Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: AlsoSprachVelociraptor    08/10/2015    1 recensioni
!!!*ATTENZIONE!* STORIA RISCRITTA E RIPUBBLICATA SU QUESTO PROFILO. NON LEGGETE QUESTA!! LEGGETE LA NUOVA VERSIONE!! (QUESTA VERSIONE è DATATA ED è QUI SOLO PER RICORDO)
Anno 2016. Shizuka Higashikata, la bambina invisibile, è cresciuta e vive una vita tranquilla con i suoi genitori Josuke e Okuyasu nella cittadina di Morioh, e nulla sembra poter andare storto nella sua monotona e quasi noiosa esistenza. Ma quattro anni dopo la sconfitta di Padre Pucci un nuovo, antico pericolo torna a disturbare la quiete della stirpe dei Joestar e dell'intero mondo, portandoli all'altro capo della Terra, nella sperduta cittadina italiana di La Bassa. Tra vecchie conoscenze e nuovi alleati, toccherà proprio a Shizuka debellare la minaccia che incombe sull'umanità. O almeno così crede.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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-Stanotte, la Banda delle Onde Concentriche smetterà di esistere! Grazie a me, e al mio nuovo stand!-
La vampira bionda digrignò i denti, mostrando gli appuntiti canini mentre estraeva il suo stand. Era pronta al combattimento, pronta a fare fuori quei maledetti guerrieri delle letali onde concentriche grazie allo stand che i capi le avevano donato trapassandola con la Freccia e mutandola con la Maschera.
I suoi avversari se ne stavano impalati davanti a lei, con delle espressioni annoiate sul viso. Il loro capo fece un passo in avanti, aggiustandosi gli occhialoni gialli che le coprivano gli occhi.
-Taglia corto Elisa, e dicci cosa vuoi.- sbraitò Zarathustra, il boss della Banda delle Onde Concentriche. Una ragazza bassa e dall’apparenza per nulla né femminile né matura, coi suoi corti capelli neri e il vestiario largo e maschile. Le si parò davanti, stringendo i pugni guantati, che iniziarono a esalare delle scosse elettriche.
La vampira rise, portandosi la mano dietro la testa e saltellando di qua e di là, con un’espressione che né Zarathustra né la sua banda sopportavano.
-I capi hanno detto che stanno arrivando degli altri nemici per voi!- disse lei, con la sua orribile vocina acuta. Una della Banda, la ragazza più alta coi capelli castani lunghi e un diadema sulla testa, estrasse delle bacchette dagli alti stivali neri e fece per avventarsi contro Elisa, ma fu prontamente fermata dal boss. Rimaneva ferma immobile, mentre con una mano teneva per il braccio l’amica furibonda. Dal suo viso, coperto a metà dagli occhialoni da lavoro, non traspariva nessuna espressione, come solito del resto.
-E chi sarebbero? Sono vostri alleati, forse?- chiese, con un tono neutro da cui non trapassava alcuna emozione.
Elisa ridacchiò, avvicinandosi a loro. La ragazza castana aveva le lacrime agli occhi, mentre guardava con puro odio l’avversaria. La presa di Zarathustra non diminuiva sul suo braccio, tenendola salda e assicurandosi che non scappasse e uccidesse la vampira. Era estremamente preziosa, ora.
Aveva appena scoperto di avere altri nemici, oltre a quei maledetti vampiri. Era tesa, ma come usuale non dimostrava alcuna espressione. È il boss, non può lasciarsi spaventare.
Gli occhi rossastri della vampira si piantarono negli occhialoni della guerriera delle onde concentriche. –Sono i Joestar… sono tornati per farti fuori! Hihihi!-
La presa sul braccio dell’amica aumentò, mentre sul viso di Zarathustra si formò un’espressione preoccupata. La ragazza castana si girò verso l’amica.
-Boss… qualche problema? Chi sono questi “Joestar”?-
-Non preoccuparti, Regina- sospirò il boss, tornando apatica. –ve lo spiegherò più tardi. Prima, raccogliamo qualche informazione in più da questa schifosa, poi la faremo fuori e vi spiegherò tutto.-
Regina annuì poco convinta, mentre Zarathustra le lasciava il braccio e si avvicinò alla vampira iperattiva, che stava saltellando per tutto il vicoletto dei sobborghi di La Bassa. –E quando dovrebbero arrivare, questi “Joestar”.-
-Domani arriveranno al Forcello… si sono finalmente accorti di aver lasciato degli Zeppeli in vita, e sono tornati per rimediare e ammazzarvi, come hanno fatto con tutti i vostri antenati~ Non è divertente?-
-Domani al Forcello.- sussurrò il boss, avvicinandosi pericolosamente alla vampira, che smise di saltellare e iniziò a retrocedere, un po’ spaventata.
