Il
dolore non è affatto un privilegio, un segno di nobiltà, un ricordo di Dio.
Il
dolore è una cosa bestiale e feroce, banale e gratuita, naturale come l’aria.
Cesare Pavese
Terzo capitolo
Era
brutto. Davvero brutto, uno di quelli che succhiavano la vita e le energie. La
donna teneva le spalle basse, la schiena incurvata, come se ne sentisse il peso
fisico, oltre che morale. Sul volto portava i segni del maltrattamento e Eris
non ebbe bisogno di sondarne l’anima per sapere che avrebbe dovuto strapparlo
via. Togliere quel dolore avrebbe richiesto energia, ma liberare quella donna
era imperativo. Una volta sollevata dal suo fardello avrebbe dovuto cercare da
sola la forza di affrontare il marito violento.
Fu
una lotta aspra, Eris dovette stringere i denti e metterci tutta la sua forza,
era un dolore antico e portato da tanto tempo, troppo tempo. Alla fine lo ebbe
tra le mani, fremente e violento.
Sulle
guance della donna scesero lacrime calde, non le disse niente, ma i suoi occhi
esprimevano una gratitudine e un sollievo infinito.
Eris
salì le scale barcollando, il dolore cercava di avvinghiarsi a lei, di renderla
schiava, doveva lottare per tenerlo lontano da sé. I ricordi delle percosse
iniziavano a filtrare nella sua mente, le umiliazioni, il disprezzo, il
disgusto per se stessa. Arrivò ansimando al suo piccolo appartamento, spalancò
la porta e si accasciò sulla sedia, il divano era troppo lontano. Fame balzò
sulle sue gambe senza indugio, spingendo con la testa contro la sua mano.
Sembrava invitarla a fare in fretta.
Eris
lottò contro quei sentimenti, ricordando che non erano suoi, che il dolore era
di qualcun altro.
In
un barlume di coscienza sentì la porta del negozio aprirsi, aveva dimenticato
di chiuderlo, l’urgenza era stata troppa. Pensare al negozio le diede la
lucidità necessaria per lasciare andare il dolore, ma a quel punto Danny le
toccò la spalla.
Era
arrivato in anticipo e non vedendola aveva fatto le scale di corsa per
raggiungerla, aveva una buona notizia ed era impaziente di condividerla con
lei. Ora però si ritrovò avvolto nel dolore.
Eris
sentì il dolore abbandonarla nel momento stesso in cui la mano del ragazzo si
posò sulla sua spalla. Con un misto di orrore e inquietudine si voltò. Davanti
a lei Danny si piegò su se stesso come se fosse stato colpito. Le sue labbra
erano bianche dalla tensione, gli occhi erano sgranati mentre il corpo tremava.
Eris
agì in fretta, protese il suo potere e con mani di pura luce afferrò di nuovo
il dolore.
“Via
di qua! Subito!”, riuscì a dire tra i denti mentre Danny respirava di nuovo a
pieni polmoni. Il ragazzo aveva ancora gli occhi dilatati dalla paura e nel
sentire il suo tono non esitò ad obbedire. Si voltò e scappò dalla stanza come
se fuggisse da un orrendo incubo.
Morte,
Pestilenza, Fame e Guerra erano ai suoi piedi. Lei, ormai crollata a terra,
allungò le mani alla cieca e sentendo il morbido pelo di uno di essi rilasciò
il dolore.
Quando
riuscì a vedere di nuovo, i gatti si stavano rincorrendo nei loro soliti
giochi. Eris prese un profondo respiro, poi un secondo. Quando sentì di potersi
alzare lo fece. La testa le girava ma lei obbligò il suo corpo estenuato ad
obbedire.
Scese
le scale con fatica, doveva chiudere il negozio.
Quando
fu in basso però fu stupita nel vedere Danny. Il ragazzo saltò in piedi e la
guardò con occhi sgranati, nel vederla vacillare fece un passo avanti per poi
fermarsi di netto.
“E’
finita, non… non c’è più…”, le disse lei. Era sorpresa, era sicura che non lo
avrebbe visto mai più, sarebbe stato più che comprensibile.
