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Autore: Curleyswife3    20/10/2015    2 recensioni
E se, durante il suo vagabondaggio stellare alla ricerca di un marito alla sua altezza, la bellissima principessa Kurama atterrasse sulla Terra non all'epoca di Lamù, bensì all'epoca di Baldios?
Chi sarebbe il fortunato prescelto?
Crossover birichino con uno dei personaggi più sexy del mondo anime. ATTENZIONE: uno zinzinino di gender bender nell'ottavo capitolo.
Genere: Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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CAPITOLO TERZO
 
A mali estremi…
 
“Ma perché sono così sfortunata?” gemette la principessa Kurama.
“L’uomo che il destino ha scelto come mio sposo non ne vuole sapere di me!” strillò, battendo nervosamente sul pavimento il piedino calzato di pelle nera.
“Senza di lui sarà la fine della nostra gloriosa dinastia!”.
 “Principessa…” tentò di confortarla un goblin “su, non fare così…”.
“Sì” aggiunse un altro, posandosi sulla sua spalla “Forse non tutto è perduto”.
 
“Puoi ancora cercare di cambiare le cose, di migliorarlo”.
“Potresti tentare di trasformare la sua personalità…” intervenne un terzo uccellaccio.
La signora dei goblin dal naso lungo iniziò a camminare avanti e indietro misurando lo stretto spazio della sua astronave con passi veloci, le braccia conserte e un’espressione di intensa concentrazione stampata sul bel viso accuratamente truccato.
A un tratto si fermò, schioccò le dita ed esclamò: “Ho trovato! Userò su di lui il supercampo magnetico mentale!”.
I suoi servitori alati si scambiarono uno sguardo carico di preoccupazione.
“M-ma, principessa” azzardò il consigliere anziano “Il supercampo magnetico mentale… non ti sembra di esagerare?”.
“Già” aggiunse un altro “in fondo è soltanto un ragazzo, non sappiamo a quali conseguenze potrebbe andare incontro…”.
“Non mi interessa!” strillò Kurama, pestando i piedi.
“L’unico modo perché lui si abbandoni a me è trasformare completamente la sua mente e la sua anima e il supercampo magnetico mentale è la sola arma in grado di farlo”.
“È la mia ultima speranza” concluse, con aria decisa.
Afferrò un goblin per il kimono e, tenendolo davanti alla sua faccia, disse: “Andare a prendere Marin Reigan e portatemelo qui”.
La sua voce era fredda come una lama e altrettanto tagliente.
“Il futuro del mio regno dipende da lui”.
 
***
 
A passo svelto Marin Reigan s’inoltrò per un sentiero appena tracciato, irto di rocce grigio-bianche, abbandonando così la strada principale che conduceva alla base. Intorno a lui, solo bassi cespugli di ginestra e di cisto marino che esalavano nell’aria calda i loro tenui effluvi vegetali.
Un frinire ininterrotto di cicale, la luce accecante, il vento tiepido che asciugava il sudore e infine, dietro una parete di roccia, il mare: gli si rivelò d’improvviso in tutta la sua bellezza, splendente, abbacinante nella piena luce meridiana.
Appena increspato, crestato di schiuma bianca sulla sommità delle piccole onde che si frangevano sulla spiaggia assolata.
Respirò a pieni polmoni l’aria salmastra dell’oceano.
Una dolce brezza gli scompigliava i capelli, mentre camminava lungo la riva sabbiosa.
Cielo d’indaco sgombro di filacciose nubi, acqua di vetro blu a distesa infinita.
Fissò per un istante l’occhio pallido del sole; il mare, dal punto più lontano e luccicante, ritmicamente avanzava - immutabile e mutevole - verso la riva, sfrangiandosi in sbuffi leggeri di spuma bianca che si richiudevano in cerchi via via più sbiaditi contro la rena.
Il fruscio delle onde sulla sabbia allungava verso di lui le sue dita invisibili.
Guardò l’orizzonte dove, oltre la distesa del mare, in lontananza si scorgevano appena i profili di montagne sconosciute, avvolti in una nebbiolina leggera.
Gli sfuggì un sospiro malinconico.
“Non so cosa mi prende ogni volta che vengo qui: è come tornare a casa. E allo stesso tempo è una ferita che si riapre, un dolore antico e sempre nuovo”.
Serrò i pugni.
“Oh, papà!” mormorò tristemente, gli occhi velati di lacrime di tenerezza.
“Se solo tu avessi potuto vedere questo posto…”.
In quell’istante, una voce alle sue spalle lo fece sussultare.
“Ehi, amico!”.
Si voltò, seccato per essere stato interrotto.
Di fronte a lui c’erano quattro ragazzi e una ragazza, tutti alti almeno venti centimetri più di lui, muscolosi e abbronzati.
Avevano lunghi capelli color grano maturo, occhiali da sole e costumi da bagno di tinte sgargianti.
Ognuno teneva sotto braccio una strana tavola di legno colorato, luccicante e bizzarramente decorata.
“Scusa” continuò il tipo di prima, aprendo le braccia “non potresti spostarti?”.
“Sai com’è” aggiunse il secondo beach boy, sorridendo sotto il pizzetto fulvo “tra poco arrivano le onde migliori”.
La ragazza del gruppo sollevò le lenti scure per un istante e gli fece l’occhiolino mentre gli passava accanto, ma lui era rimasto semplicemente senza parole.
 
