Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: StellaDelMattino    25/09/2015    2 recensioni
Ognuno possiede un po' di oscurità in sé. Semplicemente perché è nella nostra natura: ogni persona, anche la più buona, ha nell'anima una macchia scura che contamina ciò che avrebbe potuto essere perfetto.
Madison Huddle è solo una ragazza dal passato turbolento e con uno sguardo ironico sul mondo, quando arriva nella Città, ma da quando incontra Red, tipo eccentrico e misterioso, capisce che non è e non sarà mai normale.
Eppure, il vero problema non è questo, bensì il fatto che nella Città nessuno è normale.
Basti pensare a Gianduiotto, mutante che ama prendere la forma di un macaco e braccio destro di Red, o a Zwinky e Twinky, bariste del "De Vil", o ancora a Maude Maggots, strega della congrega della Mezzaluna, brillante e combattiva.
Per non parlare di Alexander Morales, l'uomo (se si può definire così) forse più potente e spietato, il capo della Famiglia, l'affascinante giovane che Madison non riuscirà mai a capire.
Dal primo capitolo:
"Che ne dici, tesoro" disse una voce sconosciuta attirando la sua attenzione e facendola fermare "se ti do qualche spiegazione sul perché ti sei svegliata in mezzo a una marea di matti?"
Genere: Dark, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 5

The Family

 

La mattina dopo, Madison non aveva altro che un leggero mal di testa.
Ringraziò di non aver avuto postumi peggiori, mentre sollevando la testa dal cuscino notava con piacere che la stanza non girava.
Arricciò il naso, mentre si accorgeva di un gradevole odore dolce, senza dubbio proveniente dalla cucina. Si alzò, incuriosita ma anche contenta e seguì il profumo, sempre più forte.
In cucina, Connie stava armeggiando con una padella, mentre canticchiava una canzoncina che Mad non riconosceva. Mentre si muoveva per la stanza, la coinquilina sembrava quasi fluttuare, i passi aggraziati involontariamente, i lunghi capelli biondi che tagliavano l'aria sembravano trasportati da un vento gentile.
Quando vide Madison, le rivolse un sorriso entusiasta e le indicò qualcosa nella padella.
“Ho fatto i pancake” disse. L'altra alzò un sopracciglio, non pensava neanche che quei fornelli funzionassero davvero. In ogni caso, la cucina sembrava più pulita e funzionante.
Vedendo che era confusa, o perlomeno stranita, Connie scrollò le spalle. “I nostri tre amici ci hanno dato una mano” spiegò.
Con “i nostri tre amici” non poteva che intendere Red, Gianduiotto e Brownie, pensò Madison, e già si immaginava la scena: Red che ciondolava qua e là, Brownie che si lamentava in continuazione e che così facendo faceva lamentare anche Red, mentre Gianduiotto si limitava a lavorare, per nulla affaticato, ignorando gli altri due.
Il fatto che Connie li avesse definiti come loro amici, fece adombrare l'umore di Madison: anche per lei erano la cosa più vicina a un amico che avesse avuto, ma fin da quando era entrata nella Città le era stato chiarito che non doveva fidarsi neanche di loro, cosa che Connie ancora non aveva ben capito.
“Sono venuti qui ieri sera, quando non c'eri, e hanno messo a posto tutta la cucina. Sono stati molto veloci! Non chiedermi cosa hanno fatto” continuò l'altra, scrollando ancora una volta le spalle.
Madison si sedette al tavolo, Connie le avvicinò un piatto con un pancake e una tazza di caffè, poi prese il suo pasto e si sedette al tavolo. La carnagione era ancora più chiara, da così vicino, a volte sembrava che fosse quasi vitrea.
Chissà se esistono i fantasmi, pensò Mad. Se la risposta fosse stata positiva, allora era piuttosto certa che Connie fosse uno di essi.
Mangiò la colazione e decise che la coinquilina sarebbe stata una cuoca perfetta, poi si concentrò sul da fare della giornata.
Si chiese per quale motivo Red e la sua combriccola non si fossero ancora fatti vivi e, quando un piccione passò di fianco alla loro finestra, Mad si ritrovò a pensare che fosse Gianduiotto. Incredibile ma vero, dopo aver capito che non era lui, la ragazza si chiese se effettivamente ci fossero animali che erano animali e basta, in quel luogo. Si appuntò mentalmente di fare quella domanda a Red, quando l'avesse visto.
