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Autore: Relie Diadamat    04/10/2015    5 recensioni
Merlin, ventenne suonato, si ritrova costretto a lavorare al fianco del suo inseparabile Asino, nel bar aperto da quest'ultimo. Con loro c'è Freya, la dolce ed ingenua fidanzata di Merlin, che Arthur detesta.
Tutto cambia un giorno, quando il giovane Pendragon rivela ai suoi colleghi un cambio di programma.
*
[Dal Cap. 1]
«Non saremo i soli a gestire il bar.» continuò Arthur, serrando lievemente la mascella, evidentemente quella non era stata una scelta del tutto condivisa dal biondino «Mia sorella Morgana ed il suo fidanzato Mordred saranno dei nostri.»
Il cervello del corvino si resettò in un lampo.

*
[Cap. 6]
«Io non voglio condividere proprio niente con te, Aridian.» sibilò, serrando lo sguardo.
«Strano…» Unì tra loro le mani, aggrottando la fronte «La droga la dividevi volentieri.»

*
[Cap. 13]
«Quella stronzata che sono attratto dal tuo ragazzo. Come ti è venuta in mente una cosa simile?»
«Perché io ti ho visto, Arthur. Ho visto cosa diventano i tuoi occhi quando lo guardi».

*
[Cap 11]
«Io ti avrei amata per sempre».
*
*
[Freya/Merlin/Arthur] [Mordred/Morgana/Merlin] [Freya/Merlin/Morgana] [Merlin/Arthur/Mithian] [Elyan/Mithian/Arthur] [Kara/Mordred/Morgana] [Freya/Gwaine]
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Freya, Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù, Merlino/Morgana
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Nda: Salve a tutti!
Dopo quasi un mese di ritardo... ma, eccomi!
Questo e il prossimo sono gli ultimi capitoli 'lenti', poi si entrerà nella VERA storia, ovvero nello struggimento ad hoc.
Il simbolo "**" sta per un netto stacco temporale. In questo caso, dal flashback al presente.
Vorrei ringraziare prima di ogni cosa la mia cara socia - merthuriana alternativa - Adebaran che ha sopportato i miei dubbi, le mie sciocchezze e le mie stupide ipotesi. La ringrazio per non avermi ancora uccisa quando fingo di rispettare una scadenza, ma soprattutto la ringrazio infinitamente per aver letto la storia in anteprima con genuino entusiasmo, aiutandomi molto con lo scritto.
Il capitolo lo dedico a lei. E' molto brava nello scrivere ed ha una creatività pazzesca. Vi consiglio di leggere la sua E così abbiamo più di un segreto, Emrys
Detto questo, ringrazio coloro che mi hanno sostenuta e continuano a sostenermi in questo progetto. Grazie a chi ha inserito la storia nelle seguite/ricordate/preferite. Grazie a chi mi lascia il proprio pensiero, grazie a chi legge in silenzio.
Aspetto come sempre i vostri giudizi :)
Buona, spero, lettura!
 
XIV.  Giuramenti scritti sulla Vodka
Soundtrack: click

 

 
La odio e la amo. "Come", mi chiedi. 
Non lo so, ma sento che accade ed è un tormento.
- Catullo
 


Scrivere sull’acqua, giuramenti effimeri.
Sono domande che hai già affrontato prima di gettare tutti gli appunti dalla finestra.
«La odio e la amo. “Come?” mi chiedi. Non lo so, ma sento che accade e mi tormento», o ancora: «Cosa prova Dante mentre Francesca esalta il suo amore anche all’Inferno?»
Sono domande che hai già affrontato, ma ad un certo punto si ripresentano davanti ai tuoi occhi e comprendi di essere fregato. Improvvisamente, ti accorgi di essere all’Inferno senza mentore, pieno di dubbi con la testa che ti scoppia. E allora ti domandi ancora una volta: «Com’è possibile?»
Non lo sai, ma accade e ti tormenti.























