i suoi pensieri, risplendendo nel cielo notturno. Solitamente, quando si svegliava da un incubo, Ragnar, suo marito, la rassicurava, ma quella notte non era nel letto con lei. Con il Re a Clagh metà della Guardia Corvina era con lui e Ragnar ne faceva parte.

«Non riesci a dormire?» domandò una voce maschile alle sue spalle. Erik la stava guardando preoccupato, in piedi sulla porta.

«Tu che ne dici?»

«Un altro incubo?»

«A volte ho paura ad addormentarmi» rispose Soraya, lasciando che il gemello l'abbracciasse. Era molto più alto di lei, con spalle larghe e fisico prestante; un guerriero biondo scuro con occhi azzurri, una perfetta combinazione tra il padre e la madre.

«Posso restare con te, se vuoi» disse Erik, baciandole la testa e cullandola nel suo abbraccio. «Come quando eravamo bambini.»

«Come quando eravamo bambini» ripeté lei, lasciando che le cure di Erik spazzassero via le immagini dell'incubo.


***


«Tre settimane.» Andràs guardava lo stendardo della sua casata dove un cervo dorato ed un lupo nero svettavano su uno sfondo verde.

Mancavano tre settimane alle nozze di sua sorella Dyani con il principe Erik ed il pensiero non lo entusiasmava. Sapeva ben poco del principe, conosceva solo alcune usanze del regno di Crùn, come quella d'insegnare alle donne l'arte del combattimento, la stessa principessa Soraya, gemella di Erik, sapeva usare la lancia.

Il re, suo padre, aveva usato una strana analogia per spiegare questa tradizione. “Gli an Sgairp hanno il sangue dei guerrieri. Uomini e donne devono essere un tutt'uno con la spada come uno scorpione ha nella coda la sua arma.

Andràs si passò una mano tra i capelli castani, voltandosi poi per rientrare nel castello. I preparativi erano ormai iniziati da giorni, sua madre aveva riempito bauli di abiti e cianfrusaglie che completavano il corredo nuziale di Dyani e le ancelle parlottavano fra loro indecise su chi avrebbe seguito la giovane principessa nel nuovo regno.

«Ansioso?» Ivar, suo fratello, gli si parò davanti mentre entrava nella sala principale. «Io lo sarei.»

Stessa altezza, stessi capelli castani, solo in alcuni tratti i due fratelli differivano. Se Andràs possedeva occhi grigi e lineamenti marcati come il padre, Ivar li aveva verdi, come quelli della madre, ed un volto dal mento appuntito e affilato. Avevano un anno di differenza, ma a guardarli non si notava. Andràs era un ventenne che si rifugiava nella foresta di Firth a cacciare con arco e frecce, bravo con la spada e dal carattere fiero, un re in piena regola. Ivar, al contrario, preferiva i libri e le donne dei bordelli alla caccia e alla strategia militare. Non erano come gli an Sgairp, un clan di guerrieri e pescatori, le cui donne sapevano combattere come uomini.

«Credi che Erik tratterà bene nostra sorella?» domandò Andràs.

«Di sicuro tratta con rispetto la sorella. Dicono che a volte dormano perfino nello stesso letto.» Ivar scrollò le spalle, avviandosi per i corridoi del castello insieme al fratello. «Sono gemelli, i sacerdoti hanno credenze molto ferree a riguardo. In più il loro regno ha usanze molto differenti dalle nostre, probabilmente nessuno pensa che sia sconveniente, ma io...io ho seri dubbi che sia solo affetto fraterno.»

Andràs non riusciva a capire dove Ivar volesse arrivare con quel discorso. Lo guardò curioso, aggrottando la fronte e guardandolo dubbioso. «Pensi che abbiano una relazione?»

Ivar alzò le mani in segno di resa. «Penso che sia strano che una principessa sposi una guardia reale e, di tanto in tanto, divida il letto con il fratello gemello.»

«Chi divide il letto con il proprio fratello gemello?»