Un bagliore rosso si accese sotto gli occhialoni, in prossimità dell’occhio destro del boss della Banda. Ed Elisa capì che era troppo tardi.
Cadde a terra di schiena a peso morto, con un enorme ago elettrizzato piantato in mezzo agli occhi, mentre il suo corpo iniziava a bruciare e lei ad urlare in modo straziante. Zarathustra le appoggiò un piede, con la scarpa ricoperta di onde concentriche sulla sua gola e premette forte, finchè non avvertì un forte “crack”.
Elisa scomparve, svanendo nella polvere, mentre il boss tornava indietro verso i compagni di squadra, con le mani nelle tasche della felpa.
-Ludovico, torniamo al rifugio.-
Un ragazzo dai capelli neri tirati all’indietro, tutto impettito in giacca e cravatta si fece avanti, annuendo. Estrasse il suo stand, una grossa ombra circolare, e tutti i ragazzi ci saltarono dentro, sparendo.
L’ombra vagò nell’oscurità della città quasi desolata, intrufolandosi tra le crepe nei muri e raggiungendo un casolare abbandonato, nella periferia remota della città. Sorgeva vicino alla campagna, piatta per chilometri e chilometri oltre l’orizzonte, desolata. La Banda uscì dallo stand-ombra e si disperse per le grandi camere della villa rurale, tornando a fare le solite cose che otto ragazzini come loro erano soliti fare: chi giocava ai videogiochi, chi trafficava col cellulare, chi ascoltava la musica.
Zarathustra però rimase ferma. Chiamò tutti gli amici, che si disposero seduti in cerchio intorno a lei, come ogni volta che il loro capo doveva riferire loro qualcosa di importante. Lei si schiarì la gola e iniziò a parlare.
-Abbiamo scoperto che questi “Joestar” arriveranno domani al Forcello. Ora, voi vi chiederete chi siano questi fantomatici Joestar, e perché stiano cercando proprio me. Ebbene, la storia parte da tanto, tanto tempo fa. Correva il diciannovesimo secolo.-
Un ragazzino basso e mingherlino, dai capelli violacei ribelli, alzò la mano.
-Parla pure, Piero.- lo chiamò Zarathustra con voce neutra. Il ragazzo indicò il libro che il boss aveva in mano, un diario di viaggio dall’apparenza molto antica. –Cos’è quella roba? Non ce lo dovremo mica sorbire tutto??-
Gli altri sei ragazzi seduti a terra si girarono verso di lui e lo guardarono male. Possibile che fosse sempre così superficiale e stupido?
Zara sospirò, mantenendo la calma. Era incredibile come riuscisse sempre a rispondere a tono, anche alle domande più stupide.
-Sì, dovrete. Questo è il diario di bordo degli Zeppeli, risalente alla prima metà dell’800.  Erano una famiglia di studiosi, e stavano analizzando questa “maschera di pietra”, un antico manufatto azteco. A quanto pare, le creature che avevano creato quegli strumenti fossero passate anche di qua, arrivando fino a Roma, dove si persero le loro tracce.
Tuttavia, lasciarono, in qualche parte sconosciuta del loro tragitto, i loro artefatti, le Maschere di Pietra, ben nascoste sotto terra, in una zona praticamente inabitata dell’Impero Romano. Ebbene, decisero di celare il loro pericoloso tesoro nelle paludi della centuria più selvaggia di tutt’Italia, dove le acque del grande fiume Padus le inghiottì per secoli e millenni, fino al grande terremoto del 2012, dove riemersero…-
-Ehm... Sorellona, non ancora con la storia romana...- balbettò un ragazzo alto dalla carnagione abbronzata e i biondi capelli corti tagliati alla mohawk, dal viso però fin troppo simile a quello del boss e un'espressione sottomessa nei suoi grandi occhi verde acqua. Zarathustra si voltò a guardarlo e prese in mano il librone, neutra come al solito.
-Preferirei tu usassi un tono più sicuro e mi chiamassi per nome o per grado quando ti rivolgi a me, Alex, ma hai ragione. Mi stavo perdendo. Dicevo, la famiglia degli Zeppeli.
Uno di loro, William Anthonio Zeppeli, fu l’unico sopravvissuto di un attacco di vampiri, a metà del diciannovesimo secolo. Si recò così in Tibet per imparare l’antica e quasi estinta tecnica delle Onde Concentriche, utilizzata da un’antica tribù di esseri umani per sconfiggere le creature azteche semidivine chiamate “uomini di pietra” o “uomini del pilastro”, come riportano questi antichi manoscritti.