C’era chi parlava de ‘I giorni della merla’, chi copriva le mani con spessi guanti di lana e chi sognava una tazza di cioccolata fumante davanti a caminetti scoppiettanti. Poi c’erano loro.
La neve era stata così insistente da imbiancare tutta Londra e bloccare le strade col suo gelo.
Gaius bestemmiava più del solito, anche se poi si mordeva la lingua guardandosi intorno.
Merlin, a suo modo, ricordava solo che le gambe gli tremolavano e che il cuore nel petto  batteva come impazzito. Dinanzi a lui, gli occhi seri e desiderosi di Morgana gli seccavano la gola.
Ricordava di averla baciata, prima nell’incavo del collo e poi sulla clavicola scoperta. Ricordava di averla sentita tremare e plasmarsi al suo corpo. Ricordava di non essersi mai sentito così tanto a fiato corto come in quel momento.
Morgana chiuse gli occhi, reclinando lievemente il capo all’indietro, avvertendo la bocca di Merlin  morderle la pelle del collo; aveva immerso le sue mani nei corti e neri capelli del ragazzo. Si era sporta verso di lui, cercando dolcemente le sue labbra. Le aveva baciate e poi morse, leccate e poi gustate.
Merlin desiderava carezzarle ogni parte del corpo, conoscerla pienamente per la prima volta, eppure le mani tremavano e lui continuava a volerla tutta suasolo sua. Completamente sua.
Ricordava di avere la bocca aperta che lamentava l’assenza di quella rossa e morbida di Morgana, non appena lei si fu ritratta. Merlin aveva boccheggiato impreparato, con la corvina che lo teneva lontano con una mano sull’addome.
Morgana lo aveva guardato fisso negli occhi, percependo chiaramente il palpitare incostante del suo cuore al di sotto del proprio palmo. Lentamente, aveva lasciato scivolare le mani sul suo petto, privandolo della sua maglia scura.
Era calda, la pelle di Merlin. Morgana, invece, era gelida come la neve caduta sull’asfalto. A Merlin sembrava non importare. Lei era ciò che desiderava, ciò che aveva sempre desiderato.
Delicato, aveva lasciato scorrere le sue dita sulla stoffa scarlatta del maglione della ragazza, seguendo piano la linea delle sue curve. Arrivato ai fianchi, glielo aveva sfilato di dosso, ritrovandosi dinanzi la pelle chiara e fresca di lei.
Non sapeva più parlare.
Imbranato come un bambino si era avvicinato di più a quel corpo perfetto, stringendolo a sé. Voleva sapere a che velocità battesse il cuore della corvina.
Nel sentirlo accelerato sulla sua pelle nuda, si liberò di ogni freno.
L’aveva baciata ancora, ancora e ancora.
Morgana era sua ma, cosa più importante, lui le apparteneva. Era suo, quella notte e per sempre. In tutti i sensi possibili in natura, in tutti i modi.
Erano destinati, legati.
Merlin ricordava di essersi steso sul corpo di Morgana ed aver respirato tra i suoi seni. Ricordava di essersi sentito completo una volta perso in lei.
«Di’ qualcosa», aveva ansimato, stringendo una ciocca nera tra le dita.
Merlin, le labbra aperte sulle sue, desiderava restare incastonato a Morgana in quella maniera per tutta la vita. «I-Io…»
«Sta’ zitto».
 








 
**









La sala operatoria odorava di un misto tra sangue e disinfettante; c’erano macchinari che rilevavano la pressione con un costante bip.
I chirurghi erano muniti di cuffiette e mascherine, le mani ricoperte da guanti immacolati, sporcati di sangue sulle punte.
«Aspira».
Tra i tanti in cerchio al tavolo operatorio, spiccavano due occhi d’ambra e un paio di mani leggere. «C’è troppo sangue. Aspira», parlava tra i denti aguzzi, quasi scheggiati come la pietra.
Una donna si era voltata verso un quadrante alle sue spalle. «La pressione è in calo!»
«Dannazione», altra imprecazione soffocata.
«E’ in arresto!»
Le mani leggere, sapienti quanto un volume di storia, che qualche secondo prima danzavano tra pinze emostatiche e vasi sanguigni si erano fermate, mentre un chirurgo cominciava una serie di compressioni. Sul monitor, una linea retta segnava l’assenza di battito cardiaco.
L’intera equipe presente nella sala, insieme a quegli occhi di oro liquido, si erano immobilizzati, accogliendo il suono continuo e lungo di un cuore fermo.
Il chirurgo dagli occhi d’ambra alzò lo sguardo sulla ragazza che aveva difronte; dietro la sua mascherina bianca, sembrò che stesse quasi sorridendo. «Nessuno può sfuggire al proprio Destino».
La giovane quasi s’impressionò dell’incredibile freddezza e indifferenza che l’uomo ostentava dopo un insuccesso come quello. Per una qualche ragione, si sentì le gambe tremare.
Le iridi innaturali del medico si posarono sull’orologio appeso al muro. «Ora del decesso: 1.45».
Un urlo acuto. Il sudore colato dalla fronte, i capelli scomposti. Morgana si portò una mano al petto per sentire se il suo cuore battesse ancora.
















