SPIN OFF DI
NOTTE ROSSA DI
PLENILUNIO
“Dedico questa spin-off
al senpai Kuno84,
senza il quale non
avrei avuto
l’idea per scrivere questa
spin.
Grazie mille!”
Attenzione:
la canzone di
accompagnamento della spin è di
Lee Ryan-Guardian Angel
(da
leggere dopo il consueto simbolo ****)
***ANGEL'S
TEARS***
-
Le lacrime di
un Angelo –
Può un angelo togliersi la maschera
e mostrarsi per quella che è realmente?
Gli è concesso,solo per una volta,
essere una normale persona con i suoi dubbi e le sue
incertezze?
Può l’angelo del focolaio perdere
le ali?
Quest'ora sembra attendere un
evento,
voi mi chiedete la causa delle mie
lacrime.
Non posso dirvelo: e' il segreto
non ancora rivelato.
Rabindranath Tagore
E' sincero il dolore
di chi piange in segreto.
Marziale
Le lacrime sono lo sciogliersi
del ghiaccio dell'anima.
Hermann
Hesse
Il leggero picchiettio della
pioggia la teneva compagnia quella mattina uggiosa.
Seppur l’inverno se n’era andato
da qualche settimana, non accennava a smettere di
piovigginare.
Non era un vero e proprio
temporale, quando il crepitio dei tuoni e il bagliore dei lampi rendono l’aria
carica di elettricità, ma una pioggia sottile, con gocce impalpabili e costanti
che bagnavano tutto il distretto di Nerima.
Scostò le tendine e fissò
l’orizzonte, al di sopra dei tetti delle case.
Il cielo era di un colore
pallido, simile alla madreperla, ma
più opaco, come se un pittore maldestro avesse dipinto un quadro, dimenticandosi
di colorare la volta celeste.
Dava l’impressione che il cielo
fosse una grande coperta bianca, sporcata dalla polvere e dal tempo, che
incombeva sulle case come una cappa, quasi a volerle soffocare.
Uno spiffero di aria umida entrò
tra le imposte della finestra provocandole un brivido.
Si strofinò le mani sulle braccia,
coperte da un golfino di lana rosa corallo per allontanare la sgradevole
sensazione dell’umidità che le penetrava nelle ossa.
Dopo aver chiuso la finestra, finì
di piegare i panni con cura, ordinandoli in una piccola
pila.
“Ecco fatto” si disse soddisfatta
Kasumi Tendo, mentre aleggiava nell’aria il buon odore di ammorbidente alla
lavanda.
Osservò di sfuggita l’orologio che
segnava le tre del pomeriggio e la sua espressione si fece pensierosa.
Probabilmente a quell’ora suo
padre e il signor Genma dovevano essere arrivati, suppose calcolando mentalmente
le ore trascorse dalla loro partenza.
Erano andati nei boschi per
allenarsi. Sarebbero stati lì per qualche giorno, il tempo necessario a far
cambiare un po’ aria a Soun e riprendersi un po’.
L’idea del viaggio fu del signor
Genma, per impedire all’amico di
pensare alla triste situazione che stavano vivendo.
Dalla partenza di Ranma e degli
altri, Soun era ripiombato di nuovo in uno stato di catalessi, alternato a crisi
isteriche, talvolta notturne, per la mancanza di sua figlia minore,
Akane.
A peggiorare le cose era il
silenzio surreale e monotono della loro casa, abituata a trambusti, lotte e
schiamazzi notturni.
Persino Nabiki, la più fredda e la
più forte di casa, si inventava mille scuse per poter stare fuori più tempo
possibile.
Talvolta era davvero insostenibile
rimanere lì dentro.
Anche per lei lo era?
Anche per lei era difficile stare
in quella casa fredda?
Scacciò via quel pensiero come un
insetto, focalizzandosi sul mucchio di vestiti. Li prese tra le mani e si
incamminò al piano di sopra.
Ma prima di poter salire le scale,
udì il campanello suonare.
Prontamente andò ad aprire la
porta, spostando il peso dei vestiti su una mano.
