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Autore: Afaneia    02/10/2015    3 recensioni
È l'anno della prima edizione della Lega Pokémon: Samuel Oak è un valido allenatore all'inizio di una brillante carriera. Tutto ciò che vuole è affermarsi e competere con avversari del suo livello.
Agatha ha diciott'anni, è testarda e impulsiva, orgogliosa e severa con se stessa e con gli altri.
Il loro è un legame inaspettato, guidato dall'ambizione e dalla fame di avventure. Ma proprio questa ricerca di avventure finirà per condurli in una spirale di eventi agghiaccianti e irresistibili, in una tragedia di cui non volevano affatto essere i protagonisti, tanto spaventosa e irreale da essere destinata a rimanere per sempre segreta...
Genere: Avventura, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agatha, Prof Oak
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Capitolo IX – Si mens non laeva fuisset (Parte Seconda)


Cominciò la ricostruzione della Torre Pokémon.

Gli ultimi due piani erano stati completamente devastati dalle fiamme: non c'era più niente da salvare o da recuperare tra le pareti distrutte. Persino le lapidi in pietra o in marmo erano state a tal punto danneggiate o annerite dal calore da risultare pressoché irriconoscibili, e solo alcune delle statue sepolcrali meglio conservate furono trasportate via per cercare di procedere a un restauro.

L'inizio ufficiale dei lavori fu salutato da un'orgogliosa cerimonia formale presieduta dal sindaco ai piedi della Torre stessa: Samuel non riusciva proprio a concepire il motivo di tutto quel furioso attaccamento alla Torre. Proprio com'egli aveva notato nel dottor Ross, sembrava che tutta la città avesse vissuto l'incendio come un affronto alla sua propria dignità civile. La decisione di ricostruire non solo ciò che era andato distrutto, ristrutturando il resto della struttura, ma anche di costruire un altro piano ancora dedicato alle sole onoranze, sembrava esser stata presa sull'onda di una forte indignazione generale, quasi come fiera risposta all'ordine naturale degli eventi che aveva sfidato la sacralità di Lavandonia.

«Sono proprio degli sciocchi, non è vero?»

Appoggiandosi a lui, Agatha era scesa in salotto quel giorno. Indossava un modesto abito da casa di colore scuro, stretto in vita in un modo che risaltava ancor più la sua innaturale magrezza, ma aveva i capelli ancora raccolti nella voluminosa treccia spettinata della notte precedente, gettata con noncuranza sulla spalla destra.

Non aveva pronunciato una sola parola in tutto il pomeriggio, e proprio per questo Samuel sollevò bruscamente il capo quando la sentì parlare. In quel momento, Agatha non lo stava guardando: aveva lo sguardo rivolto lontano, fuori dalla finestra aperta, e ascoltava.

La Torre era ovviamente troppo lontana per poterne vedere altro che la cima o udire le parole della cerimonia, ma dovevano essere stati installati degli altoparlanti, e talora il vento portava loro l'eco strascinata di un discorso indistinguibile e confuso.

Dovette schiarirsi la voce per poter parlare, dopo tante ore di silenzio. «Loro non sanno che cos'è successo, dopotutto. Vogliono solo...»

«Non ci credevano» lo interruppe Agatha, come seguendo il filo di segreti pensieri. «Sapevano, eppure non ci credevano. Non è terribile, questo? Abbiamo sempre vissuto tutte le nostre vite ignorando il fatto che lui fosse lassù, che potesse vederci, sorvegliarci tutti, eppure avevamo tutto quello che occorreva per accorgercene! Tutti i nostri libri e le nostre leggende hanno sempre parlato di quel sepolto vivo, sin dalla fondazione della Torre, dunque qualcuno doveva sapere, all'inizio, quando qualcuno lo ha rinchiuso là dentro. Allora perché quando qualcuno parlava del sepolto vivo nessuno ci credeva mai?» Le tremò la voce per qualche istante mentre parlava, ma non distolse gli occhi dai suoi, non li chinò. «Sono stata stupida quanto loro, non è vero, Samuel?»

Molto, molto di più, avrebbe voluto gridare Samuel, ma non gridò. Tutta Lavandonia aveva ignorato ogni possibile diceria sul sepolto vivo, ne aveva ignorati gli indizi, deriso coloro che vi credevano, ma nessuno mai era salito lassù da solo, di notte, a controllare... oppure, se qualcuno l'aveva fatto, di certo non aveva avuto occasione di raccontarlo, e più niente di lui era rimasto a testimoniare al suo posto. Ma ciascuno di loro aveva voluto salirvi egualmente, per sciocchi e futili motivi d'orgoglio, forse proprio per dimostrare a se stessi che non ci credevano, e ora che erano sopravvissuti non potevano raccontarlo, perché sarebbero stati creduti più pazzi ancora di quanto effettivamente fossero stati.

Ma di tutte queste riflessioni e questi pensieri, Samuel non disse nulla. Dopotutto, parlarne non avrebbe avuto alcun senso: con la sua codardia e il suo scetticismo, Lavandonia era stata molto più saggia di loro, e questo non si poteva in alcun modo cambiare. I suoi abitanti avrebbero potuto sapere, ma avevano scelto d'ignorare, avevano preferito vivere in un mondo concreto e razionale, pieno di sole, in cui nulla di così orribile come il sepolto vivo e la pallida mano avrebbero potuto trovare spazio: quel mondo in realtà non esisteva davvero, ma almeno nessuno di loro era morto. Lui e Agatha avevano scoperto la verità, ma questo a cosa li aveva portati?

«Perché mi stai dicendo queste cose?»

Mentre Agatha apriva la bocca per rispondere, un'esplosione di applausi amplificata dagli altoparlanti sgorgò dalla piazza affollata con tanta forza da risultare udibile anche alla loro distanza, e si affievolì poi senza spegnersi dopo lunghi secondi.

Agatha gettò una lunga occhiata esitante verso la finestra aperta. L'incertezza che sembrava esprimersi da sola attraverso i suoi occhi, rivolti quasi con ansietà verso la Torre, sembrava il timore di parlare così vicino a quel grande edificio incombente, onniveggente, e da esso di farsi udire. «Tu credi davvero che sia morto, Samuel?»

Non avrebbe saputo dire perché questa domanda lo facesse infuriare tanto, come una scossa indicibile in mezzo alla schiena che risalisse fulmineamente in tutto il suo corpo. Quella scossa lo fece balzare in piedi in modo involontario, come per un impeto di rabbia, ed esclamò: «Charizard lo ha ucciso!»

Agatha non dimostrò la benché minima impressione davanti al suo scatto d'ira. Continuò a scrutarlo a lungo, con la fronte penosamente aggrottata, e chiese con calma: «Tu lo hai visto morire?»

«Certo che l'ho visto morire!» gridò Samuel. Era incapace di tornare seduto: prese a percorrere nervosamente il salotto a grandi passi, sebbene non vi fosse modo di sottrarsi a questa domanda. I grandi occhi di Agatha lo seguivano pazientemente lungo la stanza. «È morto bruciato, Agatha.»

Non avrebbe mai avuto modo di dimenticare quel magro orrido corpo ripugnante che scompariva stridendo tra le fiamme e il fumo. Ma quando si voltò bruscamente, incapace di fuggire ancora l'intensità dello sguardo puntato su di lui, lo scontro coll'incredulità dei suoi occhi fu inevitabile. Agatha non lo stava accusando di niente, ma nei suoi occhi egli vide che quel dolore la pervadeva e la divorava ancora da quel giorno. Dopotutto, ella non aveva visto.

«Noi non sappiamo se potesse morire.»

Forse le sue domande e le sue incertezze lo stavano facendo ignorare perché negli abissi della sua mente, in una zona inesplorata e repressa del suo pensiero, egli inconsciamente nutriva i suoi medesimi dubbi. Samuel sapeva perfettamente che cos'aveva visto, la grande fiumana d'inferno e le orbite nere del sepolto vivo in mezzo alle fiamme... ma tutto ciò che, dopo di questo, era veramente riuscito a vedere, era il fumo. Poteva davvero dire d'averlo visto morire?

Ma no, no, no! Non era così che si doveva fare! Lasciarsi prendere dal dubbio, permettere che le speculazioni e le incertezze si assommassero al rimorso e al dolore, e tollerare anche la sola idea che il sepolto vivo fosse ancora vivo su quella terra, non sarebbe stato come accettare di continuare a vivere in eterno lo stesso incubo?

«Abbatteranno gli ultimi due piani» disse con voce decisa, come a voler chiudere la questione, avvicinandosi a una finestra. «Se fosse ancora lì, lo troverebbero.»

