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Autore: Shirley Mei    30/09/2015    0 recensioni
È grazie alla campagna #HuntTheTruth che sono venuta a conoscenza delle miniere ad estrazione costruite sui pianeti vetrificati dai Covenant, e appena sentita la loro storia non sono più riuscita a togliermele dalla mente. Mi sono chiesta: come può essere la vita di queste persone? Cosa può voler dire trovarsi a lavorare in un pianeta dove sono morte milioni e milioni di persone? Così è nata questa fic, che segue le vicende di Heric Carter, minatore sopravvisuto alla vetrificazione del suo pianeta. Anche se azzardatamente, ho deciso di collocare questa fic in un futuro prossimo agli eventi di Halo 5, (che uscirà questo Ottobre ) questo per un motivo ben preciso e che non voglio anticiparvi! Ci saranno delle sorprese! Spero di avervi incuriositi! Fatemi sapere con una bella recensione! ;)
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

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Ore 22.36, 12 settembre 2559, Sistema Bogomol III,spazio aereo YRG-01125 (Yargo)

Per qualche secondo Heric si ritrovò come dentro una campana di vetro. Fissò un punto di fronte a lui, vedendo però un'immagine del suo passato. Lui, ragazzo, con sua sorella Daphne in braccio che piangeva disperata e il suo pianeta madre, davanti ai suoi occhi dall'oblò dell'astronave, che bruciava come un sole incandescente, mentre le navi aliene vomitavano plasma su di esso, devastandolo. I suoi genitori si erano imbarcati su un'altra nave, l'aveva vista partire e seguirli a distanza ravvicinata...poi, un fascio di luce l'aveva attraversata. In meno di un attimo lingue di fuoco l'avevano avvolta e perdendo quota si schiantò sul pianeta. Non ne era rimasto niente.
Della sua casa, dei suoi amici, della sua famiglia. Solo fuoco e sangue. Nient'altro.
<< HERIC!! >>.
Il ragazzo si ridestò, sobbalzando. Era ancora vivo. La nave tremava più di prima e tutti i passeggeri indossavano le maschere. 
Avvertì un colpo al braccio e voltò lo sguardo. Sua sorella gli stava tendendo una maschera e lo squadrava con aria di rimprovero.
<< Riprenditi stupido!! Non è ancora finita! >>.
Heric annuì e si legò la maschera sul viso, stringendole la mano con sicurezza. Non voleva morire. Non dopo tutta la fatica che aveva fatto per tirare avanti, doveva assolvere ancora moltissimi compiti, primo fra tutti sistemare sua sorella in una bella casa delle colonie interne, mandarla in una scuola come si deve e tante, tante altre cose. 
Guardò gli altri passeggeri, i più si tenevano stretti ai braccioli dei sedili, con le mascelle serrate e lo sguardo basso. Notò poi in uno degli ultimi posti un uomo magro, con la pelle scurissima, tenere stretta tra le mani una catenina ed attaccate ad essa le labbra. Sussurrava qualcosa in modo frenetico dondolando la schiena e battendo i piedi. Pregava.
Heric non aveva mai pregato, non poteva permettersi di aspettare il miracolo di Dio che lo avrebbe salvato, aveva fatto tutto da solo, con la forza delle sue braccia e il dolore della sua carne, non doveva niente a nessuno.
Fece un verso di stizza e prese a contare i secondi. Le tempeste di vetro non avevano durate fisse. Potevano dissolversi nel giro di un minuto oppure protrarsi per intere giornate. Trovandosela davanti avrebbe potuto cercare di stimarne la potenza, ma dall'astronave non aveva speranza. Era del tutto impotente.
I minuti passarono inesorabili e, con il sollievo di tutti, la nave riacquistò lentamente stabilità. La gioia fu quasi palpabile.
Daphne guardò il fratello con un gran sorriso stampato sulle labbra.
Heric gli diede una forte pacca sulle spalle << Continui a portarmi fortuna, sorellina >>.
<< Faccio del mio meglio >>
Annuendo Heric si tolse la maschera, seguendo l'esempio degli altri passeggeri, aveva i capelli attaccati alla fronte per il sudore.
<< E continua a farlo, abbiamo ancora molto da fare >>.
Non ci volle molto prima che l’astronave toccasse finalmente terra. Atteso il tempo necessario i passeggeri slacciarono le cinture e in tutta fretta recuperarono i bagagli. Non c’era nemmeno un secondo da perdere, la tempesta sarebbe potuta tornare a momenti e anche solo un passo falso poteva costare la vita di ogni uomo su quella nave.
Tutti si avvicinarono al portellone d’uscita, pronti a coprirsi il volto con il casco di sicurezza in dotazione a tutti i minatori. Dopo qualche minuto un’altro membro dell’equipaggio si avvicinò superando il gruppo e raggiungendo il portellone. Premette qualche tasto sulla tastiera accanto ad esso e prima di aprire si voltò verso i passeggeri.
<< Signori, ecco il capolinea. Una navetta vi sta aspettando qui fuori per portarvi alla miniera d’estrazione. Avete venti secondi e finito il tempo non troverete più nessuna nave ad aspettarvi qui, quindi vi consiglio di controllare che abbiate tutte le vostre cose >> si udì il frusciare di mani che tastavano le tasche e di cerniere aprirsi e poi richiudersi.
<< Stammi vicina >> sussurrò Heric alla sorella, che annuì immediatamente.
L’uomo fissò quindi un orologio al suo polso, poggiando l’altra mano sulla leva posta poco sopra la tastiera.
<< E...ora!  >> il portellone con un forte sibilo si aprì, facendo penetrare una potente folata di vento ustionante e vetro polverizzato insieme. Il calore sembrò bruciare per un momento i polmoni di Heric che imprecando si calò il casco.
<< VIA VIA VIA! >> gridò l’uomo.
La fila prese a muoversi veloce e dopo essersi assicurato che Daphne si fosse infilata il suo casco anche Heric corse fuori. Il sole era tanto forte che per un momento non vide assolutamente niente. Distinse solo un immenso mare nero che li circondava e che si estendeva a perdita d’occhio. Il vento sferzava crudele e le schegge di vetro iniziarono subito a graffiagli la pelle anche se coperta dai vestiti. La tempesta sarebbe tornata a momenti. Allungò una mano dietro di lui e avvertì subito quella della sorella afferrargliela.
Sorrise orgoglioso “Brava sorellina”.
Sbatté le palpebre più volte e riuscì a intravedere la figura della navetta poco più avanti. Affrettò il passo e raggiunta la navetta aiutò sua sorella a salire la scaletta, allungò quindi le mani ed afferrò saldamente i braccioli del portellone, all’ultimo secondo però una folata di vento particolarmente potente lo investì. Batté con violenza il capo sul bordo del portellone, la botta fu tanto violenta da strappagli di dosso il casco, barcollò pericolosamente e i piedi scivolarono giù dalla scaletta. Le schegge di vetro lo investirono senza pietà. Fu abbastanza veloce da chiudere gli occhi però, sfortunatamente, non lo fu altrettanto con la bocca che si riempì di schegge microscopiche.  Strinse i denti e trattenne il respiro conscio che anche il più piccolo granello poteva essergli fatale. Fece forza sugli avambracci e tentò di tirarsi su per recuperare l’equilibrio, era certo di star per cadere quando una mano salda lo afferrò per l’avambraccio.
<< Ti tengo, compagno >> l’uomo lo tirò su e tenendolo saldamente gridò a pieni polmoni << Presto andiamo! >>.

   
 
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