***
“Dunque” disse tra sé e sé Marin Reigan, raggiungendo l’angolo opposto della spiaggia “Dov’ero rimasto?”.
“Ah, sì…”
“Oh papà”.
Serrò i pugni.
“Oh, papà!” mormorò tristemente, gli occhi velati di lacrime di tenerezza.
“Se solo tu avessi potuto vedere questo posto…”.
In quell’istante, una voce alle sue spalle lo fece sussultare.

“Eh, no, adesso basta!” esclamò, tirando fuori la pistola laser.
Senza nemmeno guardare di chi si trattasse, si voltò di scatto e fece fuoco.
Al suono del colpo seguì un gracchiare terrorizzato.
“Ancora voi!” esclamò Marin “Che cosa fate qui?”.
I corvi neri di Kurama si alzarono in volo, tranne il consigliere anziano che giaceva sulla sabbia immobile.
Il ragazzo gli si avvicinò, improvvisamente preoccupato.
Si inginocchiò accanto a lui.
“Stai bene?” domandò, toccando l’ala destra dell’uccello.
Oddio, non sarà mica morto” pensò, con un tuffo al cuore.
Ma per fortuna quello aprì i suoi occhietti lucenti.
“Ohi ohi ohi” si lamentò, agitandosi.
“Mi dispiace” disse il ragazzo.
Si rialzò.
 “I-io non…”.
Rimise l’arma nella fondina, mentre lo stormo tornava a posarsi intorno a lui sulla sabbia.
“Ehm… ci scusi, signore…” disse un secondo goblin, mentre altri due aiutavano il decano a tirarsi su.
Porse al giovane una piccola pergamena ornata di nastri di seta viola.
“La principessa Kurama le manda questo messaggio”.
Marin fece una smorfia.
“Vi ho già detto che non voglio avere niente a che fare con lei”. replicò, irritato.
Allungò la mano per restituire il rotolino al messaggero, ma quello si allontanò in volo.
“Per favore…” gemette il goblin ferito, sorretto da due compagni.
“La principessa ci spennerà vivi se non le consegniamo il suo messaggio”.
Levò su di lui i suoi occhietti imploranti, finché Marin non cedette e aprì la pergamena.
Sbuffò, ma iniziò a leggere.
“Hai visto, che ti dicevo?” sussurrò il pennuto al vicino, strizzandogli l’occhio “Ha il cuore tenero…”.
Mio caro marito - diceva la lettera - mi dispiace per ciò che è successo. Io non volevo arrendermi all’evidenza e ho provato in ogni modo a conquistare il tuo amore.
Ma adesso mi è tutto chiaro: devo rinunciare a te.
Lascerò la Terra per sempre, però prima di partire vorrei vederti un’ultima volta.
Ti aspetto tra un’ora nel luogo dove il tuo bacio mi ha risvegliata. 
Ti prego, vieni.
Con amore, Kurama.
***
 