Questo William apprese l’Hamon, le Onde così chiamate in lingua originale tibetana, per sconfiggere un vampiro che a fine 800’ utilizzò una delle maschere, presso Londra. Il motivo non è scritto. Però, c’è scritto che il rampollo dei Joestar, l’unico erede di quella famiglia nobiliare inglese, apprese dallo Zeppeli le Onde concentriche, prima che questi morì in circostanze misteriose. Lasciò la sua famiglia senza alcuna motivazione. Il diario di bordo si conclude qui.
Altre fonti, che ho ricavato dal lavoretto pomeridiano in biblioteca, mi hanno svelato che i Nazisti risvegliarono gli ultimi uomini del pilastro che si erano nascosti nel Colosseo per due millenni, appunto trasformati in pilastri –da qui il loro nome-, che furono comunque sterminati. Un generale delle SS, Stroheim, citò un certo Joseph Joestar, che sconfisse nella Svizzera neutrale della Seconda Guerra Mondiale queste misteriose creature azteche e tutti i vampiri rimasti.-
I ragazzi nella banda iniziarono a mormorare tra loro, tranne Alex, che fissava la sorella maggiore con un sorrisone emozionato. Amava sempre risentire le storie delle sue origini. Una ragazza, molto alta dai capelli ricci e rossi, sbuffò sonoramente, sporgendosi verso Regina e il suo fidanzato. –Ma quando è che finisce di parlare?-
-Faresti meglio ad ascoltare, stupida- sibilò innervosita Regina, guardandola di traverso mentre Davide, il suo ragazzo, cercava di tranquillizzarla.
-Ma, con il suo avvento, tutti gli altri guerrieri delle Onde misteriosamente scomparirono, compreso il nipote di William, Caesar. Ho il sospetto che i Joestar si vogliano disfare dei guerrieri delle Onde Concentriche. Compresi noi.-
Sulla sala, quasi silenziosa fino a pochi istanti prima, si alzò un brusio di voci preoccupate che parlottavano tra loro. Zarathustra rimase a guardarli in silenzio, lasciandoli reagire. Poi, stanca di aspettare, lasciò cadere a terra il tomo, causando un grande rumore. Tutti i componenti della banda si girarono verso di lei, spaventati a morte dalla nuova notizia, mentre lei si lisciava la maglietta bianca di The Wall, tentando di sembrare il più calma possibile.
-Stanno cercando gli Zeppeli. Hanno ucciso tre generazioni, e gli unici rimasti siamo io e Alex.
Ho scoperto dall’anagrafe di La Bassa che nostro nonno fu adottato, poiché in tempo di guerra una donna da sola non poteva allevare un figlio. La donna, la mia bisnonna, fu messa incinta da un ragazzo, un guerriero delle Onde Concentriche in viaggio verso la Svizzera per sconfiggere gli Uomini del Pilastro, ma venne ucciso, probabilmente dai Joestar.
Il suo nome era Caesar Anthonio Zeppeli.-
Zarathustra riprese tutti i libri e li rimise a posto negli scaffali polverosi della grande libreria, mentre tutti i componenti della sua banda la guardavano allibita. –Domani mattina presto partiamo per il Forcello. Ludovico, a te il controllo della Banda in mia assenza. Regina, Eriol, voi verrete con me alla Città della Moda.-
Regina e un’altra ragazza, più bassa dai capelli mogano spettinati e una lunga coda sulla nuca, vestita da avventuriera con dei grossi occhialoni sulla testa, si alzarono in piedi e annuirono.
-Siete le più forti tra noi- sibilò il Boss, avvicinandosi alle ragazze, un po’ spaventate dalle ultime notizie e dalla missione pericolosa che era stata affidata loro. –domani sconfiggeremo i Joestar, e la nostra via sarà finalmente libera. Potremo realizzare il nostro piano, in pace.-
 
Tra La Bassa e il Forcello c’era una mezz’oretta di strada. Zarathustra, Regina ed Eriol arrivarono verso le nove, l’orario di apertura, nel parcheggio della Città della Moda, in un angolo d’osservazione tale da poter vedere circa tutto il parcheggio.