“Buon pomeriggio signorina Tendo”
davanti a lei si presentò un ragazzino, che aveva si e no 14 anni. Portava i
capelli castani lunghi fino ai lobi delle orecchie, coperti in parte sia dal
berrettino nero e rosso di una famosa squadra di basket, sia dal cappuccio della
felpa carminio.
Kasumi fece un sorriso salutando
calorosamente il giovane ragazzo che lavorava nel supermercato dove lei andava
abitualmente.
“Buongiorno a te Itachi” rispose
con fare materno.
Il ragazzo era in groppa ad una
mountain bike nera, un po’ vecchiotta a giudicare dallo stato della vernice
scrostata sulla canna e sotto il seggiolino.
Con una mano teneva il manubrio,
mentre con l’altra sorreggeva un ombrello.
Si sporse un po’ verso la giovane
e le tese una busta bianca di plastica.
“Questa è la sua frutta. Il Signor
Takeno si è raccomandato che la consegna fosse veloce e la invita a tornare al
più presto al negozio.”
Il sorriso di Kasumi si ampliò
ringraziando il giovane “Vuoi entrare?” Chiese gentilmente “Una tazza di thè
caldo ti farebbe bene.”
Il ragazzo scosse la testa
ringraziandola a sua volta “No grazie, ma ho altre consegne da fare.” Così
dicendo i due si salutarono e ritornarono alle loro
mansioni.
Kasumi posò la busta della spesa
sull’avambraccio, mentre con le mani portava la pila di vestiti
puliti.
Di nuovo la casa si fece
silenziosa e immobile, come se il tempo si fosse fermato.
Sospirò fissando il portone prima
di chiudere la porta.
Da quando gli altri erano partiti
alla volta di Kagoshima, circa sei mesi prima, Kasumi non aveva messo un piede fuori di
casa. La spesa se la faceva portare sempre da Itachi e per le varie commissioni
chiedeva cortesemente a Nabiki, grata alla sorella di avere la scusa di scappare
da lì.
Scappare.
Si soffermò su quella parola
mentre saliva lentamente le scale.
Una parola così estranea a lei.
Fuggire via, abbandonare tutto e
tutti. Essere libera.
Che le faccende domestiche e
prendersi cura del padre fossero solo una scusa?
Non voleva uscire da quella casa
per paura di non voler più tornare?
Non voleva evadere dal suo mondo
per timore che lo avrebbe lasciato?
Il respiro le si mozzò in gola nel
realizzare quei pensieri. Traballò per qualche secondo avvertendo un fastidioso
disorientamento. Si appoggiò con la spalla al muro rimanendo ferma in mezzo alle
scale, aspettando che quei pensieri fluissero via da lei.
Perché pensava a quelle
cose?
Probabilmente perché era la prima
volta che si trovava da sola in quella casa con i propri pensieri.
Di solito era sempre piena di
gente, piena di rumori e di vita a tal punto che le impedivano di riflettere su
se stessa.
Perché tutto ad un tratto le
pareti di quella casa sembravano così strette e
soffocanti?
“Basta! Che ti prende Kasumi?”
Mormorò con voce rauca abbassando lo sguardo.
Tenendo i panni in bilico su una
mano, si portò l’altra al collo dove era nascosta una piccola collanina di
argento con un ciondolo raffigurante il simbolo del
coraggio.
La strinse forte.
Era del Dottor Tofu, gliel’aveva
messa al collo l’attimo prima di partire, chiedendole tacitamente di avere
fiducia in lui e negli altri.
Si sentì la guance avvampare al
ricordo di quella notte, dove forse aveva smesso di essere
Si erano dichiarati sotto le
stelle quasi senza rendersene conto.
Erano entrambi timidi ed impacciati, e
l’aveva stupita molto la semplicità con la quale si erano avvicinati.
Era come se nell’aria ci fosse
stata una strana elettricità che la spingeva tra le braccia del bel dottore, da
sempre segretamente innamorato di lei.
Si erano baciati come se fosse la
cosa più naturale del mondo, la cosa più giusta da fare.