“Jamie” disse la professoressa Quinstein sollevando per un istante gli occhi dal computer “hai visto Marin?”.
La bionda scosse la testa.
“So che è andato a guardare il mare, ma…è vero” esitò un istante, accarezzandosi il mento “in effetti, a quest’ora dovrebbe essere già qui”.
Le due donne si scambiarono un’occhiata carica di angoscia.
“C’è di sicuro qualcosa che non va…”.
E se gli fosse accaduto qualcosa? Se qualche spia di Aphrodia lo avesse preso prigioniero? Se l’avessero ucciso?
“Adesso vado a controllare” Jamie scattò in piedi.
“Aspetta” disse l’altra, spegnendo il monitor “vengo con te”.
 
***

“Eccolo, è lì” gridò Jamie indicando la snella figura del ragazzo che scendeva il pendio alle spalle della base.
Guardò la scienziata.
“Ma che starà facendo in quel posto?” esclamò.
Affrettarono il passo, col cuore in tumulto.
A un tratto, videro levarsi in volo tra gli alberi un nugolo di corvacci neri fin troppo familiari.
“Oh, no!” strillò Jamie.
“Quella maledetta” disse la Quinstein con aria sdegnata “non ha ancora rinunciato a lui!”.
Corsero a perdifiato lungo la scarpata, chiamando disperatamente il giovane pilota.
Ma era troppo tardi e loro erano ancora troppo lontane.
Perché il solito vento impetuoso aveva sollevato Marin, trascinandolo verso una strana porta con la cornice verde, dietro la quale s’intravedeva un abisso di buio profondo.
“Ancora quelle scocciatrici!” inveì Kurama, nascosta dietro un albero.
Jamie e la professoressa arrivarono trafelate ai piedi della scarpata, ancora gridando, giusto in tempo per vedere il loro compagno sparire - mentre si dibatteva e urlava - oltre la soglia.
L’uscio si richiuse dietro di lui con un lugubre scatto.
 “Dove sei, Marin?” gridò Jamie.
La Quinstein scrutava tutta concentrata la strana porta, su cui baluginavano due inquietanti occhiacci gialli tra orrendi disegni fucsia e celesti.
La cosa bizzarra era che dietro la porta non sembrava esserci niente: era solo una stramaledetta porta in piedi in mezzo al niente.
“Apri, per favore, apri…” gemette la ragazza.
“È troppo tardi!”.
Kurama sbucò fuori, con un ghigno di trionfo sul viso.
“Non lo potrete rivedere mai più”.
“Ah, sì, davvero?” urlò la scienziata, lanciandosi con tutte le sue forze contro la porta che non solo non cedette, ma la fece rimbalzare lontano, mandandola a sedere pesantemente sull’erba.
“Nessuno può entrare qui dentro” disse la principessa con voce dura.
“E io come potrò vivere senza di lui?”.
Jamie batteva i pugni sull’uscio, tra le lacrime.
“Come farò?”.
“L’atmosfera oltre questa porta” spiegò un goblin appollaiato su un ramo, a distanza di sicurezza “è pervasa da un potentissimo campo magnetico mentale”.
“Quando uscirà di qui Marin sarà un uomo completamente nuovo” aggiunse Kurama, spietata.
“Non lo riconoscerete più”.
 
(SEGUE)
 
Angolino dell’autrice: dunque, questo capitolo riprende l’episodio di Lamù in cui Kurama, disperata, tenta di rendere Ataru Moroboshi meno debosciato servendosi di un mega campo magnetico psichico. Dato che era venuto veramente troppo lungo, l’ho diviso in due parti.
Quella davvero schizzata è la prossima, che spero di riuscire a postare tra un paio di giorni. 
Vorrei chiedervi una cosa: all’inizio, fino ai surfisti voglio dire, ho cercato di scrivere di questi personaggi in modo “normale” - cioè senza prenderli per il culo - per capire come la cosa veniva fuori. Mi frulla in testa l’idea di una fic più tradizionale… che ne dite, se po’ fa?
   
 
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