Mithian uscì dalla sala operatoria, ancora con la cuffietta bluastra del Chelsea legata in capo ed il camice verde sterilizzato, usato durante l’intervento.
Seduta in sala d’aspetto, Freya si mordicchiava le dita a testa bassa. Era sola, Gaius si era allontanato per prendere qualcosa da bere.
Mithian si fermò, inchiodando le sue scarpe da ginnastica al suolo lucido dell’ospedale. Fece un bel respiro, pensando alle parole giuste da dire alla ragazza.
«Princess!»
La specializzanda voltò il viso alla sua destra, ritrovando la figura slanciata e sorpresa dell’infermiere. «Elyan», lo salutò con un sorriso vedendolo avvicinarsi.
«Che ci fai qui?» le chiese. «Hai operato?»
Mithian compresse le labbra in una smorfia strana, per poi indicare al giovane la mora seduta sulla sedia imbottita. «Sai Elyan, credo di essere una sorta di porta-sfortuna. Te la ricordi quella ragazza?»
Elyan, la fronte aggrottata, si girò a guardare la donna con lo sguardo basso e le dita tra i denti. Sembrava ansiosa. «Non ricordo di averla mai vista».
«Ho operato il suo datore di lavoro neanche una settimana fa e stanotte ho messo le mani nel corpo del suo fidanzato.» Sospirò, sorridendo a mezza bocca. «E come se non bastasse l’ho scambiata per la sorella.Di questo passo avrò tagliato e ricucito tutti i dipendenti del Pendragon’s Coffee!»
«Aspetta!» Elyan aveva spalancato buffamente gli occhi scuri, sfiorando leggermente il braccio della collega. «Hai operato “bevo troppi caffè”?»
Mithian inarcò le sopracciglia perplessa, non cogliendo il nesso tra la frase dell’infermiere e Merlin, finché Elyan non continuò a raffica: «Caspita! Io pensavo stesse col biondino dalla rotula rotta!»
Stavolta, fu Mithian a lasciare una pacca sul petto del giovane. «E’ la stessa cosa che ho pensato anch’io!»
Elyan scosse la testa incrociando le braccia. «Quei due ci nascondono qualcosa».
La specializzanda assottigliò gli occhi in una malriuscita imitazione di Benedict Cumberbatch nei panni di Sherlock Holmes, puntando l’indice contro l’amico. «Scopriremo l’arcano che si cela dietro il bancone del Pendragon’s».
Si riguardarono seri negli occhi per qualche istante, per poi lasciarsi andare ad una risata sincera.
Anche se non avrebbe mai trovato il coraggio di dirglielo, Elyan era contento di averla rivista durante il turno di notte. In quelle ore estenuanti, gli capitava spesso di sentire la sua mancanza e provava il bisogno di scriverle un messaggio qualunque, rischiando di beccarsi in risposta una faccina seccata. In più, sapere che Mithian indossasse per davvero la cuffietta che le aveva regalato lo scorso Natale lo rendeva di buon umore.
La risata della donna si dissolse in un elegante sorriso tra le labbra rosa. «Io vado ad informarla dell’esito dell’intervento» gli disse, indicando distrattamente Freya con un movimento del pollice.
Mentre la vedeva muovere i primi passi verso la sala d’attesa, Elyan si chiese se tutto quel restare nell’ombra non fosse una mossa stupida e inconcludente: Mithian era bella. Bella e intelligente, ma soprattutto era diversa. Nessun uomo sano di mente si sarebbe lasciato sfuggire un’occasione fantastica come quella.
Si portò le mani lungo il tessuto azzurro della sua divisa. «Non hai ancora ucciso nessun dipendete del Pendragon’s allora?»
Ancora prima di voltarsi verso di lui, Elyan poté sentirla ridere. «Non Merlin!» Fece finta di guardarsi le spalle per poi bisbigliare: «Mi ha offerto un giro gratis».
Con sorpresa della mora, Elyan non si lasciò trasportare dalla sua ironia ma rimase ad osservarla con un’espressione seria. «Hai altri interventi?»
Mithian fece cenno di no. «Dopo aver parlato con la ragazza, posso tornare a casa».
Cavolo, si lagnò Elyan.
Si morsicchiò il labbro, annuendo; fece per andarsene quando la voce cristallina di Mithian lo colse alla sprovvista, facendolo voltare: «Ma… potrei restare nella stanza del medico di guardia e…»
«Non voglio che tu resti per me».
Che cretino! Aveva davvero detto una cosa simile?!
Mithian alzò un angolo della bocca struccata all’insù, scrollando le spalle. «Beh, a me piace passare del tempo con te. E poi in questo modo potrò presentarmi prima degli altri al giro di visite», si giustificò.
Sorrise come un beota, Elyan, senza neanche accorgersene. «Magari prima potremmo fare colazione al bar dell’ospedale.» Mosse significativamente le sopracciglia scure in memoria del sapore discutibile del cibo in quel posto. «… Certo, non sarà come il tuo Pendragon’s ma-»
«Ci sto», rispose pronta la Princess. «Ci sto, Elyan».
L’infermiere, che dentro di sé esultava come se avesse vinto il più ambito dei primi – o sollevato la Coppa del Mondo -, unì le labbra salutandola con un vago gesto della mano. «Allora buonanotte».
Mithian annuì, allegra. «Buon turno, Elyan».
Erano passati ormai diversi anni da quando Mithian lo aveva conosciuto eppure l’affetto che nutriva nei suoi confronti non si era mai affievolito. Elyan era un bravo ragazzo, un infermiere competente e lei credeva molto in lui.
Elyan era stato il primo a sostenerla nella sua scalata verso un posto da strutturata in ortopedia e Mithian gliene era grata. Elyan era un buon amico e teneva molto lui.
Lo vide allontanarsi verso Edwin, strutturato di pediatria – anche se tutto il Kilgharrah’s Hospital continuava a parlare dell’innato talento in neurochirurgia che il pediatra aveva mostrato negli anni di specializzazione -, per poi incamminarsi verso le scale.
Rilassò le spalle, consolandosi del fatto che presto si sarebbe abbandonata tra le braccia di Morfeo. Sorrise di riflesso a quella convinzione, posando distrattamente lo sguardo accanto alle scalinate di marmo.
Confusa, Mithian si chiese del perché il capo, Kilgharrah, stesse parlando col tutore di Merlin se prima, in sala operatoria, le aveva chiesto di parlare con la fidanzata del paziente.
Il primario osservava il vecchio con uno sguardo insolito, mostrando a schiena ritta un atteggiamento di supremazia non del tutto inusuale. Kilgharrah era un uomo enigmatico, conosciuto nel suo ospedale soprattutto per il talento innaturale nell’ambito della chirurgia; in più di vent’anni di carriera, il suo dossier contava meno di cento morti.
Era noto per i suoi modi scostanti e riservati  i quali, col tempo, gli avevano garantito l’appellativo di “Grande Drago”.
C’era qualcosa, però, nel suo comportamento che a Mithian insospettiva molto. Comunque stessero le cose, non era suo compito contestare gli ordini di un superiore.
Riservò un’ultima occhiata a Freya, risollevando le iridi verso il primario e l’anziano. A dispetto dei suoi dubbi, decise che quelli non erano affari suoi. Così si voltò, apprestandosi agli spogliatoi.














