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Autore: evelyn80    01/10/2015    3 recensioni
Dopo aver espresso il desiderio di poter salvare Boromir dalla sua triste fine, Marian si ritrova catapultata nella Terra di Mezzo grazie ad un gioiello magico che la sua famiglia si tramanda di generazione in generazione. Si unirà così alla Compagnia dell'Anello per poter portare a termine la sua missione. Scoprirà presto, però, che salvare Boromir non è l'unica prova che la attende.
Ispirata in parte al libro ed in parte al film, la mia prima fan fiction sul Signore Degli Anelli.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La mia Terra di Mezzo'
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Il Morannon

 

All’alba fummo svegliati da qualcuno che bussava insistentemente alla porta.
"Sovrintendente Boromir? Sovrintendente, è qui?" gridò una voce dall’altra parte dell’uscio.
Mugolai, stringendomi ancor di più al petto del Gondoriano, impedendogli di alzarsi subito al richiamo.
"Devo proprio andare, tesoro mio” mormorò lui, posandomi un lieve bacio sui capelli. “Quest’oggi ha inizio l’ultimo atto della Guerra dell’Anello."
"Lasciami venire con te, Boromir…" chiesi supplichevole, lasciandolo alzare a malincuore ed osservando la sua schiena muscolosa mentre si rivestiva.
"No! Sei ancora debole, la tua spalla non è ancora guarita del tutto!" mi rispose, in un tono che non ammetteva repliche.
"Stanotte non te ne sei dato troppo pensiero, però…" sussurrai maliziosa, e quell’accenno alla notte appena trascorsa lo fece arrossire involontariamente.
"Tra le mie braccia non correvi alcun pericolo, ma nei prossimi giorni sarà ben diverso" disse, cercando di mantenere un tono rigido, mentre si infilava gli stivali di pelle. "Ora devo proprio andare, amore mio, ma ti prometto che, non appena tutto questo sarà finito, la prima cosa che farò sarà annunciare pubblicamente le nostre nozze."
Si chinò, dandomi un bacio veloce.
"Dimentichi che anch’io devo entrare a Mordor" gli ricordai, mentre si allacciava il fodero della spada alla vita.
"Lo farai. Ma solo dopo che avrò fatto ritorno!” concluse secco. Raggiunse la porta a grandi falcate e, prima di aprirla, si voltò a guardarmi. “Ti amo" sussurrò teneramente e, con quelle parole, mi lasciò sola.
Non appena fu uscito mi alzai subito dal letto. Non avevo nessuna intenzione di attendere il suo rientro. Dovevo andare a Mordor e l’avrei fatto insieme agli altri, marciando con il resto dell’esercito.
"A costo di calarmi dalla finestra con le lenzuola annodate, se il responsabile non mi lascia uscire!" sentenziai a voce alta, affacciandomi all’apertura per valutare l’altezza da terra.
Mi vestii in fretta con i miei soliti abiti maschili, indossai il vecchio fodero di Hoskiart a tracolla, provai un paio di volte ad estrarre la spada – stringendo i denti per sopportare meglio il dolore delle ferite – poi mi avvolsi nel mantello di Lòrien ed uscii dalla stanza, diretta verso l’esterno.
Naturalmente – come avevo immaginato – appena fatti pochi passi fui raggiunta da una delle guaritrici: Boromir aveva dato ordine a tutti di impedirmi di uscire. La liquidai con un gesto della mano, senza nemmeno rivolgerle la parola, passandole accanto come un fulmine. Quella lanciò un grido di allarme e, ben presto, mi ritrovai circondata da un nugolo di persone. Tentai inutilmente di farmi largo, minacciando persino di sfoderare la spada, ma senza ottenere alcun risultato. Scornata, fui costretta a tornare sui miei passi, dirigendomi verso il giardino.
Lì, trovai già Faramir, Éowyn e Merry che osservavano dall’alto i preparativi per la partenza dell’esercito. Sia la donna sia l’Hobbit bramavano ardentemente di raggiungere gli altri, mentre il giovane Gondoriano pareva aver accettato la sua condizione di “recluso” con filosofia, ed era anzi divertito dalle espressioni rabbiose della Rohirrim.
"C’è poco da ridere! Ha perfettamente ragione a lagnarsi!" lo apostrofai, notando il suo sorrisetto mentre li raggiungevo, vicino al muro esterno.