Da sotto gli spessi occhialoni di Zarathustra s’illuminò la luce rossa in corrispondenza del suo occhio destro, e iniziò ad ispezionare tutto l’ampio parcheggio. Le macchine continuavano ad andare e venire, e c’era un po’ di folla. Il pienone sarebbe arrivato più tardi, e a quanto pare anche i Joestar. Le tre ragazze si sedettero sul muretto d’entrata, in una posizione sopraelevata rispetto alle automobili e al gruppo di persone che si apprestavano ad entrare nel grande centro commerciale. Eriol e Regina parlottavano tra loro, mentre il capo della Banda continuava ad ispezionare tutti i turisti e i clienti. Le ore passavano, e ancora nessuno che potesse assomigliare come fisionomia a quella foto di nozze di Joseph Joestar e Suzie Quatro che aveva trovato all’anagrafe di Venezia.
-Sta usando 42?- mormorò Eriol a Regina, guardando il loro capo con attenzione. La più alta annuì, entrambe attente a non disturbarla mentre scannerizza tutta la folla.
Passano le ore, e nessuno che risultasse.
Le ragazze iniziano ad annoiarsi, ciondolando pigramente le gambe sul muretto mentre guardano annoiate la foto del matrimonio. Un ragazzo di circa la loro età, alto e massiccio, dagli spettinati capelli scuri e gli occhi vispi, e una ragazzetta bassa e bionda dal viso solare. Tutto ad un tratto, Zarathustra salta giù dal muro e inizia ad incamminarsi. Regina ed Eriol la seguirono, iniziando a sudare freddo e raggiungendola, preoccupate.
-Trovato- mormora, tenendo lo sguardo fisso su un punto imprecisato della folla. Era l’una, l’orario di punta, e si faceva fatica persino a camminare in quella marea di gente. Le due non vedevano nulla, ma si fidavano dello Stand del loro capo.
-Sono quattro adulti e un’adolescente. I quattro sono sulla trentina, mentre la ragazzina deve avere quindici anni o poco più. Sono tutti di etnia asiatica, tranne uno.-
-Joestar…- ringhiò sottovoce Regina, estraendo dagli stivali le bacchette di ferro che usa per combattere. Eriol si mise sulla difensiva anche lei, tirando fuori dal marsupio che porta alla vita un paio di boccette di sabbia.
Zara alzò un braccio, fermandole. Le ragazze la guardarono stupite, mentre rimaneva immobile. Tra la folla sparsa e movimentata, riusciva a scorgere e analizzare le cinque figure.
-Ragazze, andate alla fontana e preparate la trappola. Io li seguo. Come stabilito dal piano.-
Le due annuirono e corsero dentro il centro commerciale, mentre il boss rimaneva a seguirli a distanza, per non farsi notare. Zarathustra era ormai abituata a missioni in solo, e poteva dire di preferirle quasi a quelle in gruppo. Da sola poteva fare quello che voleva, prendere decisioni drastiche e delle volte rischiose. Ma lei calcolava tutto, aveva un piano per ogni evenienza, e si fida ciecamente delle sue abilità. Si considerava infallibile, e seguire una famiglia ignara non era di certo una missione difficile. Li pedinava a qualche decina di metri di distanza, grazie al suo stand, quell’occhio rosso e inquietante che brillava sotto gli occhialoni spessi. Fece diversi giri intorno a loro per poterli vedere, studiare e analizzare meglio, rimanendo in vicoletti laterali a cui i tre –due uomini sulla trentina parecchio alti e massicci e la ragazzina- non prestavano minimamente attenzione.
Allungò un braccio davanti a sé, serrando la mano a mo’ di pistola e prendendo bene la mira con l’occhio destro che brillò di una sinistra luce rossa. Dal dito, ricoperto dal guanto giallo intarsiato da fili metallici, scaturirono degli aghi elettrificati, sottili e minuscoli, quasi invisibili, e puntò alle loro tasche. Ne sparò tre, che si andarono a conficcare nei cellulari, che, a causa del campo magnetico causato dagli aghi, che bloccarono la ricezione e causò ai cellulari di non avere più campo. Sicura che non avrebbero più potuto chiamare rinforzi, si calmò e iniziò a analizzarli meglio.
I tre, presumibilmente una famiglia, erano strani e decisamente appariscenti.