Mordred si rigirò tra le lenzuola, riemergendo con la faccia dal morbido cuscino perlato.
Una volta arrivati all’appartamento del Pendragon, Arthur aveva insistito – nonostante la presenza del francese non fosse di suo gradimento – di condividere la stanza con Mordred o, ancora meglio, di dividerla con Morgana, trasferendo il parigino nella stanza dall’altro lato del corridoio.
La sorella aveva messo il broncio, ricordandogli che Mordred era il suo fidanzato, facendogli nota di avere ventun’ anni: «Non arriverò vergine all’altare, Artie caro!»
Scioccato dalla sfacciataggine della Pendragon, il biondino cominciò a dimenare le mani a bocca aperta, seduto sulla carrozzella. Dopo un attimo, riuscì perfino ad aggiungere: «Come avresti potuto dopo Gwaine…»
Mordred vide la sua fidanzata sgranare gli occhi oltraggiata, mutando il suo sorrisetto provocatorio in un ringhio famelico.
«Beh, se può aiutare… credo di non rientrare nemmeno io nel club.» Mordred aveva cercato di smorzare la tensione, ma si accorse che l’espressione di Arthur si era crucciata.
Morgana aveva sbuffato alla faccia deficiente del fratello. «Ha quasi trent’anni, Arthur! Non c’è motivo di allarmarsi… o vuoi farmi credere di essere ancora ‘una pagina bianca’?»
Il Pendragon ignorò volutamente la provocazione della sorella, concentrandosi sulla prima parte della frase. «Trent’anni?!», aveva sbottato sbigottito. «Tu ne hai quasi dieci di meno!»
Morgana chiuse gli occhi in preda ad una crisi di nervi, portandosi stizzita le mani tra i capelli. «Dio, Arthur! Parli come nostro padre ora!»
«No! Nostro padre vi metterebbe al rogo, è diverso», puntualizzò.
«Sei una moglie!» lo accusò Morgana, minacciandolo con un dito. «Una dannata moglie petulante!»
«Io non sono la moglie di nessuno!», si era difeso indispettito il fratello.
«Dannata e petulante!»
«Strega isterica…» aveva biascicato a denti stretti.
Alla fine, Morgana l’aveva avuta vinta sul fratello e i due fidanzati si erano infilati nel lettone.
Mordred, però, sentiva che c’era qualcosa che non andava: il biondino, dopo essere tornato da casa dell’amico, era ancora più irritabile e suscettibile di quando lo aveva conosciuto al bar. Morgana, d’altro canto, si comportava in modo strano.
«Scusami, ma sono stanca», gli aveva detto, dopo che il ragazzo le aveva baciato il collo, pronto a coccolarla come solo lui sapeva fare. Morgana si era ritratta, carezzandogli una guancia. «Scusa».
Mordred aveva sorriso, di poco sollevato dal suo corpo. «Non fa niente.» Si poggiò delicatamente su di lei, compattando per un breve attimo le labbra alle sue. «Abbiamo tanto tempo».
Adesso, steso nel letto, Mordred osservava ad occhi appena socchiusi l’altra metà vuota.
Normalmente non ci avrebbe fatto caso, ma l’istinto gli suggeriva che qualcosa non quadrava.
Il francese si girò di schiena, portandosi una mano tra i ricci castani.
Erano le 2.50 della notte e Morgana non era a letto. Probabilmente si era svegliata a causa di un incubo.
Vinto da quel pensiero decise di alzarsi dal materasso, tamponando i piedi nudi sul pavimento fresco della stanza in cerca degli infradito. Trovandone – misteriosamente – solo uno, si avviò verso la porta a piedi scalzi.
Una volta nel corridoio, anche se ancora un po’ insonnolito, Mordred notò una foto di una vecchia chitarra appesa alla parete; qualche passo più avanti rischiò d’inciampare in una pila di vecchie riviste. Grugnì un lamento a voce bassa intravedendo, sul parquet chiaro, un fascio di luce. Proveniva dalla cucina.
Scelse d’ignorare quell’astuta trappola di giornali, dirigendosi verso il filo giallognolo.
Morgana se ne stava in piedi di fianco al bancone, con gli occhi fissi alla finestra. Mordred si accorse solo in quel momento che fuori pioveva.
Morgana cominciò a picchiettare nervosamente il piede sul legno chiaro, non accorgendosi dell’uomo alle sue spalle. «Avanti. Merda. Rispondi. Rispondi.»
Mordred restò in silenzio a braccia conserte mentre la fidanzata continuava a battibeccare con la segreteria telefonica: «Dannazione, rispondi!»
La sua laurea in giurisprudenza e il fascino verso la criminologia lo spinsero ad esaminare ogni possibile prova, e tessere delle ipotesi.
Mordred sapeva di non aver ancora conosciuto chi avrebbe voluto incontrare dalla sua partenza da Parigi. Un pomeriggio, a casa di Morgana, aveva trovato il suo nome tra vecchi messaggi. La Pendragon non gliene aveva mai parlato, ma Mordred sapeva perfettamente che non si trattava di una storia di poco conto.
Gli occhi azzurro metallico del francese si spostarono sul bancone in marmo della cucina, dove Morgana in tanto in tanto tamburellava le dita smaltate, riconoscendo le capsule verdastre che la corvina era solita assumere in Francia.
La sentì riagganciare definitivamente, posando malamente il cellulare sul tavolo. «Maledizione», si lasciò scappare tra i denti.
Mordred comprese che Morgana gli stava nascondendo qualcosa, qualcosa che non voleva condividere con lui.
E la cosa lo infastidiva.
Kara lo aveva sempre messo in guardia sulla londinese: «Quella è tutta matta, Reddie. Te lo dico io! Prima o poi ti ritroverai a testimoniare contro di lei. È solo una ragazzina».
Teneva molto a Kara e le sue parole erano come l’oro per lui, ma con Morgana era nato tutto per scherzo. Era uscito con lei per divertirsi e nel giro di una settimana si era ritrovato impantanato in sentimenti mai provati prima. I suoi occhi di smeraldo e la sua lingua tagliente erano diventati come un porto sicuro. Morgana era dolce ma forte, sapeva farsi valere e non ammetteva sconfitte. Catapultata nel mondo del giornalismo, la Pendragon lo aveva ammaliato col suo talento.
Fece qualche passo verso il freezer, costruendosi un alibi.
Morgana sussultò come previsto al rumore dell’anta del frigo aperta, voltandosi verso il fidanzato. Era più pallida del solito ed era tesa come una corda di violino. Tentò di sciogliersi distendendo le labbra in un sorriso fin troppo calcato. «Ehi…»
«Qu’est-ce qui se passe?» Mordred tirò fuori una bottiglia d’acqua dal frigorifero, poggiandola sul marmo. «Qualcosa non va?»
«No», Morgana scosse prontamente il capo, attenta mantenere un’aria serena. «Tutto bene».
Mordred non sembrò cascarci e Morgana si ricordò del cellulare e della chiamata. «Un idiota si diverte a farmi scherzi telefonici. Lo sai che mi rende nervosa».
«Oui», il francese annuì, prendendo un bicchiere dalla credenza. «Lo so».
«Non dovresti berla fredda», lo rimproverò Morgana. «Ti fa male.»
Un angolo della bocca sottile del fidanzato s’incurvò verso l’alto, mentre continuava a versarsi da bere. Morgana, diventava stranamente apprensiva con lui, quasi come una mamma. A Mordred divertiva quella situazione: era lui il più grande tra i due, eppure quella ragazza sapeva metterlo in riga.
Dal canto suo, Mordred era consapevole di provocare un certo effetto alla londinese; Morgana diventava quasi una bambina quando era tra le sue braccia e ciò lo rendeva soddisfatto e fiero di sé. Tuttavia, l’accoglienza che la Pendragon gli aveva riservato, lo aveva lasciato con l’amaro nel palato. Non che si aspettasse salti di gioia o pianti di commozione eh! Sapeva che quelle cose non appartenevano all’essere di Morgana, però... si sarebbe aspettato qualcosa in più di un semplice sorriso.
La ignorò, bevendo piccoli sorsi.
Morgana si soffermò per qualche secondo sul pomo d’Adamo del suo uomo, accorgendosi di non averlo ancora baciato dall’ultima volta a Parigi.
Con la coda dell’occhio, Mordred si accorse di avere lo sguardo di Morgana puntato su di sé. Interiormente, ghignò compiaciuto.
Mordred era astuto, furbo. Non a caso Madre Natura lo aveva equipaggiato di uno sguardo magnetico e un volto ermetico. «Tuo fratello deve tenerci davvero molto al suo amico». Portò il bicchiere mezzo vuoto in avanti, ricalcando con quel gesto il succo del discorso. «A Merlin».
Rimase immobile, Morgana, con i muscoli tesi.
Scacco matto.
Un lampo illuminò la stanza, rischiarando col suo bianco la faccia seria del francese. La corvina accolse il tuono in silenzio, rivestita della sua vestaglia viola. Rise, scuotendo il capo: «Quei due sono sposati e fingono di non saperlo.» Alzò gli occhi al soffitto, cominciando a smanettare con le medicine, rimettendole nello scatolino.
«Sei preoccupata per lui?»
Morgana sollevò lentamente le iridi verdi dal bancone, dominando segretamente la sua ansia.
«Non ci sarebbe nulla di male», precisò Mordred. «Gli amici fanno così: si preoccupano».
Morgana si morse l’interno labbra ripensando a quello stesso pomeriggio. Ricordò del modo in cui era sgattaiolata nell’appartamento del corvino, dello strano luccichio negli occhi di Merlin appena gli ebbe detto che per lei non era finita e per un istante, uno soltanto, le sembrò di avere ancora le sue labbra contro le proprie.
Si voltò verso Mordred con un viso inespressivo. «Non sono una sua amica, non lo sono mai stata. Non m’importa di Merlin. Non sono in pena per lui.»
«D’accordo».
Morgana spostò lo sguardo altrove, quasi stesse cercando un appiglio al quale aggrapparsi. «Come sta Kara?» chiese, tornando a guardarlo negli occhi.
Questa volta, ad abbassare il capo e schiarirsi la voce fu Mordred. «Aglain dice che la prossima volta non si farà scrupoli a sbatterla in cella».
«Non ha smesso».
Mordred continuò a fissare il pavimento. «No».
Morgana sospirò, portandosi le mani sui fianchi. «Beh, dovrebbe smetterla.»
«Ci sta provando!» La voce di Mordred si fece più dura e il suo sguardo più freddo. «Ne verrà fuori».
La corvina mosse in segno di scetticismo le sopracciglia. «Come l’altra volta, dopotutto.»
«Kara ne verrà fuori!» tuonò, sbattendo il bicchiere sul tavolo. Le riservò l’ultima occhiata di ghiaccio, poi le diede le spalle sparendo oltre la soglia della cucina.
La Pendragon rimase inerte, senza muovere un muscolo. Mordred diventava una bestia feroce quando si parlava della sua Kara, ma Morgana non si pentiva affatto delle sue parole: quella donna necessitava di un aiuto concreto e il suo Reddie non faceva altro che coprirla, continuamente.
Mordred era diverso quando Kara era nei paraggi. Morgana sapeva che erano amici fin dall’infanzia, migliori amici. Non si era mai intromessa nella loro amicizia, non si era mai lamentata del loro indissolubile e privato legame, anche se la infastidiva; la Pendragon avrebbe scommesso la sua vita che Kara non vedesse Mordred solo come un amico speciale.
Glielo aveva fatto notare più volte, ma il francese continuava a darle della “pazza gelosa”, consigliandole di smetterla con le sue solite sciocchezze e paranoie inutili.
Ma non erano solo sue congetture mentali.
Morgana lo aveva coperto con Arthur, evitando di dire al fratello che il suo fidanzato era rimasto a Parigi con la sua migliore amica sgangherata, per aiutarla a rimettersi in sesto dopo l’ultima dose di ecstasy.
Irritata, la ragazza si girò verso la finestra, tentando di non pensare più a niente. La rabbia era peggio della caffeina.
Distrattamente, il suo sguardo si posò sul cellulare.
Non sapeva esattamente cosa volesse, ma in quel momento avrebbe solo desiderato ritrovarsi magicamente tra le braccia di Merlin, come anni addietro. Felice, stupida e innamorata, quasi  il mondo non avesse un senso oltre il suo abbraccio e la sua voce nelle orecchie.

