Chissà come sarebbe stata la loro
vita insieme.
Una vena di malinconia e tristezza
le incupì il volto, mentre, come un automa, si dirigeva verso la stanza di
Nabiki per sistemarle i vestiti.
Li posò sul letto con precisione
maniacale cercando di non spiegazzarli.
Gli occhi appannati dal velo di
lacrime che stava trattenendo.
Purtroppo Kasumi da qualche mese
era giunta ad una conclusione.
Lei non sarebbe mai stata felice,
non poteva e non doveva.
Il suo destino era un altro.
Contrasse il volto per evitare
che tutto ciò che teneva dentro le fuoriuscisse come lava incandescente,
bruciando la sua facciata impeccabile e immacolata.
Nonostante avesse il numero, non
chiamava il Dottor Tofu da quando l’aveva avvisata del loro arrivo al tempio.
Non lo chiamava, anche se dentro di lei era tutto ciò che
desiderava.
Non era giusto illuderlo, era
stata scorretta ad accettare la sua proposta di matrimonio.
Lei non poteva sposarsi, non
poteva abbandonare la sua famiglia.
Suo padre, o suo marito?
Le sue sorella, o le sue figlie?
Aveva promesso a se stessa che
avrebbe sostituito sua madre perfettamente facendo in modo che Akane, Nabiki e
Soun non ne sentissero la mancanza.
Non importava se la sua vita
veniva distrutta, non importava se non aveva vissuto la sua gioventù. Lei doveva
occuparsi di loro.
Li amava con tutto il cuore, ma
delle volte la ragazzina che era in lei scalpitava fremente per poter uscire e
assaporare la vita, che non era in quelle quattro mura.
Il respiro le si affannò, quasi a
volerla strozzare, ma lo placò.
Se Akane aveva l’irascibilità e
Nabiki l’astuzia, Kasumi possedeva un abilità affinata in quegli anni:
l’autocontrollo.
Strinse le mani a pugno per
bloccare il tremore.
Conosceva a memoria il suo corpo e
sapeva dominarlo per evitare di cadere, per evitare che la crisi la invadesse
facendola crollare, prima che il gelo si sciogliesse in lacrime.
Alzò lo sguardo e fissò fuori
dalla finestra la pioggia che aveva preso a scendere
intensamente.
Ora lo scrosciare dell’acqua sul
tetto era più forte e rumoroso.
Una volta sua madre le disse che
le gocce di pioggia non era altro che lacrime degli angeli, che piangevano per
gli umani vedendoli tristi.
Diceva che quando si era tristi,
bastava starsene un po’ sotto la pioggia per ritornare sereni, come se gli
angeli lenissero tutte le sofferenze.
*****************
Chissà se in quel momento la
pioggia avrebbe potuto lavare via il dolore dal suo volto
Chissà se alcune di quelle stille
piovane erano di sua madre.
Stava piangendo perché la vedeva
infelice?
Do you
ever think there's someone out
There
looking over you
Watching
everything you do
Looking after
you
[Pensi mai che ci sia qualcuno lì
fuori che sta vegliando sopra di te
Sta guardando ogni cosa che
fai
si sta prendendo cura di
te]
Evitò di guardare il suo
riflesso sui vetri rigati dalla pioggia.
Una ragazza di appena diciannove
anni con lo spirito di una donna anziana, senza più voglia di assaporare nuove
esperienze. Il solo pensiero la fece sentire estremamente stanca.
Non voleva vedersi sofferente, non
poteva mollare.
Lei era la dolce e cara Kasumi, il
pilastro di casa Tendo, il porto sicuro dove rifugiarsi quando la tristezza li
sopraffaceva.
Lei non poteva permettersi le
lacrime.
In your
eyes I see you've been broken
And you
shadow it hides from the sun
As a
picture with words left unspoken
Are you
wondering who you are
[Nei tuoi occhi vedo che sei stata
spezzata.
E la tua ombra è nascosta dal
sole
Come un'immagine di parole
lasciate non dette.
