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Autore: Padmini    15/10/2015    2 recensioni
Una mente che non risposa, mille pensieri che si accavallano e che combattono tra di loro per la vittoria. Sacrificare la propria vita per una nobile causa o seguire i propri intimi sogni?
Charles Xavier si era trovato davanti a quel dilemma più di una volta, ma quella notte, avvolto dalle tenebre e dal silenzio, aveva preso la sua decisione. Avrebbe dato tutto se stesso per il suo sogno, lo avrebbe fatto davvero ... ma era ancora troppo presto. Quella notte, Charles scelse di essere egoista e di tornare dall'unico uomo che aveva mai amato.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cena per due, cena per uno, cena per molti






I giorni seguenti furono relativamente tranquilli. Erik continuava a condurre la solita vita e Charles sembrava rilassarsi sempre di più, come se osservare il Signore del Magnetismo al lavoro fosse per lui una specie di vacanza.

Entrambi avevano mosso le loro prime pedine in quella strana partita a scacchi, ma nessuno dei due sembrava ansioso di proseguire. Come al solito si stavano godendo il piacere della sfida, quella sottile tensione che fa bene all'intelletto. All'apparenza nulla era cambiato, eppure qualcosa in entrambi si stava rapidamente evolvendo, maturando sotto la superficie visibile

Anche senza usare i suoi poteri, Charles poteva vedere che Erik si stava sempre più lasciando andare e soprattutto sembrava accettare pian piano i propri sentimenti come lui stava accettando i suoi.

Charles era partito con un'idea ben chiara in testa, ovvero mostrare all'amico come si viveva bene nella sua scuola, come fosse riuscito a creare un ambiente protetto dove i suoi studenti potevano vivere con serenità la loro mutazione … ma sarebbe stato come barare. Ciò che Erik doveva imparare a conoscere non era tanto il fatto che lui potesse essere un bravo insegnante ma la verità che l'umanità lentamente stava sempre più accettando i mutanti. Aveva dovuto accettare questa cosa e cambiare di conseguenza la sua strategia, non che la cosa fosse stata particolarmente difficile.

Sapeva esattamente cosa avrebbe fatto, come si sarebbe comportato. Aveva due mesi di tempo per riuscire a convincere Erik, ma man mano che passavano i giorni aveva sempre più paura di non potercela fare e lentamente la paura di dover rinunciare a tutto quello che aveva costruito in quegli anni per unirsi a lui. In effetti l'idea principale era stare vicino ad Erik, ma non così, non da sconfitto … ma d'altra parte poteva immaginare che anche lui, dalla sua parte, non avrebbe accettato volentieri il fatto di vedere distrutte tutte le sue idee di fronte ad una realtà che non corrispondeva con i suoi sentimenti. Entrambi facevano resistenza, ma uno dei due avrebbe dovuto cedere, prima o poi, in un modo o nell'altro ed entrambi erano convinti che non ci sarebbe stata una via di mezzo.

Erano trascorsi tre giorni da quando Charles era arrivato ed erano sempre rimasti soli. Di tanto in tanto Erik rispondeva al telefono e usciva di casa, ma non era mai venuto nessuno a disturbare la loro quiete. Charles amava la pace e il silenzio, ma ormai era abituato anche al caos della sua scuola, così quei tre giorni, sebbene piacevoli, avevano introdotto nella sua vita una monotonia che, invece di essere riposante, stava diventando affaticante. Nonostante tutta quella intimità fosse utile al loro rapporto, sentiva di aver bisogno di uscire, di vedere altre persone, soprattutto perché altrimenti non avrebbe avuto modo di mettere in atto il suo piano.

 

Quel pomeriggio Erik era uscito molto presto in seguito ad una telefonata ed era tornato solo un paio d'ore più tardi, convinto di trovare Charles ad attenderlo … ma la casa era vuota. Vagò per le stanze diverse volte prima di arrendersi all'evidenza. Charles se n'era andato.

Era un bene? Era un male? Non lo sapeva. In fin dei conti non lo aveva sabotato, non gli aveva portato via nulla … se non un po' di fiducia e un po' di felicità che in quei giorni aveva iniziato ad apprezzare. Charles era arrivato come un gatto randagio che chiede un po' di cibo ma, fedele alla sua natura raminga, se n'era tornato via, lasciandogli quel vuoto dove avrebbero abitato le ombre dei ricordi che avevano costruito insieme ma che non sarebbero stati sufficienti per permettergli di andare avanti senza rimpianti o senza rancore nei confronti dell'uomo che lo aveva illuso.