Freya si sentiva un pesce fuor d’acqua in quel posto. Odiava gli ospedali e detestava l’insopportabile odore di disinfettante presente in ogni angolo. La infastidivano i rumori delle ambulanze e i lunghi silenzi in sala d’attesa, ma soprattutto odiava l’idea di Merlin, il suo Merlin, segregato in quel posto.
Erano le sei della mattina e Freya era rimasta tutta la notte in ospedale. Si sentiva senza forze, svuotata e in colpa.
Maledettamente in colpa.
Inserì delle monete nel distributore automatico, digitando il codice corrispondente ad una barretta di cioccolata e caramello.
Gaius ancora ronfava seduto al capezzale di Merlin. La notte precedente, l’anziano le aveva rivelato di conoscere bene il primario di chirurgia e che, in onore alla loro secolare amicizia, gli avesse permesso di restare col ragazzo.
Afferrò la sua merenda, scartandola in meno di un secondo. Addentandola, si chiese come stesse Arthur e se fosse riuscito a dormire.
Certo, il Pendragon non sapeva nulla della sparatoria, ma…
Masticò più lentamente al ricordo di quel particolare: la sparatoria.
Gaius le aveva raccontato che la notte in cui Merlin non era rincasato, era stato aggredito da un tizio ubriaco che aveva tentato di derubarlo e che il suo fidanzato avesse cercato subito il suo aiuto.
«Perché non siete andati immediatamente in ospedale, allora?» gli aveva chiesto lei.
L’ex medico militare era stato piuttosto convincente. «Ora sta bene, è questo l’importante».
Diede un ultimo morso alla barretta, sentendosi sempre più colpevole.
Quella sera, non sarebbe mai dovuta andare a quella festa…