"Non dirmi che anche tu vorresti partire?!" rispose, il sorriso che si ampliava.
"Non “vorrei”. Voglio! Partirò, questo è certo! Forse non oggi, forse non domani, ma di sicuro prima che l’esercito arrivi al Cancello!” sbraitai, incapace di contenere la rabbia e la frustrazione. “Devo andare a Mordor, e non mi importa un fico secco se tuo fratello vuole che io rimanga qui fino al suo ritorno! Io faccio come mi pare!"
Faramir scoppiò a ridere.
"Credo che mio fratello abbia proprio trovato la fanciulla giusta per lui! Una ragazza di carattere che riesce perfettamente a tenergli testa!”
"Non penso che sia il solo, però… O sbaglio?" dissi, sorridendo a mia volta ed ammiccando in direzione di Éowyn, che stava ancora discutendo con Merry su quanto sarebbe stato bello poter salire nuovamente in groppa a Windfola, il suo grande destriero, e correre verso la battaglia.
L’uomo arrossì vistosamente, imbarazzato, per poi scoppiare di nuovo a ridere.
"No, non sbagli, sorella mia!"
Quell’appellativo mi scaldò il cuore: sarebbe stato bello diventare sua cognata, riflettei tra me e me. E non vedevo l’ora che accadesse.
Non appena l’esercitò fu partito, scomparendo in una nuvola di polvere nella tenue luce del mattino, mi misi ad escogitare un piano per lasciare l’edificio. Faramir capì immediatamente che stavo tramando qualcosa e mi si avvicinò.
"Sei realmente intenzionata ad andare con loro, non è vero?" mi chiese, di nuovo serio.
"Sì, Faramir!" gli risposi accorata, alzando lo sguardo lo su di lui. Oltre all’urgenza della missione, avevo cominciato a provare un nuovo timore. Fino ad allora, Boromir aveva avuto la “Stella di Fëanor” a salvaguardarlo ma, ora che me l’aveva restituita, quale talismano ci sarebbe stato a proteggerlo da quella morte che io, con il mio intervento, avevo evitato? E se la storia avesse voluto riprendere il suo vero corso, facendo perire il Capitano Generale davanti al Morannon? Sarebbe stato tutto inutile! Dovevo assicurarmi che tutto andasse per il verso giusto. Spiegai le mie motivazioni al giovane Uomo che mi stava davanti, la voce traboccante ansia.
"Se è questo ciò che temi, allora ti aiuterò!” mi rispose stringendomi le mani, come ad infondermi coraggio. “Cercherò di distrarre i guaritori e gli inservienti, permettendoti di allontanarti indisturbata. Però dovrò pensare a qualcosa di convincente e credo che dovrai attendere fino a domani."
Annuii e lui continuò. "Chiederò anche ad Éowyn e a Merry di aiutarmi. Fatti trovare vicino all’ingresso, domani mattina all’alba. Se il nostro espediente funzionerà, corri alle scuderie! Boromir mi ha detto che la tua cavalla è stata curata a dovere ed ora si trova nelle stalle” spiegò. “Si trovano poco lontano da qui, proprio sotto la residenza della Guardia della Cittadella.” Si interruppe, per tracciare una semplice mappa della sesta cerchia nella terra battuta dei sentieri del giardino. “Non appena sarai in groppa parti a spron battuto perché, se le guardie riusciranno a bloccarti, non potrò fare più niente, per aiutarti!"
Lo ringraziai vivamente con un caloroso abbraccio, poi mi ritirai nella mia stanza per prepararmi.
La mattina dopo, all’alba, mi appostai vicino al portone delle Case di Guarigione. Avvolta strettamente nel mantello di Lòrien mi accoccolai in un angolo buio, nell’attesa che Faramir e gli altri mettessero in atto il loro piano.
Dopo pochi minuti, un grido isterico risuonò per i lunghi corridoi, seguito subito dopo da una specie di squittio spaventato. Uno scalpiccio di piedi scalzi, accompagnato dal ciabattare di un passo affrettato, rimbombò sotto le volte a sesto acuto. Merry ed Éowyn stavano correndo a perdifiato, l’Hobbit inseguito dalla donna che strepitava come una pazza, fingendo una crisi isterica. Subito dopo, la voce di Faramir si unì al duetto, attirando così l’attenzione di tutti i presenti.