Ivar e Andràs furono presi alla sprovvista quando sentirono la voce della sorella. Dyani era arrivata alle loro spalle con passo leggero, accompagnata dal fruscio dell'abito verde scuro in tinta con gli occhi grandi e dolci. Le labbra carnose ed i capelli lunghi e castani la facevano sembrare una statua di qualche bella ancella delle antiche leggende. Erik stava per sposare la più bella fanciulla di tutta Dòchas.

«Pettegolezzi, cara sorella.» Ivar sorrise alla sorella, dando una gomitata nelle costole ad Andràs invitandolo ad assecondarlo.

«Ivar stava solo riportando un pettegolezzo udito alla taverna.»

«Non dovremmo essere noi donne a raccontare pettegolezzi?» domandò Dyani, sbattendo le lunghe ciglia. «Oppure state di nuovo confabulando sul mio futuro sposo?»

«Siamo solo preoccupati per te» affermò Andràs, ricevendo un'occhiata torva da Ivar. «Vogliamo solo essere sicuri che il principe Erik ti tratti come di dovere e non come...»

«Come una fanciulla qualunque?»

«Esattamente, Dyani. Vogliamo solo proteggerti.»

«E questo vostro atteggiamento protettivo implica pettegolezzi riguardanti un presunto incesto tra il principe Erik e la principessa Soraya?»

«Esattamente!» esclamò Ivar, annuendo animatamente. «Anche se il vostro è un matrimonio combinato, resta pur sempre un matrimonio e tradire la propria moglie con la sorella non mi pare consono.»

Dyani sorrise, sebbene quel gesto sembrò più una smorfia di rassegnazione. «Vi ringrazio per le vostre premure, ma ormai la data delle nozze è stata fissata ed io devo rallegrarmi di ciò, in fondo diventerò la futura regina di Crùn e, se non dovessi riuscire ad amare il mio sposo, amerò i nostri figli più di ogni altra cosa al mondo.»

Rassegnazione. Ecco cosa videro negli occhi della sorella i due uomini. La guardarono allontanarsi con il capo sollevato ed il mento alto, ferma, regale, come solo una principessa poteva essere. Un portamento aggraziato totalmente differente da quello grezzo e arrogante della futura cognata.


***


«Io sono Soraya an Sgairp, figlia di Markos an Sgairp e Seraphi Nathair-sgiathach» urlò, cercando di convincere le guardie a lasciarla passare, ma non ebbe successo. Accadeva sempre quando cercava di raggiungere le stanze di suo padre e nei dintorni c'era Antee. La regina e lei non andavano molto d'accordo, sin da quando aveva memoria.

«É inutile che lo ripeti, mia piccola principessa, loro rispondono solo ai miei ordini.» Antee arrivò con passo flemmatico e il portamento degno di una regina. Era la figlia minore di re Egor di Talamh, una principessa di nascita, abituata al lusso e alla nobiltà, non conosceva e non approvava gli usi meno sfarzosi di Crùn, dove il metallo più pregiato era l'acciaio delle spade e non l'oro dei gioielli. Una donna scaltra, viziata e troppo altezzosa che non conosceva le armi o il sapore del sangue.

«Io non sono la vostra piccola principessa, Antee!» disse a denti stretti Soraya, guardandola in quegli occhi castano chiari che lei disprezzava. Era bella, dal fisico asciutto, la pelle chiara e il portamento regale. I lunghi capelli castano chiari raccolti in un'elaborata acconciatura, gli orecchini d'oro pendevano dai lobi con perline d'ambra e sul volto quel ghigno vittorioso che le mostrava sempre.

Antee le sorrise, sorpassandola, seguita dalle sue ancelle. «Soraya, io sono la Regina, mentre tu sei solo...solo una piccola principessa!»

Soraya osservò la matrigna allontanarsi, quanto avrebbe voluto prenderla per i capelli e gettarla in mare. Antee aveva sposato suo padre due anni dopo la morte di Seraphi, un anno più tardi aveva dato alla luce Sahen, un fanciullo fin troppo pieno di sé incapace d'impugnare una spada. Il bambino ora aveva dieci anni, ma non possedeva nulla di suo padre, a parte il nero dei capelli.