Freya era felice di aver conosciuto Mordred. Le piaceva e la rendeva molto più tranquilla riguardo la faccenda ‘Merlin e Morgana’.
Soddisfatta dell’ultima piega che la sua vita aveva assunto, si recò al parco come previsto prima del frappè, rilassata e serena all’idea di poter osservare graziosi scoiattolini senza essere perseguitata dalla faccia superba e melliflua della Pendragon, rivedendola in quei musetti dolci.
Mentre camminava tra il verde dell’Ealdor Park si portò una mano nella tasca della sua giacchetta leggera, ritrovandoci un bigliettino. Estraendolo, le tornò alla mente l’amico scroccone di Arthur e il suo invito alla festa.
Si torturò il labbro inferiore per un po’, ragionando sul da farsi: se si fosse presentata, Gwaine avrebbe sicuramente pensato che “Europa” avesse ceduto alle sue avances, ma… in fin dei conti, lei avrebbe potuto mettere in chiaro le cose. Che male le avrebbe mai fatto una semplice festa?
Freya prese la strada più lunga, convincendosi smaniosamente di tornare indietro. Se lo ripeteva continuamente, ad ogni vetrina superata.
Alla fine, si ritrovò dinanzi un’officina. Perplessa, ricontrollò il cartoncino di carta rendendosi conto di non aver sbagliato indirizzo.
Corrugò la fronte confusa, le Converse fisse sul marciapiede.
«Europa!»
Freya sobbalzò goffamente sul posto, sbiancando di colpo. Si voltò di scatto, ridendo per l’imbarazzo. A pochi centimetri di distanza, col cielo blu sullo sfondo, Gwaine le sorrideva mostrando la dentatura. «Sapevo che non avresti resistito al mio fascino!»
«No!», preciso lei. «Io… passavo qui per caso», buttò lì.
Il moro aggrottò la fronte, indicandole il bigliettino che stringeva tra le dita con l’indice. «Fammi indovinare, lo hai preso tra le mani... per caso».
Freya si rese conto di risultare terribilmente patetica e, come se non bastasse, quello stupido Don Giovanni non faceva altro che fissarla con i suoi occhioni di moka densa. Finse un sorriso, lasciando cadere il cartoncino al suolo. «Tanto, stavo andando via».
Abbassò il capo imbarazzata, superando a passi veloci il ragazzo.
Mentre gli passava accanto, Gwaine poté notare il lieve rossore sulle sue gote. Con la mano sinistra nella tasca della sua giacca e l’altra penzoloni di fianco alla stoffa blu dei suoi jeans, torse il busto per continuare a guardare la schiena della giovane, richiamandola: «Sai, sei ancora più bella con i capelli sciolti.»
Freya si fermò, scuotendo il capo. «Certo!», ridacchiò. «Sei scontato e… io sono immune ai donnaioli».
«Ma io sono serio!»
«Oh, anche io».
«Facciamo così», Gwaine la raggiunse, tagliandole la strada, «se riesci a resistere al mio charme per tutta la serata, non ti tormenterò più. Lo giuro».
«Lo giuri?» domandò scettica Freya.
Gwaine abbozzò un sorrisetto convinto. «Sai di non poter resistere?»
Freya sapeva che non sarebbe stato corretto nei confronti di Merlin: quel tipo ci provava spudoratamente e lei non aveva fatto altro che dirigersi nella tana del lupo. Era sbagliato. Sbagliatissimo! E poi quel Gwaine pareva flirtare con ogni donna esistente sul globo terreste!
Conosceva i tipetti come lui, Freya; ci era già passata e col tempo aveva compreso che non erano il suo prototipo di uomo ideale. Ma Merlin non c’era. In quei giorni non c’era mai. Freya si sentiva trasparente e inodore, così tanto che persino la Vodka liscia era più facile da notare.
Era solo una festa. Solo un gioco e niente di più.
Con le guance ancora un po’ accese, ricambiò il sorriso dell’uomo.  «Va bene, ma tu preparati a dirmi addio!»