“Cos…
cos’era?”, le chiese Danny, nella voce era facilmente udibile un tremito.
“Dolore”,
rispose lei, era inutile mentirgli, lo aveva sentito ed era rimasto, meritava
la verità.
“Dolore?”,
chiese lui confuso. “Non capisco…”, ammise.
“Ti
andrebbe di salire un momento con me? Ho davvero bisogno di una tazza di the e
di un po’ di biscotti”. Il giovane la guardò per un lungo istante poi annuì.
Senza
che lei glielo chiedesse, chiuse il negozio poi le tese il braccio e la
sostenne lungo tutta la scala. Quando furono nella sua cucina la fece sedere e
poi mise il bollitore sul fuoco. Durante tutto questo tempo nessuno dei due
parlò.
“Grazie
Danny”
“Non
è nulla signora Schmerz”. Eris scosse la testa poi cominciò.
“Sarà
difficile per te crederci. Ma non mi sono mai piaciuti i giri di parole, quindi
andrò dritta al punto”. Prese un profondo respiro e continuò. “Io ho un dono,
vedo il dolore altrui, lo leggo come tu leggi i fumetti. Ma, non solo lo vedo,
io posso strapparlo via di dosso dalle persone, posso liberarle dal dolore”
“Era
quella signora che piangeva?”, chiese allora lui, “Aveva un livido violaceo
sulla guancia…”
“Sì,
il marito la picchia da anni”
“Era
così soffocante… l’umiliazione…”, ricordò il ragazzo, poi rabbrividì.
“Mi
dispiace, non era qualcosa che un ragazzo giovane come te dovrebbe provare…”.
Danny scosse le spalle, come a scacciare le sue scuse poi la guardò, attendendo
altre spiegazioni. Eris annuì piano, sì, doveva sapere tutto. “Una volta
rimosso non posso tenerlo su di me, mi distruggerebbe in breve tempo… allora
devo liberarmene… a questo servono i miei gatti”
“Lo
da ai gatti?”. Questa volta Danny era davvero stupito, come se tutto il resto
fosse accettabile tranne quel dettaglio.
“Sì,
loro non hanno gli stessi valori che abbiamo noi, a loro non importa nulla del
passato, loro vivono il presente, quello che li interessa è il cibo, le coccole
e un luogo sicuro in cui dormire. Un dolore feroce, come quello che purtroppo
hai percepito toccandomi mentre me ne liberavo, non è nulla per loro”
“Quindi
non fa loro lo stesso male che fa a noi?”
“No,
è come se ti donassero il dolore di un essere a te completamente alieno, di cui
non riconosci i valori e di cui non condividi la morale. Se un psicopatico
assassino ti donasse il dolore di aver perso una vittima in te si
trasformerebbe in sollievo, insomma sparirebbe.”
“Ho
capito…”, annuì il ragazzo. “Quindi…”, guardò Eris con occhi perplessi. “Quindi
sei un supereroe!”
“Non
credo proprio”
“Sì!
Dovremmo trovarvi un costume e magari un bel simbolo e…”
“Smettila
di dire sciocchezze”, lo interruppe, ma lui sorrideva. Il bollitore si mise a
sibilare e Danny si voltò per versare l’acqua bollente nelle tazze. Troppo
scombussolato dalle rivelazioni a cui aveva appena assistito o forse
semplicemente sbadato, si bruciò.
“Ahi!”,
esclamò allontanando di scatto la mano. “Mi sono bruciato”, disse poi a Eris
che scuoteva la testa.
“Devi
usare la presina, è lì per quello, ora metti la mano sotto l’acqua fredda”,
Danny obbedì però poi si voltò pensieroso verso di lei.
“Potete
togliere anche questo tipo di dolore”
“Sì,
ma non lo farò”
“Perché?”
“Perché
non potrei darlo a nessun altro, dovrei tenerlo su di me”
“Ma
i gatti…”
“Mi
hai ascoltato? Loro ignorano il dolore emotivo degli umani, ma questo non
significa che non provino dolore, soprattutto quello fisico”
“E’
vero… certo, non ci avevo pensato…”
“E
oltretutto, questo piccolo dolore ti insegnerà a fare attenzione la prossima
volta”
Danny
versò il the con attenzione e prese i biscotti, mangiarono in silenzio per
alcuni minuti poi visto che il ragazzo la fissava intensamente, Eris sospirò.