Con passo spedito entrò nelle stanze di Markos, trovandolo seduto allo scrittoio intento a firmare dei documenti reali. «Ancora mi domando perché l'avete sposata!»

«Credimi, è la stessa domanda che mi pongo da ben undici anni.» Markos era un uomo muscoloso, imponente, con lo sguardo freddo e la barba nera a coprirgli la bocca. Un guerriero, un capo, un leader, il cui volto era sfregiato da una lunga cicatrice sul lato destro che partiva dalla fronte ed arrivava al mento. «Ansiosa per le nozze imminenti?»

Soraya sorrise all'indirizzo del padre, piegando la testa di lato. «Io mi sono sposata tre mesi or sono, quello ansioso dovrebbe essere Erik, non io.»

«Tuo fratello trascorre troppo tempo sul campo di addestramento e nei bordelli per pensare al suo stato d'animo.»

«Ha una relazione più intima con la sua spada che con una qualunque prostituta.» Soraya ascoltò il padre esplodere in una fragorosa risata. «Grazie agli dei sei tornato presto, mi sei mancato.»

Markos si alzò, avvicinandosi alla figlia, sovrastandola, le prese il volto tra le mani, per gli dei, aveva gli occhi di sua madre, con quella voglia di vivere che faceva invidia perfino al sole e alla luna. Blu come il mare in tempesta, lo stesso mare che i loro avi avevano solcato per fuggire dall'antico regno. Blu, come il vessillo della famiglia.

«Mi ricordi tua madre.»

«Lo so» sussurrò Soraya, abbassando il volto.

«Sembri stanca.» Come ogni volta che si sfiorava il discorso “Seraphi”, Markos cambiava subito argomento. Erano trascorsi tredici anni, ma la ferita ancora bruciava come fosse stata appena inferta. «Ancora i tuoi sogni?»

Soraya annuì, mentre suo padre si allontanava, avvicinandosi al balcone, guardando l'esterno. «Ultimamente sono sempre più frequenti.»

«Dovresti provare a pensare meno alle storie che ti racconta Azar, sono quelle che ti turbano.»

«Io credo che siano altro» protestò lei. «Ricordi la profezia di Aiyana?»

«Quella favoletta che ti raccontava tua madre?» Markos si voltò, odiava parlare di superstizioni e magia, non esisteva nulla del genere, erano solo storie per far addormentare i bambini. «Non è altro che un'invenzione.»

«Eppure sento sempre una voce nei miei sogni, una donna che la ripete di continuo, e poi il sangue e la devastazione. La terra di Dòchas macchiata di rosso e la guerra.»

«Azar dovrebbe smetterla di raccontarti le storie del passato, sei una donna sposata, hai quasi diciotto anni, non hai bisogno di queste fandonie!» urlò il re, voltandosi di scatto verso la figlia. «Sei la principessa di Crùn, mia figlia, e non accetto che ti lasci influenzare da certe favolette.»

«É vero, ma sono pur sempre la futura regina di Logh e ben sai quanto gli abitanti del regno siano superstiziosi e inclini a credere a quelle che chiami favole della buona notte, padre!» Soraya non ascoltò oltre, girò i tacchi ed uscì dalla stanza. Discutere con suo padre dei sogni che faceva era totalmente inutile. Lui li definiva solo sciocche fantasie, ma restava il fatto che, al suo risveglio, Soraya aveva il terrore di riaddormentarsi.

Era consapevole che, probabilmente, i suoi sogni non erano altro che lo specchio delle sue paure, ma c'era una parte di lei che sentiva di aver ragione riguardo ad Aiyana, l'antica regina di Logh il cui dono della preveggenza era noto in tutti i regni. Non credeva di averlo ereditato, ma c'era qualcosa in lei che la spingeva a pensare che qualcuno volesse dirle qualcosa con quei sogni terrificanti.

Sconsolata Soraya si lasciò andare contro la porta della sua stanza, stringendosi le ginocchia al petto. Ormai doveva esserci abituata, mai contestare suo padre quando si trattava di favole e leggende. Lui era un uomo con i piedi ben piantati a terra e non poteva di certo sperare che di punto in bianco cambiasse idea e le credesse su due piedi. No, lui era quello che credeva solo se vedeva.