Aveva comprato due bistecche da mangiare con contorno di insalata, funghi e patate novelle e una bottiglia di vino che, pur non essendo pregiato, lo aveva conquistato dal primo sorso. Aveva programmato una cena solo per loro due … ma ormai avrebbe dovuto rassegnarsi a cenare da solo.

Stava riponendo le cibarie con la massima cura, tanto per dimenticare l'arrabbiatura, quando sentì le porte dell'ascensore aprirsi oltre la porta. Non fece caso a quel rumore, ma quando anche la porta d'ingresso venne aperta, si mise all'erta, in ascolto, ma non sentì nulla se non dei passi strascicati. Sembrava che il misterioso visitatore procedesse senza mai sollevare i piedi dal pavimento. Si chiese come mai si comportasse così, vide l'ombra del suo intruso e capì. Posò sul tavolo il coltello che aveva fatto alzare con i suoi poteri e sospirò di sollievo e addirittura si mise a ridere quando comparve Charles, nella sua sedia a rotelle.

“Idiota. Sei un idiota!”

Charles lo guardò senza capire, tentato di leggergli nella mente, senza tuttavia farlo. Il suo sguardo interrogativo fu sufficiente a Erik per spiegarsi.

“Avevo paura che te ne fossi andato e che stesse entrando un ladro!”

Charles guardò fuori e vide il cielo ancora abbastanza chiaro, poi si voltò verso Erik e sorrise, scuotendo la testa, come un professore deluso dalla prova del suo studente.

“Secondo te un ladro proverebbe a entrare a quest'ora e, a parte questo, perché me ne sarei dovuto andare? Se avessi prestato attenzione avresti visto che i miei abiti sono ancora qui e che ti avevo perfino lasciato un biglietto.”

Prese un foglietto scritto da lui posato sul tavolo. Erik lo guardò e arrossì per l'imbarazzo.

“Non l'avevo notato ...”

Charles scosse la testa ancora una volta, deluso.

“Non ho bisogno di leggerti nel pensiero per capire che non ti fidi ancora di me, Erik. Ero uscito per fare due passi, niente di più. In reltà ci sarebbe qualcosa di più, ma non è nulla che possa nuocere a te.”

Erik rimase senza fiato di fronte a quello sfogo, Charles semrbava davvero arrabbiato.

“No! Non ho mai pensato questo!” si schiarì la voce, imbarazzato perché, in realtà, aveva temuto che lo avesse tradito “In realtà lo avevo pensato, ma non perché non mi fidassi di te … avevo paura che tu non ...”

Si bloccò. Se avesse terminato la frase avrebbe detto “che tu non ricambiassi i miei sentimenti, che non mi amassi come ti amo io!”

Ovviamente non lo fece, ma Charles sembrò aver intuito qualcosa, perché sorrise e gli fece cenno di avvicinarsi e, quando fu abbastanza vicino, lo afferrò per la camicia e lo attirò a sé per baciarlo.

“Non potrei mai lasciarti, non così, non senza dirti ciòche provo o almeno senza fartelo capire.”

Lo baciò ancora, più dolcemente, accarezzandogli la guancia. Erik tremò per l'emozione e sorrise a sua volta, finalmente, rilassandosi.

“Si può sapere cosa sei andato a fare fuori?” chiese, leggermente irritato per la paura che lui stesso avrebbe potuto evitarsi se fosse stato più attento.

“Sono andato a … fare due passi!” esclamò lui, scoppiando a ridere “A parte gli scherzi, avevo bisogno di prendere un po' d'aria … e conoscere qualche persona nuova.”

“Cosa non va in me?” domandò Erik, stavolta offeso.

“Nulla, ma non posso sperare di vincere la scommessa restando chiuso in casa. Ho passeggiato, ho mangiato un dolce e bevuto un caffè e visitato una libreria meravigliosa, in centro. È lì che ho conosciuto Amelie e Philippe.”