Alcuni guaritori mi sfrecciarono accanto senza notarmi, diretti verso la fonte del disturbo. Nessuno si degnò di rimanere nei pressi del portone d’ingresso perciò, non appena fui sicura di essere sola, presi la porta e corsi verso le scuderie.
Le strade erano deserte e la città era immersa nella penombra. Raggiunsi velocemente le stalle che, a quell’ora del mattino, erano quiete e silenziose. Mi aggirai furtiva in cerca della mia giumenta: Freccia d’Argento occupava proprio uno degli ultimi cubicoli. Non appena mi vide, proruppe in un acuto nitrito di gioia, facendomi sobbalzare per la sorpresa.
"Shh!” sibilai, cercando di zittirla. “Freccia, non fare rumore! Le guardie non sanno che sono qui!"
Ma, ormai, era troppo tardi. I soldati che vivevano nella caserma soprastante le scuderie erano stati allertati dal baccano. Feci appena in tempo a saltare in groppa alla cavalla che già cinque o sei guardie accorrevano all’entrata.
"Ferma! In nome del Sovrintendente!" gridarono alcune, alzando le mani ad intimarmi l’alt. Senza prestar loro la minima attenzione mi chinai sul collo di Freccia, avvinghiandomi strettamente con le dita alla sua criniera argentea.
"Vai, più veloce che puoi" le sussurrai all’orecchio, con urgenza. Subito la giumenta si slanciò in avanti con un altro nitrito, superando i soldati con un agile balzo e buttandosi a rotta di collo lungo le strette strade di Minas Tirith, diretta alle porte della città. I suoi zoccoli risuonarono sul selciato marmoreo, riverberando contro le pareti delle case ancora addormentate.
Le mura, distrutte dall’assalto dell’esercito di Sauron, erano state riparate posticciamente con delle semplici barricate di legno. Freccia d’Argento le superò con un salto, senza nemmeno rallentare, per poi correre veloce come il vento verso le rovine di Osgiliath. La cavalla filava talmente veloce che riuscivo a sentire soltanto il vento che mi fischiava nelle orecchie. La lasciai libera di scegliere l’andatura che preferiva, e lei continuò a galoppare come un turbine fino a che non ebbe attraversato il Grande Fiume. Mi appiattii ancor di più contro il suo collo per non venire sbilanciata, mentre il paesaggio mi scorreva intorno, confuso.
Mano a mano che passavano i minuti, però, cominciai a rendermi conto che Boromir aveva ragione: la ferita alla spalla non era ancora guarita del tutto. Ad ogni sobbalzo provavo un dolore fortissimo e, ben presto, la manica della casacca si inzuppò di un liquido caldo e viscoso. Allungai lentamente la mano sinistra per tastare la parte dolorante e, quando la ritrassi, la vidi macchiata di sangue. In aggiunta, pure Freccia sembrava non galoppare più con lo stesso ritmo delle prime ore. Ogni tanto zoppicava e rabbrividiva, nitrendo lentamente. Mi sporsi con fatica a guardare: un rivoletto di sangue le sgorgava dal collo, scendendole lungo la zampa anteriore. Mi resi immediatamente conto che non potevamo continuare in quelle condizioni, perciò le chiesi di fermarsi. Con un nitrito di sollievo la giumenta si arrestò, tremando, con il corpo coperto di schiuma biancastra.
Scivolai lentamente a terra, stringendo i denti per il dolore, ed andai ad esaminare la sua ferita. Per fortuna la lacerazione si era riaperta solo superficialmente, anche se sanguinava in abbondanza. Mi guardai intorno, alla frenetica ricerca di un’erba in particolare, dalle proprietà cicatrizzanti: l’Achillea Millefoglie. Mia nonna era stata, da sempre, un’appassionata di botanica e, da lei, avevo imparato a riconoscere molti tipi di piante ed arbusti dalle più svariate capacità. Certo, l’Achillea non poteva davvero reggere il confronto con l’Athelas, ma sarebbe servita adeguatamente al mio scopo.
Alla mia destra notai un’antica statua con la testa, un tempo staccata dal busto, riposizionata alla bell’e meglio al suo posto originario. Capii subito di trovarmi al “Crocevia del re caduto”. Rimuginando sugli avvenimenti del libro, ricordai che l’esercito riunito di Gondor e Rohan era giunto in quel luogo sul far della sera. Quindi, riflettei, Aragorn e gli altri avevano circa mezza giornata di vantaggio su di me.