«Freya».
La ragazza si riscosse dai suoi pensieri sollevando il mento, incontrando con i suoi occhioni di terra umida il viso struccato di Mithian.
«Hai l’aria stanca», le disse.
Freya distolse lo sguardo dalla specializzanda, accartocciando la carta plastificata della cioccolata, rigirandosela tra le mani. «Dorme ancora. Dorme dalla fine dell’intervento e nessuno ci ha ancora detto niente.»
«Io pensavo che… Pensavo che Gaius fosse stato informato», risposte dubbiosa la dottoressa.
«L’unica cosa che sappiamo è che non si è ancora svegliato.»
Mithian era confusa. Dopo l’intervento era stanca, questo era vero, ma ricordava perfettamente di aver visto il capo parlare con il tutore del ragazzo.
Rimase con la bocca schiusa e le sopracciglia piegate in una smorfia di disorientamento, mentre la mora si allontanava per gettare nel cestino ciò che aveva in mano.
«L’intervento è andato bene. Ha perso molto sangue, ma siamo riusciti a fermare l’emorragia. È stato un intervento lungo e sotto anestesia,  è normale che il paziente non si sia risvegliato subito, ma sta bene. Tra un po’ passeranno le infermiere con la colazione, vedrai che per allora si sarà svegliato.» Mithian accennò un sorriso, sperando di aver quietato almeno in parte l’ansia della giovane. Non immaginava cosa volesse dire trovarsi dall’altra parte, ma sapeva che era difficile e talvolta doloroso.
Freya provò a rivolgerle un mezzo sorriso, ma il mento cominciò a tremolare e gli occhi le si fecero pesanti.  «Sono una pessima persona», pigolò. «Sono una pessima fidanzata».
«No», la rassicurò Mithian. «Non è vero, Freya. Sono situazioni difficili e-»
«Pensavo mi avesse tradita e invece lui stava male e io…»
«Okay, okay.» La specializzanda si avvicinò alla ragazza, poggiandole una mano sulla spalla. «Può capitare. Capita a tutti, non devi sentirt-»
«E’ capitato anche a te?»
«No, però…» Mithian si accorse che la situazione non faceva altro che degenerare, così si sforzò di fare mente locale e rimembrare ciò che le avevano insegnato in quel posto: parlare con metafore. Avvicinarsi empaticamente al paziente e ai suoi familiari. Mithian percorse mentalmente ogni sua conoscenza, ma le uniche metafore che le venivano al momento erano le partire del Chelsea e i danni provocati da un bisturi. «D’accordo… Allora pensa a Dante!»
«Dante?» domandò esitante Freya.
«Sì», affermò decisa il medico. «Ripensa a Dante all’Inferno. Ricordi Paolo e Francesca?»
Freya fece cenno di sì e la dottoressa continuò: «Francesca era all’Inferno, eppure continuava ad esaltare il suo amore per Paolo… Non sono molto brava in questo genere di cose ma... se quella donna ha difeso la sincerità del loro amore anche all’Inferno, puoi farlo anche tu!» Si bloccò vedendo l’espressione poco convinta della mora, così decise di esprimersi con altre parole: «Quello che voglio dire è che l’amore non deve per forza essere puro per essere eterno, straordinario e difeso! Anche se hai commesso un errore, anche se eri lì a tirare un calcio di rigore ed hai sbagliato… non vuol dire che tu abbia fatto schifo durante tutta la partita. Siamo esseri umani e commettiamo errori, ma non per questo siamo sbagliati».
Freya elaborò quelle frasi nella sua mente cercandone un senso, ma alla fine sorrise intenerita. «Ti piace il calcio, vero?»
«E’ uno sport elettrizzante, completo e adrenalinico!», ammise Mithian.
«Ma… non vale più di un bisturi tra le mani, giusto?»
«No», condivise. «Quando corri dietro una palla entra in gioco il desiderio di rivalsa, la voglia di scartare gli avversari e tirare un calcio secco nella rete. Più sudi più ti senti invincibile. » Gli occhi nocciola della donna brillavano più di un cielo stellato, le sue labbra e ogni tratto della pelle erano più vivi di un mare in tempesta. «Vincere vuol dire sentirsi imbattibili, superare i propri limiti ma… Quando entro in una sala operatoria faccio molto più di questo. Salvo delle vita e non esiste cosa più gratificante. Quando vedo il sorriso di un paziente, so di essere migliore. Mi sento migliore ed è quella la mia vittoria».
Mithian sembrava più giovane di quanto già non fosse e odorava d’estate. Fosse stato possibile, Freya avrebbe voluto solo persone come lei in posti così, dove ti senti l’ultimo anello della catena alimentare e non sai cosa fare.
«Dovresti conoscere Arthur», propose Freya. «Lui ama il calcio. Credo che andreste d’accordo».
La bocca sottile di Mithian si allargò mostrando parte della dentatura bianca. «Dici?»
L’altra annuì. «A dire il vero, credo che dovresti fargli visita al Pendragon’s, sai? Quel tizio è uno zuccone! Non sta per nulla seguendo i consigli medici».
«Vorrà dire che mi vedrai presto al bar», disse prima che il suo cercapersone cominciasse a suonare. Lo controllò con una lieve smorfia, per poi poggiare una mano sul braccio di Freya. «Ci vediamo più tardi. Mi raccomando».
Un piccolo sorriso di cortesia e la dottoressa sparì dalla sua vista, in corsa lungo i corridoi silenziosi dell’ospedale.












