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Autore: Hypnotic Poison    26/09/2015    5 recensioni
Raccolta totalmente random di fanfic che non hanno superato la prova del nove per diventare OS a sé.
Kishinto, Ryochigo, Paitasu, tipologie varie, chi più ne ha più ne metta :)
25) Perfect, part II: « "Ehi," lei si sedette a fianco a lui, appoggiando le braccia alle ginocchia, attentissima a non sporcarsi il vestito nuovo, "Che fai?"
"What does it look like I'm doing, ginger?" »
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish, Mint Aizawa/Mina, Ryo Shirogane/Ryan, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Airport

 

 

 

 

 

 

 

«I like to see people reunited, I like to see people run to each other,
I like the kissing and the crying, I like the impatience, the stories that the mouth can't tell
fast enough, the ears that aren't big enough…

 

 

 

 

 

 

Aveva la testa rintontita da tutte quelle ore di viaggio, e le forti luci del gate gli fecero male agli occhi, già provate dalle lacrime che gli erano scappate nel sonno.
Se li stropicciò con il dorso della mano, lasciandosi sfuggire uno sbadiglio. C’era tanto rumore, così tante persone diverse da lui che parlavano una lingua che suonava familiare, eppure ancora così distante, soprattutto in quel momento.
Non riusciva a capacitarsi, neppure lui, di come casa fosse effettivamente lontana, ora. Di come tutto avesse ormai assunto una dimensione molto più reale di quanto avrebbe voluto ammettere.
Avvertì la calma presenza al suo fianco, ed alzò lo sguardo spaesato sull’alto ragazzo accanto a lui, che ricambiò con un sorriso, allungandogli una mano.
“Sei pronto per questa nuova avventura?” gli domandò.
Ryo fece un respiro profondo, prima di annuire, ed insieme si diressero alla hall degli arrivi, verso una nuova casa.
 
§§
 
Non si era mai abituato davvero all’idea di viaggiare da solo, nonostante le svariate volte in cui l’aveva fatto.
Faceva fatica ad ammetterlo, ma solo la compagnia silenziosa di Keiichiro rendeva le quindici ore di viaggio estremamente più sopportabili. Non dovevano parlare per forza, anzi, ma c’era qualcosa nell’avere una persona conosciuta a fianco mentre si attraversavano corridoi bianchi sporchi, pieni di gente, e continenti, che migliorava la situazione. Forse perché si sviluppava una specie di empatia tra viaggiatori, o forse perché semplicemente lui era molto meno solitario di quanto gli sarebbe piaciuto.
Sospirò sollevato non appena vide arrivare il proprio bagaglio, e senza indugio si diresse all’uscita.
Amici, parenti, amanti si correvano incontro come al solito, aggregati davanti alle grandi porte scorrevoli che separavano la zona di ritiro delle valigie dalla sala di attesa, con fiori, regali, o semplici sorrisi che volevano dire tutto.
Ryo si guardò intorno, cercando una familiare massa di capelli marroni.
Quello che attirò la sua attenzione, invece, fu un cartello con un gatto grigio disegnato sopra, tenuto in mano da una donna con corti capelli a caschetto biondo miele, e un paio di scuri occhiali da sole.
Lui sorrise, dirigendosi verso di lei con aria divertita.
“Non pensare che te li conti come straordinari,” esclamò.
Il viso perfetto di Zakuro fu increspato da un sorriso. “As if I needed your money, Shirogane.”
Il ragazzo sorrise, e la strinse lievemente in un abbraccio: “Quante ne hanno combinate nel mio mese d’assenza?”
“Purin senza supervisione e Ichigo disperata perché Aoyama-kun è a Londra, vuoi proprio saperlo?”
 