La risposta di Agatha era tanto logica e conseguente alle sue parole da essere presente alla sua mente prima ancora ch'ella la pronunciasse: avrebbe potuto dirla egli stesso, se solo non fosse stato troppo impegnato a negarla. «Samuel... quell'uomo è stato sepolto vivo alla fondazione della Torre, eppure nessuno lo ha mai visto.» Dopo un momento, con una sfumatura più tenue nella voce, soggiunse: «Non hanno trovato alcun corpo.»

Quella tonalità più lieve parlava di tante cose non dette, che Samuel colse come se le avesse urlate. Si volse di scatto verso di lei: non hanno trovato neppure loro, era l'obiezione che avrebbe voluto muoverle o meglio ancora gridarle addosso nella sua disperazione, ma in fin dei conti sapeva già che non si sarebbe trattato neppure di una vera obiezione, ma solo di una delle tante proteste vocianti della sua coscienza, che lottava per venire alla luce. Non era stata segnalata alcuna presenza sospetta all'interno della Torre bruciata, ma questo indicava soltanto che non ve n'era stato alcun bisogno. I loro Pokémon, o quello che era stato di loro, erano bruciati nell'incendio, non abbastanza a lungo da divenire cenere e polvere nell'ultimo residuo di dignità che avrebbero meritato, ma di certo abbastanza da apparire scure e inconoscibili forme carbonizzate a malapena identificabili... perdute in mezzo a decine di altri corpi carbonizzati. Nessuno aveva avuto interesse a riconoscere i cadaveri o ad analizzarli, e perché avrebbero dovuto? I loro Pokémon erano cadaveri in un cimitero per Pokémon. Le autorità avevano avuto fretta di chiudere il capitolo dell'oltraggio alla loro Torre e avevano provveduto a cremare immediatamente i corpi.

La verità era che Agatha aveva ragione: non era stato trovato alcun corpo umano. Un ritrovamento del genere avrebbe di certo fatto tanto scalpore che non se ne sarebbe potuto non parlare: vi sarebbero state indagini, accertamenti. Ma questo non significava niente, niente! Anche il suo corpo era bruciato, doveva essere così, e le sue ossa scomposte dovevano essersi perdute in mezzo a tutte le altre, ma certo: doveva essere così!

Ma quando si volse verso di lei, tutte le sue parole e le sue proteste gli morirono sulle labbra prima di trovar voce: Agatha non lo stava guardando. Aveva assunto un'espressione strana, attonita, e i suoi occhi erano puntati fuori dalla finestra come se non potesse credere a ciò che stava vedendo. Quano Samuel si volse nella direzione del suo sguardo, per cercare di capire cosa l'avesse colpita tanto, scorse la lucida carrozzeria di un'automobile che varcava il cancello.

«Agatha...» iniziò con voce incerta, senza sapere con precisione che cosa chiederle. Era assolutamente certo che non si trattasse dell'auto del dottor Ross: quella che stava avanzando era un'auto recentissima e moderna, tirata a lucido con cura quasi maniacale.

«La conosco, sì» disse Agatha con voce fredda e atona, improvvisamente distante da lui, senza attendere la sua domanda. «È l'auto del signor Firefly.»

L'auto procedeva ora con grande lentezza sul viale d'ingresso per evitare di sollevare troppa polvere. Sottraendosi alla sua vista, Samuel tornò a voltarsi verso Agatha: ella si era alzata in piedi, calma e determinata e gelida com'egli l'aveva spesso vista prima di allora. «Sa che sei qui?»

«Sa che siamo qui» lo corresse Agatha seccamente. «E ovviamente questo non gli sta bene.» Gettò un'occhiata di controllo verso il giardino, dove ancora la macchina del suo tutore proseguiva lentamente e inesorabilmente verso la porta, e proseguì: «Deve avergli detto tutto il dottor Ross, naturalmente. È venuto a gioire delle mie ferite, ma io non gli darò nessuna soddisfazione.»

Prima che Samuel avesse modo di chiederle esattamente per quale motivo il suo amministratore dovesse essere così crudele verso di lei, il rombo dell'auto che parcheggiava davanti al portone gli disse che il signor Firefly era arrivato. Quand'anche lo avesse voluto, non vi sarebbe stato il tempo di allontanarsi – ed egli non lo voleva assolutamente, perché allontanarsi sarebbe stato fuggire, ed egli non aveva nulla di cui vergognarsi e dover fuggire davanti a quell'uomo: perciò, egli si limitò a sistemarsi il colletto della camicia, a sedersi sul divano come un qualsiasi ospite, e ad aspettare, mentre Agatha, zoppicando un poco, si avvicinava alla porta.

Il campanello ebbe vari squilli provocatori, insistenti, di svariati secondi, ma per quanto Agatha fosse a un passo appena dalla porta, non aprì immediatamente. Al contrario, attese un tempo spropositatamente lungo, anche più di un minuto, continuando a fissare la porta in silenzio, immobile e con la braccia incrociate. Finalmente, proprio quando Samuel si aspettava da un momento all'altro una nuova raffica di suoni, o semplicemente che il signor Firefly se ne andasse, ella spalancò inaspettatamente la porta e disse con voce prima di qualsiasi particolare inclinazione, e proprio per questo più terribile: «Buonasera, signor Firefly.»

Al di sopra della minuta statura di Agatha che si stagliava davanti all'ingresso, Samuel scorse la figura di un uomo che dimostrava almeno sessant'anni, dai capelli già bianchi, e completamente sbarbato. Dall'alto della sua altezza, gli parve che chinasse gli occhi su Agatha con grande benevolenza, ma il suo sguardo gli diede anche un vago sentimento d'ipocrisia, come s'egli volesse dare l'impressione di essere sorpreso di trovarla lì, ma in realtà non lo fosse affatto.

«Buonasera, Agatha... spero di non disturbarti. Ho saputo che eri a Lavandonia e, a dire la verità, mi sono sorpreso...»

«Che cosa ci fa qui?» lo interruppe Agatha bruscamente, incrociando le braccia sul petto. «Il dottor Ross le ha telegrafato appositamente ad Azzurropoli per dirglielo?»

La sua aggressività parlava da sola: Agatha non lo voleva lì. Ma il signor Firefly non ne rimase affatto colpito: al contrario, si limitò a sorridere pazientemente, come se vi fosse ormai ben più che abituato, e rispose: «No, Agatha. Posso entrare? Dal momento che sono qui, vorrei approfittarne per parlarti.»

Dopo lunghi attimi di silenziosa contrarietà, Agatha si fece da parte per farlo passare. Sì, quella era proprio l'Agatha ch'egli conosceva sin dal primo giorno: non lo voleva lì, ma non poteva rifiutare la sfida ch'egli gettava al suo orgoglio. Gli fece cenno di entrare e proseguì: «Forse sa già qualcosa del mio ospite.»

Sì, decisamente, Firefly sapeva che l'avrebbe trovato lì. Quando il suo sguardo si posò su di lui, Samuel non percepì nei suoi chiari occhi slavati la benché minima sorpresa. Agatha non era paranoica: quell'uomo era stato davvero avvertito della sua presenza e di certo anche delle condizioni di Agatha.

Prima che il signor Firefly facesse in tempo a mentire anche a quel riguardo, Samuel si alzò e gli si avvicinò con la mano protesa, quasi con sfida nei suoi riguardi, e reprimendo il senso di fastidio che quell'uomo gli provocava disse a voce alta: «Samuel Oak, signore. Piacere d'incontrarla.»

Nel momento in cui Firefly appuntò lo sguardo su di lui e sorrise, Samuel decise definitivamente e una volta per tutte che quell'uomo non gli piaceva. Si sentiva come davanti a una trappola che fosse stata tesa per lui, nella quale in ogni caso sarebbe stato destinato a cadere, che avesse scelto di fuggire o al contrario di affrontarlo, proprio per il fatto che quell'uomo era stato curioso fino a un attimo prima di scoprire se l'avrebbe trovato lì oppure no.

«Ah! Molto piacere, signor Oak» esclamò Firefly stringendogli la mano. Non gli aveva detto il suo nome, notò Samuel, con quell'arrogante senso di superiorità che hanno talora gli adulti nel rivolgersi ai bambini. «È anche lei un allenatore, suppongo? Non mi pare di averla mai vista a Lavandonia...»

Samuel si limitò ad annuire lentamente per tutta risposta. Frattanto, alle spalle del signor Firefly, Agatha richiuse bruscamente la porta principale e si avvicinò a loro. Pur sforzandosi di non guardare le sue gambe per non richiamarvi l'attenzione, a Samuel parve che camminasse con qualche difficoltà, e questo non sfuggì sicuramente al suo amministratore: al contrario, egli lo vide gettarle una lunga occhiata eloquente.

«Mi dispiace avervi disturbati, ma mi fermerò solo qualche minuto» riprese in tono di garanzia, strofinandosi le mani. «Devo essere di ritorno ad Azzurropoli assolutamente entro le otto per una cena di lavoro, perciò, Agatha, potremmo scambiare due parole?»

