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Autore: MuchLoveNoah    04/10/2015    1 recensioni
Noah Regan si trasferisce all'estero per portare avanti i suoi studi. Incontrerà quattro ragazzi un pò strani, ma tutto sommato simpatici, durante il suo soggiorno. Non può immaginare a cosa la porterà questo incontro.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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#Capitolo 11

 

Aprii gli occhi. Mi trovavo in una stanza luminosissima; doveva essere pieno giorno e per giunta doveva splendere un sole assurdo per quanta luce c’era. Mi girai verso la finestra con grande fatica: anche respirare sembrava essere diventato difficile. Poi mi resi conto: ero in una stanza completamente bianca, senza un quadro, un segno; ero sdraiata in un letto con flebo attaccate e macchinari mai visti prima, e fu proprio in quel momento che mi accorsi di non essere sola. Mia nonna, la donna che mi aveva accompagnato durante tutta un’infanzia, era lì, con il suo sorriso tranquillo ed imperturbabile che mi osservava con i suoi occhi vivaci; era anche per questo che l’adoravo: quando ero con lei le mie paure e le mie ansie scomparivano.
-“Ciao Noah”- disse sorridendomi, cosa che ricambiai- “è bello poterti vedere”- disse piano. Appoggiò la sua mano sulla mia nel tentativo di stringerla, ma io non sentii nulla, e lei lo capì.
Poi tutto cominciò ad avere senso, all’improvviso, a prendere forma: 11 dicembre 2011. Di quel giorno ricordo solo che ero passata a casa di mia nonna prima della scuola; la trovai a fare giardinaggio e le feci notare che quella non era la stagione adatta, e lei rispose che quel giorno si sentiva bene e che quel giardino l’aveva coltivato con mio nonno per cui non voleva essere da nessuna altra parte. Le promisi che sarei rimasta a pranzo da lei dopo la scuola; e poi tutto il resto fu veloce e confuso. Ricordo le ambulanze fuori da casa sua, i medici che dicevano che era stata una cosa improvvisa, come succedeva in tanti casi. Se n’era andata nel suo stile: in punta di piedi, per non disturbare.
-“Nonna… io sono..”- dissi con voce incerta. Lei mi rivolse il suo sorriso.
-“No tesoro, non sei morta. Ci vuole ben altro per ammazzare mia nipote!”- disse ridacchiando- “però tu e quel Brad ci avete fatto prendere un bello spavento qui su”- disse tornando seria. Sgranai gli occhi.
-“Nonna… Brad, lui”- lei mi fece segno di fare silenzio, cosa che rispettai per poco- “E poi come faccio a vederti se non sono morta e tu sì”- lei ripeté quel gesto, ma la cosa non mi stava bene –“Ti prego non tenermi in sospeso”- dissi con voce tremolante.
-“Non lo farei mai”- io stavo per ricominciare a parlare ma lei mi bloccò –“Noah, non ho molto tempo per fare quello che devo”- disse seria. Io non capii quello che intendeva.
-“Tu pensi sempre di avere le risposte a tutto, di sapere come sono andate o andranno le cose, e se non conosci le risposte ti allontani subito. Ma non può essere così per sempre, devi capire che c’è un motivo per cui la gente si comporta in certi modi, fa certe cose; cose che tu non comprendi ma che hanno senso per loro”- disse, toccando i miei capelli –“avrei voluto insegnartelo da viva, ma ora questa è l’unica maniera che mi è rimasta”- disse facendo scendere una lacrima, cosa che successe anche a me.
-“Ti voglio bene piccola mia, non dimenticarlo mai”- disse in lacrime allontanandosi sempre più da me.
Non so come e perché ma mi trovai catapultata da qualche parte, in piedi com’ero, senza una spiegazione. Ero in un campo di calcio, ero sicura di essere a Boston; solo non sapevo dove. Da dietro spuntò un gruppo di ragazzi che non conoscevo, decisi di seguirli. Scoprii dopo poco che si stavano dirigendo allo spogliatoio maschile e mi sentii abbastanza in imbarazzo quando mi trovai tra ragazzi in intimo e simili.
-“Ehi!”- disse uno tra i ragazzi urlando nella mia direzione –“non sai che lo spogliatoio femminile è dall’altra parte?”- disse con aria sarcastica, ma ero pronta a ribattere. Tuttavia, prima di farlo capii che la battutina non era indirizzata a me, ma al ragazzo che subito dopo posò il borsone sulla panca: Connor.
Sbuffò visibilmente prima di parlare:
-“Dave, chiamami come ti pare basta che mi fai entrare in campo, cinque minuti,  sono migliorato ed il mister…”- disse determinato, ma fu interrotto.
-“Niente da fare sfigato”- disse ridendo e tirandogli in faccia una maglia, poi uscì dalla porta seguito dagli altri ragazzi ancora tra ghigni e battutine. Si vedeva che Connor ci teneva e quindi ci era rimasto male, tirò un pugno all’armadietto e si lasciò scivolare sulla parete. Era così solo e triste, avrei voluto aiutarlo, ma non sapevo come.
Come se nulla fosse, la vista mi si annebbiò, non mi reggevo in piedi, fino a quando mi ritrovai catapultata in un’altra situazione, altrettanto sconosciuta, altrettanto strana. Ero in un salotto, ma mi resi conto che non era un salotto qualsiasi: era la living room del college. Notai due ombre dietro la porta a vetri: riconobbi James, ma non la ragazza che lo seguì immediatamente dopo.
-“Ti fermi per favore?”- urlò lei prendendogli un braccio, ma lui si liberò velocemente dalla sua presa.
-“Fermarmi per cosa? Parlare?!”- disse lui con uno sguardo furioso, che non avevo mai visto prima. Lei lo fissò impotente –“Parlare di che? Del nostro futuro che non avremo mai?”- disse alzando la voce e voltandosi dall’altra parte, visibilmente furioso. Ci fu una pausa di silenzio.
-“Ascolta, bisogna essere realisti. Questo anno insieme è stato una meraviglia, ma tu rimarrai qui ancora per molto tempo e io tornerò in Argentina tra due settimane…” – disse lei titubante. Lui la fissò intensamente.
-“Io sono pronto ad affrontarla questa distanza, Anna”- disse James serio. Lei ricambiò lo sguardo intenso, prima di proferire parola.
-“Ma io no”- disse a voce bassa. James abbassò la testa con delusione, tristezza. Lei tuttavia gli prese il viso tra le mani –“un giorno troverai quella ragazza che ti merita davvero, a cui potrai realmente mettere un anello al dito”- disse bisbigliando. Lui la guardò.