Alla base della statua si trovava un tappeto di piccoli fiori bianchi, raccolti in capolini, contornati da tante foglioline frastagliate. Sorrisi involontariamente, riconoscendo la piantina che cercavo e che doveva il suo nome niente meno che al Pelide Achille. Secondo gli antichi storici, infatti, anche l’eroe greco protagonista dell’Iliade aveva usato proprio quella piccola pianticella per curare le ferite di alcuni suoi compagni, durante la guerra di Troia. Sorrisi ancora al ricordo delle storie che mia nonna era solita raccontarmi, quando mi mostrava le varie erbe curative che conosceva.
Mi chinai e raccolsi una bella manciata di foglie, prendendo a strizzarle tra le mani, riducendole ad una poltiglia fibrosa. Sciacquai la ferita di Freccia d’Argento con l’acqua, ancora limpida, di un ruscelletto che gorgogliava poco lontano e poi vi applicai l’impiastro, facendolo aderire direttamente sulla lesione. Infine, strappai una lunga striscia dal mio mantello elfico, per fare una fasciatura di fortuna. L’erba si intrise subito di sangue, ma la pezza di stoffa rimase quasi interamente pulita. La giumenta aveva seguito attentamente ogni mio movimento e quando mi raddrizzai a fatica, dichiarandomi pronta a ripartire, lei voltò la testa e mi sfiorò la spalla destra con il muso, sporcandosi un poco le froge con il mio sangue.
"Oh, non preoccuparti per me” le sussurrai, carezzandole la fronte con la mano sinistra. “Sei tu che devi fare tutto il lavoro, per adesso. E poi, anche se volessi” aggiunsi, “non riuscirei a fare niente. La ferita è fuori della mia portata… Forza, rimettiamoci in marcia!"
Le saltai in groppa con fatica, stringendo i denti, mentre lei riprendeva a galoppare in direzione del Morannon, all’inseguimento dell’esercito riunito della Terra di Mezzo.
Al tramonto arrivai in vista dei primi fuochi del campo. Ero stremata, tremante di febbre e con la vista annebbiata. Non riuscivo più a muovere il braccio destro ed avevo la casacca intrisa di sangue. Per via del lungo galoppare, pure la fasciatura di Freccia aveva ceduto e la sua ferita aveva ripreso a sanguinare.
Le sentinelle appostate ai margini dell’accampamento si presero un bello spavento nel veder arrivare un cavallo coperto di schiuma biancastra e scosso da brividi di dolore, con in groppa un’Elfa che stentava a mantenersi dritta e che, per di più, aveva il lato destro della schiena completamente coperto di sangue. Presero subito a gridare qualcosa in gondoriano ed, a quei richiami, uno dei soldati seduti lì vicino partì di slancio, diretto verso il centro dell’accampamento. Con gli occhi velati, seguii a fatica la sua corsa fino a che non scomparve, inghiottito dalle tende.

 
* * *

 

I restanti membri della Compagnia dell’Anello, in compagnia di Éomer ed Imrahil, erano riuniti in assemblea nella tenda centrale del campo. Stavano studiando tattiche e strategie di guerra, per meglio decidere come comportarsi una volta giunti di fronte al Nero Cancello. L’ingresso del soldato che proruppe correndo come un turbine nella tenda li fece sobbalzare tutti quanti, tanto che Pipino rovesciò la sua mezza pinta di birra sulla mappa che gli altri stavano consultando.
"Sire Boromir! Sire Aragorn! Accorrete, presto!" esclamò il gendarme, in tutta fretta.
"Cosa è successo di tanto urgente da farti piombare qui dentro come un invasato? Parla!" gli intimò Gandalf, tentando di rimediare al danno fatto da Pipino che, nel frattempo, stava chiedendo perdono in tutte le lingue della Terra di Mezzo, conosciute e non.
"È appena arrivata un’Elfa in groppa ad una giumenta color dell’argento! Sono entrambe ferite!" rispose il soldato, rivolgendosi allo Stregone.
"Freccia!" gridò Pipino, interrompendo all’improvviso la sua litania di scuse.