Inizialmente aveva pensato di andare al De Vil di sera, ma si era instaurato nella sua mente come pensiero costante e continuamente non faceva che agitarsi a quel proposito. Il pensiero che doveva trovare un lavoro l'aveva preoccupata tanto, in quei giorni, e ora che aveva la possibilità di essere assunta, non riusciva a concentrarsi su altro. Una piccola parte del suo cervello pensava inconsciamente che se avesse lavorato lì, avrebbe rivisto Al, ma Madison si rifiutò di pensare che anche quello fosse un motivo della sua impazienza.
Decise, quindi, di andarci verso mezzogiorno, sperando che fosse aperto e che il proprietario ci fosse, quella volta.
All'ora stabilita, dunque, si incamminò.
Compiaciuta che davvero il pub non fosse molto lontano da casa loro, entrò in esso col cuore in gola.
C'era molta meno gente, di giorno, ma a lei non dispiacque più di tanto. Si avvicinò al bancone, riconoscendo la stessa barista del giorno prima. Dovevano essere davvero a corto di personale.
“Ciao” cominciò Madison, con un sorriso che mascherava l'ansia. “Sono passata ieri sera per il posto di lavoro, non so se...” Non fece in tempo a finire di parlare che la barista la interruppe.
“Io sono Zwinky, tu hai parlato con la mia gemella Twinky. Io ho i capelli blu” disse, con una tonalità tremendamente monotona, come la sorella. “Mi ha informata, in ogni caso. E io ho informato il proprietario. E lui ha detto di farti due domande, prima di assumerti. E poi di assumerti se avessi dato le risposte giuste.” Fra una frase e l'altra, la barista faceva brevi pause in cui respirava profondamente.
“Cioè delle specie di indovinelli?” chiese Madison vagamente divertita e atterrita allo stesso tempo. Zwinky non rispose alla sua domanda né cambiò tono o espressione.
“Hai esperienza?” chiese dopo aver respirato abbondantemente.
“Ho lavorato due anni in un bar e un anno in una discoteca” rispose Mad riprendendo la serietà.
Zwinky inspirò. Passarono un paio di secondi di troppo, poi espirò.
“Cosa sei?”
Madison esitò. Se quella era una domanda per l'assunzione, era davvero messa male.
“Sono nuova. Per ora sono... Non lo so ancora” rispose. Stava per dire che era umana, ma un dubbio nella sua mente l'aveva fermata. Effettivamente, lei non sapeva se era mai stata davvero umana.
Dopo un momento di pausa in cui la barista stette completamente immobile, diede il suo giudizio.
“Assunta." 

Madison si sentiva felicissima.
Dovette davvero trattenersi per non iniziare a saltellare per il locale, cosa che di certo non sarebbe stata molto gradita.
Avrebbe iniziato lavorando solamente tre sere a settimana: il venerdì, il sabato e il martedì, ma a lei andava benissimo. Ora aveva fatto un passo verso la sua completa indipendenza.
Avrebbe fatto alcuni mesi di prova, aveva detto la barista, più che altro per vedere se sarebbe sopravvissuta alla Città abbastanza a lungo da poter avere un contratto. Mad non fece troppe domande e si accontentò, almeno per il momento, per esser sicura di non far cambiare idea sulla sua assunzione.
Quando fu uscita dal bar, fece qualche passo, poi non riuscì più a contenere l'emozione. Saltellò sul posto sussurrando qualche “sì” e stringendo i pugni. Poi si fermò, respirò profondamente e si incamminò verso la strada di casa.
L'euforia stava calando e ormai era quasi arrivando all'appartamento, quando gli si parò davanti uno sconosciuto. I capelli neri erano rasati al lato della testa, mentre erano più lunghi sopra, in una pettinatura da marine, l'orecchio sinistro era pieno di piercing e un altro c'era anche su un sopracciglio. Gli occhi, scurissimi, si incontrarono con quelli di Madison e un ghigno si formò sul suo viso, un luccichio proveniva anche da un labbro, per un altro piercing. Le mani erano infilate nelle tasche del giubbotto di pelle nero e nella sua altezza incombeva sulla ragazza. Di fianco a lui, si stagliavano ombre scure con sembianze umane.
Il cuore di Madison iniziò a martellare nel suo petto e lei sobbalzò, poi congelandosi sul posto. Questo tizio non sembrava avere alcuna buona intenzione e sebbene Mad cercasse di pensare che non avrebbe dovuto giudicare all'apparenza, lo sconosciuto non sembrava proprio il tipo che chiede una firma per il sostegno dell'ambiente o per l'aiuto agli anziani. Tutt'altro, era sicura che se fosse stato un pluriomicida, sarebbe stato uno di quelli che non si fanno beccare mai.