-“Speravo tanto fossi tu”- disse triste. La ragazza, impotente, lo abbracciò; abbraccio che lui ricambiò ancora più intensamente.
Lo scenario cambiò nuovamente, cominciavo a capire che tutto ciò che stavo vivendo in quel momento, in qualche modo, era legato alle persone con cui avevo condiviso la mia quotidianità in quegli ultimi mesi.
Mi trovavo su una terrazza, sembrava essere inverno; temperature rigide delle notte. Era la terrazza di Prudential, quella su cui mi aveva portato Tris; motivo per cui non mi stupii nel vederlo comparire da un momento all’altro. Stava raggiungendo una ragazza appoggiata alla ringhiera, era quasi certamente ubriaca e sembrava essere appena uscita da una festa. Quando si girò notando Tris un’espressione seccata si disegnò sul suo volto.
-“Ma mi segui ovunque?”- disse con un tono di voce strano.
-“Quanto hai bevuto?”- disse Tris in tono aggressivo, afferrandole il volto.
-“Ma che ne so, è una festa! Ci si diverte”- disse, bevendo un sorso da una bottiglia – “dovresti cominciare a farlo pure tu”- disse girandosi noncurante, mantenendo a stento l’equilibrio.
-“E allora è per colpa della vodka che ti ho trovata con quel tipo, o per colpa tua?”- disse a voce alta. Ci fu una pausa.
-“Te l’ho detto: fai troppe domande”- disse in tono amaro, per poi girarsi verso di lui- “non lo so cosa voglio, come mi gira”- disse ridacchiando. Lui la guardò visibilmente amareggiato.
-“Ti avevo chiesto di scegliere: se mi vuoi mollare, va bene, me ne faccio una ragione anche subito.”- disse –“ Ma se vuoi stare con me non c’è spazio per le sbronze, le corna e gli uomini da una serata”- lei lo guardò, mantenendo quanta più attenzione potesse su di lui.
-“Te l’ho detto che non so cosa voglio; sei carino ma io voglio divertirmi”- lui sorrise sarcasticamente spostando lo sguardo altrove- “tu non vuoi che ti si lasci in sospeso, ma lasciare in sospeso è l’unica cosa che io sappia fare”- disse bisbigliando.
Il mio scenario cambiò nuovamente: mi trovai davanti ad una parete, dopo poco riuscii a mettere a fuoco qualcosa. C’erano attaccate delle foto: riconobbi Brad, ed ebbi un tuffo al cuore. Dunque stava bene? Non riuscivo davvero a capire cosa ci stesse succedendo.
In tutte quelle foto, vicino a lui, c’era un ragazzo che per certi versi gli somigliava; forse era leggermente più scuro di capelli, ma avevano indubbiamente lo stesso sorriso. Sotto ad una delle tante foto notai un attestato, era un diploma, guardai il nome in grassetto: Alexander Simpson.
In un attimo collegai tutto: era proprio quell’Alex, l’Alex di Brad, suo fratello, il suo punto di riferimento – per certi versi.
Alle mie spalle sentii un suono di chitarra, pochi accordi. Mi girai: lì seduti su un letto, in una camera disordinata di due ragazzi qualsiasi, c’erano Brad e suo fratello, quest’ultimo suonava la chitarra e Brad gli era vicino. Alex gli rivolse un sorriso, che lui ricambiò, e smise di suonare.
-“Sentito? E’ completamente sballata”- disse Alex ridendo riferendosi alla chitarra. Brad rise.
-“E’ vero, però ha un qualcosa di diverso che non è male”- disse. Alex lo fissò per qualche attimo.
-“Già, è quello che chiamano un errore. Una chitarra da buttare”- disse assorto nei suoi pensieri, passando le dita sui tasti della chitarra- “ma magari è più un pezzo unico, una rarità, qualcosa di più unico che raro”- disse accennando un lieve sorriso – “Ci sono davvero poche cose così. E poche persone così”- aggiunse lui. Ora lo sguardo di Brad si spostò dalla chitarra agli occhi di suo fratello.
-“Voglio che la tenga tu”- concluse lui, senza dare a Brad il tempo di replicare –“per la tua persona più unica che rara, come lei”- disse riferendosi ancora alla chitarra.
-“Ma dai, lo sai che io no…”- disse Brad ridendo imbarazzato.
-“Senti lo so che dici che non è roba per te, però non lo puoi ancora sapere. Io credo che almeno una volta nella vita ci sarà quella persona che ci sembra maledettamente giusta, compatibile, che ci porta a fare cose per la maggior parte del tempo irrazionali.”- disse lui- “ però dicono sia la parte più bella di questa vita, e cazzo, io non voglio perdermela. Quindi ci devi credere, capito?”- concluse lui. Dopo un momento d’incertezza, Brad annuì.
Era questo.
Ecco perché Connor era spesso così indeciso, titubante e adesso aveva così tanta fame di vittoria. Ecco perché James ci teneva a stabilire un rapporto così profondo con Ariana, anche se a me era sembrato precoce e quasi senza senso. Ecco perché Tristan mi aveva chiesto così insistentemente di non tenerlo in sospeso. Ecco perché Brad mi aveva dato la sua chitarra. Ecco perché aveva fatto tutto quello che aveva fatto.
Non conoscevo il loro passato, le loro storie, anche se avevo sempre creduto il contrario agendo di conseguenza.
Era questo che mia nonna aveva cercato di dirmi per tutto quel tempo, ed io lo avevo capito solo in quel momento.
Cominciai a rivedere il buio più totale, il che all’inizio mi preoccupò. Poi mi accorsi che a mano a mano acquisivo sensibilità e percezione del mio corpo, cosa che non avevo avuto per tutto il tempo precedente. Sbattei con difficoltà e piuttosto lentamente le palpebre, e cominciai a vedere a poco a poco la luce ed a mettere a fuoco una qualsiasi stanza bianca ed anonima dell’ospedale. Percepii il ‘bip’ dei macchinari. Questo non era un flashback; era la mia vita.
Ed ero viva.
Sul mio letto, appoggiata in maniera scomoda, c’era una testa bionda con capelli scompigliati. Era la testa di Tris, l’avrei riconosciuta ovunque. Lui sembrò percepire i miei movimenti, in qualche modo.
Tirò su la testa, il che mi permise di notare le sue occhiaie: chissà per quante notti si era messo in quella posizione scomoda e non aveva dormito. Incredulo mi osservò attentamente, io ero molto spaesata.
-“Sei sveglia”- bisbigliò, facendo comparire un flebile sorriso sul suo volto – “SEI SVEGLIA”- urlò.
 
