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Autore: Indaco_    10/10/2015    6 recensioni
Il cuore di Amy saltò un battito capendo bene che quel devastante e incredibile dettaglio non era affatto dovuto ad una semplice coincidenza.
I puri e grandi occhi del piccolo erano di un accecante verde magnetico.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dance'
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Parenti, pochi giorni, vacanze e costo zero: questi erano i punti chiave che Amy aveva deciso di giocare nella discussione con Jason tenuta per quella sera. Il discorso chiaro e coinciso, scritto e riscritto nella sua testa, puntava all’onestà più assoluta. Come prima cosa, Justin necessitava di conoscere la zia e relativi cuginetti, non avendo altri parenti era giusto che conoscesse gli unici che aveva. Come secondo punto c’era in ballo il tempo di pernottamento: dopo averci pensato e ripensato aveva deciso che una settimana era più che sufficiente per i suoi scopi.
Anche perché, se si fosse trattato di più tempo, Jason glielo avrebbe negato a prescindere. Il terzo e quarto punto erano i concetti più deboli ma che comunque avrebbero arricchito la sua breve tesi. Non le restava che illustrarlo al padrone di casa, sperando che fosse abbastanza di buon umore da ascoltarla senza innervosirsi. Doveva essere delicata come una farfalla, pregarlo e soprattutto essere paziente, ne valeva della sua salute e soprattutto di quella del piccolo.
Per quella sera aveva deciso inoltre di cucinare il suo piatto preferito per cercare di graziarselo, anche se, probabilmente, alla vista di quel fantastico arrosto ripieno, qualche sospetto sarebbe sorto ancor prima di parlare. Amy e Justin, in quel momento, si trovavano nella piccola cucina dell’abitazione, intenti a rigirare per la quarantacinquesima volta il pezzo di carne nel sugo per mantenerlo morbido. Il piccolo blu, arrampicato su una sedia accanto alla madre, quasi sbavava alla vista e, soprattutto, dal profumo che fuoriusciva dalla casseruola. Incollato alla riccia, non riusciva a staccare gli occhi verdissimi da quel piccolo involucro carnoso coperto di rosmarino e da alcune bacche di ginepro. Poteva quasi sentirne il sapore sulla lingua, immersa dalla saliva che aveva iniziato ad accumularsi nella bocca.
< Oh forza Justin, pazienta ancora un po’! Dovrebbe essere qui a momenti > esclamò la riccia esasperata spiando dalla finestra. Il nervosismo accumulato durante la giornata iniziava a farsi sentire, la rosa, spegnendo il fornello e allontanando il famelico riccetto, iniziò distrattamente ad avvolgere un lungo aculeo sull’indice in attesa del compagno.
Solitamente Jason arrivava a casa verso quell’ora. Dopo aver passato la sua giornata “fuori”, il che precludeva il consumo di un’ingente quantità di alcool, il riccio blu notte tornava nella sua tana per cenare, lavarsi e riprendere a bere. Perciò non sorprese i due coinquilini quando, come ogni giorno di ogni singolo anno, esattamente alle otto, Jason bussò con forza e irritazione la porta di casa, facendo rimbombare l’intera cucina con quel suono così macabro.
Justin e Amy sobbalzarono a quel rumore, ma non c’era tempo da perdere, corsero ad aprire la porta prima di far attendere il riccio. Simulando un sorriso striminzito, spalancarono l’entrata e si spostarono per lasciarlo passare nella piccola stanzina. < Ciao > esclamò Amy con un sorriso decisamente finto e un’allegria ancor più falsa, era comunque abbastanza brava da riuscire a nascondere il panico nella sua voce. Justin, incoerentemente, sorrise con impegno ma si incollò ugualmente alla mano della madre, già terrorizzato dal presunto padre.
Lo sguardo del ventisettenne era buio e freddo come poche volte, gli occhi leggermente arrossati e la sigaretta alle labbra indicavano che no, non era affatto di buon umore. Amy si ritrovò a deglutire impacciata con un ventricolo che pareva stesse per scoppiare, forse non era la sera giusta per quella richiesta. Il riccio entrò nel silenzio più totale squadrando i due con occhio critico. Quei sorrisi esagerati e quel piccolo moccioso così vicino a lui, gli facevano intuire che altre seccature gli sarebbero piombati tra capo e collo.
