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Autore: Overlook    06/10/2015    5 recensioni
Dragon Ball Z
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Bulma ha fatto ritorno a casa propria, alla Capsule Corp., a seguito dell'apocalittica avventura su Namecc.
Tre impulsi, slanci, momenti in cui l'istinto, il sesto senso, prendono il sopravvento su ogni altra cosa.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Stubborn'
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Il terzo ed ultimo capitolo di "Dashes", di Overlook, è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.


Dashes

Di Overlook, 2015©


____________________________


Capitolo III (Epilogo)
- Un vero piacere



I due sporgenti, piccoli nasi recuperavano all'unisono quanta più aria possibile, prima di liberarla nuovamente sopra le loro teste. I radi capelli e i dritti baffi traslucidi danzavano docili alla nenia che l'alito di vento altalenante intonava, investendo i loro corpi sonnolenti, mentre un paio di mani morbide, candide, affusolate ne copriva i contorni con uno smanicato in jersey alla stregua di una coperta.

Una farfalla dalle ali rosate, senz'altro più coraggiosa delle compagne, s'era avvicinata a tentoni su quel piccolo cumulo di vita, finendo per corroborarsi qualche istante sulla punta del finto orecchio felino di color blu scuro, tanto rassomigliante al paio nero che giaceva subito accanto.

Il manto celeste si presentava terso, come poche volte nel corso quei tre anni era stato. L'esalazione pungente e piacevole dell'erba appena falciata farciva le narici di uno strano impeto a sorridere e a socchiudere gli occhi al sole, pur essendo quello, di tanti che s'erano rincorsi veloci, il giorno meno adatto a lasciarsi andare a simili tentazioni.


Voglio venire anche io”, disse d'un tratto Bulma, priva del caratteristico brio, ma ferma nelle proprie intenzioni, senza smettere di fissare corrucciata il piccolo Trunks ed il micio nero del padre, accoccolati l'uno sull'altro, accanto a lei, su di un lato del dondolo in giardino.

È troppo tempo, che me ne resto chiusa in casa, ora basta”. Gli occhi grandi, appena truccati con il mascara, azzurri, forse meno vispi, ma senz'altro più profondi, quelli d'una giovane madre sola, accompagnavano severi il docile movimento delle dita tra i sottili primi capelli del figlioletto, ancora indeciso se destarsi totalmente o se rimanersene immobile e mezzo addormentato un altro po'.

"Starai scherzando, vero? …E a tuo figlio, al piccolo Trunks, non ci pensi?”. Yamcha, che aveva incontrato nuovamente Bulma soltanto un paio di mesi prima, nei pressi del parco di periferia, alle volte si prendeva libertà e confidenze senza che nessuno, lei in primis, gli avesse mai dato il minimo permesso. Quella era una di tali occasioni.
Un po' gli piaceva, rotolarsi, al pari d'un cane randagio zeppo di pulci, nella fangosa illusione d'aver colto la palla al balzo, ritrovando l'amica. Bella, bellissima, anche più di prima; sola, con un figlio in fasce da crescere. Non si rendeva conto di quanto ridicolo potesse apparire agli occhi di chi, abbandonata, ma fiera, sola, ma innamorata, lo degnava appena dell'attenzione necessaria a far sì che non s'inerpicasse in strane iniziative assai rischiose. Per lui, beninteso.

Il cipiglio s'inarcò infastidito. È ovvio, che Trunks verrà con me, non ti pare? Lo allatti tu... O il gatto, altrimenti, forse?!”. Inutile dire che la vena altezzosa e anche un po' spocchiosa della giovane donna non aveva mutato i propri connotati di una virgola. Alzandosi risoluta dal comodo giaciglio, afferrando delicatamente il neonato per nulla favorevole all'idea e prossimo alle lacrime urlanti, l'aveva sorpassato funesta e irritata, prima di destarlo malamente dai torbidi sogni ad occhi aperti che inconsciamente le immagini evocate gli avevano suggerito: “Allora, vuoi ripetermi le coordinate del luogo d'incontro? Verrò comunque, che tu me le dica o meno, perciò faresti meglio a parlare subito, mi eviteresti di girovagare a vuoto!”. Tossicchiando colto nel flagrante di certi pensieri, imbarazzato e paonazzo aveva fatto scivolare velocemente lo sguardo sulla scala in crescendo che partiva dai piedi ben nascosti all'interno delle scarpe sportive, poi alle gambe, lunghe, più morbide, affusolate, fasciate in un candido pantalone alla caviglia e terminanti su quel punto vita da vespa ornato solo dal crop top color sangue che ora calzava divinamente, sul seno gonfio ed esuberante. I capelli, tornati lisci e addomesticati in un caschetto squadrato, nascondevano le fini sopracciglia inferocite grazie alla frangetta, ma non riuscivano ad ostacolare le fiamme fuoriuscenti da quella bocca carnosa e tinta di rosso ciliegia.