«Prego» ribatté Agatha freddamente, colle braccia incrociate, accennandogli appena col capo al divano davanti a loro. «L'ascolto.»

Il signor Firefly continuò a fissarla con lo stesso immutabile sorriso, senza mutare espressione, né volgere lo sguardo altrove. «In privato.»

«Non c'è niente che Samuel non possa sentire, o che io non gli direi comunque una volta che lei se ne fosse andato» sbottò Agatha, la cui fronte andava increspandosi in una dura linea rabbiosa, esasperata. I suoi occhi sembravano emanare unicamente sfida e provocazione, ma il signor Firefly continuò a non manifestare il minimo segnale di cedimento.

«Mi dispiace, Agatha» disse a bassa voce. Gettò a Samuel una rapida occhiata mortificata. «Se non vuoi ascoltarmi, sarò costretto ad andarmene.»

«Benissimo» sbottò Agatha imperiosamente. «In tal caso, la prego...»

«Va bene così, Agatha» si affrettò a dire Samuel. Allungò la mano a dare una rapida stretta alla sua ed ella lo guardò con occhi colmi di disappunto, ma non si oppose. Si limitò a ricambiare brevemente la sua stretta, come a dire di aver capito. «Posso aspettarti nello studio.»

«Come vuoi» mormorò Agatha senza troppa convinzione. Al contrario, il signor Firefly lo guardò sorridendo, pieno di riconoscenza e forse anche di compiacimento, come se si fosse appena trovato a pensare che fosse un po' meno stupido di quanto aveva pensato all'inizio. «La ringrazio molto, signor Oak.»

Samuel si limitò ad assentire di nuovo col capo, ma senza rispondergli, e si diresse lentamente verso lo studio aiacente al salotto. Non scambiò neppure uno sguardo con Agatha: passandole alle spalle per uscire dalla stanza le sfiorò appena la schiena, quasi inavvertitamente, e basta. In quel contatto appena accennato c'era tutta l'intesa di cui avevano bisogno.

Gli era capitato di entrare altre volte in quella stanza, durante quegli ultimi giorni di angoscia, ma non gli era mai piaciuta molto. La percorse di nuovo con lo sguardo mentre chiudeva la porta e vi si appoggiava con tutto il proprio peso, sentendosi improvvisamente stanco: era arredata di quell'eleganza maschia, pragmatica e sobria delle stanze private, da lavoro, in blu e grigio fumo, e perlopiù spoglia se non per pochi oggetti: un telefono all'americana, ormai un po' antiquato, e lunghe scaffalature colme di quelli che sembravano albi dell'esercito e della marina, tanto asettici e noiosi da non suscitare in lui la minima curiosità. Persino senza guardarli con attenzione sembrava evidente che la maggior parte di essi fosse ancora intonsa.

Al di là della porta chiusa, sentì la voce bassa, misurata del signor Firefly dire: «Siediti, Agatha. Sai bene che non devi sforzarti.»

«Dunque lei sa» disse la voce sferzante di Agatha. «Vuole ancora negare...»

«Tutto il paese lo sa, Agatha» esclamò il signor Firefly in tono esasperato, come se fosse costretto a metterle qualcosa di proprio evidente davanti agli occhi. «Il dottore veniva qui due volte al giorno. Pensi che a Lavandona questo possa sfuggire a qualcuno?»

Non vi fu risposta, per qualche momento: Samuel immaginò che Agatha si fosse infine seduta, nella speranza di abbreviare il più possibile la durata di quella visita. Poi: «Sei troppo magra. Non mangi abbastanza? Stai ancora molto male?»

«La smetta con queste sciocchezze» rispose bruscamente Agatha.

«Mi sto solo preoccupando per te, Agatha. Non sono più il tuo tutore, d'accordo, ma questo non significa nulla.» Seguì un silenzio più lungo, rotto solo da un suono di passi che attraversavano il salotto più e più volte. «Lo so quello che credi, ma non sono venuto qui a dirti che te l'avevo detto.»

«In tal caso, continuo a chiedermi cosa ci faccia qui.»

«Sarei venuto a Lavandonia comunque» affermò il signor Firefly, quasi sulla difensiva. «Obblighi di rappresentanza. Ho fatto leva sul Consiglio per ottenere dei finanziamenti per la Torre, e sono stato finora alla cerimonia per i lavori. Ma volevo vederti, Agatha, e se non ti avessi trovata in casa ti avrei scritto o telefonato. Questa volta l'hai combinata grossa.»

«È stato un incidente» disse Agatha, ma per la prima volta dall'inizio della conversazione, la sua voce ebbe una nota incerta. Sminuire così la portata di quella notte nelle loro vite era come gettare fango sulla morte dei suoi Pokémon, ma come si poteva dire altrimenti?

«Un incidente, Agatha! Quel cane avrebbe potuto sbranarti! Si sa almeno se ti rimetterai mai completamente?»

Cane. Dunque era questo che sapeva il signor Firefly: che era stato un cane. Qualsiasi cosa il dottor Ross gli avesse detto, se veramente era stato lui ad avvertirlo, quantomeno non gli aveva detto tutta la verità e aveva taciuto sulla vera natura della ferita di Agatha. Quel pensiero improvviso gli fece valutare più positivamente il ricordo del medico: aveva parlato al signor Firefly, questo era vero, ma aveva mentito a loro favore.

«Sarebbe potuto accadere a chiunque.»

«Ma è successo a te» concluse il signor Firefly con voce amareggiata. «Guarda caso, a una ragazza di buona famiglia che viaggia da sola.»

«Credevo che non fosse venuto qui per farmi la predica» disse Agatha freddamente.

Seguì un sospiro, poi di nuovo il suono ritmico di passi che percorrevano il salotto. «Vorrei soltanto vederti tranquilla, Agatha. Al sicuro. Tu sai bene che io non voglio limitarti, ma ci sono tante cose che una ragazza come te può fare... cose importanti, come gli uomini, voglio dire... senza correre pericoli. Senza dormire all'aperto e non sapere mai chi incontrerai. Io sono responsabile per te, Agatha...»

«No, invece. Non lo è.»

«Per la legge, forse, ma per tuo padre?»

Samuel levò il capo di scatto. Non si era neppure accorto di aver davvero ascoltato, quanto piuttosto di udire con una parte distratta e incostante della sua mente; ma quella svolta improvvisa del discorso lo richiamava bruscamente alla realtà. La loro conversazione aveva assunto una piega completamente diversa, un taglio personale e delicato, privato, di cui egli sentiva di non dover partecipare... ma ignorare le loro voci era impossibile da quella breve distanza. Si allontanò dalla porta e andò a sedere al centro della stanza, su una poltrona blu sgradevolmente morbida, ma neppure allontanarsi gli permetteva d'ignorare il fervore del signor Firefly proveniente dal salotto.

«Per me le cose non sono così semplici come le vedi tu, Agatha... e i miei doveri non si fermano dove vorresti tu. Io mi sento ancora responsabile per te. Forse sono stato troppo permissivo con te, e non ho calcolato bene i rischi... non dimenticare che sono stato proprio io a regalarti il tuo primo Pokémon, non poi così tanto tempo fa. Devo credere di aver fatto uno sbaglio, quel giorno?»

Non vi fu risposta, per l'ennesima volta. Anche senza vederla, alla distanza di una porta chiusa, Samuel riusciva a immaginarsi Agatha come doveva essere in quel momento, barricata nella roccaforte del suo orgoglio, colle braccia conserte e gli occhi che lampeggiavano di rabbia sotto le sopracciglia arditamente aggrottate.

«Ho sempre cercato di fare del mio meglio con te, Agatha, ma qualche volta ho il dubbio di non aver compiuto le scelte che avrebbero preso i tuoi genitori, se fossero stati al mio posto. Mi piacerebbe solo saperti al sicuro.» Vi fu un attimo di pausa e poi, in tono più mite: «Tuo padre avrebbe voluto vederti sposata, Agatha.»

Finalmente, dopo lunghi minuti di sinelzio ostinato e rabbioso, Agatha parlò. Ma la sua voce tremava di furore, era tesa e vibrante come una corda sottoposta a troppo sforzo: «Mio padre non è qui, ora.»

«Ma lo sai anche tu che sarebbe la cosa migliore per te, ora. Non ti fa bene stare sola, Agatha... questa casa è così grande.»

«Non sono sola, ora.» La voce di Agatha si era inaspettatamente calmata. «Samuel è qui con me.»

«Già... lo so. Ma non voglio insistere su questo, Agatha. Bisognerebbe che lo facessi, ma sai già anche tu che tutta Lavandonia parla anche troppo di questa faccenda. È una cosa che non sta bene.»