Non emettendo alcun suono si trascinò a tavola, seguito a ruota da madre e figlio sempre a debita distanza. Sedendosi pesantemente sulla sedia si massaggiò le tempie mentre un delizioso profumino arrivò alle narici del riccio affamato. Justin si sedette al suo solito posto con un atteggiamento di assoluto rispetto nei confronti dell’adulto di fronte a lui. Cercando di fare la sua parte nell’opera di convinzione per le vacanze, Justin, notando il bicchiere vuoto di fronte a Jason, decise di riempirglielo per risultare gentile e ben educato.
Con molta attenzione si inginocchiò sulla sedia e, allungandosi al massimo, riuscì ad afferrare la pesante bottiglia d’acqua posta in mezzo alla tavola. Con enorme sforzo riuscì ad avvicinarla a sé e tolto il tappo, inclinò il recipiente riuscendo a far fuoriuscire un tremolante filo d’acqua. Le braccine iniziarono a tremare dallo sforzo nonostante la bottiglia fosse ancora appoggiata al tavolo e quel piccolo filo d’acqua iniziò ad ingrossarsi pericolosamente, riempiendo il bicchiere troppo velocemente.
Lo sguardo di ghiaccio dell’adulto si sollevò dal piatto e lo fulminò con odio notando la portata del disastro che a breve avrebbe combinato ma, nonostante ciò, non accennò ad aiutarlo. Se ne stette immobile a lanciare sguardi infuocati al piccolo, un chiarissimo avvertimento di quello che sarebbe accaduto se avesse spanto anche solo una goccia. Il piccino lesse quello sguardo e fu preso dal panico, gli occhi verdissimi si riempirono di paura quando si accorse che le braccia, esauste, non sarebbero riuscite a tirar su quell’enorme bottiglia.
< Aiuto! > mugolò disperato, mentre il bicchiere accennava a tracimare da un momento all’altro.
< Justin! Attento! > Richiamata da quella richiesta, Amy si era girata giusto in tempo per vedere e fermare quel disastro. Abbandonando l’arrosto, bloccò e sollevò la bottiglia salvando per una goccia l’intera situazione.
Il suo cuore le stava smantellando la gabbia toracica dalla spavento. Dio solo sapeva cosa sarebbe successo se l’acqua fosse traboccata. Justin, con uno sguardo carico di ansia e rimorso spostò le mani tremanti dal contenitore ad occhi sgranati.
< Justin! Devi stare più attento! A momenti lavavi ovunque! > Sbottò la rosa preoccupata a morte, tornando alle padelle già calde. Velocemente, per non far raffreddare la carne, mise sul piatto di Jason le fette più grandi e poi passò al suo piccino, il quale non aveva ancora staccato gli occhi dall’adulto. Il ventisettenne iniziò a mangiare con appetito la sua parte, i gomiti ovviamente sul tavolo lasciavano poco posto alla madre e al figlioletto. Amy rimase interdetta per qualche secondo, indecisa se affrontare il discorso o rimandarlo ad un’altra sera. La parte più razionale di lei la esortava a lasciar perdere, conosceva già la sua risposta ancor prima di aprir bocca.
Ma il suo cuore implorava di andarsene, anche solo per una settimana, necessitava di rivedere Blaze. Così, dopo dieci minuti tormentati dall’indecisione, con un grosso sospiro si obbligò a parlare.