A dispetto del temporale della notte precedente, quella mattina Londra era semplicemente splendida e radiosa.
Il bar cominciava a riempirsi di adolescenti muniti di zaini e libri tra le mani.
Arthur aveva insistito nel dividere i turni, ma Morgana aveva inchiodato i piedi al suolo e incrociato le braccia al petto, impuntandosi nell’andare al bar con lui e Mordred.
Messo alle strette e minacciato da quella strega antipatica, Arthur aveva capitolato, accosentendo nel farla venire con loro.
Costretto sullo sgabello, dietro al bancone, il Pendragon osservava annoiato le stupide ragazzine che civettavano e squittivano come criceti ubriachi alla vista del francese.
Quell’idiota di Mordred, per giunta, sorrideva loro come un dio disceso dall’Olimpo, alimentando i loro versi striduli.
Arthur lo detestava. Come poteva sua sorella essere seriamente intenzionata a sposare quel tizio? Come?!
Ma, d’altra parte, non era questa la causa del suo nervosismo - o almeno non del tutto. Quando sua sorella, la sera prima, gli aveva ricordato di averlo già fatto prima di Mordred, gli erano tornate alla mente le parole di Freya e un buco si era esteso nello stomaco.
Si era ritrovato a pensare che forse Merlin e Morgana avessero condiviso anche quell’attimo d’intimità insieme e le mani si erano strette da sole in due pugni.
Aveva provato rabbia. Rabbia e risentimento.
Si sentiva tradito e preso per i fondelli. Era questo, continuava a convincersi, il suo problema. 
Ma, era davvero così?













Scrivere sull’acqua, giuramenti effimeri.
Sono domande che hai già affrontato prima di gettare gli appunti dalla finestra, ma ad un certo punto si ripresentano davanti ai tuoi occhi e comprendi di essere fregato. E allora, ancora una volta, ti domandi: «Com’è possibile?» 
Non lo sai, ma accade e ti tormenti.



 

Relie's corner
- Le frasi che Mordred dice in francese significano rispettivamente: "Cosa succede?", "Sì.";
-  Aglain è un personaggio canon. Compare nella seconda stagione, terzo episodio;
- Reddie sta per Mordred. Vezzeggiativo di 'red;
- Inizialmente, l'intervento è un incubo di Morgana;
- Nell'incubo di Morgana vengono effettuate le compressioni da un solo medico, anziché utilizzare le piastre perché nel suo inconscio, Morgana pensa che non ci sia più nulla da fare, dunque solo un chirurgo tenta l'impossibile;
- Il titolo è un riferimento ad uno scritto di Catullo "Scrivere sull'acqua", dove appunto vien detto che i giuramenti di una donna, sono giuramenti effimeri;
- Edwin è un personaggio canon e compare nella prima serie;
Sicuramente c'erano molte altre cose da dire, ma le ho dimenticate...
Chiedete pure per eventuali dubbi e chiarimenti.
Alla prossima!
 
   
 
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