“Amelie e Philippe.” ripetè Erik, senza capire dove il compagno volesse andare a parare.

“Amelie e Philippe sono marito e moglie e organizzano spesso delle cene a tema.”

“Umani.”

“Umani.”

Erik sbuffò, ma Charles non perse la calma.

“Tra due giorni ceneremo a casa loro con altri umani.”

“No.”

“Sì. E ti dirò di più, li frequenteremo per tutto il tempo in cui io starò qui.”

“No.”

“Sì. Ormai ho deciso.”

“Sarebbe questa la tua strategia? Non vorranno avere a che fare con noi sapendo che siamo mutanti!”

“Qui sta il bello, non lo sapranno.”

“Cosa?”

“Hai capito.”

“Non ti capisco … perché non lo dovrebbero sapere? Come potrebbero non saperlo? Tu sei famoso, io sono famoso!”

Charles si concesse il sorriso di chi sta tramando qualcosa e lasciò Erik sulle spine per qualche istante prima di rivelargli il suo piano, o almeno parte di esso.

“Io sarò James McAvoy, tu Michael Fassbender. Reciteremo la parte di due attori, due umani. Condizionerò i nostri “amici” in modo che vedano ciò che io voglio.”

“Questo però è barare!” esclamò Erik, quasi arrabbiato “Avevi detto che non avresti usato i tuoi poteri! Come puoi dimostrarmi che gli umani ci accettano se mentiremo sulla nostra identità?! Passi avere un'identità falsa, ma fingere di essere ciò che non siamo … fingere di essere … umani ...”

Pronunciò l'ultima parola con disgusto, come se il solo pronunciarla potesse in qualche modo sporcarlo.

“Farà bene a loro, a tempo debito, e farà bene a te. Anche tu hai bisogno di capire che gli umani non sono esseri inferiori così come noi non siamo mostri.”

“Charles ...”

Erik era senza parole, ancora sconvolto per la forte emozione provata quando aveva temuto la fuga di Charles e ora totalmente confuso per il piano che il compagno gli aveva illustrato. Non capiva, ma una parte di lui continuava a ripetergli che poteva fidarsi, che lo doveva fare.

A Charles non servì parlare ancora. Mentre il sole calava oltre le case, facendo allungare le ombre dei mobili, la luce della fiducia trovò nuova energia tra di loro. La luce solare fu ben presto sostituita da quella delle lampadine, mentre i due, ormai completamente a loro agio, si apprestavano a preparare la cena.

Non fu una serata carica di colpi di scena o emozioni forti come quelle che si erano verificate in quei pochi minuti, ma ormai molte cose si erano sbloccate tra di loro. Tutto era tornato alla placida staticità di prima, eppure qualcosa era cambiato. Nello stagno che era diventato il loro rapporto in quei giorni l'acqua era stata smossa. Ora era tornata liscia, calma, ma il vero cambiamento era profondo, invisibile agli occhi, un cambiamento di cui però entrambi erano consapevoli.

Prima di andare a dormire sparecchiarono la tavola e lavarono le pentole per non doverlo fare il giorno successivo. Erano entrambi stanchi, ognuno per i suoi motivi, ma quando fu ora di andare a letto, Erik spinse la sedia a rotelle verso la propria camera e non verso quella degli ospiti.

“Che ...”

Charles non concluse la domanda, si lasciò guidare dal compagno che, premurosamente, lo aiutò a infilarsi il pigiama e poi a distendersi accanto a lui, nel suo letto. Era un gesto semplice, per il quale non aveva chiesto né aveva bisogno di permesso. Tutto era ormai chiaro a entrambi, una verità così palese da non dover nemmeno essere espressa. Loro si amavano così come il cielo era azzurro e così come il sole era caldo. Non era un'opinione, era un fatto.

Avrebbero volentieri fatto l'amore, ma in quel momento non poteva esserci nulla di più rassicurante e dolce della presenza reciproca, del respiro e del battito del cuore dell'altro, regolari come lo scorrere del tempo che procedeva in punta di piedi in un silenzio fatto di sussurri, sorrisi e baci donati. In quel torpore, nel calore di una coperta e di un sonno condiviso, scivolarono entrambi nel mondo dei sogni che, almeno per loro, non erano troppo distanti dalla realtà.

   
 
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