< Jason? Devo chiederti un favore > replicò asciutta appoggiando le posate al piatto. Il cuore iniziò a batterle più forte quando lo sguardo gelato si posò sui suoi occhi. Il riccio blu ripose un’accurata attenzione sulle parole della riccia, pronto a commentare qualsiasi punto di disaccordo. La rosa si fece coraggio e allontanato il piatto da sé, arrivò dritto al punto,
< la telefonata di oggi era di mia cugina Blaze, mi ha chiamato per propormi una … piccola cosa: tra due giorni finisce la scuola e perciò ci ha invitato a trascorrere qualche giorno da lei. E’ da tanto che non ci vediamo, ora ha due figlie, non le ho mai viste a dir la verità e nemmeno … >, la mascella del ragazzò scattò e si serrò, interrompendo il discorso della rosa. Distogliendo  gli occhi dalla ragazza, osservò un passante attraversare la strada con lentezza
< no. Non se ne parla nemmeno. Toglitelo dalla testa, non ti porto fin là > rispose secco, concludendo la sua cena con due morsi. Justin portò gli occhi sulla madre preoccupato, le sue prime vacanze stavano rischiando di venire cancellate. Amy lo tranquillizzò con un sorriso tirato per poi rivolgersi nuovamente all’adulto, decisa a metterlo alle strette.
< Ci sono i treni e gli autobus, ci possiamo arrangiare. Ti chiediamo qualche giorno, nulla di più. Il tempo necessario di far conoscere Justin a Blaze e … > Jason bloccò il discorso sbattendo violentemente il bicchiere sul tavolo e preoccupando a morte i due commensali.
< No. E ora piantala con queste cagate > ringhiò indispettito, lanciandole un’occhiata furiosa. Nervoso, estrasse dalla tasca le sigarette, se ne accese una con velocità e con una boccata bruciò il primo centimetro in un battibaleno.  Justin iniziava ad avere una certa paura, quel tono di voce e la sigaretta indicavano un rituale che sua madre stava pericolosamente sfidando. La riccia col cuore in gola abbandonò definitivamente la cena, si alzò e iniziò a sparecchiare.
Notò solo in quel momento che il suo piccolo non aveva toccato nemmeno una posata. In preda all’ansia era incollato alla sedia con gli occhi sgranati  e la bocca leggermente aperta. Il petto si abbassava e si alzava a velocità preoccupante e con un po’ di attenzione era sicura di sentire anche il suo piccolo cuore. Fu quell’espressione angosciata a farle scattare qualcosa dentro: era stanca, terribilmente stanca di quell’enorme ingiustizia, era stanca di non riuscire a proteggere suo figlio, era stanca di non aver la più basilare delle libertà. ll suo cuore, stranamente, rallentò i battiti e sentì subito l’adrenalina iniziare a scorrere a fiumi, regalandole un coraggio inaspettato. 
< Mi spiace Jason, non voglio litigare con te ma devo andare. Perciò io e Justin partiremo. Con o senza il tuo consenso > mormorò asciutta fingendo ottimamente il disinteresse. Il tono della sua voce risuonò freddo ma cortese nella cucina e per un attimo ne fu anche piacevolmente sorpresa.
Se ne pentì subito dopo quando sentì Justin cacciare un acutissimo grido e prima di venire colpita in pieno viso. Le sembrò di essere investita da un camion. Perse ovviamente l’equilibrio e cadde a peso morto sul pavimento duro. La testa sbatté sulle piastrelle emettendo un rumore sordo  mentre centinaia di pallini bianchi iniziarono a danzarle davanti agli occhi.
Un forte dolore esplose come un palloncino dentro alla testa, immobilizzandola a terra e silenziando ogni suono attorno a lei . La guancia le bruciava ma in misura minore rispetto al colpo appena ricevuto. Confusa, non aveva capito come Jason fosse riuscito ad essere così veloce, non l’aveva nemmeno sentito arrivare.
Mettendo malamente a fuoco gli oggetti attorno a lei, le orecchie ripreso lentamente  a funzionare e iniziò a distinguere, in sottofondo, il pianto disperato e le preghiere strazianti del suo piccolo sempre più forti. L’istinto la mise velocemente a carponi, Jason, furioso e fuori di sé, urlava come un pazzo avvicinandosi al piccino tremante come una foglia.
Justin era immobile, bloccato accanto al divano con grosse lacrime che rotolavano giù dalle guancie. Il suo volto, contratto dal terrore, era di un azzurro pallidissimo e gli occhi lucidissimi erano colmi di paura. Amy era presa dal panico, la forza che Jason possedeva in quel momento avrebbe potuto benissimo maciullare il cemento armato, se avesse colpito il suo piccino l’avrebbe sicuramente ammazzato.