 

-Solito angolo-

Buonaseeera!
Mi dispiace troppo per questo ipersupermega ritardo, scusatemi davvero! Quando ho postato il capitolo 10 non ho ricevuto nessuna recensione per più di una settimana, ed avevo cominciato a pensare che nessuno si filasse più questa ff. Poi le recensioni sono arrivate (graziee), ma io ho dovuto dare la precedenza ad altre cose, tipo gli esami di settembre – che poi fortunatamente sono andati bene. Poi è subito arrivato l’inizio della scuola, sono all’ultimo anno di liceo e quindi non ho quasi mai trovato il modo di scrivere il capitolo.
Mi dispiace davvero, scusatemi. Non pensate che non voglia continuare, o lasciare il lavoro incompleto, assolutamente no. Però dovrò chiedervi di portare pazienza per i prossimi capitoli perché devo cercare un po’ di organizzarmi con tutte le cose che ho ed avrò in ballo. Comunque i capitoli arriveranno, spero avrete la pazienza di aspettarmi (mi impegnerò per far sì che sia il minor tempo possibile).
Nulla, spero che questo capitolo vi sia piaciuto anche se mi rendo conto che non sia proprio il top. Ovviamente il prossimo capitolo arriverà
quando e se ci sarà qualche recensione (as always).
A presto!
 

  
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