Ti stai chiedendo chi
sei]
Si prese un'altra manciata di
minuti per calmarsi, anche se i battiti del suo cuore non accennavano a
diminuire e gli occhi non smettevano di bruciarle.
Poi si voltò con la busta in mano
per uscire dalla stanza.
Improvvisamente un tuono rimbombò
fragorosamente in cielo, quasi a volerlo squarciare.
Fu inaspettato tanto che Kasumi
sussultò violentemente alzando il capo, e facendo cadere a terra la
busta.
Per un solo attimo le sembrò che
in quel tuono ci fosse l’urlo di rimprovero e disperazione della sua povera
madre.
Rimase imbambolata, mentre dentro
di lei la ragazzina si aprì un varco.
“Sono a casa!” Urlò Nabiki,
scuotendo l’ombrello fradicio e rimettendolo a posto insieme
all’impermeabile.
“Kasumi?” la chiamò a gran voce,
scrollando il suo caschetto sbarazzino.
Silenzio.
Nabiki sbuffò, evitando di
soffermarsi su quel silenzio inquietante di casa Tendo.
Fu grata al rumore della pioggia,
che almeno le teneva compagnia.
Andò in cucina, ma fu sorpresa di
non trovarvi la sorella maggiore.
“Magari è di sopra” ipotizzò,
prendendo furtivamente un biscotto e salendo le scale.
Un tuono rombò feroce facendola
sobbalzare.
“Dannato tuono, mi hai fatto
venire un colpo” inveì nervosa guardando il soffitto.
Continuò a chiamare la sorella fin
quando non vide che la porta della sua camera era
socchiusa.
“Kasumi? Kasumi sei
qu…”
Si bloccò immediatamente
avvertendo un brivido percorrerle la schiena, facendole venire la pelle
d’oca.
Would
you believe that I could be your guardian angel
Do you
believe that this is true
[Vorresti credere che potrei
essere il tuo angelo custode
Credi che questo sia
vero?]
Era la prima volta che Nabiki
Tendo, la freddezza fatta persona, rimase inerme di fronte a quegli occhi vuoti
e senza vita di sua sorella Kasumi. Quegli occhi che per lei erano una garanzia,
la sicurezza che tutto sarebbe andato per il meglio, che tutto in un modo o
nell’altro si sarebbe risolto, ora erano vitrei e ricoperti da un velo di
lacrime.
Rimasero per qualche secondo a
fissarsi senza dire nulla. Il silenzio le avvolse, anzi le avviluppò nelle sue
trame fino quasi a strozzarle.
Improvvisamente per Nabiki in
quella stanza mancò l’ossigeno, tanto da iniziare ad
affannare.
Poi, veloce come un battito d’ali,
Kasumi chiuse gli occhi e li riaprì, abbozzando un sorriso alla sorella
minore.
Abbassò lo sguardo, vedendo tutta
la frutta sparsa sul pavimento.
“Che maldestra che sono” mormorò
come se tutto fosse tornato normale. “Ho fatto cadere la
spesa.”
Con lentezza si inginocchiò e
cominciò a raccogliere la frutta.
Anche Nabiki, sfuggita a quel
contatto visivo incatenante, si rianimò, destandosi da
quell’incubo.
Prontamente le fu accanto,
inginocchiandosi a sua volta.
Non sapeva cosa fare, e così
decise che avrebbe improvvisato.
Cominciò a prenderle di mano le
arance “Lascia, faccio io” asserì con voce decisa.
Kasumi scosse la testa prendendo
altra frutta. Fu allora che cambiò improvvisamente, muovendosi più velocemente e
a scatti “Non ti preoccupare, ci penso io” mentre la sua voce si alzava si
tonalità.
Your
thoughts get lost in the ocean
And your
prides as strong as the sea
Your
heart is blocked by a raincloud
Only
thunder and rain can be seen
[I tuoi pensieri si sono persi
nell'oceano
Il tuo orgoglio è forte come il
mare
Il tuo cuore è bloccato da una
nuvola di pioggia
Solo il Tuono e
Nabiki allora incalzò quel ritmo
“Kasumi cosa è successo?”