«Mi ha insegnato lei a non curarmi di tutte le cose che si dicono a Lavandonia, tanti anni fa» constatò Agatha in tono eloquente.

«Ma lo sai anche tu che questo è diverso, Agatha! Abitare con un uomo non è proprio come quella storia... eppure basterebbe così poco per regolarizzare la vostra posizione. So che non mi darai retta, ma pensaci, Agatha. Sai perfettamente che ho ragione e che sarebbe la cosa migliore per tutti.»

«È questo tutto ciò che aveva da dirmi?» ribatté Agatha per tutta risposta. Vi fu un fruscio lieve, come di stoffa smossa: doveva essersi alzata dal divano, in un chiaro segnale di congedo.

«Sì, Agatha» concluse il signor Firefly, ma con un certo accento di delusione nella voce. «Ho finito, ma vedo che come al solito non hai capito.» Non vi fu risposta. «Come vuoi, Agatha. No, non accompagnarmi» aggiunse in fretta, come per fermare un suo movimento. «Rimani seduta, ti prego... e mangia un po' di più. Sarai meno bella, altrimenti. Dammi retta almeno su questo. Saluterai tu il signor Oak per me, vero? Io non voglio disturbare oltre, e poi, non posso assolutamente fermarmi...»

Di fronte a quel torrente di parole e di domande che sembrava addirsi così poco a un uomo così serio e posato, Agatha rimase impassibile. «Arrivederci, signor Firefly.»

«A presto, Agatha.» Un attimo di esitazione, e poi: «Mi chiamerai se avrai bisogno di qualche cosa, siamo intesi?»

Ma non vi fu alcuna risposta e una porta si aprì e si richiuse.

Il silenzio che calò di nuovo sulla casa sembrava più pesante ancora di prima. Le celebrazioni alla Torre dovevano essere finite, o quantomeno aver smorzato i toni: anche tendendo l'orecchio, concentrandosi molto, Samuel non riusciva più a udire il minimo accenno di voci o di musica. Tutto ciò che entrava dalla finestra dello studio era un gioco di luce e di ombra che si rifletteva sul tappeto blu e che si commutava a misura del vento che stormiva tra i rami del giardino.

Finalmente, Samuel si decise ad alzarsi dalla poltrona. I suoi passi non produssero alcun rumore sul tappeto quando percorse lentamente lo studio per andare ad aprire la porta.

Agatha sedeva del tutto immobile sul divano, cogli occhi vacui e pensierosi perduti nel vuoto. Sembrava esausta, estenuata, come se quello scontro verbale, che pure era stato almeno in apparenza tanto calmo e civile, l'avesse tremendamente spossata. Al rumore della porta che si apriva, ella levò lo sguardo su di lui.

«Mi dispiace, Samuel» disse lentamente. Anche la sua voce suonava fiacca e spenta. «È stato terribilmente scortese.»

«Lo sai che non importa.» Samuel sedette a sua volta sul divano al suo fianco, soppesando con lo sguardo il suo profilo cupo e distratto. «Ne vuoi parlare?»

Come riscuotendosi dai suoi pensieri, Agatha gli gettò uno sguardo carico di riconoscenza.

«Hai conosciuto il signor Firefly, finalmente» constatò. «Che te ne è parso?»

Se glielo avesse chiesto solo venti minuti prima, quando il signor Firefly era entrato in casa e gli si era rivolto in tono così untuoso e ipocrita, Samuel non avrebbe avuto dubbi su cosa risponderle. Ma glielo stava chiedendo adesso, dopo ch'egli aveva suo malgrado udito ogni parola della loro curiosa conversazione, e in quel momento egli si rese conto di non essere più sicuro di disprezzarlo tanto. «Mi è parso che ti volesse molto bene.»

«Già... è così.» Agatha si strinse nelle spalle. «Mi vuole bene, ma mi disprezza. È strano, vero?»

In un certo senso, quella era un po' la stessa impressione che aveva avuto egli stesso. «Già... è molto strano.»

Agatha si alzò lentamente dal divano. Dopo quella giornata insolitamente lunga, anche il suo equilibrio sulla gamba malata sembrava un po' più instabile di prima, ed ella dovette appoggiarsi un momento al bracciolo del divano per poterlo guardare con calma negli occhi. «Mi sento tanto stanca, Samuel. Ti dispiacerebbe se andassi a riposarmi un po'?»


Quando la porta del piano di sopra si fu richiusa alle spalle di Agatha, la villa sprofondata di nuovo nel silenzio gli parve all'improvviso intollerabilmente solitaria.

Nei giorni precedenti non se n'era accorto, forse, tutto preso com'era da Agatha e dal suo dolore, dalle visite del dottor Ross e dal pensiero di dover mantenere il segreto, eppure quel pomeriggio per la prima volta, forse per la strana viscida presenza del signor Firefly che ancora sembrava aleggiare per tutta la casa, la vastità imponente e silenziosa della villa gli parve soffocante e invasiva, quasi perturbante come un veleno, e d'improvviso gli parve che se fosse rimasto ancora lì sarebbe impazzito.

Era la prima volta che varcava di nuovo il cancello dopo quella notte.

Lavandonia sembrava ancora dolorosamente identica a se stessa, così placida e suo malgrado irrorata da un inconsapevole sole. Scorgendo da lontano la folla che si assiepava lungo le strade e per le piazze, attardandosi dopo la festa di inaugurazione, Samuel mutò bruscamente direzione: il centro era troppo gioioso per lui, quel giorno. Tutte quelle persone celebravano i lavori per la ricostruzione della Torre, ma come volentieri egli avrebbe assistito alla sua rovina!

Si volse decisamente verso sud, in direzione del lungo Ponte Silenzio che si snodava sulla piatta distesa del mare: avrebbe camminato colle spalle rivolte alla Torre, rifletté pigramente con una parte della sua mente, e per l'ora del suo ritorno forse Lavandonia sarebbe stata abbastanza tranquilla da non attrarre continuamente il suo sguardo in quella direzione.

Ma quando alla sua destra cominciò ad aprirsi il Percorso Otto, coi suoi grandi alberi ancora rigonfi di fiori e il lieve vento profumato, pulito, che lo accarezzava spesso, una voce che non gli era del tutto ignota esclamò: «Signor Oak, prego!»

Samuel si voltò bruscamente, sentendosi d'improvviso allarmato come non era stato mai, e i suoi occhi saettarono più e più volte su e giù lungo l'imboccatura del percorso, ma non videro nulla. Non c'era nessuno, e per un attimo egli provò l'istintivo irrazionale impulso di voltarsi e correre via, ma s'impose di dominarlo e di rimanere fermo: non c'era più nulla da temere. Quello era il mondo esterno, un mondo reale e assolato dove niente di inspiegabile poteva più minacciarlo...

«Signor Oak, che piacere! Va di fretta?»

Vi fu un bagliore appena fuori del suo campo visivo, tra gli alberi, in corrispondenza di un largo spiazzo ch'egli coglieva appena con la coda dell'occhio: il bagliore fulmnineo, inaspettato della portiera di un'automobile che si spalancava un istante. Quando Samuel si volse in quella direzione, il signor Firefly lo stava avvicinando con un largo sorriso caloroso. «Sta andando da qualche parte?»

Gli riempì la mente un'infinità di possibili risposte e domande perfettamente coerenti e logiche in relazione alla sua affermazione di poco prima di dover tornare in fretta ad Azzurropoli, l'una più offensiva e accusatoria dell'altra, ma sorridendo con calma domandò: «Problemi con il motore, signor Firefly?»

«Il motore?» Il signor Firefly gettò una rapida occhiata, quasi involontaria, all'automobile perfettamente parcheggiata all'ombra, prima di cogliere la velata ironia delle sue parole. «Oh, no, io... ho fatto quattro passi con un vecchio amico. L'ho appena salutato.»

Samuel ascoltò le sue ridicole giustificazioni con la massima calma, continuando a sorridergli. Non riusciva a credere a una sola parola di quanto gli aveva appena detto, ma per smentirlo si limitò a fargli un breve cenno col capo. «In tal caso, suppongo di non doverla trattenere oltre. L'attendono a cena, giusto?»

Il signor Firefly assunse un'espressione leggermente imbarazzata, come se da quella domanda si sentisse colto in fallo, e diede in una breve, secca risata, strofinandosi le mani. «Beh, non è poi così urgente, in realtà. Con l'automobile non ci vuole più di mezz'ora, e poi... non possono cominciare senza di me, dopotutto. Sta andando da qualche parte?» insisté, accennando all'automobile. «Potrei darle un passaggio.»

Era anche troppo evidente che quell'uomo aveva qualcosa da dire a lui personalmente, per qualche suo oscuro proposito, e oltretutto qualcosa che non poteva dirgli in presenza di Agatha. Scrutandolo dall'alto per quanto gli permetteva la loro differente statura, Samuel non poté fare a meno di accigliarsi davanti alla sua palese insistenza. «A dire il vero, stavo andando soltanto a fare una passeggiata.»