Pensò di scappare, ma era certa che quel “Jack lo squartatore” aveva pensato all'eventualità e aveva scagnozzi o complici lì da qualche parte. Combattere? Impossibile. Forse chiedere aiuto prima che fosse troppo tardi avrebbe potuto essere l'unica soluzione.
Mad aprì la bocca per urlare, ma con una prontezza imprevista, “Jack” ci mise una mano sopra.
Prima ancora che pensasse a qualcos'altro, fu avvolta dal buio.

Madison non capì esattamente cosa successe dopo. Fra lo spiacevole incontro con lo sconosciuto e la situazione attuale, c'era solo una confusa sensazione di giramento di testa e voltastomaco, per niente piacevoli.
In quel momento si trovava da qualche parte non meglio identificata, seduta da qualche parte, probabilmente con un sacco nero in testa: molto da rapimento o base top secret.
Sentiva rumori differenti: più che altro tonfi e parole sussurrate che non capiva.
Durante quel momento confuso, un'idea si fece strada nella sua mente: quello doveva essere il colloquio con la Famiglia, non c'era altra spiegazione. Se non altro, quello era uno dei pochi motivi per cui “Jack” non l'avrebbe uccisa.
Gli altri motivi erano un commercio illegale di persone o uno scienziato pazzo che la voleva analizzare, ma Madison si cercava di convincere che in una Città dei mostri quelle cose non fossero possibili.
In ogni caso era agitata da morire.
Si ripeteva continuamente le regole che le aveva detto Red, regole essenziali per la sua sopravvivenza, e cercava di calmarsi pensando che in ogni caso aveva appena ottenuto un posto di lavoro. Sapendo di rischiare la morte, però, non era una gran consolazione.
Ad un certo punto, pensò che lì da qualche parte ci doveva essere anche Connie e sperò che non avrebbe dimenticato cosa doveva e non doveva fare, soprattutto perché lei non era il genere di persona che crede che esista davvero il male. Era così ingenua, nonostante la maledizione della Città, tanto che Mad iniziò a preoccuparsi per lei più che per sé, che almeno sapeva ciò che doveva fare.
Finalmente le fu tolto il sacco dalla testa e Madison sbatté le palpebre qualche volta per riabituarsi alla luce. La prima cosa, o più che altro persona, che mise a fuoco fu lo sconosciuto che l'aveva rapita. O, come lo aveva ormai soprannominato nei suoi pensieri, Jack lo Squartatore. Era di fronte a lei, in piedi, con un cipiglio severo. La sua attenzione, però, non era su Madison.
La ragazza si concentrò poi sul posto in cui era. Si trovava decisamente in una villa, piuttosto lussuosa, in una grande stanza che avrebbe anche potuto identificare come un ipotetico ingresso. A destra e a sinistra c'erano delle scale che portavano al piano superiore e, probabilmente, convergevano a una terrazza interna che dava proprio alla stanza in cui si trovava lei: non lo verificò, provando la strana sensazione che sarebbe stato meglio se non avesse alzato lo sguardo. Di fianco a lei, altre persone erano sedute o inginocchiate, con le mani legate.
Sulla sinistra, distesa su un lungo divano rosso, stava una donna sui trentanni, che fumava tranquillamente. Aveva un lungo vestito rosso chiaro ed era di una bellezza inquietante, si identificava in tutto nelle femmes fatals che a volte Mad leggeva nei libri o vedeva nei film. Dalla parte opposta della stanza, alcuni uomini chiacchieravano o guardavano torvi verso di loro.
Jack ridacchiò, attirando l'attenzione di tutti i rapiti.
"Scusatemi" disse poi "ma avete proprio un'espressione divertente, sembrate dei topi in gabbia."
Madison sentì il ragazzo di fianco a lei sbuffare. Sperò che fosse un rantolo o un singhiozzo, così magari non sarebbe morto, ma qualcosa le disse che quello non poteva essere che il primo segno di un'anima insubordinata. Cercò Connie con lo sguardo, vedendola un po' più in là. Sembrava un po' spaventata, ma in linea di massima sembrava avere un certo contegno.
In tutto, i rapiti erano solamente una decina.
“Nel caso voi non lo sappiate, noi siamo la Famiglia” riprese allargando le braccia e indicando tutti i presenti.
Nessuno fiatò.
“Questo colloquio è una cosa per voi, quindi non siate spaventati o almeno non troppo. Vi aiuteremo a capire perché siete qui, ma soprattutto cercheremo di farvi capire cosa siete. La Città non è molto indulgente con chi ha dubbi.” Rise, da solo, come se trovasse divertente il vedere delle povere anime in preda al terrore. E probabilmente era proprio piacevole, per lui, cosa che di certo non poteva essere rassicurante.