“Non è successo
niente.”
“Kasumi fermati!”
“Non posso, devo preparare la
cena”
“Kasumi posa quella
frutta!”
“No, io non posso,
io…”
“Kasumi fermati. Ti prego!” Il
tono della secondogenita si fece quasi implorante, ma la stretta era ferma
attorno al polso della sorella.
Avvertì un
tremito.
Le accarezzò con delicatezza la
mano, mantenendo la presa.
Non si era mai resa conto che le
mani della sorella fossero così ruvide e screpolate.
Forse rappresentavano la fatica
che faceva ogni giorno Kasumi per loro?
Con l’altra mano la costrinse a
fissarla negli occhi, alzandole il mento.
Stavolta non trovò il vuoto nei
suoi occhi, ma soltanto tanta tanta tristezza che non chiedeva altro di uscire
fuori.
Sussultò. La prese con forza
dietro la nuca e l’attirò a sé.
“Vieni qui.”
Kasumi non oppose resistenza.
Say the
words and I will be there
Hold my
hand cause I am scared
[Pronuncia le parole ed io sarò
lì
Prendi la mia mano perché sono
spaventata]
Per la prima volta in tutta la sua
vita, lasciò che la maschera le scivolasse via dal volto e almeno per quella
notte diede sfogo alla sua tristezza.
Posò la testa nell’incavo del
collo di Nabiki, che l’abbracciò con forza, e pianse come non aveva mai
fatto.
La disperazione la assalì,
impadronendosi di lei.
Per quella notte Kasumi non era né
la madre, né la sorella, né la moglie.
Per quella notte Kasumi ritornò
bambina tra le braccia di sua sorella minore, alla quale si aggrappò con tutta
le sue forze.
Non era più Nabiki ad abbracciarla
e ad accarezzarle i capelli, ma sua madre.
Nabiki aveva il suo stesso odore,
il suo stesso tono di voce.
*Mamma, mamma aiutami. Cosa devo
fare?*
Finalmente, dopo la sua morte,
ritrovò di nuovo la sensazione di essere figlia, la sensazione di ricevere
anziché dare.
Rimasero per un tempo indefinito
nella stanza di Nabiki, inginocchiate a terra l’una nelle braccia dell’altra,
con solo lo scroscio della pioggia come sottofondo.
A poco a poco i singhiozzi si
calmarono, le spalle smisero di tremare.
“Nabiki,
io…”
“Shhh!” La zittì la sorella “Non
c’è bisogno che tu dica niente” posò la guancia sulla nuca della maggiore,
cullandola ancora per un po’.
Al silenzio soffocante, si
sostituì uno più rilassante che le coccolava, invece di
opprimerle.
Kasumi si sentì la gola gonfia e
tossì un paio di volte cercando di
eliminare la brutta sensazione.
“Ricordi quando la mamma è morta?”
La sua voce era ancora rauca.
Nabiki annuì, sopprimendo un
brivido, giocando con una ciocca della sorella.
“Voi eravate molto piccole e papà
era molto fragile in quel periodo. Ricordo che ogni notte piangeva come un
bambino?” Aprì gli occhi arrossati.
Nabiki sorrise amareggiata “Beh
papà non è mai stato forte, nemmeno quando mamma era
viva.”
“Non avercela con lui Nabiki” la
ammonì rassegnata la sorella “Fa parte del suo carattere. Ha sempre avuto
bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lui.”
Nabiki strinse gli occhi, non
condividendo a pieno i pensieri di sua sorella.
Per quanto amasse suo padre, certe
volte non riusciva a perdonarlo per la sua mancanza di spina
dorsale.
“Sai c’è stato un periodo dopo la
morte di mamma che vi ho odiati.”
You
believe the world can be strange
Please take away my
pain
[Credi che il mondo possa essere
strano
Per favore porta via il mio
dolore]
La semplicità e la trasparenza con
la quale Kasumi aveva fatto quella rivelazione, fu per Nabiki una doccia fredda,
uno schiaffo in pieno volto.