"Marian!" esclamarono all’unisono Aragorn e Boromir, facendo eco all’Hobbit. Entrambi avevano capito subito di chi doveva trattarsi, perciò uscirono di volata dalla tenda, seguendo il compagno d’armi che li precedeva.
"Al nostro ritorno il responsabile delle Case di Guarigione avrà la punizione che si merita!” esclamò il Sovrintendente, percorrendo l’accampamento a passo di marcia. “Gli avevo espressamente ordinato di non lasciarla partire, per nessun motivo al mondo!"
"Prima di decretare sentenze sentiamo cosa ha da dire Marian" gli rispose il futuro Re, serio.
Camminando come se avessero avuto i Nazgûl alle calcagna, i due Uomini raggiunsero velocemente i margini del campo. Appena in tempo perché Boromir potesse afferrare al volo la fanciulla che stava scivolando giù dalla groppa del cavallo, ormai priva di sensi.

 
* * *

 

Quando riaprii gli occhi, la prima cosa che vidi fu il viso serio di Boromir. Aveva la bocca contratta, ridotta ad una linea sottile che quasi scompariva tra i peli di barba e baffi. Pochi istanti dopo, subito sotto fece capolino la faccia di Pipino. I suoi grandi occhi verdi erano pieni di ansia e preoccupazione. Non appena si rese conto che ero sveglia, l’Hobbit attaccò a parlare a raffica.
"Oh Marian! Hai fatto proprio una sciocchezza, un’enorme sciocchezza! La tua ferita si è riaperta ed hai perso molto sangue! Aragorn ha detto che…"
"Risparmiami la predica, Peregrino" lo interruppi, in un tono più secco di quanto avrei voluto. "Avevo le mie buone ragioni per fare quello che ho fatto!"
"Vorresti, per favore, farne partecipe anche me?" chiese Boromir, con voce cupa.
Il giovane Tuc lasciò vagare lo sguardo sui nostri volti accigliati. Capì immediatamente che nella tenda si stavano addensando nubi di tempesta e preferì lasciarci soli.
"Tolgo il disturbo, gente… Ci vediamo più tardi..." squittì, retrocedendo a passo svelto.
Non appena rimasti soli, Boromir ripeté la domanda. Sospirai e risposi con tutta sincerità.
"Avevo paura che potesse succederti qualcosa. Che… che tu potessi morire."
"Sciocchezze! Sono sopravvissuto alla Battaglia dei Campi del Pelennor, e a molte altre battaglie prima di quella” disse con enfasi. “Non vedo perché dovrebbe accadermi qualcosa proprio adesso!"
"Forse dimentichi che, secondo la storia originale, tu dovresti essere morto! E se il destino volesse riprendere il suo corso perduto?" gli domandai, piena di timore.
"Ed allora perché non al Fosso di Helm? Oppure davanti alle mura della mia città?" mi chiese, in tono quasi sarcastico.
"Perché indossavi la “Stella di Fëanor”, che ti è servita da porta fortuna!” proruppi, alzando il tono. “Ma ora il mio gioiello non è più al tuo collo!"
Involontariamente, il Gondoriano portò la mano alla gola. Si immobilizzò e parve riflettere sulle mie parole.
"Non potrei sopportare di perderti proprio ora che ci siamo ritrovati” ripresi in un sussurro. “Non essere in collera con me, Boromir…"
Lui chinò lo sguardo, sospirò e fece un mezzo sorriso.
"Non sono arrabbiato con te. Ero semplicemente preoccupato, ecco tutto” mi spiegò, in tono più calmo, mettendosi seduto sul giaciglio, al mio fianco. “Hai riaperto la tua ferita ed hai perso molto sangue. Nemmeno Freccia è in buone condizioni. Nonostante tu l’abbia medicata e bendata, pure la sua lesione si è aperta di nuovo…"
"Lo so” lo interruppi, “ma… te l’ho già detto, non potevo lasciarti da solo."
Si protese verso di me, sfiorandomi le labbra con un bacio.
"Ora riposati” disse mentre si rialzava. “Io devo tornare dagli altri Comandanti, per decidere la nostra strategia, ma chiederò a Pipino di farti compagnia. Tornerò appena potrò."