Sospirando portò lo sguardo sul bracciale che portava al polso sinistro, l'ultimo ricordo che aveva di sua madre. Una fascia rigida riportante due serpenti uno d'argento ed uno d'oro, intrecciati tra loro, l'uno mordeva la coda dell'altro, in modo che quel groviglio ordinato e rotondo fosse infinito, era lo stemma della casata di sua madre, il cui sangue scorreva nelle sue vene. L'ultima della discendenza e la sola legittima erede al trono. Presto, nel giorno del suo diciottesimo compleanno, come da tradizione, avrebbe giurato sul Sangue delle Regine, l'antico codice di leggi di Logh, diventando a tutti gli effetti regina.

Chissà come sarebbe stato, vedere per la prima volta le terre di sua madre, quelle distese verdi brulicanti di fiumi e laghi. Si diceva che il castello della famiglia reale sorgeva sulle pendici della montagna, proprio sopra un dirupo, raggiungibile solo tramite un ponte che sovrastava il torrente. Davanti la valle, dietro la montagna e tutta Logh ai piedi. Presto avrebbe lasciato le mura della Rocca, abbandonando Rìoghachd per abbracciare la sua nuova vita, la corona e il fardello che ne conseguiva.

Avrebbe detto addio ad Antee ed al suo disprezzo, a Sahen e alla sua faccia tosta. Perfino suo zio Slane, il fratello minore di suo padre, non le sarebbe mancato. Voleva andarsene e lasciarsi alle spalle ogni singolo dispiacere, ricordandosi solo le risate con suo padre, il volto sorridente di sua madre, il primo incontro con Ragnar ed il loro matrimonio. Eppure aveva paura di quel viaggio, di quel nuovo ruolo al quale era stata predestina prima ancora di nascere. Essere regina voleva dire sacrificio, prigionia e doveri ai quali lei voleva sfuggire. Perché era nata con quel titolo? Quanto avrebbe voluto essere semplicemente Soraya, la moglie di Ragnar.

«Gli dei non tollerano vedervi piangere, mia signora.» Fu la voce di Azar a riportarla alla realtà. Quegli occhi verdi la scrutavano dolci e materni, come quelli di una madre.

«Non stavo piangendo.»

«Stavate per farlo.»

Saggia Azar, quante volte l'aveva consolata, impedendole di piangere. Dalla morte di Seraphi era stata la figura più vicina ad una madre che lei aveva.

Soraya si rialzò, sistemandosi l'abito blu scuro. «Gli dei dovrebbero pensare a impedire che le bambine diventino orfane di madre, piuttosto che alle mie lacrime.»

«Gli dei, mia cara, hanno un piano per ogni cosa, basta solo saper guardare oltre.»

«Sicura di non essere una sacerdotessa dell'isola di Coltas?» a volte Azar la sorprendeva con frasi sugli dei tipiche delle sacerdotesse dell'isola sacra, ma poi la guardava negli occhi e capiva di sbagliarsi. Le donne votate alla dea Àrsaidh possedevano gli occhi ambrati tipici delle veggenti e capelli rossi come il fuoco, Azar, al contrario, aveva iridi verde pallido e capelli ingrigiti dall'età.

«Ne sono sicura.»

«Mio marito è tornato?» domandò, notando l'assenza dell'armatura nera di Ragnar.

«Non ancora, ma non siate così tesa, sono certa che la notizia lo renderà molto felice.»

Soraya aggrottò la fronte per poi aprire bocca per ribattere. «Cosa?»

Azar le sorrise, avvicinandosi e posandole una mano sul ventre piatto. «Dimenticate che ho fatto nascere voi ed i vostri fratelli. Io so quando una donna porta in grembo una nuova vita e voi, mia dolce Soraya, ne custodite una.»

«Non sono incinta.»

«Ne siete sicura?» Azar la guardò sorniona. «Molto appetito, nausea persistente, stanchezza, seni doloranti ed è ormai un mese che il vostro sangue mensile si è fermato.»