«In tal caso, potrei accompagnarla per un pezzo. Le dispiace se mi unisco a lei?»

Per quanto potesse voler bene ad Agatha, quell'uomo continuava a non piacergli, colle sue maniere untuose e subdole e i suoi atteggiamenti anche troppo infidi, e anzi i suoi sospetti nei suoi confronti crescevano a ogni minuto che passavano insieme. Ma come opporsi senza risultare terribilmente maleducato?

«Come preferisce» rispose a malincuore. «Prego.»

Ripresero a camminare verso sud, a una prudente distanza di cortesia l'uno dall'altro. A costo di mantenere per ore quello strano silenzio imbarazzato, Samuel era determinato a non parlare per primo. Era curioso di scoprire perché il signor Firefly avesse tanta premura di parlare con lui, ma domandargli qualcosa sarebbe stato facilitargli quel compito e metterlo nella condizione ideale per parlare, ed egli non ne aveva alcuna intenzione.

Dopo poche decine di metri, finalmente il signor Firefly parlò. «Spero che non se la sia presa per prima, signor Oak. Sa com'è, quando si tratta di affari...»

«Capisco benissimo» ribatté Samuel con calma. «Non c'è bisogno di scusarsi.»

Ora che aveva rotto il ghiaccio e si era accertato della sua disponibilità, il signor Firefly parve acquisire sicurezza e muoversi con più scioltezza sul terreno pericoloso della loro conversazione. «Le confesso che Agatha non mi aveva mai parlato di lei. Posso chiederle se vi conoscete da molto?»

«Un paio di mesi» rispose Samuel con sufficienza. Continuava a guardare davanti a sé, con l'aria di osservare il piatto paesaggio cittadino che degradava e inclinava il direzione del mare, ma nonostante ciò non perdeva di vista il suo interlocutore, scrutandolo attentamente con la coda dell'occhio; per contro, era certo che anche il signor Firefly, al di là del suo sguardo benevolo e della sua cordialità stesse facendo altrettanto con lui. «Ci siamo conosciuti alla Lega Pokémon, il primo giorno delle iscrizioni al Torneo.»

«Ma poi non avete partecipato, eh?»

Quella di certo era una prima, velata insinuazione alla sua volta, ma Samuel s'impose di non lasciarsene intimorire: non c'era nulla da nascondere, si ripeté. Perciò, con la massima calma, ribatté: «Abbiamo preferito dedicarci ai viaggi e alle esplorazioni.»

«Oh, capisco» constatò il signor Firefly a bassa voce. «Ma che drammatica fatalità, non è vero? Se solo voi foste andati alla Lega, non sarebbe successo quel terribile incidente...»

Samuel non accolse la sua provocazione. Erano in una zona ormai piuttosto periferica di Lavandonia, dove già le cose cominciavano a diradarsi; scrutando il paesaggio attorno a lui, Samuel decise tra sé di non proseguire per più di altri cinque minuti. Se il signor Firefly non fosse riuscito a dirgli ciò che doveva entro quel tempo, avrebbe dovuto arrendersi: per quanto lo riguardava, non voleva lasciare Agatha sola troppo a lungo.

Era evidente che era proprio qui che il signor Firefly voleva arrivare, o quantomeno, era da qui che voleva partire. «Lei era lì, non è vero? Voglio dire, quando Agatha è stata aggredita.» Samuel si limitò ad annuire. «È stato lei a salvarla, non è vero? Dev'essere stato un miracolo che lei fosse lì. Pensi che quel cane avrebbe potuto sfregiarla, o peggio ancora!»

In quel momento, all'ennesima violenta immagine vivida di ciò che il sepolto vivo aveva fatto ad Agatha, mantenere la calma e non tradirsi gli richiese uno sforzo terribile. Volgendo lo sguardo altrove, cercò di mantenere una voce bassa e indifferente, quando disse: «Agatha avrebbe potuto cavarsela benissimo anche senza di me. Quella bestia l'ha colta alla sprovvista, ma se non fossi arrivato io, si sarebbe salvata ugualmente da sola. E poi aveva i suoi Pokémon» soggiunse, un po' troppo bruscamente, ma Firefly non vi fece caso. Ancora non sapeva che la squadra di Agatha non c'era più, dopotutto.

Preso com'era da questi pensieri, Samuel si accorse a malapena che il signor Firefly gli stava domandando: «Posso chiederle se è innamorato di Agatha?»

Samuel si fermò bruscamente là dove si trovava, e in modo tanto inaspettato che il suo accompagnatore quasi incespicò per fermarsi a sua volta. Come si permetteva? Forse che essere ricco, essere influente gli dava l'autorità necessaria ad avanzare insinuazioni e domande... e per conto di chi, poi? Ma se non era neppure più il tutore di Agatha!

Si rendeva perfettamente conto di essere avvampato: persino il suo cuore aveva ora accelerato i suoi battiti come un martellio incessante, pressante nella gabbia toracica. Non poteva fare nulla per impedire queste manifestazioni fisiche, ma la valanga d'improperi e indignazione che stava per rovesciargli addosso poteva almeno fermarla. Gridare e alterarsi sarebbe stato peggio ancora che arrendersi e dargli vinta quella battaglia senza nemmeno provare a lottare: infuriarsi sarebbe stato tanto eloquente quanto rispondere sì, e a quel punto ogni negazione sarebbe stato inutile.

Perciò, scostandosi nervosamente da lui, rispose gelidamente: «Spero che lei si renda conto di quanto è indiscreta la sua domanda. Da lei non me l'aspettavo.»

L'espressione di mortificazione che apparve sul volto del signor Firefly fu tanto ipocrita e stucchevole che neppure un uomo molto più bendisposto e fiducioso di lui avrebbe potuto rimanerne persuaso.

«Oh, ma non c'è bisogno di prendersela!» protestò con troppa calma per poter essere sincero, levando le mani in un plateale cenno di scuse. «Non volevo mica dire che... del resto, nessuno potrebbe mettere in dubbio così, al solo vederla, che lei sia un uomo d'onore, un uomo di saldi principi morali. Altrimenti lei mi avrebbe dato del bugiardo già qualche minuto fa, quando io mi sono smentito riguardo alla cena...» Gli sorrise con aria di complicità, come a volergli dire che sapeva che lui sapeva, ma Samuel non ebbe reazione. «È pur vero che speravo d'incontrarla, signor Oak, anche se non potevo sapere se lei sarebbe uscito... ma ho deciso di rischiare e di aspettare comunque fuori dal cancello, e come vede, audentis Fortuna iuvat. * Lei lo riterrà assudo, forse, ma io sono il tutore di Agatha e ho a cuore la sua felicità.»

«Agatha è maggiorenne» ribatté Samuel nervosamente.

«Questo è vero» ammise Firefly, con l'aria di dovergli fare una grande concessione. «In tal caso, poniamo che io abbia a cuore il suo patrimonio, se così preferisce. Non potrà negare almeno che io sia ancora il suo amministratore! Ma indipendentemente da come lei preferisce pensarla, signor Oak, io voglio molto bene ad Agatha.»

«Questo lo so» riconobbe Samuel.

«Ah, lo sa» ripeté il signor Firefly in tono molto compiaciuto, come scoprendo all'improvviso di avere contro un mare di nemici un inaspettato alleato. «In tal caso, forse la mia domanda non dovrebbe sorprenderla tanto, ma potrei porla in modo meno personale, se così crede. Ha mai pensato ai vantaggi che le deriverebbero da un matrimonio del genere?»

Quell'ultima domanda fu così offensiva che Samuel, semplicemente, scoppiò a ridere. Non avrebbe mai potuto neppure immaginare che qualcuno al mondo fosse in grado di risultare così maleducato e meschino e vigliacco con una sola domanda, e all'improvviso questo gli diceva anche qualcos'altro, che forse avrebbe dovuto essergli lampante e scontato fin dall'inizio, ma di cui solo ora, infine, si rendeva conto: quell'uomo non costituiva una minaccia, o quantomeno, tutt'al più, non era che una minaccia fatta d'aria e di parole ma del tutto incapace di concretizzarsi in atti.

«Agatha non è un vantaggio» esclamò, ma senza più difese alzate, né rabbia o sdegno. L'uomo che aveva di fronte era meschino e vile, e non valeva troppo la pena di prendersela.

Davanti alla sua risata, il signor Firefly non parve scomporsi troppo. Continuò a scrutarlo in silenzio con sguardo attento e perspicace per svariati secondi, prima di stabilire che, evidentemente, da lui non avrebbe ottenuto altra risposta.