Con il fiato corto e con il mondo che girava pericolosamente sotto di lei, la riccia si alzò in piedi a tentoni. Jason aveva afferrato il riccetto per un braccio e per gli aculei, bloccandolo a poco più di un metro da lui. Le urla e i lamenti che uscivano dalla gola del bambino erano pugnalate al cuore della rosa, soprattutto quando vide il pugno di Jason alzarsi minaccioso sopra la testa.
Con uno scatto e disposta a tutto pur di salvarlo, Amy si attaccò con tutta la forza che poté al collo dell’adulto. La velocità con cui lo spintonò bastò quel tanto a farlo sbilanciare .
Jason indietreggiò di qualche passo preso alla sprovvista dalla ragazza, la quale tentava in tutti i modi di atterrarlo o almeno di allontanarlo dal piccino. Il pugno a mezz’aria dell’adulto sfiorò appena la guancia di Justin, il quale, rinvigorito dal contrattacco della madre, si divincolò così tanto da riuscire a liberarsi dalla stretta del riccio.
Complice l’alcool che aveva in corpo, Jason ruzzolò per un secondo a terra, trascinando con se la riccia rosa ancora stordita dal colpo ricevuto precedentemente. Amy si ritrovò nuovamente a terra con la testa che girava, priva di equilibrio e con il gusto ferroso del sangue sulla lingua. Indolenzita e terrorizzata però, non aveva tempo da perdere: allontanandosi dall’adulto a carponi iniziò ad indicare la porta a Justin con l’indice teso e la voce carica di panico. Il dolore alla testa era come un ago bollente  che si faceva strada nel cervello, carbonizzando le cellule che incontrava al suo passaggio.
< Vai Justin! Corri! Esci da qui!Muoviti! > Ringhiò disperata, pentendosi amaramente di averlo sfidato con quelle frasi di indipendenza e libertà. Se si fosse zittita invece di aver dato sfogo ai suoi sentimenti! Jason riacquistò nuovamente il pieno controllo. Con un ringhio ancor più feroce, il blu, ancora seduto malamente a terra, afferrò la caviglia della ragazza con uno slancio, catturandola malamente.
< Vai! Vai, vai, vai! > Gridò in falsetto con disperazione , sperando di vedere il suo tesoro uscire di corsa e allontanarsi da quella maledettissima casa. La presa ferrea del ragazzo si serrò sempre più forte, bloccandola a terra completamente alla sua mercé. Un gemito di dolore le sfuggì dalle labbra quando il riccio blu notte gli storse l’articolazione in una posizione innaturale per impedirle di tirare calci e per obbligarla a rimanere ferma.
Il viso del riccio era segnato dalla rabbia e dall’alcool, una smorfia contornava le labbra dell’adulto, il quale non si era mai sentito così preso in giro in vita sua. 
< Se ti azzardi a muoverti ti faccio fuori moccioso! > sbraitò con la bava alla bocca.
Justin, tremante come una foglia, non voleva abbandonare la madre in quel modo e con lui. Ma una parte di sé non voleva nemmeno restare lì e ricevere i colpi di Jason. Indeciso come non era mai stato nella sua breve vita, si sentiva le gambe mollissime dalla paura.
< JUSTIN! Sii coraggioso! Vai! Vai dalla vicina o da Sophie o da Pidge ma non restare qua! > Continuò la rosa con il cuore che le ballonzolava in gola, Dio solo sapeva che gli avrebbe fatto Jason se gli fosse capitato tra le mani. Il viso del piccino, stravolto dal terrore, assunse un’aria più determinata che mai, indice che il piccino aveva già fatto la sua scelta.
Amy, sollevata, pensando che a breve il suo piccolo sarebbe stato al sicuro, rilassò per un attimo la gamba bloccata dalla stretta ferrea. Ma diversamente da ciò che pensava, con sua enorme sorpresa, Justin annullò la distanza tra loro in una scia blu e, sorprendendo entrambi gli adulti, colpì, con tutta la forza che poteva sprigionare, la mano dell’adulto facendogli mollare la presa.