***


Tenendo leggermente sollevate le gonne dell'abito imboccò il corridoio che conduceva al cortile, ben presto cominciò a sentire l'acciaio delle lame accozzare tra di loro ed i versi del fratellino che cercava di battere il suo avversario.

Sorrise quando, affacciandosi, vide Marek destreggiarsi abilmente con la spada. Ser Riley Gaisgeach, maestro d'armi e comandante della Guardia Corvina, lo stava sfidando con spade d'acciaio senza filo, proprio per abituare il ragazzo al peso dell'arma.

«Nostro fratello migliora ogni giorno che passa.» Soraya affiancò Erik, appoggiato ad una delle colonne, con le braccia conserte e lo sguardo fisso sul giovane fratello di appena tredici anni. «Presto potrà allenarsi nell'arena, ancora due anni e riceverà il marchio.»

«Sei sempre ottimista, vero sorellina?» Erik le sorrise con quel ghigno strafottente che le rivolgeva ogni volta.

«Ti ricordo che siamo gemelli, la differenza d'età tra noi si misura in minuti.» Soraya odiava quando Erik la chiamava sorellina. «Sei più grande di sette minuti, Erik, questo non ti dà il diritto di chiamarmi sorellina.»

Erik sorrise, alzando le mani in segno di resa a guardandola negli occhi. «Credo che mi mancherai.»

«Anche tu mi mancherai.»

Il gemello le sorrise, allargando il braccio destro per invitarla accanto a sé, stringendola in un abbraccio forte.

«Hai visto Ragnar?»

«Sta informando i soldati della guardia degli ultimi accorgimenti per l'arrivo dei Cù Allaidh.» Erik guardò la sorella con un sorriso divertito e mascalzone. «Già vuoi accoglierlo a gambe aperte?»

Soraya non si sorprese della sua volgarità, vi era abituata. Avendo avuto come unico riferimento femminile Azar, era stata cresciuta più come un maschio che come una femmina. «Smettila con queste volgarità, sai che odio quando fai battute oscene che mi riguardano. Ho solo una notizia da dargli e vorrei farlo il prima possibile.»

Erik corrugò la fronte, guardandola curioso. «Non sarai incinta?»

Soraya non rispose, il rumore delle ovazioni del padre verso Marek li distrasse da quella conversazione, ma ormai Erik aveva già capito di aver ragione.

Con un colpo deciso, il fratellino era riuscito a far arretrare il suo avversario, sebbene Riley fosse nettamente superiore sia in astuzia che in preparazione.

Soraya guardò prima il padre, sulla balconata superiore, riportando subito dopo lo sguardo sul fratello, notando il suo solito errore. Lasciava sempre scoperto il fianco destro e questo non sfuggì a Riley che lo disarmò e colpì proprio nel punto non protetto. Per fortuna l'imbottitura dell'armatura attutì il colpo, ma non impedì a Marek di cadere a terra come un sacco di patate sotto le risate divertite del padre e dei fratelli.

«Ben fatto figliolo!» esclamò Markos, battendo le mani e osservando il figlio con orgoglio. «Ma ricorda, una battaglia persa non fa di te un debole. Riconosci i tuoi errori e migliorali, solo così diventerai un grande guerriero.»

«Un giorno diventerai un ottimo soldato, caro fratello.» Soraya si avvicinò a Marek, aiutandolo a rialzarsi.

«E potrò sfidarvi in un incontro amichevole.»

«Sicuro di voler rischiare?» domandò Erik, arruffandogli i capelli neri.

«Ho alcune possibilità.» Marek rise, scacciando la mano del fratello. Era ricoperto di sabbia e polvere, sporco in volto e con un labbro gonfio.

«Vi consiglio di aspettare a sfidare i vostri fratelli, giovane principe.» Riley gli sorrise, affiancando Soraya. «Prestate troppo il fianco quando attaccate e vostra sorella usa la lancia, arma che le permetterebbe di ferirvi mortalmente prima ancora che voi possiate avere l'opportunità di portare a termine l'attacco, mentre vostro fratello è tanto astuto quando forte e si accorgerebbe all'istante di ogni vostro minimo vacillamento.»