Si può sapere che hai da fissare?! Ti decidi o no?!”. Ironico, quanto quelle pose e quel parlare fossero del tutto simili a quelli tanto rimproverati all'alieno mefistofelico che parecchi mesi prima aveva abbandonato Bulma lì, incinta, come si fosse trattato di un impiccio occasionale e passeggero. La rabbia che covava nei confronti di quel perfido principe tracimava dalle iridi d'ebano, se tanto faceva di ricordare che quel corpo, quel cuore, quella presenza erano stati donati per primo ed ultimo a quell'aguzzino e non a lui, che, sì, di brutti vizi ne aveva, ma che era sicurissimo non avrebbe mai nemmeno pensato di lasciare amata e figlio, alla volta dello spazio. Già, amata... E chi poteva dirlo, se quel bastardo l'avesse mai davvero anche solo tenuta in considerazione come persona e non come oggetto del desiderio. Quello lì sarebbe stato capace di qualunque cosa, ma di amare, no, nemmeno per sogno.

Eppure Bulma pareva sempre così ferma, sempre tanto motivata e grintosa... Che Vegeta fosse venuto a far visita a lei e a Trunks, di tanto in tanto, per caso? Ma no, no, che sciocchezze andava pensando, Vegeta era il principe dei Saiyan, non un Terrestre come tanti. Non... Uno come lui. E poi, la donna era stata chiarissima: “Io e Vegeta non stiamo più insieme, lui è partito per non so dove ad allenarsi ancor più duramente, io sono qui, come vedi e sto benissimo!”.

Tossì ancora una volta, chiudendo gli occhi e recuperando il controllo della situazione. “Come puoi essere tanto ingenua... È dei famigerati cyborgs, che stiamo parlando, mica di nemici qualunque! Se a quelli viene in mente di farti fuori, basterà loro la forza del pensiero, ma non lo capisci?”.

Lo capisco perfettamente, invece. Ma, voglio dire, cos'abbiamo, da perderci? Quelli hanno intenzione di distruggere tutta l'umanità in ogni caso, hai sentito cos'ha detto quel ragazzo, sono comunque molto più forti di tutti voi messi assieme. Perciò... Tanto vale che mi levi il pensiero adesso. Voglio almeno provarci, a godermi uno scontro simile! Se poi non si faranno vedere subito o le cose si faranno troppo rischiose, beh, vorrà dire che allora me ne tornerò indietro, okay?”. Con quell'espressione fintamente accomodante, Bulma sperò di togliersi da quella grana.

Ma Yamcha era tutto tranne che rassicurato, da tanta inaspettata incoscienza.

'Okay' un accidenti, Bulma! Non dire fesserie, guarda che questa volta non sono sicuro di riuscire a proteggert-”. Si fermò di colpo, come d'improvviso conscio d'aver superato il confine tacitamente imposto da quando tra i due correva solo una salda amicizia.

La voce di lei si fece austera, le braccia sottili si strinsero maggiormente attorno al fagottino piagnucolante. “Come hai detto, scusa?”.

I-io... Io non intend-”. Il giovane guerriero indietreggiò di qualche passo malfermo.

Tu intendevi eccome, invece. Non essere bugiardo. Sappi che io non ho mai avuto, men che meno avrò ora, assolutamente bisogno, della tua protezione, ti è chiaro!?”.

