7.
Quando
Lisa si svegliò quella mattina, erano ancora le cinque e dieci minuti. Il
braccio di Harvey le stringeva la vita e lei poteva sentirne il respiro
regolare solleticarle il centro della schiena.
Pensò
che era il momento perfetto per alzarsi e andarsene via piano piano, più
silenziosamente che poteva per non svegliare lo splendido uomo che l’aveva
amata intensamente nella notte appena passata. Ma stare lì, con quel calore sulla
pelle, quel braccio forte che la teneva delicatamente stretta e quell’odore
virile era così bello che decise di chiudere di nuovo gli occhi, solo per un
altro po’.
Quando
li aprì di nuovo erano quasi le sette ed Harvey non la stava più stringendo.
Lisa sentì il rumore della doccia e pensò che ora era davvero il caso di
alzarsi. Si mise a sedere sul letto e mentre con una mano si strofinava
l’occhio destro con quello sinistro si guardava intorno alla ricerca dei suoi
vestiti. Quando li individuò poco lontano, vicino ad una sedia, si alzò
lasciando il lenzuolo che la copriva e li raggiunse.
Si
rivestì con calma, una parte di lei le urlava di accelerare perché presto
Harvey avrebbe finito di fare la doccia e sarebbe tornato in camera e salutarlo
fingendo che non fosse un addio sarebbe stato impossibile. Ma un’altra parte le
suggeriva di dirgli la verità, le suggeriva che avrebbe capito e che tutto
sarebbe andato per il meglio.
La
donna si mise a sedere sulla piccola sedia imbottita puntando gli occhi sul
letto e sospirò passandosi una mano sul viso. Riavviò indietro i capelli e si
mise in piedi pronta ad andarsene.
“Hey,”
la voce di Harvey arrivò come un sussurro e Lisa si rese conto che persa nei
suoi pensieri non si era accorta che il rumore della doccia era sparito. “Stai
andando via?”
Lei
fece un grosso respiro e si diede coraggio prima di essere faccia a faccia con
lui. “Sì,” disse infine sorridendo. “Oggi Bruno torna in Italia e il suo volo è
tra qualche ora. Vorrei andare a casa ed aiutarlo a sistemare i bagagli e tutto
il resto.”
“Oggi?”
chiese lui di rimando guardando qualcosa sul suo cellulare. “No, ti sbagli. Ho
messo in agenda di dire a Donna di prenotare un biglietto in prima classe per
la settimana prossima.”
“Sì…
ed io ne ho comprato uno, non in prima classe, per oggi.”
Harvey
piegò poco il capo. “Perché? È un uomo malato ed è un lungo viaggio, deve stare
comodo.”
Lisa
sorrise indossando le scarpe. “Starà bene,” gli disse. “Non preoccuparti.”
“Sei
testarda” le disse lui lanciando il cellulare sul letto. “Ma mi piace. Chiamo
Ray e dopo Donna per farle disdire i miei appuntamenti della mattina. Vengo con
te all’aeroporto.”
“No,”
la donna scosse il capo e si avvicinò a lui. L’odore di shampoo la colpì con
forza, inebriandola. “Tu andrai al lavoro e poi potremmo vederci per pranzo
magari.”
L’uomo
abbozzò un sorriso. “Mi stai dicendo cosa fare?”
Lei
gli avvolse il collo con un braccio, chiudendo gli occhi quando lui le poggiò
una mano sul fianco e lentamente la fece scendere sui glutei e poi risalire
fino alla vita incontrando l’altra in una stretta decisa. “Sì, è esattamente
quello che sto facendo.”
“Sei
fortunata Lisa Sullivan, perché mi piacciono le donne autoritarie.”
“Bene,
allora sta’ zitto e baciami, avvocato.”
Ed
Harvey lo fece.
****
“Buongiorno,
partner.”
Harvey
entrò nell’ufficio di Jessica e si mise a sedere sul divanetto bianco senza
aspettare neppure un invito. Gli occhi perplessi di Jessica Pearson lo
seguirono in tutti i suoi movimenti, poi con calma la donna poggiò la penna
sulla scrivania e sospirò.
“Partner?”
chiese alzandosi e raggiungendolo. Si mise a sedere accanto a lui e accavallò
le gambe senza staccare gli occhi dall’uomo che conosceva da anni e a cui aveva
fatto da mentore per tanto tempo. “Sembri di buon umore.”
“Io
sono sempre di buon umore,” replicò lui sbottonandosi la giacca. “Ma sì, oggi
lo sono di più.”
“E
perché? Se posso chiedere…”
“Credo
che tu possa arrivarci da sola,” Harvey si mosse sul divano e si girò poco per
guardarla meglio. “Sono venuto per dirti che mi prenderò il resto della
giornata, e anche domani, libero.”
“Sul
serio?” Jessica alzò un sopracciglio guardando l’uomo intensamente. C’era
qualcosa di diverso in lui e il fatto che si stesse prendendo un giorno libero
la diceva lunga. “Come si chiama?” chiese.
L’uomo
accennò un sorriso, poi si alzò e si riabbottonò la giacca. “Si chiama Lisa,”
disse. “Mike sarà a tua totale disposizione mentre sarò via.”
“Lo
spero, visto che sono il suo capo…” Jessica rise, ma Harvey era già fuori dal
suo ufficio e non poté vederla.
****
Lisa
si asciugò gli occhi prima di aprire la porta di casa; l’ultima cosa che voleva
era che Bruno la vedesse piangere, che si sentisse più in colpa di quanto già non
facesse. Si ridiede un tono facendo tanti piccoli respiri, poi aprì.
Rufus
le andò subito incontro, guaendo insistentemente, guardando verso l’esterno.
“Rufus,”
le disse lei dandogli una lunga carezza. “Bruno non ti ha portato fuori vero?
Lasciami sistemare una cosa veloce e ti ci porto io. Faremo una lunga
passeggiata mentre lui si prepara per il viaggio.”
Il
cane si mise a sedere sulla soglia della porta, alzò la testa verso Lisa e
davanti a quegli occhioni la donna non poté fare a meno di ridere. Prese il
guinzaglio dentro il cassetto all’entrata e si diresse verso la camera di
Bruno; la porta era aperta e lui non era a letto. Lisa corrugò la fronte
voltandosi verso il piccolo soggiorno.
Suo
zio era seduto su una poltrona, davanti al televisore accesso a basso volume.
Un comportamento strano, ma in fondo era tutto strano in quel periodo. Ripensò
per un attimo ad Harvey, ma scacciò il pensiero per non scoppiare di nuovo in
lacrime.
“Bruno,”
lo chiamò. “È tardissimo e Rufus non è ancora uscito per la sua passeggiata.”
L’uomo
non rispose e quando Lisa si spostò per guardarlo in viso si rese conto che non
avrebbe potuto farlo mai più.
“Oh
mio Dio” sussurrò indietreggiando. Tirò fuori il suo cellulare e compose il
nove uno uno mentre chiamava nuovamente il nome di suo zio. Anche se sapeva che
era inutile…