Il più alto, sui due metri, era un occidentale dai corti capelli castano scuro spettinati e gli occhi chiari, un po’ di barba e qualche cicatrice qua e là sulla pelle bianca, era quello che la stupivano di più: le sembrava una copia di quel “Joseph Joestar” che aveva visto nella foto, aveva perfino quella strana voglia a forma di stella tra la spalla sinistra e il collo. L’altro uomo non era meno bizzarro. Un giapponese di almeno un metro e ottanta dalle spalle larghe e i tratti del viso marcati. Portava gli occhiali e aveva una strana, enorme cicatrice a forma di X proprio in mezzo al viso, e i capelli bianchi e neri raccolti in una corta coda di cavallo. Tra di loro, una ragazzina adolescente di circa un metro e cinquanta, anche lei di etnia asiatica, magrolina e pallida, coi capelli corvini chiusi in due codini sulla base del collo e la frangia che quasi le copriva gli occhi. Zarathustra non fece fatica a seguirli e a rintracciarli tra la folla, mentre invece perse le tracce degli altri due, una donna alta dai capelli lunghi e mossi e un uomo, basso e mingherlino, dai capelli chiari e sparati verso l’alto. Portavano due fedi identiche e stavano sempre insieme, e constatò che dovessero essere marito e moglie. Una fede identica l’avevano anche il Joestar e l’altro uomo, giungendo alla conclusione che dovessero essere sposati anch’essi e che la bambina fosse loro figlia adottiva. Erano parecchio giovani per essere genitori, ma la questione non la preoccupò troppo. Camminava dietro di loro, e si avvicinò parecchio; era a circa un metro di distanza, quando evocò parzialmente il suo stand. Solo un braccio, nero e spinoso, con tre dita ad artiglio, sottili e appuntiti come stiletti.
Punse i tre, ognuno con un dito diverso, e poi corse via rapidamente, non facendosi notare. Nascosta dietro un muretto, tirò fuori tre ampolline dalle tasche della felpa e versò dentro le gocce di sangue che aveva sottratto loro. Ora aveva anche dei loro campioni di DNA. Sarà di sicuro servito in futuro, dopo essersi sbarazzati di loro.
Nel frattempo, Eriol e Regina raggiunsero il luogo più desolato di tutto il centro commerciale, una piazzetta chiusa per lavori e posta vicino ad un cantiere. Non c’erano negozi aperti e non c’era nessuno in giro. Perfetto.
-Il boss ha scelto bene la zona, vero?- disse Eriol, ridacchiando e chinandosi a terra, studiando il pavimento polveroso.
-Sabbia e polvere portata dal cantiere in grande quantità, e qua vicino un sito archeologico etrusco. La zona perfetta per usare il mio stand, Memory for Evermore!- disse tutta felice, girandosi verso la più alta, che studiava attentamente la fontana. –E io posso unire il mio Kings & Queens all’acqua della fontana per poterla riutilizzare. Il Boss ha avuto proprio una grande idea! Batteremo dei maledetti!-
Le due ragazze si diedero il cinque e si nascosero dietro alla fontana, attivando i loro stand e aspettando le vittime.
 
-Io e la mamma vi vogliamo bene. Ciao, mangiate, fate i compiti e non fate impazzire la nonna!-
Koichi chiuse la chiamata con un sospiro, pensando ai suoi demonietti da soli in Giappone.
Manami e Tamotsu avevano 8 e 6 anni, ed erano dei bambini adorabili e un po’ pestiferi. Assomigliavano molto al papà da questo punto di vista: con le persone a cui i bambini tenevano, ad esempio la nonna, i genitori, gli zii Josuke e Okuyasu e la cuginetta Shizuka, erano degli angioletti, sempre felici e gentili. Con gli estranei sembravano cambiare personalità, molto più simile alla madre. Freddi e spesso scatenati, impossibili da domare.
Manami, la sorellina più grande, nacque l’anno dopo il matrimonio di Koichi e Yukako. Dopo che i loro due migliori amici si sposarono, in primavera, anche loro presero la grande decisione, e decisero di mettere finalmente su famiglia.
Gli mancavano davvero tanto, ma non avrebbe potuto portarli in Italia assieme a loro due, era troppo pericoloso per dei bambini troppo piccoli. La situazione fino a quel momento era stata tranquilla, nessuno aveva cercato di fare loro male e non si era avvicinato nessun vampiro, anche se quella notte videro qualche figura camminare al di fuori dell’hotel. Era inquietante vedere quei mostri ciondolare fuori dall’albergo, illuminati solo dalla luna oscurata dalle nuvole.
Yukako guardava il marito, con un’espressione pensierosa. Lui dovette accorgersene, perché le si avvicinò preoccupato.
-Il tuo cellulare funzionava.- borbottò lei, tirando fuori dalla borsetta il suo smartphone e controllandolo, con molta preoccupazione sul suo viso di solito sempre calmo e un po’ inquietante.
Koichi la squadrò, mettendosi un po’ in ansia per il suo comportamento e le si avvicinò, accarezzandole una spalla e appoggiandosi a lei, guardando il cellulare della donna. Lei andò sulla rubrica e tentò di chiamare al cellulare sia Okuyasu che Josuke, inutilmente. Erano irraggiungibili, disse la segreteria telefonica.