«Non mi fraintenda, signor Oak, non sto cercando di farle credere che Agatha sia letteralmente molto ricca. Suppongo che, dopo la guerra, questo non si possa dire di nessuna famiglia, ormai... ma penso di poter affermare che il suo patrimonio la renda decisamente benestante. Sì, mi piace questa definizione: decisamente benestante.»

«Tutto questo non mi interessa» sbuffò Samuel. «Il patrimonio di Agatha non mi riguarda assolutamente e non intendo continuare questa conversazione.»

«Come vuole lei, signor Oak. Del resto, ammiro la sua intransigenza» disse Firefly, per nulla deluso. «Ma quello che stavo cercando di farle capire è che da una regolarizzazione della vostra posizione non potrebbero derivarne che vantaggi anche a lei personalmente. La situazione sociale della signorina è ormai, diciamo così... compromessa, ma ci sono tanti modi per aggiustare le cose. Non c'è neppure bisogno di fare le cose in fretta, a meno che... insomma, si potrebbe procedere dapprima a un fidanzamento ufficiale, e solo dopo...»

«Ma per quale motivo tutto questo le preme tanto?» domandò Samuel spazientito. Non aveva più alcun desiderio di continuare quegli stupidi discorsi: non vedeva l'ora di tornare da Agatha e di scrollarsi di dosso quell'uomo apprensivo e insistente, ma ormai la conversazione non si poteva proprio lasciarla a metà, ed era meglio finirla in fretta. «Agatha non è neppure più sotto la sua tutela, ormai. È una ragazza indipendente e matura e ha sempre preso le sue decisioni da sola, dunque perché insistere tanto? Sa benissimo che non le darà retta, e io ancor meno di lei, dato che non la conosco neppure. Dunque perché?»

Ora tutto lo scherno, tutta l'ipocrisia e la superiorità sembravano essere svanite dal suo volto quando il signor Firefly, con aria all'improvviso divenuta molto grave, rispose: «Lei non può capire, signor Oak.» Per una volta, Samuel non protestò. «Lei è giovane, e io non la giudico per questo: sono stato giovane anch'io. Tutta l'esperienza dei suoi viaggi non può averle insegnato di quale responsabilità io sia carico, e inoltre, Agatha le avrà sicuramente parlato di me come di un mostro... oh, so che lo ha fatto. Lo so, ma mi creda, io non ce l'ho con lei. È fatta così, a modo suo, e mi ha sempre odiato per aver tentato di imporle delle regole senza essere suo padre. Non ha mai voluto riconoscere che io facessi del mio meglio, e di tutti gli anni in cui mi sono preso cura di lei, e nel modo migliore che ho potuto, oltretutto, sono assolutamente certo che Agatha non ricorda nient'altro che i miei errori, le mie mancanze, le mie debolezze. Io le sto parlando così, proprio come se lei fosse davvero il marito o il fidanzato di Agatha, in modo del tutto spassionato, e lei può vedere che io non la sto affatto criticando per questo. Ho sempre cercato di essere obiettivo con lei: amo Agatha come se fosse una mia nipote, ma vedo anche i suoi difetti, eppure non glieli rimprovero proprio tutti: non è poi tutta colpa sua. Se non fosse stato per la tragedia, sono certo che non sarebbe cresciuta così...»

La trappola era lì, nascosta e intessuta tra le sue parole, ma così ben tesa e così mascherata che per Samuel cadervi fu proprio inevitabile, come avanzare alla cieca nel buio. Forse il signor Firefly non voleva neppure prenderlo così, non era sua intenzione ingannarlo o attirarlo coll'inganno, eppure, tutto preso dalle sue parole, senza minimamente rendersi conto del tranello, Samuel udì la propria voce domandare: «Quale tragedia?»

Il signor Firefly interruppe bruscamente il lungo fluire dei suoi pensieri. Sbatté più volte le palpebre, come a voler rendersi conto d'aver capito bene, e domandò: «Lei non lo sa?»

Che avesse cercato di attirare così, meschinamente, la sua attenzione, oppure no, sembrava comunque terribilmente sincero, e a quel punto Samuel non poteva più tirarsi indietro. Si sentiva mosso da quella stessa strana, cieca curiosità che lo aveva condotto di notte sulla Torre, e a quella curiosità tutta la volontà del mondo non era capace di opporsi. «Voglio dire... lei sa che Agatha è orfana. Non le ha mai detto perché?»

Di qull'uomo non si doveva fidarsi, no: Samuel avrebbe dovuto andarsene via, tornare da Agatha, dimenticare tutto... invece, scosse la testa.

«Oh, cielo» constatò Firefly con aria molto confusa. Si guardò un po' attorno, come se non avesse idea di cosa dovesse dire, e poi: «Beh, io... certo, non è una cosa di cui si parla volentieri, e Agatha, forse... insomma, forse non dovrei dirglielo io, ma dopotutto, ne parlarono anche i giornali, quando accadde.» Esitò ancora un poco, come cercando una giustificazione in ciò che aveva appena detto egli stesso, poi disse: «Non pensi male di quello che sto per dirle. Giuro che non era una persona cattiva, e sono assolutamente certo che quello che ha fatto, non l'ha fatto intenzionalmente. Preferirei piuttosto che giudicasse me, perché ho sempre pensato che se io fossi stato un po' più attento, se mi fossi reso conto... le cose non sarebbero andate proprio così. Comunque, il punto è che il padre di Agatha era colonnello, ma quando è scoppiata la guerra si è tolto la vita per non dover combattere.»

Fu come sprofondare. Sì, a modo suo, tutto aveva un senso, tutto era sufficientemente sensato e razionale da non dover credere che Firefly stesse mentendo... la pistola con cui Agatha aveva cercato di suicidarsi, per esempio. Da quel poco che aveva capito o dedotto della sua infanzia, certo, aveva sempre intuito e accettato con naturalezza ch'ella fosse rimasta orfana durante la guerra, e non vi aveva trovato nulla di strano; ma ora...

Il signor Firefly tacque per qualche istante per dargli il tempo di comprendere appieno la portata della sua dichiarazione, guardandolo con occhi carichi di pietosa comprensione: sembrava che riuscisse a cogliere il complicato svolgersi dei suoi pensieri al solo guardarlo.

«Forse lei era troppo giovane per ricordarsi dello scandalo, ma se le capitasse di leggere qualche vecchio giornale, non creda a quello che c'è scritto. Quello che ha fatto il colonnello è orribile, ma io lo conoscevo, e sulla memoria di mia madre potrei giurarle che in quel momento non ragionava come me o lei possiamo fare adesso.»

«Che cos'ha fatto?» chiese Samuel a bassa voce. Ricordava piuttosto bene quando era finita la guerra: non poteva aver avuto più di undici anni, a quell'epoca, e dunque circa nove, quando era iniziata: non c'era da sorprendersi che non ricordasse affatto una storia del genere.

«Voleva solo fare la cosa migliore per tutti» insisté il signor Firefly in tono quasi disperato. Di tutta quella storia, sembrava che non gli importasse d'altro che di difendere il suo vecchio amico. «Aveva già partecipato ad altre compagne nelle zone coloniali, aveva sempre fatto il suo dovere. Questo può confermarglielo qualsiasi annale dell'esercito. Ma quando hanno cominciato a usare il gas, allora lui... credo che non l'abbia mai superato.»

«Era sconvolto, sa, ma era troppo orgoglioso per ammettere di esserlo. È per questo che non ce ne siamo mai accorti, e anche se ce ne siamo accorti, abbiamo sempre pensato che in qualche modo gli sarebbe passata. Avremmo dovuto tutti preoccuparci un po' di più, ma il colonnello sembrava sapere perfettamente quello che faceva, e allora...»

«Quando è scoppiata la guerra, ha pensato ai gas. Io, io lo so che è a quello che ha pensato, non può davvero aver avuto paura d'altro!, che di dover di nuvo dare ordine di usare i gas, o di vederli usare da altri... Io so che ormai nella sua mente non c'era spazio per altro, che pensava continuamente a sua moglie e a sua figlia che morivano asfissiate! Lo so che non è andata così, poi» esclamò con aria terribilmente angosciata. «Noi lo sappiamo che sul nostro territorio non li hanno usati, ma lui, lui come avrebbe potuto saperlo? Non poteva mica prevedere il futuro! Ormai non pensava ad altro che ai gas.»

«Eppure, all'esterno, sembrava così calmo, così determinato. Ho fatto quello che allora tutte le persone piuttosto abbienti facevano: ha iscritto Agatha in un prestigioso collegio femminile di Kalos, proprio a Luminopoli, per tenerla lontana da qui. Era la scelta migliore: non sarebbe neppure stata sola, perché con lei erano iscritte anche le figlie di un generale... All'inizio, anche la signora doveva trasferirsi a Luminopoli, la madre di Agatha, voglio dire» precisò. «Era già tutto previsto, mi ero occupato io di trovarle un appartamento adeguato. Ma vorrei farle capire che donna fosse la signora: lei si figuri un'Agatha di trent'anni, solo un po' meno testarda e un po' più posata di lei... ecco, vedo che ha capito» soggiunse in fretta, abbozzando un sorriso. «Non ci fu modo di farla allontanare dal colonnello. Neppure lei si era resa conto di cosa progettasse suo marito, ma rimase a Lavandonia, ostinata come lei può immaginare.»