Questa volta furono i suoi occhi a
dilatarsi per lo stupore.
Li aveva
odiati!
Lei era sempre stata convinta che
fosse la cosa più naturale del mondo che Kasumi si prendesse cura di loro.
Solo in quel momento capì che sua
sorella era stata costretta dalle circostanze in quel ruolo, forse troppo
impegnativo per una ragazzina di poco più di dieci anni.
Non aveva avuto altra scelta se
non quella di seguire quella strada.
Lo aveva fatto per loro,
unicamente per loro.
Aveva messo da parte la sua vita e
i suoi sogni, per accudirli, per non far sentire loro la mancanza della
madre.
In quel momento si sentì uno
straccio.
Dopo la morte di sua madre
ricordava che al dolore ben presto si sostituì la rabbia e poi il
cinismo.
Da allora era sempre stata fredda
ed egoista con tutte le persone, spillando soldi a chiunque, infischiandosene
dei loro problemi.
Ma soltanto con Kasumi, Nabiki,
tirava fuori quella briciola di umanità che le era rimasta. E adesso invece si
ritrovava faccia e faccia con la verità.
Era stata egoista anche con sua
sorella, la persona che più stimava e rispettava al mondo, la persona più buona
e dolce che potesse esistere.
Ma che razza di persona
era?
Si morse il labbro, avvertendo le
lacrime rigarle il volto.
“Mi dispiace tanto
Kasumi.”
La maggiore sorrise asciugandole
una lacrima “Oh Nabiki, non devi dispiacerti per me. All’inizio è stata dura, ma
poi quando ho visto papà riprendersi e te e Akane ricominciare a sorridere”
sospirò sentendosi per la prima volta leggera “Ho capito che la vostra felicità
era tutto ciò che desideravo. E sapevo che se noi eravamo felici, forse lo
sarebbe stata anche mamma da lassù.” Una nota malinconica si insinuò nella sua
voce.
Nabiki la accarezzò, ingoiando
quel groppo alla gola.
“E io che credevo che la più forte
della famiglia fossi io” celiò ritrovando la sua espressione
arguta.
Kasumi alzò il busto ponendosi di
fronte alla sorella “Sono una buona attrice” scherzò di
rimando.
Nabiki sorrise a sua volta “Tanto
da ingannare me.”
“Grazie Nabiki” rispose di cuore la
maggiore.
Would
you believe that I could be your guardian angel
Do you
believe that this is true
If you
say yes I'll fall and i will be able
To look
at anyone so true I love you
[Vorresti credere che potrei
essere il tuo angelo custode
Credi che questo sia
vero?
Se dici di sì, cadrò e sarò capace
di
guardare qualcuno così vero, ti
voglio bene]
La seconda, alzò un sopracciglio
“Se fossi stata Akane a quest’ora
le avrei chiesto già 3000 yen.”
Kasumi alzò gli occhi al cielo
“Allora mi ritengo fortunata.”
Ci fu un altro minuto di silenzio.
Nella loro mente un unico
pensiero.
“Chissà cosa starà facendo in
questo momento” sussurrò Kasumi con voce piena di dolore.
Nabiki le si avvicinò mettendole
una mano sulla spalla.
“Akane è forte. Più di quanto
immaginiamo. Se la caverà” il tono in cui lo disse aveva una nota
speranzosa.
“E poi c’è Ranma. Lui non
permetterà a nessuno di farle del male. Quei due, anche se distanti chilometri e
chilometri, hanno lo strano potere di difendersi a
vicenda.”
Kasumi si convinse e sul suo volto
si riaccese la speranza.
Nabiki annuì con
forza.
“Inoltre Ranma sa che se non ci
porta a casa Akane, lo spedisco in uno zoo di quart’ordine, sperduto in chissà
quale continente.”
Due risate cristalline ruppero
finalmente il silenzio, spazzando via le lacrime e ridando vita a quella
casa.
L’atmosfera si alleggerì di molto.
Poi, senza perdere il vizio, lo
sguardo attento di Nabiki si spostò dal volto della sorella, al suo collo.