-Shizuka prima si stava lamentando del fatto che il suo cellulare non aveva campo. Ma il tuo sì, e anche il mio- sbottò Yukako, ricacciandosi il cellulare in borsa e iniziando a camminare velocemente, camminando grandi falcate. Koichi la seguì correndo, non riuscendo a stare al fianco di sua moglie, che aveva accelerato ancora il passo, crucciata per i suoi amici.
-Dici che hanno sabotato loro i cellulari?- le disse Koichi, tra un respiro affannato e l’altro mentre cercava di stare al passo con lei, che non accennava a diminuire di velocità. Si guardava nervosamente a destra e a sinistra, nel tentativo di trovarli. Spiava in qualsiasi vicoletto, li cercava tra la folla, ma nulla. Erano come scomparsi.
-Caro, usa Echoes. Sono in pericolo.-
 
Shizuka si aggrappò alla giacca di suo padre con tutta la forza che le era rimasta in corpo, singhiozzando dal panico. Non si era mai ritrovata nel mezzo di un combattimento, e aveva ancora l’orribile ricordo del vampiro che l’attaccò poche settimane prima. Ora era diverso, c’erano i suoi genitori, ma non poteva fare a meno di essere terrorizzata da quelle lame d’acqua che cercavano di affettarli. Josuke la strinse a sé con un braccio, coprendole le orecchie e premendola contro al suo petto, per poi girarsi verso l’acqua. Crazy Diamond gli comparve alle spalle, con il viso che sembrava più infuriato del solito. Si preparò in posizione d’attacco, aspettando che le lame si avvicinassero di più a lui, dato il raggio molto ridotto dello stand. Shizuka alzò lo sguardo sul padre, attento ad aspettare l’istante giusto per colpire. Il tempismo era tutto, ed era l’unica possibilità che aveva per evitare di essere tagliato ancora, o peggio, che quelle lame d’acqua potessero colpire sua figlia. Quando entrarono nel raggio di un metro, lo stand iniziò ad urlare il suo classico “DORARARA”, tirando pugni talmente veloci da essere a malapena visibili. Shizuka serrò gli occhi con forza e premette le mani su quella di suo padre, che le otturavano le orecchie. Ogni pugno dello stand era talmente rapido da rompere la barriera del suono, e causare boati insopportabili nell’aria, ma funzionavano contro le lame d’acqua e sabbia: al contatto coi pugni esplodevano in milioni di innocue goccioline, che li bagnava un po’.
Okuyasu li guardò, tirando un sospiro di sollievo. Meno male che non si erano fatti niente. Fece per raggiungerli, quando sentì una fitta alla caviglia e crollò a terra, rotolando sul cemento. Guardò le sue gambe e notò con orrore lo squarcio che gli passava sul retro della caviglia, e gli aveva reciso di netto il tendine d’Achille. L’osservò un attimo, sconvolto, per poi lanciare un forte urlo di dolore, mentre il suo sangue sgorgava a fiumi dalla carne aperta, e si andava a mischiare all’acqua rimasta dall’ultima lama lanciata dalla fontana.
Premette le mani sul terreno per rialzarsi, ma i piedi non rispondevano ad alcun comando. Rimanevano a penzoloni, inutili alla fine della gamba, ormai senza sensibilità. Cercò di strisciare verso Josuke e Shizuka, che lo guardavano sconvolti. Josuke decise di fare la prima mossa. Prese per il polso la figlia e si avventò correndo verso il marito, nella speranza di potere proteggere lei e curare lui. Ma la ragazza non si muoveva. L’acqua che era esplosa dalle lame per i pugni di Crazy Diamond le era finita addosso, e si era ghiacciata. Shizuka era ricoperta da una patina cristallizzata di ghiaccio, che aveva fatto presa sulla pelle. Ogni movimento le strappava la pelle e le graffiava la carne, e Josuke notò con terrore che anche i suoi piedi erano bloccati a terra dal ghiaccio. Era immobile. Anche lui era ricoperto di ghiaccio, ma con un forte strattone si strappò via il ghiaccio dalle braccia, assieme anche alla pelle per giunta. Rimase in mezzo, tra la figlia e il marito, indeciso sul da farsi. Se non avesse soccorso Okuyasu sarebbe o morto dissanguato oppure colpito ancora, e se fosse corso da lui sua figlia sarebbe rimasta scoperta e vulnerabile. Non seppe che fare, il panico lo prese e rimase immobile, con gli occhi lucidi e sgranati e la mente confusa.