Gli occhi trasudavano le lacrime che l'orgoglio arginava ai lati delle orbite. Chi era, lui, per permettersi di trattarla come la donzella in difficoltà che non era mai stata in tutta la vita, eh? Con quale coraggio si prodigava ora per la sua incolumità, quando per più di un decennio l'unica cosa che gli si era chiesta, di non avere occhi che per lei – nemmeno avesse dovuto esservi, il bisogno di chiederlo -, lui non era stato minimamente in grado di compierla? D'accordo, erano amici, lui teneva a lei e a quel bimbo tanto sofferto, ma la linea di demarcazione tra quel che poteva essere un bel gesto e la presunzione di credere di poter ricoprire la carica ed il posto nel cuore appartenenti ad uno soltanto, non certo lui, era stata ampiamente superata, a dirla tutta sgominata, incurantemente. Con le pupille infuocate ancora ancorate a quelle tremanti di Yamcha, la mano sinistra s'affrettò svelta a rovistare nella tasca dello smanicato in jersey che reggeva con l'altro avambraccio, estraendo infine la capsula numero 28, da cui, dopo un contenuto boato, comparve poco distante un elicottero biposto munito di apposito seggiolino per il piccoletto.

Pensa a quando ti... Vi... vedranno... Goku e gli altri, cosa penseranno...?”.

Ma Bulma stava già allacciando saldamente le cinture di sicurezza attorno al corpicino di Trunks.

Per me possono pensare quello che vogliono. Figurati, non sanno ancora nulla, potrebbe pure essere un vero piacere, per loro, sai?! Avanti, adesso vieni qui e dettami le coordinate, vi raggiungerò subito”.

Davvero impensabile, riuscire a tener testa a quella furia. Così come l'aveva a malincuore lasciata in balìa del principe dei Saiyan, così l'aveva ritrovata; se possibile, anzi, adesso era ancora più spavaldamente cocciuta, per nulla abbattuta o segnata, dal triste abbandono subìto. Effettivamente, quale tristezza si sarebbe mai potuta celare, dietro la partenza senza ritorno di un tale arrogante alieno che senz'altro era stato meglio perdere, che trovare.

D'accordo, d'accordo. Hai vinto tu. Ma vedi di fare attenzione, a tutto quanto... Io passo a prendere Tenshinan e Jiaozi, prima di arrivare”.


Non preoccuparti” - proferì agguerrita fissando eccitata il pannello dei comandi mentre il portellone d'ingresso si richiudeva - “non mi succederà nulla, me lo sento. A dopo, allora!”




***




L'orologio da polso segnalava che erano da poco trascorse le otto e un quarto del mattino. Il cielo assolutamente sgombro e luminoso restituiva alle acque ed alle terre emerse sottostanti un riverbero quasi irreale, di quelli artefatti che potevano ammirarsi sulle copertine patinate delle riviste di viaggio che a volte Bulma si dilettava a sfogliare in cerca d'ispirazione. Le sarebbe piaciuta, una bella vacanza al mare, ma si sarebbe accontentata pure di qualche settimana trascorsa sull'Isola del Genio. Se solo non avesse dovuto essere completamente disponibile ad ogni ora del giorno e della notte per il piccolo Trunks... Ben inteso, lei amava quel paffuto frugoletto, ma, diamine, quant'era dura avere a che fare con quei due limpidi occhietti già tanto somiglianti nel corrucciato cipiglio a quelli del padre. Non se n'erano mai andati, quelli, né dalla sua mente, né tantomeno dal suo cuore. Per quanto, dopo essersi fatti i... Non esattamente migliori auguri di buon proseguimento, lei avesse messo su un'imperscrutabile maschera di menefreghismo e totale spavalderia verso tutta la vicenda, non erano state rare le occasioni in cui, sola in laboratorio, concentrata su tanto di quel lavoro da far scoppiare le meningi a chiunque altro, si era fermata d'un tratto, lasciando cadere a terra fogli, matite, attrezzi o qualunque altra cosa avesse avuto tra le mani in quel momento, assolutamente certa di aver sentito la voce di Vegeta nei paraggi o di averne udito l'inconfondibile incedere verso quell'enorme stanza. Altrettante volte s'era data della stupida, mentre con la bocca sorrideva amara e con la punta delle dita si asciugava il contorno degli occhi umido.

Il principe dei Saiyan s'era pian piano abituato, a quel clima terrestre, a quella quotidianità di risvegli simbiotici, di languide carezze e di onnipresenti premure. Non era ancora riuscito a raggiungere l'oro. Non avrebbe mai potuto permettere di farsi cogliere tanto impreparato, nel momento in cui si sarebbero rivisti, lui e Son Goku, sull'isola indicata dal misterioso giovanotto.