§§
 
“Sarà triste iniziare le medie senza il nii-san,” borbottò Purin con aria mogia mentre il gruppetto attraversava il parcheggio “Chi mi aiuterà con i compiti?”
“Vista l’esosità di Shirogane-kun, penso che sarai contenta lo stesso, Purin-chan,” rise Ichigo.
Ryo alzò gli occhi al cielo: “Ero anche sottopagato per tutto il lavoro che serve con te, ragazzina.”
“Prometti che mi manderai almeno una cartolina!” insistette la biondina, saltellando accanto al ragazzo.
Lui le sorrise e le arruffò i capelli: “Guarda che sto via solo due mesi.”
“Non importa, la voglio lo stesso.”
“D’accordo, e per tutti i compiti ti affiderò a Retasu.”
Si fermarono qualche istante sotto il tabellone con gli orari delle partenze, e Ryo si sistemò meglio la borsa del computer sulla spalla.
“Mi raccomando, non fate impazzire Keiichiro e per carità, non spaventatemi i clienti.”
“Sì, sempre le solite raccomandazioni,” esclamò Minto, ridendo “Fai buon viaggio, Shirogane-kun.”
Lui annuì, passando lo sguardo su ciascuna delle ragazze: “Ci vediamo presto. Per qualsiasi cosa, chiamatemi.”
Loro lo salutarono veloci, con Ichigo che rimase per ultima, a guardarsi le punte dei piedi.
“Sono stanca di salutare gente all’aeroporto,” borbottò quando le amiche si furono allontanate di pochi passi.
Ryo si irrigidì appena: “Vedrai che tra poco finirà.”
“Già,” Ichigo alzò il viso e sorrise “Ci vediamo presto, no, Shirogane-kun?”
Lui annuì, alzò l’indice per picchiettarle la fronte: “Take care, ginger.”
 
§§
 
Era decisamente una situazione strana per lui, essere quello che attendeva qualcuno all’aeroporto. Di solito era sempre il contrario, era lui ad arrivare, qualche volta gli era pure capitato che non ci fosse nessuno a prenderlo.
Invece, ora stava continuando a controllare ansiosamente il monitor degli arrivi, con il volo che a lui interessava tra i primi della lista, e un incoraggiante landed in verde al suo fianco.
“Se finisco il liceo con un buon voto, mio papà ha detto che posso venire a trovarti a New York!”
Quando aveva letto quelle parole sul computer, gli era scappato da leggere.
Lei non era mai stata una cima a scuola, nonostante l’evidente miglioramento degli ultimi anni. Forse non aveva voluto sperarci troppo, come al solito. 
Eppure, eccoli lì. Come lei avesse fatto a convincere Shintaro era un puro mistero, per lui, e gli sorgeva anche il dubbio che ci fosse stato lo zampino provvidenziale di Sakura.
Riguardò nuovamente l’orologio, poi si passò una mano tra i capelli.
Le porte si stavano aprendo ora sempre più spesso, le persone uscivano a piccoli gruppetti frettolosi, sperò solamente che i bagagli fossero arrivati e lei non ci mettesse troppo, come al solito, per essere pronta.
Poi la vide, un’inconfondibile chioma rossa, spettinata più del solito, a pochi metri da lui. Rimase immobile, osservando Ichigo che si guardava intorno con aria un po’ spaesata, mordendosi il labbro inferiore proprio come quando era una ragazzina irascibile.
Non le ci volle molto tempo perché i suoi occhioni si posassero sulla sua figura irrigidita ai margini della sala, riempendole il volto di un sorriso raggiante.
Anche Ryo si ritrovò a sorridere, tirando fuori le mani dalle tasche e compiendo due passi verso di lei.
“Non si portano i fiori alle ragazze, quando si vengono a prendere all’aeroporto?” scherzò lei, allegra, la sua voce che gli riportò svariati ricordi in mente.
“Già devo ospitarti gratis, vorresti pure i fiori, ragazzina?” la rimbeccò.
Ichigo gli fece una linguaccia, e lo circondò con le braccia, appoggiando la guancia al suo petto: “Ciao, Shirogane-kun.”
Lui inspirò forte l’odore dei suoi capelli, rendendosi conto solo in quel momento quanto gli fosse mancato davvero.
“Ciao, Ichigo.”
La sentì esitare nel suo abbraccio, prima di staccarsi con mezzo sorriso. Avrebbe potuto giurare di vedere due lacrime.
“Guarda te, ho dovuto rincorrerti dall’altra parte del mondo soltanto per poterti rivedere!”
Ryo fu sorpreso e divertito allo stesso tempo da quella battuta – gli sembrava che fosse davvero passata una vita dall’ultima volta che si erano rivisti di persona, e poteva certamente ammettere che gli fosse pesato più di quanto fosse davvero stato. L’aveva anche fatto apposta, però.
“Non penserai che debba sempre essere io ad attraversare i continenti, ragazzina.”
Ichigo lo guardò dal basso con un’espressione pensierosa: “Sì, ma il Giappone è casa.”
Lui tentennò, poi le sfiorò la frangetta con le dita: “Ed era ora che tu lasciassi un po’ il nido.”
Lei gli sorrise luminosa, lanciò le braccia in alto e sospirò: “Ah, non sai come sono contenta di essere qua! Devo raccontarti tutto del viaggio, pensavo di impazzire ad un certo momento! E mi ha chiamata anche Zakuro-san, ha detto di ricordarti p er l’ennesima volta della cena di domani, che ha dovuto prenotare a nome suo quindi tu non devi azzardarti a darle buca un’altra volta o ti ucciderà, e io davvero non ho voglia di girare senza nessuno che mi traduca questa astrusa lingua, e poi comunque deve essere proprio un ristorante meraviglioso se c’è tutta quella lista di attesa, e io devo assolutamente sbandierarlo sotto il naso di Minto-chan…”
Ryo si perse ad ascoltarla senza sentirla davvero, solamente il suono familiare della sua voce che gli rimbalzava nella mente, sopra al frastuono degli aerei.
 