Mentre lui si guardava a destra e a manca, cercando di scegliere, Zarathustra rimase nel vicoletto alle sue spalle, mentre li osservava con un’espressione neutrale. Il loro piano di attaccarli tutte assieme uno alla volta stava funzionando alla perfezione. Certo, non poteva di certo immaginare che il tipo con degli evidenti problemi psichici potesse avere uno stand tanto portentoso, addirittura con l’abilità di cancellare lo spazio né tantomeno che il Joestar, invece, avesse uno stand talmente forte dal rompere il muro del suono a pugni. Così forti, sarebbero potuti davvero essere una minaccia. Fortunatamente Zarathustra aveva progettato l’attacco a tre, e grazie a Eriol e Regina, sue collaboratrici fidate, e alla tecnica di sconfiggerli uno a uno, quei due non erano più un problema.
Si mise sul bordo del muretto e puntò, una mano con indice e pollice alzato a simulare una pistola e l’occhio rosso che brillava. Puntò sulla nuca dell’uomo steso a terra e il guanto sprizzò scariche bianche. Dal dito venne sparato uno spesso ago nero, che si andò a conficcare tra la prima e la seconda vertebra cervicale di Okuyasu, che gridò dal dolore, per poi accasciarsi faccia terra senza reagire, le dita che si muovevano a scatti a causa della scossa ricevuta.
Josuke lo osservò impietrito, lanciando un urlo disperato. Corse verso di lui, ma inspiegabilmente cadde a terra. Si portò una mano al ginocchio, e quello che toccò fu solo sabbia bagnata. Dalle ginocchia in giù non v’era altro che sabbia. Le sue gambe si frantumavano al tocco, come quei deboli castelli di sabbia sulla spiaggia. Si mise a carponi come meglio poteva, con le labbra che tremavano e gli occhi lucidi. Tentò di alzarsi ancora, causando altra sabbia di cadere e riversarsi a terra dalle sue gambe. Tutto ad un tratto, anche Shizuka si mise a gridare, e cadde a terra a corpo morto.
Josuke si sentiva morire.
Non era riuscito a proteggere la sua famiglia, e ancora una volta si ritrovava inutile e incapace di salvare chi più ama al mondo. Gridò con tutta la forza che gli rimaneva in corpo, mentre sbatteva con violenza la fronte a terra, disperato. Cosa avrebbe fatto ora, solo al mondo, senza di loro?
Regina e Eriol si alzarono in piedi e si scostarono dalla fontana, guardandolo in malo modo. Si avvicinarono a lui, con i loro stand evocati dietro di loro, una donna trasparente fatta d’acqua e una massa indistinta di sabbia e polvere, spiandolo in posizione difensiva. Finalmente, anche Zara si fece vedere, camminando lentamente e tranquillamente verso l’uomo a terra che continuava ad urlare e a dimenarsi. Gli si avvicinò e gli tirò un forte calcio sull’addome, ribaltandolo di schiena e fissandolo negli occhi dall’alto al basso attraverso i suoi spessi occhialoni e il suo viso perennemente senza espressione. Alzò una gamba e la premette sul suo collo senza troppe cerimonie, puntandogli la mano a mo’ di pistola.
-Joestar, dicci i vostri piani.-
Lui la osservava con gli occhi sgranati e vitrei, senza davvero ascoltarla. Afferrò con forza la sua caviglia, nel tentativo di liberarsi. Tentativo vano.
Anche i suoi avambracci diventarono sabbia e si dissolsero, facendolo gridare dalla paura un’altra volta. Eriol ridacchiò, creando un piccolo vortice di sabbia sull’indice. –Nah, non provarci nemmeno!- disse, sorridendogli.
–Che credi di fare a Zara? ‘Sta fermo e rispondile, bestia.- sbraitò Regina, stringendo tra le mani le bacchette di metallo ricoperte di Onde Concentriche, sulle quali gravitava un po’ d’acqua, e il suo stand Kings & Queens accigliato e pronto ad attaccare. Josuke guardò le ragazzine con il panico negli occhi, per poi passarlo di nuovo sul “boss”.
Non dovevano essere molto più grande di sua figlia Shizuka, approssimativamente dovevano avere la stessa età, eppure erano così… pericolose.
Non aveva le forze né fisiche né mentali per rispondere, e semplicemente appoggiò la testa a terra, guardando il cielo biancastro sopra di lui. La brezza era ancora quella invernale che la primavera non si era ancora portata via, mentre il cielo scintillava dietro la spessa coltre di nubi spente.