Lei non gli aveva chiesto molto, l'aveva solo pregato di tornare, se non per lei o per loro due, almeno per il bambino che di lì a poco sarebbe venuto al mondo. L'aveva pure implorato di rimanere almeno sino alla nascita del sangue del suo sangue, ma il gelido menefreghismo con cui era stata infilzata durante quella funesta mattina d'inverno le era bastato per barricarsi, da quell'istante, dietro un pesantissimo muro di noncuranza, di spensierata accettazione, di malinconica disillusione. Cos'altro avrebbe dovuto fare? Lo amava forsennatamente, passionalmente, intensamente. Lei sapeva, sapeva meglio d'egli stesso quanto potersi sentire fortunata ed orgogliosa di portare in grembo l'unica cosa che li avrebbe legati indissolubilmente per il resto della vita, senza che lui gliel'avesse mai impedito. “Sono affari tuoi, allora. Io ti ho già detto come la penso e non cambio idea”, le aveva sputato in faccia lapidario, mentre si rivestiva impassibile all'indomani di una nottata ciclonica. Era come se qualcosa, di gran lunga superiore e più potente delle stesse leggi dello spazio e del tempo, le avesse sempre alitato nel cuore la fioca, impercettibile e sommessa certezza che quel che avevano gettato l'uno sulle spalle dell'altra, non sarebbe mai divenuto un addio.

Non aveva la più pallida idea, adesso, di dove si fosse cacciato, se stesse bene, se la battle suite confezionatagli proprio qualche giorno prima dell'irrevocabile decisione gli calzasse ancora. Quel corpo massiccio e meraviglioso, cesellato e marmoreo, lei, lei sola lo aveva visto irrobustirsi e pomparsi sotto le incessanti spinte dell'orgoglio e della voglia di rivalsa, mentre famelici smembravano il triste uomo ascoso dietro gli arrogantemente magnetici tratti alieni.

Lo stimava, stimava quella strenuità e quella fermezza d'animo, malgrado tutto; gli voleva bene come mai aveva smesso di volergliene, nonostante in quell'arco di anni non vi fosse stato lo spazio per una sola parola di conforto o d'affetto, nei confronti di lei, da parte sua.

Però... Però chi altri a parte lei, quale altro essere vivente avrebbe mai potuto avere quella fortuna, la sfacciata ed intima fortuna di godersi il suo sorriso appena accennato, anticipato dallo scatto di schiena, quando aveva saputo senza troppi fronzoli che si trattava di un maschietto. Il tocco, sorprendentemente delicato, di quelle mani avvezze a contorcere ed ammazzare, sul suo viso arrossato dal primo sole estivo, quando la raggiungeva di sua sponte in camera da letto. L'istante irripetibile di smarrimento e di ricerca, in quegli occhi severi e cupi, quando lei rispondeva ad un suo insulto con un sorriso, senza fargli mancare mai nulla. Vegeta avrebbe potuto essere ancora, il temuto e temibile principe dei Saiyan, ma ormai lei era entrata in lui. L'ombra di buono, di bisognoso, di combattuta sofferenza avrebbero sempre smentito ogni movenza ed ogni parola arrogante e intimidatoria si fosse apprestato a sfoggiare.

Il lembo di terra indicato dal pannello di controllo s'avvicinava con lo smeraldino dei suoi prati, con le coste frastagliate e con le speronature delle rocce negli anfratti posti più in alto. In quell'area deserta, avrebbe effettuato la manovra d'atterraggio, accorgendosi peraltro che Yamcha e Tenshinan erano già lì, nel pieno degli esercizi di riscaldamento.

Sarà un vero piacere...”, pensò a voce alta, dando una veloce occhiata al bimbo sonnecchiante. La bocca contrita in un grintoso ghigno avrebbe potuto dire quel che voleva, a proposito dell'incontro con i famigerati cyborgs, ma lo sguardo, dardeggiante, velato, ma fermo, convinto, avrebbe comunque parlato per primo, urlando in faccia a tutti che rivedere il suo Vegeta, quello, era stato il suo primario obiettivo. Perchè lui sarebbe giunto lì, perchè lui non si sarebbe tirato indietro. Perchè lui, solo lui, era l'atavica e subliminale ragione per cui Bulma, quel giorno, sentiva che nulla di male le sarebbe accaduto.




-Fine-

  
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