«Solo che il colonnello non riusciva proprio a liberarsi del pensiero dei gas. L'abbiamo capito solo dopo, ma lui ormai era certo che non sarebbero sopravvissuti, e credo che tutto ciò che gl'importasse, ormai, fosse di non morire come aveva visto morire quei disgraziati soffocati, nelle colonie. Eppure non intendeva fare del male a nessuno! Allora, proprio la notte prima di partire, ha messo del veleno nel tè della signora, è sceso nel suo studio, e si è sparato...»

Il racconto era finito. Malgrado Lavandonia fosse anora calda, Samuel si rese conto di avere i brividi: faticò qualche momento a riscuotersi dall'impressione forte che quel racconto gli aveva provocato, mentre Firefly proseguiva a bassa voce.

«Aveva già progettato tutto. Aveva lasciato un testamento datato ben tre settimane prima, in cui mi nominava tutore legale e amministratore di Agatha, e questo voleva dire che sapeva già da tempo cos'avrebbe fatto. Questo potrebbe far pensare che fosse in sé, ma non lo era. Aveva ucciso sua moglie nel sonno perché aveva paura che altri gliela uccidessero col gas e non voleva che soffrisse, e questo non vuol proprio dire che fosse in sé. Però, aveva almeno salvato la bambina, e questo gli era riuscito.»

«Feci tornare immediatamente Agatha dal collegio per i funerali, ma più tardi non ebbi il coraggio di farla ripartire. Forse non fu la scelta migliore quella di farla vivere sola, in quella grande casa vuota, ma che cosa avrei dovuto fare? Se ho sbagliato, mi si riconoscerà almeno che l'ho fatto in buona fede, e questo nessuno me lo potrà negare.»

«È vero anche che l'ha viziata un po' troppo, ma anche su questo sono molto indulgente con me stesso. Era una bambina così sola! Io non potevo venire a visitarla più di due o tre volte alla settimana, perché ero continuamente impegnato alla Lega Pokémon, e d'altronde, lei mi odiava. Non c'era stato modo di addolcirle la verità, poiché a Lavandonia tutti sparlavano del colonnello: dunque lei odiava anche suo padre, per aver ucciso sua madre. Allora era troppo piccola per capire le sue ragioni o poterlo giustificare, ma anche da grande, le cose non sono cambiate molto. Tutto ciò che ho detto a lei adesso, sui gas e sulla guerra, lei non l'ha mai voluto ascoltare. Suo padre l'ha salvata perché l'adorava e, nella sua follia, voleva risparmiarle una morte orribile, ma per lei, invece, si è suicidato perché non l'amava abbastanza da restare in vita. Io cerco di giustificarla, perché aveva solamente otto anni quando il colonnello è morto. Conosciamo davvero i nostri genitori, a quell'età?»

«Ho cercato d'ingraziarmela in ogni modo possibile, ma naturalmente non è servito, come può vedere, dato che mi odia ancora terribilmente. Fui io a regalarle il suo primo Pokémon, sa?» soggiunse sorridendo, come se quel ricordo gl'ispirasse una grande tenerezza. «Faceva impazzire ogni possibile governante, ma io pensai che un Pokémon carino come Nidoran avrebbe potuto darle un po' di affetto e di serenità. Aveva una predilezione tutta sua per il tipo Veleno, chissà mai perché, e almeno questo parve apprezzarlo: adora ancora il suo Nidoking, dopotutto, o no?» chiese con una breve risata imbarazzata, da cui Samuel si sentì raggelare.

Dunque era andata così, allora. Egli non aveva mai saputo nulla dell'infanzia di Agatha, e non c'era da sorprendersi, se le cose stavano così. Non poteva sapere quanto ci fosse di vero in quel racconto terribile e portentoso che gli aveva fatto Firefly: per quanto ne sapeva lui, avrebbero potuto essere tutte menzogne, ma il punto era che era tutto così credibile. Le sue parole s'incastravano perfettamente con i pochi dettagli e accenni ch'egli conosceva della vita di Agatha, colmandoli e armonizzandoli, e di certo il signor Firefly non avrebbe potuto avere idea di cosa lui sapesse o meno...

«Perché mi sta dicendo tutto questo?» chiese cautamente, scrutandolo di sottecchi. La sua descrizione lo aveva preso e trascinato oltre ogni dire, ed egli si era sentito tutto immerso in quel passato e in quella tragedia... ma non poteva permettersi di perdere la concentrazione, ora. Non c'erano dubbi: il signor Firefly gli aveva raccontato tutto ciò per un motivo, ed era ora fondamentale capire quale. «La ringrazio per averlo fatto, ma perché le interessava che io sapessi?»

«Perché dopotutto era giusto signor Oak» rispose Firefly. Scosse piano la testa. «Di certo Agatha avrebbe raccomandato comunque, prima o poi, ma lei poteva davvero aspettare? Agatha non sarebbe così se non fosse stato per la tragedia, e di questo io sono profondamente convinto: ora, anche lei sa per quale motivo Agatha è fatta proprio così... e poi, lei non capiva perché io tenessi tanto a lei. Capisce, capisce ora perché mi sta tanto a cuore questa sua felicità? Suo padre me l'ha affidata quando aveva bisogno che qualcuno più in grado di lui si occupasse di lei, e io come potevo tradirlo?»

C'era una strana mescolanza inquietante nelle sue parole, di cui Samuel riusciva a rendersi conto appieno solo ora. Il signor Firefly diceva la verità, ma stava mentendo: tutto ciò che gli aveva raccontato era vero, ed egli aveva udito con quanto ardore d'angoscia egli difendesse il suo amico, eppure quella verità, contemporaneamente e senza alcuna contraddizione, egli la piegava e la volgeva a suo vantaggio. Era la stessa contraddizione unicamente apparente con la quale egli adorava Agatha eppure lo considerava alla stregua di una creatura incomprensibile e odiosa di cui conosceva e indicava ogni difetto con consapevole, sadica lucidità.

Decise di arrischiarsi un poco su quella fragile distesa di ghiaccio secco che era la loro conversazione. «Dunque lei vorrebbe proprio che noi ci fidanzassimo.»

«Beh, signor Oak» disse il signor Firefly con aria benevola e sorridente, persino scherzosa. «Lei si rende conto che io non avrei pensato subito a lei, quando m'immaginavo... senza offesa, naturalmente. Comunque, sì. Io sono un uomo molto più moderno di quanto lei e Agatha crediate, e come le ho detto quello che ora mi sta a cuore è la sua felicità. Agatha le è molto affezionata, altrimenti non sarebbe rimasta con lei per tutto questo tempo, e io non sono così intransigente da non acconsentire di buon grado a ciò che non posso impedire.»

«Dunque lei voleva parlare con me solo per questo» concluse Samuel finalmente. «Perché io potessi convincermi e chiedere ad Agatha di sposarmi e metterle così l'animo in pace. A lei Agatha non darà retta mai, ma a me sì... ho ragione?»

«Lei è un ragazzo molto intelligente, signor Oak» disse il signor Firefly con una forte affermazione di commiato, come se si alzasse da un tavolo dopo aver concluso una trattativa che fosse andata in tutto e per tutto come si aspettava. «So che forse le parrà un metodo subdolo, un metodo indiretto... ma io gliel'ho detto: ho davvero a cuore il bene di Agatha, e tutto ciò che ho fatto negli ultimi dieci anni, non l'ho fatto che per lei. Ma se io le avessi parlato di questo, se io avessi insistito, Agatha si sarebbe opposta semplicemente perché ormai contraddirmi e odiarmi è diventata un'abitudine molto più radicata che pensare al suo proprio bene. Come le ho detto, non la giudico per questo, perché so qual è il motivo profondo per cui mi odia e mi contraddice. In fin dei conti, anche la decisione di diventare un'allenatrice, qualche anno fa, non è stata che perché sapeva che io non sarei stato d'accordo...»

Samuel gli tirò un pugno in faccia.

In tutta la sua vita egli non aveva mai colpito nessuno, ma quello era troppo! Era molto più di quanto chiunque potesse sopportare! Quell'uomo aveva offeso e ingiuriato Agatha in tutti i modi più sottili in cui aveva potuto farlo, e la cosa più terribile era proprio che non si rendeva affatto conto di offenderla! Egli la trattava ancora come una bambina viziata e capricciosa cui concedere piccoli doni dall'altro della sua clemenza e generosità, con la pretesa di capirla meglio di quanto fosse capace lei stessa, e la considerava e la trattava così proprio perché Agatha al contrario era intelligente e determinata e non aveva alcun bisogno del suo permesso!