§§
 
Svicolò tra la folla molto più velocemente del solito, impaziente di raggiungere la sala d’attesa.
Aveva un leggero mal di testa provocato come dal lungo viaggio; doveva ammettere che ora lo provava un po’ di più di quanto il suo orgoglio volesse.
Si sistemò meglio la tracolla addosso, cercando di non sgualcire il fiocco del pacchetto regalo che teneva sottobraccio e che già aveva dovuto affrontare la cappelliera.
Le porte si aprirono silenzioso, rovesciando nella grande sala la folla internazionale. Ryo allungò il collo per sbirciare due chiome particolari, che avrebbero dovuto risaltare decisamente tra tutti.
Quando li vide, non poté evitare il sorriso che gli si stampò sulle labbra.
Ichigo ricambiò non appena lo notò camminare spedito verso di loro, stringendo il bimbo che teneva tra le braccia e che aveva iniziato ad agitarsi una volta riconosciuto il padre.
“Hai visto chi c’è?” cinguettò allegra, sistemandogli la magliettina a righe “Tutte queste feste a me non le fai, birbante.”
Hello, Luke!” Ryo li raggiunse in fretta, poggiando le borse in terra, e subito prese in braccio il bambino “How’s my best buddy doing?”
“Quando non ci sei, è molto meno viziato.”
Il biondo lanciò un’occhiata divertita alla ragazza accanto a sé: “Mi ricorda qualcuno.”
Ichigo rise, si alzò in punta di piedi per schioccargli un bacio sulle labbra: “Bentornato a casa.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

… the eyes that can't take in all of the change,
I like the hugging, the bringing together,
the end of missing someone.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Punto numero uno: HP ha un rapporto di odio/amore con gli aeroporti. Posso affermare con certezza di aver pianto in tutti gli aeroporti americani in cui sono stata, negli ultimi cinque anni. E a quello di Bologna un mese fa. ahah

Punto numero due: qua dentro c’è un sacco di quello che in inglese si chiama wishful thinking… e vedremo. xD

Punto numero tre: la citazione viene da “Estremamente forte ed incredibilmente vicino”, di Jonathan Safran Foer, libro che consiglio spassionatamente se ancora non l’avete letto, anche se è una lettura abbastanza pesantuccia a livello emotivo – o almeno, io ho pianto assai, ma io non sono un termine di paragone valido xD

Punto quattro: sìììì lo so che è fatta esattamente come Late, e probabilmente come qualche altra cosa che ho scritto?, però la creatività scarseggia ahah

Io torno a studiare, voi passatevi un bel weekend, vi auguro un tempo migliore del mio!

Bacioni <3

 

   
 
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