Pochi minuti dopo la sua uscita, la testa del giovane Tuc fece capolino da un lembo della tenda, seguita subito dopo dal resto del suo corpo. L’Hobbit aveva già ritrovato il buonumore che lo contraddistingueva e si divertì ad intrattenermi, raccontandomi scenette comiche avvenute nella Contea. La sua allegria era contagiosa e, benché la ferita fosse molto dolorosa, non potei proprio fare a meno di ridere come una pazza alle sue battute.
La riunione dei Comandanti durò molto a lungo. Oramai era notte inoltrata, ed il capo del povero Mezzuomo ciondolava dal sonno ormai da parecchi minuti. Lo invitai a stendersi sul giaciglio di pelli ed a riposarsi, e lui non se lo fece ripetere due volte. Si accoccolò in fondo al letto improvvisato, mormorò una strascicata “Buonanotte” e si addormentò all’istante.
Quando Boromir rientrò lo trovò così, ancora nella stessa posizione di quando si era addormentato. Io, invece, non riuscivo a prendere sonno, per via del dolore pulsante alla spalla e della tensione e preoccupazione che albergavano nel mio animo. Il Gondoriano sorrise nella semioscurità, sollevò lentamente Pipino tra le braccia – stando bene attento a non svegliarlo – e lo portò nella sua tenda, per poi tornare subito dopo.
Scivolò piano sotto le calde pelli di lupo che fungevano da coperta, facendomi poggiare la testa nell’incavo della sua spalla. Mi baciò sulla tempia e mi strinse teneramente a sé, senza parlare. Cullata dal lento e regolare battito del suo cuore riuscii finalmente ad addormentarmi.
La mattina dopo ci volle del bello e del buono per convincere Boromir e gli altri che ero perfettamente in grado di affrontare la marcia in sella ad un cavallo. Avevo perso molto sangue, ma le cure di Aragorn erano riuscite a rimettermi in sesto nel giro di poche ore. Poiché Freccia D’Argento, però, mostrava ancora i segni dell’estenuante cavalcata cui l’avevo costretta il giorno precedente, fui obbligata a giungere ad un compromesso: avrei cavalcato con il Capitano Generale, mentre la mia giumenta ci avrebbe seguito senza cavaliere.
La marcia verso la nostra meta durò per altri quattro giorni durante i quali, ogni tre ore, gli araldi al seguito dell’esercito annunciavano l’arrivo del Re di Gondor e del suo Sovrintendente. I momenti che seguivano a quegli appelli erano sempre i più carichi di tensione: i soldati stringevano le armi in pugno, pronti a rispondere ad un possibile assalto. Ma, stranamente, nessuno si fece mai vivo.
Infine, all’alba del quinto giorno, giungemmo in vista del Morannon, il Nero Cancello di Mordor. Si trattava di un’enorme struttura lignea, tanto vasta e pesante da necessitare l’impiego di numerosi Troll per poterne aprire i battenti.
Davanti al varco si ergevano due collinette, come piccole isole sopraelevate rispetto al resto della pianura morente. Aragorn fece schierare l’esercito proprio sulle due cime, suddividendolo in due ali: una al comando di Éomer e del principe Imrahil e l’altra capeggiata da lui stesso e da Boromir. I vessilli di Rohan e Dol Amroth, rispettivamente verde e rosso, sventolavano a fianco a fianco mentre, sull’altro lato, lo stendardo di Gondor – ricamato personalmente da Arwen in Mithril e gemme preziose – svettava solenne alle spalle del futuro Re e del suo Sovrintendente.
A quel punto mi fu concesso, finalmente, di poter salire in groppa alla mia cavalla, con l’obbligo, però, di restare nelle retrovie. Vi rimasi per pochi minuti solamente: Freccia intuì subito la mia volontà e lentamente, al passo, mi condusse fino al fianco di Boromir, proprio in prima linea.
Ad un suo comando, gli araldi del regno si fecero avanti, facendo squillare le trombe ed annunciando con voce solenne l’arrivo del Re di Gondor e del suo Sovrintendente. Per alcuni istanti niente si mosse e non arrivò alcuna risposta. I banditori stavano per portare di nuovo i loro strumenti alla bocca, per ripetere il messaggio, quando nell’enorme battente destro del possente cancello si aprì uno spiraglio, accompagnato da un sinistro cigolio. Un singolo Uomo a cavallo ne uscì lentamente. Il suo volto era quasi interamente celato da un alto elmo appuntito; soltanto la bocca era visibile: un orifizio infernale, irto di denti marcescenti ed appuntiti. Fu subito ben chiaro a tutti di chi si trattava: il primo luogotenente dell’Oscuro Signore, la “Bocca di Sauron”.