Un ululato di dolore uscì dalle labbra del ragazzo che si premette il polso ferito quasi tentasse di bloccare il dolore. Il piccino, bloccato accanto a lui con gli occhi fuori dalle orbite per quello che era riuscito a fare, non riusciva a muoversi dal terrore.
Capendo di avere un’unica chance, Amy non perse un secondo di più, alzandosi il più in fretta possibile, afferrò le mani del riccetto e si lanciò fuori dalla porta imboccando il marciapiede deserto. Con il fiatone dovuto alla paura, le sembrava di correre pianissimo, rallentata oltretutto dal piccolo irrigidito dal panico.
Dopo aver colpito Jason in quel modo, un solo pensiero vorticava nella sua testolina blu: se l’adulto fosse riuscito a raggiungerlo sarebbe sicuramente morto.
Neanche farlo apposta, un ringhio furioso alle loro spalle li raggiunse facendo accapponare la pelle a madre e figlio, a rotta di collo giù per le stradicciole deserte. Justin voltò appena la testa per vedere il ragazzo avvicinarsi a velocità inusuale con il volto nero di rabbia. Le lunghe falcate erano più ampie e rapide di quelle dei due ricci di fronte a lui, permettendogli di recuparare parecchi metri.
Amy, non del tutto ripresa dal colpo alla testa e impedita dal piccolo che per il troppo terrore quasi era bloccato dalla fifa, aveva il fiatone e si sentiva sempre più debole. Non sarebbe riuscita a trascinarsi per molto, inoltre, l’adrenalina che aveva in corpo la fiaccava ancor di più, si trovava perciò a tirare il bambino con gli occhi carichi di terrore.
< Ju-Justin! Corri!VELOCE! > Gridò tirandogli un ultimo, stanchissimo strattone. Jason, dietro di loro, non distava  a più di un paio di metri e la riccia credeva sul serio che quell’inaspettata fuga sarebbe conclusa da lì a poco.
Ma non fu così, una piccola saetta blu elettrico e incredibilmente veloce, la superò in mezzo secondo procedendo dritto per il marciapiede. Sfruttando ogni energia possibile e alleggerita dal figlioletto, raggiunse il riccetto davanti a lei. Infondendosi coraggio a vicenda tramite un'occhiata complice, assieme distanziarono il loro aguzzino in un battito di ciglia. Nonostante il marciapiede fosse umido e scivoloso dalle irrigazioni dei vicini, i loro passi erano sicuri e decisi a mettere più spazio possibile tra loro e Jason. Il vento copriva le urla pazze del ragazzo dietro di loro, le loro orecchie sentivano solamente il suono del vento infrangersi nei timpani. Nessun ostacolo si intromise tra loro e la salvezza. Entrambi speravano, credevano di avere una speranza, una piccola possibilità di spezzare le catene. I loro cuori andavano di pari passo con i loro piedi e nonostante, oramai, l'energia fosse completamente esaurita, madre e figlio si arrovellavano per conquistare un metro in più.
Si fermarono solamente quando furono sicuri di essere lontanissimi da lui. Il ragazzo, dopo una decina di metri, aveva rallentato sempre più fino a trasformarsi in un piccolo puntino nero.
Fermandosi accanto ad una stazione del bus, il vento freddo faceva ondeggiare le chiome già spettinate dei ricci, facendoli rabbrividire. Justin, fresco come una rosa, aveva il respiro leggermente alterato, come se quella corsa a perdifiato fosse stata solamente un gioco. La madre, diversamente dal piccolo, era inginocchiata a terra con la lingua  a penzoloni e le gambe tremolanti. Dio, da quanto non correva in quel modo! Premendosi una mano sul cuore, sotto sforzo dalla pazza corsa, scrutò attentamente il fondo della strada.
Con il terrore di vederlo spuntare da un momento all’altro, prese per mano il piccino e riprese a camminare velocemente con i sensi in allerta, controllando continuamente dietro di se. Il buio era alle porte, la luminosità scarsissima lasciava appena intravedere il terreno dove poter mettere i piedi ed il freddo iniziava a farsi sentire.