“Non l’hai ancora chiamato” più
che una domanda, era una constatazione.
E non ci voleva un indovino per
capire di chi stesse parlando.
Kasumi abbassò lo sguardo “Non è
giusto illuderlo.”
Nabiki sbuffò in maniera teatrale.
Si avvicinò velocemente a Kasumi e le prese il volto tra le mani.
“Ascoltami bene donna della casa…”
cominciò prendendola in giro.
“… Tu meriti di essere felice.” La
sua espressione si fece intensa e scandì bene ogni parola di quell’ultima frase.
“Ma io…”
“Niente ma. Tu meriti di avere una
vita che non sia fra queste mura. Meriti di essere amata come solo Tofu può
amarti.”
Di nuovo gli occhi di Kasumi si
riempirono di lacrime, ma stavolta erano per l’emozione di quelle parole che si
incisero a fuoco nel suo cuore.
La voce di Nabiki era dura e
calda, proprio come quella di sua madre.
“Ora se non lo chiami entro cinque
minuti, ti spillerò tanti di quei soldi che tu nemmeno immagini. E non osare
contestare.”
Le labbra di Kasumi si stirarono
in un sorriso luminoso mentre abbracciava con foga, tempestandola di baci, una
Nabiki riluttante e, anche se non l’avrebbe ammesso mai,
imbarazzata.
Cercò in tutti i modi di
riprendere il contegno di Nabiki-Miss-Ice-woman-Tendo, ma i suoi tentativi
furono vanificati dall’entusiasmo della sorella che, come un treno, scese giù
correndo.
Nabiki la seguì, ma rimase di
stucco quando Kasumi, invece di correre vicino al telefono, uscì fuori al
cortile. “Ma dove?”
Rimase incantata sulla soglia di
casa, osservando Kasumi che girava su se stessa a braccia aperte e con il volto
felice verso il cielo piovoso.
Anche se fuori faceva freddo, la
sua risata era come il sole, scaldava ogni cosa.
“Ti voglio bene mamma” la sentì
sussurrare “Grazie.”
Quella notte, dopo una lunga
telefonata tra Kasumi e Tofu e un bel bagno caldo, le due sorelle dormirono insieme nello
stesso letto.
Nabiki fece finta di non vedere la
sorella alzarsi durante la notte e scrivere una lunghissima lettera destinata
sicuramente al suo bel dottorino.
Come non fece finta di vedere le
sua guance arrossire ogni volta che scriveva una parola, e il bacio finale che
scoccò alla busta, una volta chiusa.
La vide guardare ancora la pioggia
sorridendo e arricciando gli occhi.
Non aveva mai visto Kasumi così
felice,così spontanea, così libera dai suoi tormenti.
Di nuovo, nella sua mente, apparve
l’immagine della sorella che danzava sotto la pioggia.
Era come se l’avesse osservata per
la prima volta.
Non più sotto le spoglie di
casalinga e mamma, ma soltanto di Kasumi Tendo, una ragazza semplice e
dolcissima con tutte i sogni e le speranze di qualunque altro
giovane.
Sua madre sarebbe stata senz’altro
fiera di lei.
Era davvero l’angelo custode della
casa.
A volte basta un niente per far
cadere la maschera di sentimenti che copre il volto e l’anima, come la più forte
delle protezioni.
A volte basta solo un po’ di
pioggia e un abbraccio sincero, per lavare via il dolore accumulato negli anni.
Si dice che le gocce di pioggia
siano lacrime degli angeli, che piangono per le persone care che hanno lasciato
sulla terra.
Le lacrime non sono espresse dal
dolore,
ma dalla sua storia.
Italo
Svevo
FINE SPIN-OFF
Note
dell’autrice:
Un piccolo regalino ai lettori di
NRDP, spero vi sia piaciuto!
Vi avviso che entro la settimana
prossima metterò on-line il capitolo 26 e colgo l’occasione per ringraziare
tutte le persone che mi hanno recensito, grazie a tutti.
Un bacio enorme allo
staff: monica, robby, saty, kikka e mary. Ragazze vi adoro!