Marek annuì, ringraziando il cavaliere mentre si allontanava. Riley aveva combattuto con il re nella guerra contro Talamh e l'aveva salvato quando il generale di re Egor aveva prima ucciso re Morven, fratello maggiore di Markos, e poi infierito su di lui, causandogli la ferita al volto e costringendolo a terra. Se non fosse stato per Riley, probabilmente sul trono sarebbe salito Slane e non Markos.

«Sentito, fratellino?» Erik aveva sempre quel tono strafottente e sarcastico, con tutti, specialmente con i suoi fratelli. Guardò Marek negli occhi azzurri come i suoi, lasciandogli un buffetto sulla spalla.

Soraya alzò un sopracciglio, sbuffando. «Abbandonerai mai i tuoi modi superbi e presuntuosi?»

«Solo quando la farai anche tu, Soraya» ribatté il gemello. «Sappiamo tutti quanto sei meravigliosamente arrogante.»

I tre scoppiarono a ridere, ma delle voci concitate dal terrazzo sopra di loro li distrassero. Riconobbero all'istante Antee e Markos, discutere animatamente.

«Non puoi pretendere che combatta, Markos, è solo un bambino!»

«É un an Sgairp, deve saper impugnare la spada.»

Capirono immediatamente che i due sovrani stavano discutendo a proposito di Sahen. Il bambino non aveva ancora appreso l'arte della spada, la madre lo teneva perennemente ancorato alle sue gonne, impedendo a Markos d'imporgli la tradizione di famiglia.

«É un principe, non un guerriero!»

«Anche Erik, Soraya e Marek sono principi, eppure hanno appreso l'arte del combattimento molto prima di Sahen. Seraphi non si è mai opposta a tale tradizione.»

«Seraphi, sempre Seraphi, quella donna è cenere e ancora tormenta le nostre vite!»

Sentirono un colpo secco, il suono di una mano che colpiva una guancia. Antee se l'era cercata, pensò Soraya, stringendo il pugno. Mai insultare la memoria di Seraphi.

«Non osare mai più insultare mia moglie, Antee, ricordatelo. Seraphi era una donna straordinaria, una madre e una regina migliore di te e non accetto di sentire la tua bocca velenosa pronunciare il suo nome.» Markos sembrava infuriato, molto più di quando vedeva qualcuno fallire. «Ti ho sposata solo per impedire che tuo padre mi dichiarasse guerra di nuovo, quindi ricordati bene il tuo posto. Avrai una corona, ma non sei una regina!»

I passi pesanti del re si allontanarono, ma non sentirono altro. Soraya alzò gli occhi, guardando la balconata da dove venivano le voci, scorgendo la figura di Antee avvicinarsi e sporgersi. Aveva una guancia arrossata e gli occhi infuriati. Per un attimo i loro sguardi s'incontrarono e, Soraya, vide in essi puro odio e desiderio di vendetta.





Pronunce:


Iar - Ir

Firth - Fart

Feandan - Fendan

Gaisgeach – Ghesghich CH aspirata

Cù Allaidh – Chiu Ali




Angolo autrice:

I nomi propri dei personaggi non sono stati scelti per preferenze personali, come i nomi comuni dei luoghi o quelli delle divinità presenti, bensì hanno uno scopo ben preciso. Sono stati scelti per i loro significati che ricalcano per alcuni il carattere dei personaggi, per altri il loro ruolo all'interno della trama.

Per esempio, Riley significa “valente”, Erik “capo, comandante”, Andràs “coraggioso”. Insomma, non ho lasciato nulla al caso, se pensate che il significato di Àrsaidh è “antico” e Dòchas significa “speranza”, potete ben immaginare cosa vi aspetti. Gli stessi cognomi sono nomi comuni di animali e vegetali. An Sgairp significa proprio “scorpione”.

Bene, dopo questa, spero di non avervi tediato con queste lunghe spiegazioni, per qualsiasi cosa chiedete, sono a vostra disposizione.



   
 
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