«Lei non sa niente di Agatha!»

Il suo pugno non era stato particolarmente forte, ma Firefly era ingloriosamente rovinato a terra e questo, se possibile, glielo fece odiare e disprezzare ancora di più.

«Agatha è la ragazza migliore e più coraggiosa che io abbia mai conosciuto e in tutti questi anni lei non è mai riuscito neppure a capirlo

Ma continuare a urlargli addosso o anche solo a guardarlo non sarebbe servito, ed egli lo sapeva. Quell'uomo vile e debole che ora si stava goffamente rialzando davanti a lui, impolverato e col naso sanguinante e che gli gridava gli improperi più allucinanti, non avrebbe compreso mai la grandezza e la superbia di Agatha, e perdere altro tempo con lui sarebbe stato ridicolo e controproducente: aveva sprecato con lui anche troppo tempo. Acompagnato da una pioggia d'insulti e di minacce, Samuel si voltò e si avviò a grandi passi verso casa.

Ma che sciocco era stato a fidarsi di lui, anche solo per un breve istante! L'affetto che provava per Agatha l'aveva ingannato oltre ogni dire, eppure quell'uomo voleva solo ingannarlo perché convincesse Agatha a obbedirgli, e questo era così orribile e meschino che...

Colle nocche della mano destra che gli pulsavano dolorosamente e la testa tutta piena di pensieri di rabbia e di disgusto che non avrebbe saputo ricondurre con precisione a Firefly o a se stesso, ripercorse Lavandonia senza quasi rendersene conto. Non si accorse neppure di attraversare a grandi passi il vialetto d'ingresso e di varcare la soglia di casa: in quel momento tutta la sua mente era sconvolta, alterata, e non gli importava d'altro che di dimenticare tutte le ridicole storie che Firefly gli aveva raccontato, e che egli era stato tanto stupido da rimanere ad ascoltare.

Ma quando ebbe salite le scale con pochi passi furiosi ed ebbe percorso una buona metà del corridoio, la voce di Agatha lo fermò. Era una voce stanca, estenuata e incerta, in nulla carica di quell'accento imperioso e autoritario che le era proprio, ma era la voce di Agatha, finalmente.

«Samuel...»

Agatha era vicinissima a lui, appena al di là di quella porta chiusa, ed era ancora la stessa persona straziata, ma titanica e coraggiosa, ch'egli aveva lasciato meno di un'ora prima. Era sempre e comunque lei, e tutte le menzogne infami e le calunnie che il signor Firefly gli aveva raccontato su di lei non avevano alcun significato: rimanevano davvero, proprio com'egli aveva pensato, nient'altro che aria in volo, da cui Agatha era totalmente immune. L'unica vera Agatha era quella ch'egli aveva conosciuto.

Aprì delicatamente la porta. Agatha aveva chiuse un poco le persiane, ma una lunga lama di luce attraversava comunque la stanza, percorrendo il suo letto prima di piegarsi e riprendere a salire lungo la parete. In quello sprazzo di sole, egli vedeva il nero splendore dei suoi occhi, perfettamente lucidi e svegli, infissi su di lui.

«Ti ho sentito uscire, e ho pensato che... Va tutto bene?»

Valeva la pena di dirle del suo incontro col signor Firefly e farla infuriare? No, decisamente no: Agatha era anche troppo stanca, mentre tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno era il riposo. Il suo incontro con Firefly sarebbe rimasto soltanto ciò che era effettivamente stato: nient'altro che aria destinata a dissolversi, priva di qualsiasi importanza.

Nascondendo con noncuranza la mano arrossata dietro la porta, Samuel rispose: «Ho fatto soltanto una passeggiata.»


Nell'aria fresca, immobile della notte, la sua rabbia aveva finito per acquietarsi e scemare a poco a poco. Era passata la mezzanotte, ma Samuel si avvicinò comunque, piano, alla stanza di Agatha, e bussò per darle la buonanotte. Era una sciocca scusa per trascorrere con lei gli ultimi minuti della giornata, e dimenticare nella pace dei suoi occhi, eppure a quella sciocca convenzione entrambi si attenevano ogni sera per un tacito accordo condiviso.

«Samuel... vieni, entra pure.»

La voce di Agatha suonò fiacca e remota, quasi incrinata. Sentendosi all'improvviso preoccupato, Samuel sospinse la porta ed entrò.

Agatha era seduta per terra, rivolta verso la grande specchiera a figura intera vicina al suo armadio, e vi scrutava fissamente qualcosa ch'egli non riusciva a vedere: il suo sguardo fu attratto prima dal riflesso dei suoi occhi nello specchio, arrossati e gonfi, lucidi ancora di pianto. «Agatha...»

«È orribile» lo interruppe Agatha bruscamente. «Puoi dirlo.»

Fu allora che Samuel vide: seduta com'era per terra, colla gamba ripiegata davanti a sé sul pavimento, Agatha aveva svolto l'ultimo bendaggio.

Era davvero orribile. Non c'era altra parola per descriverla: la cicatrice che si stava formando era di un ripugnante rosso acceso, una doppia mezzaluna irregolare e grottesca, circondata per tutta la sua estensione dai segni che le cuciture avevano lasciato... Samuel si sentì come se tutta l'aria avesse abbandonato la sua gola, ma Agatha non si meritava il suo silenzio o le sue bugie. Si schiarì la gola. «Sì, lo è.»

Agatha non rispose. Percorse delicatamente con le dita il bordo fiammante della ferita, senza distogliere lo sguardo dal suo riflesso nello specchio: Samuel poté vedere le sue labbra che si stringevano in una fitta di dolore che non era solo fisico.

Sedette con grande lentezza dietro di lei, continuando a scrutare il riflesso dei suoi occhi. In quel momento egli le era vicino, e non importava quanto indecente o sbagliato questo fosse: quel pavimento freddo accanto a lei era l'unico luogo nel quale egli volesse trovarsi.

A differenza di lui, Agatha era già pronta per la notte: in altre occasioni, egli si sarebbe vergognato tremendamente di starle vicino in quelle condizioni, vestita com'era appena di una sottoveste leggera, e avrebbe rifuggito quella vicinanza come se da questo dipendesse tutto il suo onore e la sua dignità di uomo. Ma in quel momento, vicinissimo a lei com'era, Samuel si accorse per la prima volta di non provare alcun imbarazzo, alcun disagio. Egli vedeva le curve morbide dei suoi fianchi divenute ora un po' troppo magre, la linea sottile della sua schiena che s'insinuava scivolando sotto il bordo della sua sottoveste, percepiva il profumo naturale dei suoi capelli scomposti... ma non ne provava il minimo turbamento. Là dove non era stata abbronzata dal sole, la carnagione di Agatha aveva mantenuto il naturale biancore, e la pelle sulle sue cosce era tanto pallida, ch'egli distingueva perfettamente l'intricato percorso delle sue vene azzurrine, là dove affioravano in superficie, e avrebbe potuto seguirlo e ripercorrerlo con la punta delle dita. Come aveva potuto mai credere che tutto questo fosse indecente?

«Suppongo che non potrò più venire con te a cercare Moltres, vero?» chiese Agatha, con una risata tremula e gli occhi colmi di lacrime. «Non penso che sarò più così atletica, dopo che...»

Samuel avrebbe potuto farle milioni di promesse. Sarebbe stato così facile dirle che no, non avrebbe avuto mai alcun problema a camminare; che se anche ne avessi avuti, egli sarebbe stato per lei il suo bastone, e di più ancora, che a costo di sollevarla sulla schiena, come una bambina, egli l'avrebbe portata ovunque lei non fosse più stata in grado di arrivare con le sue proprie forze. Ma egli non poteva sapere se tutte quelle promesse sarebbero state verità, se entrambi sarebbero stati forti abbastanza da mantenerle. In quel momento, mentre i loro corpi sovrapposti e così diversi si riflettevano entrambi nel medesimo specchio, egli si rese conto di non poterle garantire o promettere niente, se non la sola verità che in quel momento conoscesse.

«Sei comunque bellissima.»

Agatha si volse verso di lui, molto lentamente, con occhi resi enormi e ancora più belli dallo stupore, e lo guardò. Non fece nient'altro, ma egli vide la luce riflessa nei suoi occhi tremare e vacillare piano, come su uno specchio d'acqua di fiume.

«Grazie» mormorò, e arrossì.

Quella notte, il rossore sulle guance di Agatha gli parve più bello della prima alba che avesse visto mai.


*La Fortuna favorisce gli audaci (Eneide, X, 284; traduzione di Alfonso Traina)

   
 
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