< Mamma! Ma dove andremo ora? > Domandò preoccupato il piccino stringendosi a lei. In tutto quel caos, ovviamente, non avevano benché minimamente riflettuto su quel particolare. E ora si trovavano all’aperto, senza un quattrino, senza bancomat e privi di un qualsiasi riparo. La riccia fu invasa dalla preoccupazione, cosa fare ora? Ovviamente non sarebbe mai dopo mai tornata a casa, ma in quel momento, senza un riparo per suo figlio, senza un cellulare e senza nulla di nulla si sentiva persa e un pelino angosciata.
Guardandosi attorno in cerca di una qualsiasi forma d’aiuto, improvvisamente una lampadina si accese nel suo cervello. Non attese un minuto di più e stretta la mano del piccino, sorridendo pacatamente si incamminò verso l’altro lato della strada .
< Non ti preoccupare, troveremo di sicuro un riparo > mormorò con poca convinzione. Impiegarono una ventina di minuti per raggiungere la sua scuola di danza, nella fuga non si erano resi conto di quanto si fossero spostati dal centro.
Il freddo era infiltrato nei jeans della ragazza e ad ogni movimento, il tessuto congelato e rigido come un baccalà le sfiorava la pelle facendola rabbrividire. Aveva consegnato, inoltre, la sua felpa al piccolo infreddolito, sperando di riuscire a scaldarlo almeno un po’.
Justin, intirizzito quanto lei, iniziava ad essere stanco, il freddo e la lunga camminata l’avevano fiaccato molto più della corsetta e ora gli occhioni verdi volevano solamente chiudersi per dormire e riposare.
< Forza tesoro, ci siamo quasi. Tieni duro > mormorò la riccia accarezzandogli dolcemente le orecchie triangolari.
Di fronte alla porta a vetri della scuola di ballo, Amy e Justin riflettevano se era il caso o meno di suonare il campanello e rivolgersi proprio a lui. Alla ragazza non andava molto, sapeva bene che chiedere un favore a lui equivaleva cadere in un altro buco, ma al momento non aveva altra scelta.
Con determinazione e rabbrividendo un po’, bussò alla porta di casa sperando che la pantera ci fosse. L’aria umida che soffiava non era per nulla di buon auspicio, una forte tempesta soffiava da est, esattamente in linea con il suo umore.
Justin appoggiò stancamente la fronte sulla gamba della madre, in cerca di un minimo sollievo. Era parecchio tardi per lui e il sonno, più del resto, iniziava a farsi sentire.  Dopo qualche minuto, i ricci stavano quasi per abbandonare l’idea, quando dei rumori provenienti dalla serratura attirarono la loro attenzione. Con il fiato sospeso e con grande stupore, la porta a vetri si aprì lentamente e da essa si protrasse la figura di Pidge, avvolto da uno strano e informe pigiama color giallo senape.
Un po’ per la sorpresa e un po’ per l’imbarazzo, la pantera nera si bloccò sull’uscio ad occhi sgranati e la bocca leggermente aperta. Davanti a se, Amy Rose e il suo figlioletto blu se ne stavano lì impalati, con uno sguardo misto tra il disperato e la stanchezza. Ravviandosi i capelli spettinati, l’adulto si riprese con un veloce battito di ciglia.
< C-che ci fate qui? > balbettò imbarazzato cercando di assumere un’aria indifferente e rilassata. Amy, involontariamente, lasciò cadere lo sguardo lungo gli indumenti color ocra con sguardo perplesso. Eh sì, si vedeva che mancava una donna nella sua vita.
< Mi serve un favore Pidge. Un grosso favore > snocciolò con preoccupazione la riccia, scambiando uno sguardo indeciso col figlioletto appresso.   

Aggiornato: 02/06/2019

Spazio autrice:
Come sempre non ho cambiato molto, è molto più lungo ma volevo prendermi spazio per ben descrivere la vicenda. Anche qui, se trovate errori o consigli, non esitate! Grazie e baci!
Martina

 
  
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