Aragorn gli si avvicinò lentamente, fissandolo con astio, la bocca ridotta ad una linea sottile per lo sdegno.
“Il mio padrone, Sauron il Grande, vi porge il benvenuto” sibilò la creatura, mostrando i denti. “Ho un pegno che mi è stato ordinato di mostrarvi.”
Da una bisaccia estrasse due oggetti, riconoscibilissimi anche nella distanza: la cotta di Mithril di Frodo e la spada di Sam. Scosse vigorosamente la prima facendola tintinnare, prima di lanciarla in direzione dell’erede di Isildur che la afferrò al volo.
A quella vista, Pipino si lasciò sfuggire un’esclamazione di sgomento.
“Frodo, no!” gridò, prima che Gandalf potesse tappargli la bocca.
Mi accostai a lui e sussurrai al suo orecchio.
“Non temere, amico mio. Frodo e Sam sono ancora vivi e liberi. Non vedi? La spada che quell’essere ha in mano non è Pungolo” gli feci notare, indicandola col dito. “Sai cosa significa? Che quei due oggetti sono stati semplicemente trovati dagli Orchi. Vogliono farci credere di averlo catturato, ma puoi star sicuro che non è questo il caso” spiegai, fissandolo negli occhi, rivelandogli forse più di quanto avrei dovuto.
Pipino spalancò le palpebre, incredulo, poi sussurrò.
“Tu sai cosa sta succedendo a Mordor, non è vero? Tu conosci tutta la storia!”
Sorrisi, enigmatica, senza rispondere. Gandalf annuì impercettibilmente e mi strizzò l’occhio.
Aragorn stesso aveva ben capito che quello della “Bocca di Sauron” altro non era che un trucco. Fremente di rabbia si accostò al luogotenente dell’Oscuro Signore e, con un unico movimento fluido, alzò Andùril e tagliò di netto il capo del suo avversario – che si abbatté al suolo senza neanche un lamento – per poi tornare alla testa dell’esercito.
A quel punto, con un terribile cigolio, spinto a braccia dai Troll il Nero Cancello si spalancò lentamente, mostrando un esercito immenso che si estendeva a perdita d’occhio per le pianure di Mordor.
Alla vista di tutti quei nemici un fremito di terrore percorse tutta la nostra piccola armata. Il futuro Re levò di nuovo la spada e, con un grido belluino che infuse nel cuore di tutti forza e coraggio, guidò la carica della cavalleria che si infranse come un’onda contro la barriera di Orchi.
Era giunto il momento di combattere ancora. Lanciai Freccia d’Argento al galoppo sfoderando Hoskiart allo stesso tempo, mantenendomi alla destra di Boromir. La spalla mi faceva ancora male, ma la spada sembrava muoversi di sua spontanea volontà nella mia mano, come guidata da una forza irresistibile.
"Ti avevo detto di rimanere nella retroguardia!" mi gridò il Gondoriano, infilzando il primo Goblin che gli capitava a tiro.
"E perdermi tutto lo spettacolo? Non se ne parla nemmeno!" risposi, decapitando un Orchetto, mentre la giumenta, con un calcio bene assestato, ne spediva un altro a gambe all’aria.
Ogni speranza di vittoria era ovviamente vana. Il piccolo esercito non avrebbe mai potuto prevalere su quell’orda di terrificanti creature, senza contare gli Esterling e gli Haradrim che ingrossavano le fila già incredibilmente cospicue dell’armata di Mordor. Il nostro unico compito era quello di mantenere il più a lungo possibile l’Occhio di Sauron lontano dai due Mezzuomini, anche a costo delle nostre vite, se necessario. In quel momento, la missione di Frodo e Sam aveva la priorità su tutto il resto: distruggere l’Anello era tutto ciò che contava.
I soldati combattevano valorosamente. Ne vidi cadere molti, vicino a me, ed ogni volta il mio cuore desiderava che tutto potesse finire al più presto.
Infine, gli otto Nazgûl superstiti piombarono su di noi dal cielo e, per un momento, la cavalleria si fece prendere dallo sgomento. Le formazioni di combattimento si dispersero e molti altri Uomini persero la vita. Le strida delle cavalcature alate degli Spettri dell’Anello risuonavano nell’aria, tanto che fui costretta a tapparmi le orecchie mentre anche Freccia d’Argento scalciava imbizzarrita.