“Cosa
c’è?”
“Niente”
“Avanti
Danny!”
“Siete
un angelo?”
“No
una strega”. Gli occhi di Danny si sgranarono e Eris iniziò a ridacchiare. “La
tua faccia è impareggiabile!”. Danny si imbronciò.
“Non
è gentile signora Schmerz a prendersi
gioco di me!”
“E’
vero, è vero, scusa”, gli rispose lei, cercando di smettere di ridere. “E’ solo
la stanchezza…”, disse lei alla fine, cercando di calmare la ridarella.
“Comunque
non è una domanda così assurda!”. Danny era offeso e lei gli annuì.
“E’
vero Danny. Ma la risposta è no, non sono un angelo, sono una normalissima
vecchietta che ha male alle giunture, che possiede un negozietto di cui può
fregiarsi del titolo di proprietaria quando in realtà non è nulla di più di una
commessa, che ama i gatti e a cui piacciono i biscotti con il the”
“E
che toglie il dolore alle persone…”, aggiunse Danny.
“Sì…
ma non è nulla di più che un dono”. Il giovane non sembrava molto convinto.
“A
me sembra un super potere”
“Tu
leggi troppi fumetti”, rispose Eris, poi guardando l’ora aggrottò la fronte. “Perché
poi sei arrivato così in anticipo? Non avrai saltato la scuola?”
“No”
“Sei
sicuro?”
“Sì!
Il professore era malato e ci ha lasciato uscire prima. A proposito”, continuò
il ragazzo, “sono venuto di corsa perché volevo dirle che ho preso B in
algebra”
“B?”,
chiese lei come se faticasse a crederci.
“Sì!
Una B! Dopo tutto non è così male andare sempre in classe…”, aggiunse poi tra
sé e sé.
“Tua
madre sarà contenta”
“Già…”,
pensare a sua madre sembrò ricordargli un’altra cosa perché si rattristò. Eris
non aveva bisogno di super poteri per sapere cosa lo angustiava.
“Domani
vai a trovare Greg?”
“Sì…
rende sempre triste mamma…”
“Andrà
bene, tu hai un bel regalo per lui”, le ricordò Eris e lui sorrise.
“Me
lo darete davvero?”
“Danny,
metti in dubbio la mia parola?”
“No,
certo che no!”
“Ricorda,
la lettura rende liberi e malgrado quello che ha fatto tuo fratello, credo sia
quello tra di noi che ne abbia più bisogno”. Mentre parlava gli occhi di Eris
si velarono, un ricordo fece capolino nella sua mente, fresco come il giorno in
cui lo aveva vissuto.
“Su, vieni qui!” La bambina era
stesa a terra e guardava sotto una semplice branda.
“Devi lasciare che sia lui a venire
da te”, le disse la donna che, seduta su una sedia, la guardava con un sorriso.
“Uffa”, sbuffò la bambina. “Non mi
piacciono i gatti!”
“Sì che ti piacciono, devi solo
imparare che non potrai mai obbligarli a fare qualcosa che non vogliono fare”.
La bambina si alzò in piedi e raggiunse la donna che, seduta nell’angolo più
luminoso della soffitta, teneva un libro aperto tra le mani.
“Ti piace molto leggere, vero?”,
chiese la bambina.
“Sì… mi da la libertà…”
“Signora
Schmerz, io vado allora… ci vediamo domani?”. Eris scosse la testa, scacciando
il ricordo, e annuì.
“Sì,
Danny, uscendo prendi il King dallo scafale, è tuo adesso”
“Grazie”.
Il giovane sorrise e si voltò per andarsene, ma lei lo richiamò.
“Danny?”
“Sì?”
“Lo
sai che non devi dirlo a nessuno vero?”
“Certo
super nonna!”
“Danny!”,
lo redarguì lei ma lui era già lontano, la sua risata che echeggiava lungo le
scale.