Il ragazzo di fianco a Mad, un magrolino con grandi occhi azzurri chiaro, sbuffò per una seconda volta. “Perché ridi, se vuoi aiutarci?” chiese in uno strano tono fra l'innocente e l'insolente. 
Un lampo sembrò passare negli occhi di Jack. Sembrava una vena omicida, ma la mascherò con un po' di fastidio.
“Nuovo, non pensare che perché vi aiutiamo non siamo da temere. Già solo questa tua frase ti potrebbe costare la vita, quindi sta zitto” rispose quasi con rabbia.
Quel ragazzo sarebbe morto, Mad se lo sentiva. Lo vide scrollare le spalle, ma tacere, quindi sperò che l'altro sarebbe stato indulgente.
Doveva essere lui il temuto Alexander Morales, pensò.
Certo, aveva senso: era l'unico che parlava e sembrava essere il capo. Se fosse davvero stato lui, per il magrolino non c'era alcuna chance di sopravvivenza.
La cosa che però sembrava strana a Mad era che era stato lui ad andarla a rapire. Quando mai un capo avrebbe fatto una cosa del genere, andare a recuperare un'insignificante ragazza di persona?
“Stavo dicendo...” ricominciò Jack “Molti di voi sapranno che siete in una città di esseri sovrannaturali, specificamente nella Città dei mostri. Magari ora pensate che non fareste mai del male ad una mosca, magari avete già imparato che nella Città ciò non è possibile. Che vogliate o no, diventerete dei mostri.”
Madison rabbrividì. Quella era forse la parte che meno preferiva della Città, quella che in un certo senso le faceva più paura. Molta più paura.
Il ragazzo di fianco a lei a quanto pare non era dello stesso avviso: mentre Jack/Alexander li guardava con fare minaccioso, lui gli rivolgeva uno sguardo curioso, ma allo stesso indifferente dai pericoli. Doveva essere pazzo. O stupido.
“Cosa non hai capito del fatto che ti potrei uccidere?” gli chiese lui quando notò lo sguardo. Si avvicinò, lentamente, ma il ragazzo non distoglieva lo sguardo. “Dimmi il tuo nome” gli impose.
“Virgil Ash” rispose l'altro, lo sguardo ancora sicuro.
“Bene, Virgil” riprese Jack “Devo ammettere che dato che sei così coraggioso, meriti che il tuo nome si sappia, ma la tua morte sarà un esempio per gli altri, che devono tenere la bocca chiusa e devono temere fin da subito!” urlò quasi, accecato dalla rabbia. Mentre Jack stava probabilmente per colpire mortalmente Virgil, qualcosa si mise davanti a lui: anzi, qualcuno.
Con un salto, probabilmente dal terrazzo che dava sulla stanza, una persona si parò davanti al membro della Famiglia.
“Andiamo, Amon” incominciò il nuovo arrivato. “Ti sembra questo il modo di dare il benvenuto ai nuovi arrivati?” Si girò allora verso i rapiti e passò uno sguardo su tutti loro, con la lentezza e la crudeltà di un aquila che sceglie una preda. Mentre incrociò lo sguardo di Madison, strinse la mascella e nei suoi occhi passò un lampo di dispiacere. La ragazza non poté fare a meno di fissarlo, le labbra che si dischiudevano in un'espressione di stupore puro.
“A lui non piacciono molto quelli che parlano molto” riprese poi indicando Amon. “Devo dire che neanche a me fanno impazzire, ma oggi sono di buon umore.”
Non c'erano dubbi, quello era Alexander Morales.
Ma, prima che quel pensiero giungesse alla mente di Madison, ne era arrivato un altro: quello era Al. Il ragazzo simpatico e tenebroso che aveva conosciuto il giorno prima e le aveva offerto da bere si era rivelato la persona da temere di più in tutta la Città.
Lei non aveva solo guardato Alexander Morales: ci aveva anche parlato.
E lo aveva chiamato “begli occhi”. Quella fu forse la consapevolezza più spiacevole di tutta la sua vita.

*angolo autrice*
I'm back! 
Buonasera lettori! Mi scuso della mia assenza: sono stata via due settimane senza avere a disposizione un computer nè il tempo di scrivere un capitolo. Spero di essermi fatta perdonare con questo, che è un po' più lungo del solito e che è denso di avvenimenti. Suvvia, qualche commento! Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate! I nuovi personaggi vi piacciono? 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: StellaDelMattino