Stavo per temere il peggio quando Gandalf, finalmente, gridò.
"Le aquile! Arrivano le aquile!"
Alzai gli occhi appena in tempo per vedere Gwaihir, il Re dei Venti, lanciarsi con gli artigli protesi contro uno dei mostri volanti. Al suo seguito, volavano altre decine di aquile dalle ali così grandi da coprire quasi completamente il cielo. Così, mentre a terra si combatteva a piedi ed a cavallo, gli enormi rapaci ingaggiarono una lotta aerea con i Nazgûl, e due di questi ultimi furono abbattuti.
Il numero dei nemici era tale, però, che saremmo stati comunque facilmente sopraffatti se Gollum, al posto giusto nel momento giusto, non fosse precipitato nella Voragine del Fato con l’Anello in mano. Non appena Sauron si accorse di quanto stava accadendo il suo Occhio si volse subito all’Orodruin, richiamando allo stesso tempo i Nazgûl rimasti. Quelli volarono più velocemente possibile ma, per quanto rapidi fossero, non fecero mai in tempo ad arrivare al Monte Fato e caddero sconfitti non appena l’Anello fu distrutto. La torre di Barad-Dûr crollò lentamente su se stessa, come un castello di carte, e l’Occhio infuocato si spense per sempre. A quel punto, l’esercito nemico si dette alla fuga. Gli Orchi sbattevano l’uno contro l’altro mentre cercavano precipitosamente di ritirarsi. L’Orodruin cominciò a vomitare lava, ed una tremenda scossa di terremoto percorse la superficie, già duramente provata, della terra di Mordor. Le fenditure si allargarono a tal punto da inghiottire i nemici in fuga, e quelli che non ci caddero accidentalmente ci si buttarono dentro di proposito, per paura di dover affrontare le nostre spade.
Solo gli Esterling e gli Haradrim rimasero a combattere, incuranti del fatto che Sauron era ormai stato sconfitto. Aragorn fece deporre le armi ai nostri soldati e, con voce stentorea, spiegò ai Sudroni che l’unico nemico comune a tutti i popoli mai esistito era ormai distrutto. Gli Uomini del Sud lo ascoltarono con attenzione, compresero che le sue parole erano veritiere ed accettarono la resa senza indugio.
Stanca, con la spalla dolorante ma soddisfatta, mi avvicinai a Boromir che stava ripulendo la lama della spada dal sangue dei nemici con un lembo del suo mantello.
"Tu l’hai sempre saputo che sarebbe andata a finire così, non è vero?" mi chiese non appena gli fui accanto, alzando lo sguardo su di me.
"Sì, ma non ho voluto rovinarvi la sorpresa…" gli risposi, ammiccando.
Fece un mezzo sorriso, accostò il suo viso al mio e mi baciò teneramente.
Era il venticinque di marzo, e così ebbe fine la tirannia di Sauron.


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Eccomi di nuovo qua! Finalmente ce l’ho fatta! La revisione di questo capitolo è stato un vero e proprio travaglio! A parte gli impegni di lavoro, che queste ultime due settimane mi hanno tenuta parecchio occupata, fino all’ultimo avevo intenzione di accorpare questo capitolo a quello che seguirà, per poi dividere il tutto in tre parti. Arrivata ad un certo punto, però, mi sono resa conto che questa idea non funzionava come avrebbe dovuto, così l’ho accantonata ed ho deciso di mantenere la suddivisione originaria. E’ anche per questo che mi ci è voluto molto più tempo del solito.
Questo capitolo è ispirato per la maggior parte al libro: la descrizione della marcia verso il cancello, la suddivisione dell’esercito sulle due colline e la battaglia sono tratte appunto dalla carta stampata. L’unica scena che ho ripreso dalla Extended Version del film è la parte che riguarda la “Bocca di Sauron” e la sua decapitazione da parte di Aragorn.
Ed ora, in conclusione, vi ringrazio di tutto cuore per la pazienza con cui mi avete aspettato.
Vi lascio, infine, con un’immagine dell’Achillea Millefoglie, tratta da Wikipedia.
Bacioni!
Evelyn


 
  
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