-Non risponde- sentenziò Zarathustra, girandosi verso le compagne. Loro rimasero impassibili, mentre il boss tornò a guardare la vittima. Caricò un altro ago dall’indice, mentre le scariche elettriche che esalò da esso non erano più bianche, bensì di un giallo brillante. Onde Concentriche.
Aveva usato semplice elettricità con la ragazzina e l’altro uomo, ma non poteva fare lo stesso con lui. Con una piccola analisi del sangue, aveva scoperto che il sangue del Joestar aveva una grande predisposizione genetica e dunque, come tutti coloro che sanno usare l’Hamon, sapeva resistere alle scosse normali. Era una predisposizione minima, quasi ridicola, però Zara preferì non correre rischi e usò le onde standard, per neutralizzarlo del tutto.
Sparò l’aculeo dritto sotto al suo mento, e Josuke chiuse gli occhi, mentre per qualche istante il suo corpo fu mosso da alcune convulsioni causate dalla scossa.
Poi, smise di muoversi.
Zara sbuffò soddisfatta, scrocchiandosi le dita, mentre Regina ed Eriol applaudirono di gioia.
-Razziate pure, poi finiamoli. Non li ho uccisi, li ho solo storditi, per ora.- sentenziò il boss, mentre si sedette comodamente sull’addome dell’uomo più alto, frugandogli nelle tasche per cercare qualsiasi cosa potessero riutilizzare o rivendere.
La sabbia ritornò ai suoi arti, che riapparvero sani e integri come prima.
Le ragazze si avventarono sull’altro uomo, tirandogli fuori il portafoglio. Eriol prese i pochi euro che aveva e se li cacciò in tasca, mentre Regina prese la carta d’identità e la lesse, seria.
-“Nijimura Okuyasu” Nato a Tokyo, risiede a Morioh. Nato il 2 ottobre del 1983, bla bla bla… Avevi ragione, sono giapponesi!- esclamò la ragazza dai capelli lunghi, osservando il capo, che a sua volta aveva preso la carta d’identità dell’uomo su cui si era seduta, mentre lo studiava con preoccupazione, o almeno ciò si deduceva da quel poco che si poteva vedere del suo viso.
-Venite qua. Regina, traduci.-
Le ragazze si avvicinarono al capo, e lei passò loro la carta d’identità del Joestar. Era anch’essa in giapponese.
-“Higashikata Josuke” di Morioh… ma è un nome giapponese… eppure la foto è la sua! Non può essere giapponese!- disse Regina, confusa. Zara non capiva molto più delle amiche. Strinse tra le mani le due carte d’identità, innervosita dalla situazione. Il suo cognome non era “Joestar”, ma gli esami del sangue, la fisionomia, e la voglia sulla spalla lo dimostravano. Era il figlio di Joseph. Non c’era alcun dubbio.
Mentre Zarathustra si arrovellava su quel mistero, Eriol la prese per una spalla, preoccupata, mentre si guardava intorno.
-Boss… ma la ragazzina dov’è?-
Zarathustra saltò in piedi, guardandosi intorno. Sul cemento della piazzetta c’erano solo Okuyasu e Josuke, di loro figlia nessuna traccia.
Zara tirò fuori le mani dalle tasche, che iniziarono a emettere scariche elettriche, mentre le altre due si misero in posizione difensiva.
Non era finita.





 And the battle's just begun
there is many lost but tell me, who has won?
The trench is dug whithin our hearts
and mothers, children, brothers, sisters torn apart.
Sunday Bloody Sunday, U2 (War, 1983)
 
Note dell’autrice
Ciao a tutti! Ebbene sì, incredibilmente sono ancora viva. Ho avuto un sacco di problemi e test, ne ho passate di ogni in questo mesetto di pausa… Ma sono riuscita a sfornare il capitolo più lungo dell’intera fanfiction!
Ebbene sì, la Banda delle Onde Concentriche si è rivelata, e non sembrano essere molto amichevoli. I loro piani sembra divergere da quelli dei Joestar, e sono un osso duro da sconfiggere… Quali sono i loro piani? È davvero la fine degli Higashikata?
Vi lascio sempre in cliffhanger, mi dispiace di essere così orribile.
O forse no?
Vi ringrazio tutti per il sostegno e per leggere la serie, mi raccomando commentate e mandatemi pure messaggi per dubbi, domande, chiarimenti, insulti (?) o semplicemente per parlare! Vi prometto che sarò simpatica e farò i memes.
Allora al prossimo capitolo, a chissà quando- speriamo presto!
Ciao a tutti!
   
 
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